XXIV
Domenica del Tempo Ordinario – Anno C – 11 settembre 2016
Rito Romano
Es
32,7-11.13-14; Sal 50; 1Tm 1,12-17; Lc 15,1-32
Rito
Ambrosiano
Is
5,1-7; Sal 79; Gal 2,15-20; Mt 21,28-32
II
Domenica dopo il martirio di San Giovanni il Precursore
1) La logica
della misericordia.
Il motivo, per cui
Gesù racconta le tre parabole proposte dalla liturgia della Parola
di questa domenica, è detto da San Luca all’inizio del cap. 15 del
suo Vangelo : “Si avvicinavano a lui (a Cristo) tutti i pubblicani
e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano:
‘Costui riceve i peccatori e mangia con loro’. Allora Lui
raccontò la parabole che narrano la perdita e il ritrovamento di una
pecora, di una dramma e di un figlio” (cfr vv 1-3).
Nella parabola della
pecora perduta e ritrovata si annota che il pastore non interrompe la
sua ricerca finché non la trova: dunque una ricerca ostinata,
perseverante, per nessun motivo disposto ad abbandonare la pecora al
suo destino. Dunque, in questo racconto Cristo presenta Dio fedele,
perseverante, tenace. Il cuore di Dio ha un unico e grande desiderio:
che ogni uomo non si perda e che qualora si perdesse la tenacia del
Padre è quella di essere Padre sempre e comunque verso i suoi figli.
Nella parabola della
dramma1
perduta emerge la gioia di una povera donna, che ritrova di che
vivere. Per cercare questa moneta questa donna accende una lampada,
perché a quel tempo le case erano piuttosto scure e senza la luce
lei non avrebbe potuto localizzare la sua preziosa moneta. Quando la
luce si riflesse sulla moneta facendola brillare, allora fu possibile
ritrovarla. Questo fatto ci insegna che possiamo perderci, ma non
dobbiamo smetter di “brillare”, perché possiamo essere ritrovati
più facilmente.
Nella parabola del
figlio perduto (più conosciuta come quella figlio prodigo)
contempliamo il Padre che è fedele al figlio e che è nella gioia
quando lui ritorna alla casa paterna, che è luogo di perdono e di
festa.
Il Padre perdona e
organizza una festa per questo figlio perduto e poco saggio, il quale
per la voglia di avere tutto per sé pretese e ottenne “solamente”
la sua parte e la dissipò. Questo misericordioso Padre non solo
accoglie di nuovo il figlio ma gli ridona la dignità di figlio (cfr
Papa Francesco, Udienza Generale del 30 agosto 2016). Questo
figlio riceve di più di quanto chiede. Addolorato per il suo
peccato, questo giovane ritorna dal padre e gli chiede di essere
accolto “solamente” come servo. A colui che si sarebbe
accontentato di un cuore di servo, il padre ridà un cuore di figlio.
Questo figlio prodigo
e perduto consegna al padre il proprio dolore e il padre lo conferma
nell’amore, al quale il figlio assurdamente si era ribellato.
Anche noi con il
nostro peccato rifiutiamo l’amore gratuito di Dio Padre. Ma quando
torniamo da Lui convertiti dalla sua giustizia misericordiosa,
riceviamo un vestito per la festa, un anello e dei sandali.
Anche per ciascuno di
noi convertiti, il Padre dice “Presto, portate qui il vestito più
bello e rivestitelo”. Qual era la prima veste di Adamo? Era nudo.
La sua veste era quello di essere immagine e somiglianza di Dio, cioè
di essere figlio. Questo è il nostro vestito: essere figli accanto
al Padre. L’essere figli è il nostro vestito, veste, la nostra
dignità, la nostra identità.
