Rito
Romano
II
Domenica di Avvento “Gaudete” – Anno B – 17 dicembre 2017
Is
61,1-2.10-11; Sal Lc 1; 1Ts 5,16-24; Gv 1,6-8.19-28
Rito Ambrosiano
Is 62,10-63,3b; Sal 71;
Fil 4,4-9; Lc 1,26-38a
Domenica
dell’Incarnazione o della Divina Maternità della Beata Vergine
Maria
1)
Testimone della luce.
L’Avvento
è tempo di attesa, di speranza e di preparazione alla visita del
Signore. Per questo oggi la Liturgia della Chiesa ci fa domandare la
grazia di questa visita, che ci porta la luce e dissipa le tenebre.
Il buio fa paura al cuore, invece la luce gli dà gioia. Per
accogliere la visita di luce che è Cristo, in questa terza domenica
di Avvento la Chiesa ci propone la figura di Giovanni il Battista,
non è la Luce, ma ne è il testimone.
Nel
Vangelo di oggi ci sono offerti molti elementi che caratterizzano la
testimonianza del Battista. Ne sottolineo alcuni:
Prima
di tutto, Giovanni è pienamente consapevole che la sua intera vita è
totalmente in relazione al Cristo. Di fronte a coloro che lo
interrogavano sulla sua identità, Giovanni insiste nel dire chi non
è: lui non è la luce, è “una lampada che arde e risplende” (Gv
5,35). Lui non è lo sposo, è “l’amico dello sposo” (Gv
3,29), non è la Verità, è il testimone della verità, non la
Verità; non è la Parola, è la voce. Certamente una vita che sembra
fondarsi su di una negazione ci lascia stupiti e perplessi. Ma è una
negazione necessaria per fare spazio a Gesù.
Alla
domanda: “Chi è dunque quest’uomo, chi è Giovanni Battista?”
La sua risposta è di una umiltà sorprendente. Non è il Messia, non
è la luce. Non è Elia tornato sulla terra, né il grande profeta
atteso. E’ il precursore, semplice testimone, totalmente
subordinato e relativo a Colui che annuncia; una voce nel deserto,
come anche oggi, nel deserto spirituale di questo mondo
secolarizzato, abbiamo bisogno di voci che semplicemente ci
annunciano: “Dio c’è, è sempre vicino, anche se sembra
assente”.
In
questa paradossale definizione negativa della propria identità, in
questo atteggiamento realistico di umiltà, Giovanni ritrova se
stesso: lui è voce nel deserto
ed è testimone della luce. E questo ci tocca nel cuore, perché in
questo mondo con tante tenebre, tante oscurità, tutti siamo chiamati
ad essere testimoni della luce.
Il
tempo di Avvento ci invita a questa missione: essere testimoni che la
luce c’è e portare la luce nel nostro tempo e nel nostro mondo che
proclama l’assenza di Dio.
Va
tenuto presente, però, che possiamo essere testimoni solo se
portiamo in noi la luce, se siamo non solo sicuri che la luce c’è,
ma che abbiamo visto un po’ di luce. Questa luce arriva agli occhi
del cuore nella Chiesa, nella Parola di Dio, nella celebrazione dei
Sacramenti, nel Sacramento della Confessione, con il perdono che
riceviamo, nella celebrazione della Messa, dove il Signore si dà
nelle nostre mani e nei nostri cuori. E così diventiamo anche
testimoni di carità.
Ognuno
di noi è “uomo mandato da Dio”, piccolo profeta inviato tra i
suoi e nel mondo. Se il nostro cuore come lampada accoglie le luce di
Cristo, guarda la realtà nella luce di Cristo, nella luce che è
Cristo, saremo testimoni non tanto dei comandi, o dei castighi, ma
del giudizio misericordioso di Dio, della luce del Redentore, che
fascia le piaghe dei cuori feriti, che va in cerca di tutti i
prigionieri per tirarli fuori dal buio di un cuore incarcerato dal
peccato e rimetterli nel sole della sua verità e del suo amore.
2)
Testimoni della gioia.
La
terza Domenica di Avvento si chiama Domenica “della gioia”1
e ci ricorda che, anche in mezzo a tanti
dubbi e difficoltà, la gioia esiste perché Dio esiste, è venuto a
visitarci e viene per stare con noi, sempre.
La
gioia di un incontro che si rinnova con la celebrazione del Natale,
non è riducibile ad una emozione.
La
gioia del vangelo (come Papa Francesco ricorda nella Evangelii
Gaudium) non è un sorriso fragile e
breve che compare sul volto per pochi istanti e poi si spegne.
