XXX
Domenica del Tempo Ordinario – Anno C – 23 ottobre 2016
Rito
Romano
Sir
35,15-17.20-22; Sal 33; 2Tm 4,6-8.16-18; Lc 18,9-14
Rito
Ambrosiano
At
13,1-5a; Sal 95; Rm 15,15-20; Mt 28,16-20
I
Domenica dopo la Dedicazione
Il
mandato missionario
1)
Pregare sempre e umilmente.
Nel
Vangelo di domenica scorsa Gesù si raccontava la parabola del
giudice disonesto e della vedova tenace, insistente nel domandare
giustizia, per invitare a pregare sempre e con fede. Perché tutta la
vita deve diventare in qualche modo preghiera, come a questo
proposito scrive Origene: “Prega senza posa colui che unisce la
preghiera alle opere e le opere alla preghiera” (Sulla
preghiera, 12, 2: PG XI, 452)
Oggi,
con la parabola del fariseo e del pubblicano, il Redentore ci insegna
che solamente una preghiera fatta con un cuore umile è ascoltata da
Dio. Senza l’umiltà la preghiera diventa presunzione, che è un
atteggiamento di peccato. La preghiera è un’espressione
dell’amore, che è possibile solo nell’umiltà. Non c’è amore
orgoglioso, l’amore è sempre umile. E l’umiltà è la qualità
più sublime di Dio che è servo di tutti, perché ama tutti. Per
questo chi si umilia è innalzato, perché elevato alla grandezza di
Dio, che è amore, umiltà e servizio.
Se
vogliamo vivere cristianamente dobbiamo imitare Cristo, seguendolo
sulla via del Vangelo dell’umiltà. Questa virtù è un aspetto
primario nella vita del cristiano e non è un valore negativo: “Gli
umili sono semplici, pazienti, amati, integri, retti, esperti nel
bene, prudenti, sereni, sapienti, quieti, pacifici, misericordiosi,
pronti a convertirsi, benevoli, profondi, ponderati, belli e
desiderabili” (Afraate il Saggio – IV secolo, Esposizione
9,14). Restando umile, anche nella realtà terrena in cui vive, il
cristiano può entrare in relazione col Signore: “L’umile è
umile, ma il suo cuore si innalza ad altezze eccelse. Gli occhi del
suo volto osservano la terra e gli occhi della mente l’altezza
eccelsa” (Ibid. 9,2).
La
preghiera umile eleva la persona in Dio e le permette di accogliere
nel proprio cuore Cristo e il prossimo. La fede orante e umile fa
dell’uomo un tempio, dove Cristo abita, e rende possibile una
carità sincera.
In
effetti, la preghiera si realizza quando Cristo abita nel cuore del
cristiano, e lo invita a un impegno coerente di carità verso il
prossimo: “La preghiera è buona, e le sue opere sono belle. La
preghiera è accetta, quando dà sollievo al prossimo. La preghiera è
ascoltata, quando in essa si trova anche il perdono delle offese. La
preghiera è forte, quando è piena della forza di Dio” (Ibid.
4,14-16). Ed è piena di questa forza quando umilmente la chiede a
Dio.
La
preghiera è fatta di fede e di umiltà. La preghiera senza la fede
si ferma e senza l’umiltà diventa presunzione. Dunque, con Santa
Teresa del Bambino Gesù e del Volto Santo preghiamo: “Gesù, tu
hai detto: Imparate da me che sono mite e umile di cuore e troverete
riposo alle anime vostre». Sì, Signore mio e Dio mio, l’anima mia
riposa nel vederti rivestito della forma e della natura di schiavo,
abbassarti fino a lavare i piedi dei tuoi apostoli. Ricordo ancora le
tue parole: ‘Vi ho dato l'esempio, perché anche voi facciate come
ho fatto io. Il discepolo non è più del Maestro... Se voi
comprendete ciò, sarete beati mettendolo in pratica’. Le
comprendo, Signore, queste parole uscite dal tuo cuore mansueto e
umile. Le voglio mettere in pratica con l'aiuto della tua grazia”
1
(Si veda nella nota 1 il testo completo di questa Preghiera
per ottenere l’umiltà)
2)
Preghiera come cammino.
In
questa riflessione sul come pregare, non dobbiamo fermarci solo
all’umiltà nella preghiera e ma domandarci: “Com’è il nostro
cuore quando prega: è importante esaminarlo per valutare i pensieri,
i sentimenti, ed estirpare arroganza e ipocrisia. Ma, io domando: si
può pregare con arroganza? No. Si può pregare con ipocrisia? No.
Soltanto, dobbiamo pregare ponendoci davanti a Dio così come siamo.
Non come il fariseo che pregava con arroganza e ipocrisia. Siamo
tutti presi dalla frenesia del ritmo quotidiano, spesso in balìa di
sensazioni, frastornati, confusi. È necessario imparare a ritrovare
il cammino verso il nostro cuore, recuperare il valore dell’intimità
e del silenzio, perché è lì che Dio ci incontra e ci parla.