Anche a ciascuno di
noi, che torna contrito dal Padre, sono consegnati l’anello e i
sandali, che confermano che siamo figli e non servi. Infatti, dare
l’anello con lo stemma significava dare il sigillo che implicava il
fatto di avere a disposizione tutti i beni di famiglia e non solo una
parte. I sandali ai piedi erano indossati dagli uomini liberi, perché
gli schiavi andavano scalzi.
2) Giustizia e
amore: misericordia.
Credo sia utile
ricordare che la misericordia di Dio è inconcepibile dall'uomo,
perché trascende il suo pensiero. Prima di comprender ciò con la
riflessione lo capii grazie a questo fatto. Mi trovavo in Germania, a
Francoforte sul Meno, per un corso di tedesco, e un giorno, il
professore chiese agli studenti di parlare di ciò che ciascuno di
noi considerava più caratteristico del suo Stato. Poiché sapevano
che venivo dal Vaticano, dovetti parlare della Città del Vaticano.
Nei dieci minuti che mi erano stati dati, parlai del Vaticano come
Stato “funzionale” perché permette al Santo Padre di esercitare
la sua “funzione” di Capo della Chiesa Universale, a servizio
della verità e della carità.
Dopo di me, fu il turno
di un giovane ucraino, che raccontò la parabola del figliol prodigo.
Fui stupito di questa scelta. Ma fui ancor più stupito dalla
reazione dei quattro studenti della Corea del Sud che dissero: “E’
davvero una bella storia, ma non è umana”. Questi giovani asiatici
avevano capito che la parabola non poteva essere frutto della mente
umana. Solo una mente divina poteva concepirla, solo un amore divino
poteva realizzarla, solo un cuore umano inquieto può cercarla, solo
un cuore umano contrito può accoglierla e praticarla mediante le
opere di misericordia.
Nella sua essenza la
misericordia esprime il legame di amore che unisce il Creatore alla
creatura, il Padre al figlio e i figli tra di loro.
L’importante è
vivere la vita come perseverante ritorno alla casa del Padre.
Ritorno mediante il
dolore, la contrizione, la conversione del cuore, che presuppone il
desiderio di cambiare, la decisione ferma di migliorare la nostra
vita.
Ritorno alla casa del
Padre per mezzo del sacramento del perdono, nel quale, confessando i
nostri peccati, ci rivestiamo di Cristo e ridiventiamo suoi fratelli
e membri della famiglia di Dio.
Questo Dio, Padre
ricco di misericordia, non solo aspetta “con ansia” che noi
torniamo a Lui, ma si muove –per primo- incontro a noi peccatori
pentiti, ci raggiunge mentre ancora gli andiamo incontro, ci
abbraccia con amore e, senza rinfacciarci le nostre mancanze, ci
copre di grazie e di doni.
Non smettiamo di
contemplare con stupore “il padre del figliol prodigo, che “è
fedele alla sua paternità, fedele a quell’amore, che da sempre
elargiva al proprio figlio” (San Giovanni Paolo II, Dives in
misericordia, IV, 6). Questa fedeltà è espressa dalla prontezza
di un abbraccio e nella gioia della festa.
Nella sua e nostra casa
Dio ci aspetta, come il padre della parabola, benché non lo
meritiamo. Non gli importa la gravità del nostro peccato.
L’importante che noi, figli prodighi, sentiamo la nostalgia della
casa paterna, apriamo il nostro cuore alla misericordia divina,
stupiti del fedele amore del Padre e rallegrarci di fronte al dono
divino di poterci chiamare e di essere figlio suoi.
3) La verginità,
tenerezza, misericordia.
Commentando questa
parabola del figlio prodigo, soprattutto la frase “Quando
era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse
incontro, gli si gettò al collo e lo baciò”, Papa
Francesco ha detto : “Quanta tenerezza!” ed
ha aggiunto: “Lo vide da lontano, significa che lo aspettava
continuamente, dall’alto. Lo aspettava, è una cosa bella la
tenerezza”. Con il termine “tenerezza”, il Santo Padre non
intende un’azione basata solamente sull’emozione o il sentimento.