Non
è neppure l’euforia sentimentale che si rinnova ogni anno durante
le feste di Natale, ma che non cambia la vita.
La
gioia di Cristo nascente è quella annunciata da Isaia e Paolo (prima
e seconda lettura), che si fanno eco
per annunciare la Gioia, simile alla gioia semplice degli sposi alla
festa di Nozze, o a quella della terra che accoglie il seme per farlo
germogliare. Una gioia che guarda avanti, a quello che sarà, non a
quello che è già avvenuto. Una gioia che non contempla solamente il
Bambino nell’umile grotta di Betlemme, ma Colui che di nuovo verrà
nella gloria e riempirà la nostra vita di eternità.
Per
questo abbiamo bisogno dell’esempio di Giovanni il Battista o -
meglio - come lo definisce il quarto evangelista, del “Testimone”.
Questo Testimone - che esulta di gioia alla voce dello Sposo - è
colui che precede per guardare sempre oltre, sempre avanti. Con la
sua parola e la sua vita Giovanni guarda avanti e ci invita a
guardare avanti, per essere come lui testimoni della verità, della
carità e della gioia di Cristo.
La
gioia implica l’amore. Giustamente si è visto sempre un legame fra
l’amore e la felicità: chi si sposa pensa che il giorno delle sue
nozze sia il giorno più bello della sua vita. Effettivamente
nell’amore anche umano l’uomo trova la sua completezza e nella
sua perfezione naturale trova precisamente il compimento dei suoi
desideri, la risposta della natura alle proprie esigenze, ai bisogni
non solo dell’anima ma anche del corpo. Tutto trova il suo
compimento in quest’unione nuziale e l’unione nuziale non è che
il frutto dell’amore. Amore e gioia sembrano andare d’accordo. La
gioia è il frutto dell’amore, che è il dono commosso di se stessi
all’altro. Non possiede la gioia vera e duratura chi non è libero
da ogni egoismo.
Se
noi vogliamo possedere la gioia bisogna dunque liberarci da noi
stessi. Ecco la prima esperienza. Bisogna vincere ogni egoismo che ci
chiuda in noi stessi e faccia convergere a noi e attiri a noi le
cose.
Se
la gioia implica l’amore, esige a sua volta la vittoria
sull’egoismo, implica la dimenticanza di se stessi. Nessuno che si
chiuda in sé stesso può possedere la gioia vera. È nel puro dono
di sé piuttosto che l’anima trova la gioia. Ma il dono di sé a
sua volta implica sacrificio. Non è dunque vero che il sacrificio
sia contrario alla gioia.
Non
è dunque vero che la morte a se stessi sia veramente la fine della
gioia: è anzi la porta che si apre all’infinita beatitudine, alla
pienezza della pace, perché è anche la porta dell’amore.
La
morte a se stessi fonte di gioia è testimoniata in modo speciale
dalle Vergini consacrate. Papa Francesco Insegna: “Dove
ci sono le persone consacrate c’è la gioia”. Questa donne
testimoniano che Dio è capace di colmare il loro cuore e di renderle
felici, senza bisogno di cercare altrove la felicità. Possiamo ben
applicare alla vita consacrata quanto è scritto nella Esortazione
apostolica Evangelii gaudium,
citando un’omelia di Benedetto XVI: «La Chiesa non cresce per
proselitismo, ma per attrazione» (n. 14). Sì, la vita consacrata
non cresce se organizziamo delle belle campagne vocazionali, ma se le
giovani e i giovani che ci incontrano si sentono attratti da noi, se
ci vedono uomini e donne felici! Ugualmente la sua efficacia
apostolica non dipende dall’efficienza e dalla potenza dei suoi
mezzi. È la vostra vita che deve parlare, una vita dalla quale
traspare la gioia e la bellezza di vivere il Vangelo e di seguire
Cristo” (Papa Francesco, Lettera Apostolica a tutti le consacrate
in occasione dell’Anno della Vita Consacrate, 28 novembre 2014).
Questa
terza domenica di Avvento ci richiama che il vero centro è Cristo.
Le vergini consacrate testimoniano quanto Cristo amato sopra ogni
cosa sia fonte di gioia.
Una gioia donata,
pronta, immensa, a portata di
cuore. Una gioia da accettare, da
lasciarsene invadere e trasformare tutti, per diventare nuovi.