Soltanto a partire da lì possiamo a nostra volta incontrare gli
altri e parlare con loro. Il fariseo si è incamminato verso il
tempio, è sicuro di sé, ma non si accorge di aver smarrito la
strada del suo cuore” (Papa Francesco, Udienza generale, 1°
giugno 2016).
In
effetti, se è importante che la preghiera sia costante, sincera e
umile, è pure importante che essa sia un esodo verso Dio e il
prossimo, un pellegrinaggio che interiormente sia un cammino verso il
vero Re del mondo e verso la sua promessa di giustizia, di verità e
di amore.
Un
cammino di unione (“La preghiera non è nient’altro che unione
con Dio” - San Giovanni Maria Vianney) di comunione. A questo
riguardo credo sia importante precisare che la natura della preghiera
non è riducibile all’atteggiamento umile dell’uomo, che chiede a
Dio qualcosa e questo qualcosa risponde, in generale, al
soddisfacimento dei propri bisogni. Questo di per sé non è
sbagliato: Gesù stesso nel Vangelo ci ha chiesto di bussare, di
chiedere, di domandare anche il pane quotidiano. Ma la natura della
preghiera è, prima di tutto, un bisogno dell’anima di unirsi al
suo Creatore, al suo Padre, al suo Tutto, e presuppone il nostro
incontro con Dio, a prescindere da quello che possiamo chiedere o
ricevere.
Inoltre,
anche se questa sembra un’affermazione strana, va ricordato che
nella preghiera l’iniziativa è di Dio. È Lui che ci chiama, che
ci vuole, che ci attira. Egli ha bisogno di noi perché ci ha creati
e vuole donarci il suo Amore divino. La preghiera allora non è che
la risposta dell’uomo. Don Divo Barsotti (1914-2006) iniziava
sempre la sua giornata con due preghiere; la prima era: “Ascolta
Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo”,
tratta dal Deuteronomio, e la seconda era: “Padre nostro, che sei
nei cieli...”. Questo significa: prima c’è l’ascolto, poi la
risposta. Nell’ascolto noi impariamo che Dio è Uno ed è Amore che
dà la vita, nella riposta Gli diciamo: Padre nostro”.
La
preghiera è risposta alla Parola che il Padre ci ama, ma anche la
consacrazione è una risposta alla chiamata d’Amore, per questo le
Vergini consacrate nel mondo vivono la vita come preghiera ed a data
loro la lampada che sempre deve brillare perché in essa sempre vi è
l’olio che simboleggia il loro amore fedele, perseverante e
operoso, che diventa fiamma che illumina grazie alla preghiera umile
e costante. Questa loro preghiera si “serve” anche del libro
della Liturgia delle Ore, anch’esso consegnato loro durante il rito
di consacrazione. Pregando con questo libro della Liturgia delle Ore,
esse santificano la loro giornata.
Dedicandosi
alla preghiera, queste umili donne consacrate testimoniano che il
tempo dato a Dio non è tempo perduto o tolto per fare del bene al
prossimo. La preghiera è l’anima di ogni loro attività, per cui
non si preoccupano tanto di organizzare il tempo di preghiera quanto
di offrire se stesse a Cristo-Sposo, come e quando vuole: sempre e
totalmente.
Vigilanti,
come lampade accese si “preoccupano” di avere un’abbondante
riserva di olio – cioè fede, amore, pazienza, perseveranza –
perché l’arrivo dello Sposo non le colga di sorpresa.
Queste
donne consacrate sanno che il cuore umano è piccolo, ma la preghiera
lo ingrandisce e lo rende capace di accogliere Cristo-Sposo e con lui
accogliere i fratelli e sorelle in umanità. Con loro chiediamo
umilmente e sinceramente al Signore che “trasformi la nostra
povertà nella ricchezza del suo amore” (Orazione della Messa) e
che la nostra vita diventi una preghiera costante, un continuo
respirare nella Trinità, come Santa Elisabetta della Trinità ce dà
un esempio e ce lo insegna scrivendo: “Vorrei corrispondere
all’amore di Dio, passando sulla terra come la Madonna, custodendo
tutto nel mio cuore, seppellendomi, per così dire, nel fondo
dell'anima mia onde perdermi nella Trinità che ci abita, per
trasformarmi in Lei”. (A l’Abate Chevignard, 28 novembre
1903).
Pregare
come respirare può sembrare un modo di dire, ma se uno volesse
andare alla radice del suo essere e si chiedesse: “Quando comincio
a pregare?”, la risposta biblicamente esatta sarebbe questa:
“Quando comincio a respirare”. Respirare è invocare la vita;
respirare è il dono che Dio ci fa minuto per minuto da quella prima
volta che ci ha creati. Questa è la nostra preghiera essenziale: si
prega come si respira.