Tenerezza vuol dire accogliere l’altro nella totalità di quello
che è. Una mamma è tenera non tanto perché accarezza o bacia con
dolcezza il suo bambino, ma quando lo cura occupandosi di lui con la
tenerezza, la sollecitudine e la dolcezza della bontà di Dio. Già i
profeti dell’Antico Testamento hanno usato per Dio un linguaggio
che richiama la tenerezza, l’intensità e la totalità dell’amore
di Dio, che si manifesta nella creazione e in tutta la storia della
salvezza e ha il culmine nell’Incarnazione del Figlio. Dio, però,
supera sempre ogni amore umano, come dice il profeta Isaia: “Si
dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi
per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero,
io invece non ti dimenticherò mai” (Is. 49, 15).
Le Vergini consacrate
nel mondo sono fedeli alla loro vocazione quando praticano la castità
come amore a Dio. In questo amore è incluso l’amore al prossimo
che attende gesti di misericordia e di tenerezza. Con una vita umile
vanno al di là delle apparenze e, discretamente, mostrano la
tenerezza di Dio che ciascuna porta in sé stessa. In questo mondo
seguono l’invito “La vostra vita sia una particolare
testimonianza di carità e segno visibile del Regno futuro”
(Rituale di Consacrazione delle Vergini, 30). Con questa
tenerezza forte irradiano la dignità dell’essere spose di Cristo
misericordioso e testimoniano che chi si abbandona all’amore tenero
di Dio è nella gioia e nella pace. Facendosi vicine con tenerezza e
amore alle situazioni di sofferenza e di debolezza, queste donne
consacrate “illuminano con l’esempio sul valore della vita
consacrata così da farne risplendere la bellezza e la santità nella
Chiesa” (Papa Francesco).
1 La dramma era una moneta equivalente, più o meno, a un denaro, ossia la paga giornaliera che -duemila anni fa- si dava a un contadino.
Lettura Patristica
Clemente di
Alessandria,
Quis dives,
39 s.
Vera penitenza è
non tornare a peccare
Se
uno che è fuori dello scoglio della troppa ricchezza o troppa
povertà ed è sul facile sentiero dei beni eterni, tuttavia, dopo la
liberazione dal peccato, ricade e si seppellisce in esso, questo deve
essere ritenuto rigettato da Dio. Chiunque, infatti, si rivolge a Dio
con tutto il cuore, gli si aprono le porte, e il Padre accoglie con
tutto l’affetto il figlio veramente pentito. Ma la vera penitenza
consiste nel non ricadere e nello sradicare i peccati riconosciuti
come causa di morte. Se ne levi questi, Dio abiterà di nuovo in te.
È una gioia immensa e incomparabile in cielo per il Padre e per gli
angeli la conversione di un peccatore (Lc
15,2).
Perciò è detto anche: "Voglio
misericordia e non sacrificio. Non voglio la morte del peccatore, ma
che si penta. Se i vostri peccati saranno come la porpora, li farò
bianchi come la neve; e se saranno neri come il carbone li ridurrò
come neve"
(Os
6,6
Mt
9,13
Ez
18,23
Is
1,18
Lc
5,21).
Solo il Signore può perdonare i peccati e non imputare i delitti e
ci comanda di perdonare i fratelli pentiti (Mt
6,14).
Che se noi, che siamo cattivi, sappiamo dare cose buone, quanto più
il Padre della misericordia, quel Padre di ogni consolazione, pieno
di misericordia, avrà lunga pazienza e aspetterà la nostra
conversione? (Lc
11,13).
Ma convertirsi dal peccato, significa finirla col peccato e non
tornare indietro.