Sarà
occasione per mettere davanti a Dio tutta la vita, per mettere Dio
davanti a tutta la vita, di nuovo, con amore, con fiducia, con la
consapevolezza che proprio quando siamo nelle tenebre del peccato,
della crisi, dello scoraggiamento, c'è qualcuno che ci fa fissare il
cuore al mattino della luce che sta sorgendo portando la gioia.
1 Questa
segna il passaggio dalla prima parte, prevalentemente austera e
penitenziale, dell’Avvento alla seconda parte dominata dall’attesa
della salvezza vicina. Il titolo le viene dalle parole “rallegratevi”
(gaudete)
che si ascoltano all’inizio della Messa: “Rallegratevi sempre nel
Signore ve lo ripeto, rallegratevi, il Signore è vicino”
(Filippesi 4, 4-5). Ma il tema della gioia pervade anche il resto
della liturgia della parola. Nella prima lettura sentiamo il grido
del profeta: “Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima
esulta nel mio Dio”. Il Salmo responsoriale è il Magnificat di
Maria, intercalato dal ritornello: “La mia anima esulta nel mio
Dio”. La seconda lettura infine comincia con le parole di Paolo:
“Fratelli, siate sempre lieti”.
Lettura
Patristica
Sant’Agostino
d’Ippona (354 – 430)
Sermo, 293, 3 s.
Giovanni la voce,
Cristo il Verbo
Giovanni è la voce, ma il Signore "da principio era il Verbo" (Jn 1,1). Giovanni una voce per un tempo, Cristo il Verbo fin dal principio, eterno. Porta via l’idea, che vale più una parola? Se non si capisce niente, la parola diventa inutile strepito. La parola senza un’idea batte l’aria, non alimenta il cuore. E anche mentre alimentiamo il cuore, guardiamo l’ordine delle cose. Se penso a ciò che devo dire, c’è già l’idea nel mio cuore; ma se voglio parlare con te, mi metto a pensare se sia anche nel tuo cuore, ciò che è già nel mio. Mentre cerco come possa giungere a te e fissarsi nel tuo cuore l’idea ch’è già nel mio, formo la parola e, formata la parola, parlo a te: il suono della parola porta a te l’intelligenza dell’idea; è il suono che passa da me a te, l’idea invece, che ti è stata portata dalla parola, è già nel tuo cuore e non se n’è andata dal mio. Il suono, dunque, portata l’idea in te, non ti par che ti dica: "Bisogna che lui cresca e che io venga diminuito?" Il suono della parola fece il suo ufficio e scomparve, come se dicesse: "Questa mia gioia è completa" (Jn 3,30). Afferriamo l’idea, assimiliamo l’idea per non perderla più. Vuoi vedere la parola che passa e la divinità permanente del Verbo? Dov’è ora il Battesimo di Giovanni? Fece il suo ufficio e passò. Il Battesimo di Cristo ora è in voga. Crediamo tutti in Cristo, speriamo d’essere salvi in lui: questo disse la parola. Ma poiché è difficile distinguere tra parola e idea, lo stesso Giovanni fu creduto Cristo. La parola fu ritenuta idea, ma la parola si dichiarò parola, per non ledere l’idea. "Non sono", disse, "Cristo, né Elia, né profeta". Gli fu risposto: "Chi sei, dunque, tu? Io sono", disse, "voce di colui che grida nel deserto: Preparate la via del Signore" (Jn 1,20-23). "Voce di uno che grida nel deserto": voce di uno che rompe il silenzio. "Preparate la via del Signore": come se volesse dire: Io vado rimbombando per introdurlo nei cuori, ma non troverò un cuore nel quale egli si degni di entrare, se non preparate la via. Che vuol dire: "Preparate la via", se non supplicate convenientemente? che cosa, se non pensate umilmente? Prendete da lui esempio d’umiltà. Viene ritenuto il Cristo, dichiara di non essere ciò che è ritenuto, né si avvantaggia per il suo prestigio dell’errore altrui. Se dicesse: Io sono il Cristo, quanto facilmente sarebbe creduto, se, prima ancora che lo dicesse, già lo era ritenuto! Non lo disse Si ridimensionò, si distinse, si umiliò. Capì dove era la sua salvezza: capì ch’egli era una lucerna ed ebbe paura di essere spento dal vento della superbia...
Gli occhi deboli hanno paura della luce del giorno, ma possono sopportare quella di una lucerna. Perciò la luce del giorno mandò innanzi la lucerna. Ma mandò la lucerna nel cuore dei fedeli, per confondere i cuori degli infedeli. "Ho preparato", dice, "la lucerna al mio Cristo": Giovanni araldo del Salvatore, precursore del giudice che deve venire, l’amico dello sposo.
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