Madeleine
Delbrél spiegava: “Quando si prega, bisogna domandare con tutto il
nostro essere ciò di cui abbiamo bisogno, per noi stessi, per tutta
la Chiesa, per il mondo intero. Questo significa fare della preghiera
una respirazione a pieni polmoni!”. Ed insisteva, anzi, sul fatto
che pregare significa instaurare relazioni vitali, tutte tese ad una
oggettiva e sana collocazione di se stessi in relazione con Dio: “Tu
non puoi compiere ciò che Dio ha riservato a te di fare nel mondo,
se non intrecci con Lui concrete relazioni, se cioè non preghi. Ma
la tua preghiera, a tale scopo, deve diventare per te indispensabile
come mangiare, bere, respirare”.
Anche
se con fatica, cominciamo a pregare aumentando atti e atteggiamenti
(una preghiera, più preghiere, la giaculatoria, il pensiero rivolto
a Dio), poi un po’ alla volta ci renderemo conto che preghiamo come
respiriamo.
1 “Gesù, tu hai detto: Imparate da me che sono mite e umile di cuore e troverete riposo alle anime vostre». Sì, Signore mio e Dio mio, l’anima mia riposa nel vederti rivestito della forma e della natura di schiavo, abbassarti finoa lavare i piedi dei tuoi apostoli. Ricordo ancora le tue parole: «Vi ho dato l'esempio, perché anche voi facciate come ho fatto io. Il discepolo non è più del Maestro... Se voi comprendete ciò, sarete beati mettendolo in pratica». Le comprendo, Signore, queste parole uscite dal tuo cuore mansueto e umile. Le voglio mettere in pratica con l'aiuto della tua grazia... Tu però, o Signore, conosci la mia debolezza: ogni mattino prendo l'impegno di praticare l'umiltà e alla sera riconosco che ho commesso ancora ripetuti atti di orgoglio. A tale vista sono tentata di scoraggiamento, ma capisco che anche lo scoraggiamento è effetto di orgoglio. Voglio, mio Dio, fondare la mia speranza soltanto su di te. Poiché tutto puoi, fa' nascere nel mio cuore la virtù che desidero. Per ottenere questa grazia dalla infinita tua misericordia ti ripeterò spesso: «Gesù, mite e umile di cuore, rendi il mio cuore simile al tuo»” (Santa Teresa del Bambino Gesù e del Volto Santo, Preghiera per ottenere l’umiltà)
Lettura
Patristica
Sant’Agostino
d’Ippona
Sermo
115, 2
Poiché
la fede non è dei superbi, ma degli umili, "disse
per alcuni che credevano di essere giusti e disprezzavano gli altri,
questa parabola. Due uomini andarono al tempio a pregare; un fariseo
e un pubblicano. Il fariseo diceva: Ti ringrazio, Dio, che non sono
come tutti gli altri uomini"
(Lc
18,9s).
Avesse detto almeno: come molti uomini. Che cosa dice questo "tutti
gli altri", se non tutti, eccetto lui? Io, afferma, sono giusto;
gli altri son tutti peccatori. "Non
sono come tutti gli altri uomini, ingiusti, ladri, adulteri".
Ed eccoti dalla vicinanza del pubblicano un motivo di orgogliosa
esaltazione. Dice, infatti: "Come
questo pubblicano".
Io sono solo, dice; questo è uno come tutti gli altri. Non sono come
costui, per la mia giustizia, per cui non posso essere un cattivo,
io. "Digiuno
due volte la settimana, pago le decime su tutte le mie cose".
Cerca nelle sue parole, che cosa abbia chiesto. Non trovi niente.
Andò per pregare; ma non pregò Dio, lodò se stesso. Non gli bastò
non pregare, lodò se stesso; e poi insultò quello che pregava
davvero. "Il
pubblicano se ne stava invece lontano";
ma si avvicinava a Dio. Il suo rimorso lo allontanava, ma la pietà
lo avvicinava. "Il
pubblicano se ne stava lontano; ma il Signore lo aspettava da vicino.
Il Signore sta in alto",
ma guarda gli umili. Gli alti, come il fariseo, li guarda da lontano;
li guarda da lontano, ma non li perdona. Senti meglio l’umiltà del
pubblicano. Non gli basta di tenersi lontano; "neanche
alzava gli occhi al cielo".
Per essere guardato, non guardava. Non osava alzare gli occhi; il
rimorso lo abbassava, la speranza lo sollevava. Senti ancora: "Si
percoteva il petto".
Voleva espiare il peccato, perciò il Signore lo perdonava: "Si
percuoteva il petto, dicendo: Signore, abbi compassione di me
peccatore".
Questa è preghiera. Che meraviglia che Dio lo perdoni, quando lui si
riconosce peccatore? Hai sentito il contrasto tra il fariseo e il
pubblicano, senti ora la sentenza; hai sentito il superbo accusatore,
il reo umile, eccoti il giudice. "In
verità vi dico".
È la Verità, Dio, il Giudice che parla. "In
verità vi dico, quel pubblicano uscì dal tempio giustificato a
differenza di quel fariseo".
Dicci, Signore, il perché. Chiedi il perché? Eccotelo. "Perché
chi si esalta, sarà umiliato, e chi si umilia, sarà esaltato".
Hai sentito la sentenza, guardati dal motivo; hai sentito la
sentenza, guardati dalla superbia.
Nessun commento:
Posta un commento