Dio
concede il perdono del passato; il non ricadere dipende da noi. E
questo è pentirsi: aver dolore del passato e pregare il Padre che lo
cancelli, poiché lui solo con la sua misericordia può ritenere non
fatto il male che abbiamo fatto e lavare con la rugiada dello Spirito
i peccati passati. È detto, infatti: "Vi giudicherò, come
vi troverò (In Evang. apocr.)", in modo che se uno ha
menato una vita ottima, ma poi si è rivolto al male, non avrà alcun
vantaggio del bene precedente; invece, chi è vissuto male, se si
pente, col buon proposito può redimere la vita passata. Ma ci vuole
una gran diligenza, come una lunga malattia vuole una dieta più
rigorosa e più accortezza. Vuoi, o ladro, che il peccato ti sia
perdonato? Finisci di rubare. L’adultero spenga le fiamme della
libidine. Il dissoluto sia casto. Se hai rubato, restituisci un po’
di più di quanto hai preso. Hai testimoniato il falso? Impara a dir
la verità. Se hai spergiurato, astieniti dai giuramenti, taglia i
vizi, l’ira, la cupidigia, la paura. Forse è difficile portar via
a un tratto dei vizi inveterati; ma puoi conseguirlo per la potenza
di Dio, con la preghiera dei fratelli, con una vera penitenza e
assidua meditazione.
Gregorio Nazianzeno,
Sermo 38, 13 s.
Proprio
l’umiliazione di Dio ci salva
Per
peccati più gravi ci voleva una più potente medicina: i peccati
erano stragi scambievoli, adulteri, spergiuri, furiosa sodomia e
idolatria, che rivolge alle creature il culto del Creatore. E poiché
queste piaghe avevano bisogno d’un aiuto più energico, tale esso
venne. E questo fu lo stesso Figlio di Dio, più antico del tempo,
invisibile, incomprensibile, incorporeo, principio dal principio,
luce da luce, fonte d’immortalità, espressione della prima Idea,
sigillo intatto, immagine perfetta del Padre e questo prende carne e
per la mia anima si unisce all’anima umana, per purificare il
simile col simile. E prende tutte le debolezze umane, eccetto il
peccato (He
4,15),
concepito da una vergine nell’anima e nel corpo già purificata
dallo Spirito... O meraviglia di fusione! Colui che è, vien fatto,
l’increato viene creato; colui che non può essere contenuto, è
contenuto tra la divinità e lo spessore della carne. Colui che fa
tutti ricchi, è povero; abbraccia la povertà della mia carne,
perché io acquisti la ricchezza della sua divinità. Lui che è la
pienezza, si svuota; si svuota della sua gloria, perché io diventi
partecipe della sua pienezza. Che ricchezza di bontà! Quale mistero
mi circonda? Ho ricevuto l’immagine di Dio, non l’ho custodita;
lui si fa partecipe della mia carne, per portare la salvezza
all’immagine e l’immortalità alla carne. Stabilisce un nuovo
consorzio e di gran lunga più meraviglioso del primo; allora diede a
noi ciò ch’era più eccellente; ma ora lui stesso s’è fatto
partecipe di ciò che è più deteriore. Questo consorzio è più
divino del primo; questo per chi ha cuore è molto più sublime... E
tu osi rinfacciare a Dio il suo beneficio? È forse piccolo, perché
per te s’è fatto umile, perché quel buon Pastore, che diede la
sua anima per le sue pecore (Jn
10,11),
cerca la smarrita tra i monti e i colli, sui quali sacrificavi, la
trova e se la pone su quelle stesse spalle, sulle quali prese il
legno della croce, e la riporta alla vita soprannaturale, e
ricondottala nell’ovile, dov’erano quelle che non ne uscirono
mai, la tiene nello stesso luogo e numero di quelle? O è piccolo
perché accende la lucerna, cioè la sua carne, e spazza la casa,
purgando cioè il mondo dal peccato e cerca la dramma, cioè la
regale immagine coperta di sporcizia viziosa, e, trovatala, chiama
gli angeli suoi amici e li fa partecipi della sua gioia, dal momento
che li aveva messi a conoscenza della sua economia?
Nessun commento:
Posta un commento