XXVI
Domenica del Tempo Ordinario – Anno C – 25 settembre 2016
Rito Romano
Am 6,1.4-7; Sal 145;
1Tm 6,11-16; Lc 16,19-31
Rito
Ambrosiano
Pr 9,1-6; Sal 33; 1Cor
10,14-21; Gv 6,51-59
IV Domenica dopo il
martirio di San Giovanni il Precursore
1) Il mendicante
alla porta.
Il Vangelo di questa
26ª domenica del tempo ordinario ci propone la parabola del ricco
epulone (= mangione) gaudente e del povero Lazzaro. In questo modo
siamo chiamati a guardare al povero, che è gettato alla nostra porta
dalla fame e dalla guerra, riconoscendo in lui il Cristo che ci
salva. La salvezza sta alla porta della nostra vita con gli abiti
stracciati del mendicante piagato e affamato: “Il vero
protagonista della storia è il mendicante: Cristo mendicante del
cuore dell'uomo e il cuore dell'uomo mendicante di Cristo” (Mons.
Luigi Giussani).
Invece di erigere muri
siamo chiamati a costruire ponti di carità per i poveri, nei quali
vi è il mendicante per eccellenza: Cristo salvatore.
Invece di guardare il
povero con fastidio, accogliamolo con carità, con condivisione.
Per capire meglio
l’insegnamento di Cristo vediamo la parabola di oggi più da
vicino.
In questo racconto il
Messia parla di un ricco, il cui egoismo gli impedisce di soccorrere
il povero, rifiutando il quale come fratello rifiuta Dio, che di
entrambi è Padre.
Quest’uomo ricco,
del quale Gesù non dice il nome, è il tipico benestante che si
preoccupa unicamente di assaporare le gioie della vita presente,
senza pensare né a Dio, né agli altri, e neppure alla vita eterna.
Apparentemente, questo
benestante non fa niente di male godendosi la vita, ma è tanto preso
da questa gioia passeggera, che non si accorge nemmeno che alla porta
della sua casa giace un povero, che per giunta è ammalato e
ricoperto di piaghe. Inoltre, questo povero, che ha un nome: Lazzaro
(nome che vuol dire “Dio aiuta”1
quindi Dio ci aiuta nel povero) é tormentato dalla fame, che non può
soddisfare perché è fuori della porta e non può prendere neppure
le briciole che cadono dalla tavola del ricco. Solo i cani hanno
pietà di lui e gli leccano le ferite.
Questa prima parte
della scena descritta nella parabola ci presenta la forza apparente
della ricchezza, che permette di assaporare le gioie passeggere della
vita che scorre rapidissimamente e non impedisce il drammatico dolore
della morte. Del dopo morte parla la seconda parte della scena,
nella quale vediamo Lazzaro nella gioia perenne e il ricco epulone
nel dolore senza fine.
Va riconosciuto che le
parole usate da San Luca sono molto forti. Lui scrive così perché
sia chiaro che l’episodio è simbolico, ma ciò non implica che il
messaggio che esse comunicano possa essere minimizzato o equivocato.
La parabola del ricco
mangione e del povero Lazzaro affamato, in forma drammatica, presenta
tutta la forza provvisoria e distruttiva della ricchezza usata male.
Quando la ricchezza è ridotta ad essere solo un mezzo di
soddisfazione personale, essa chiude talmente i cuori alle necessità
del prossimo, al punto tale da rendere incapaci di vedere chi è nel
bisogno e, peggio ancora, spinge a murare la porta per non vedere i
medicanti ed escluderli dalla nostra vita. Invece di risolvere il
problema con vera carità, lo si censura ipocritamente.
Insomma, la parabola
non solo mostra il contrasto tra il povero e il ricco, ma mette in
evidenza che il povero e il ricco sono vicini, ma il ricco non si
accorge o non vuole accorgersi del povero.
Il vivere da ricchi
egoisti rende ciechi di fronte al povero anche se sta davanti alla
porta e ciechi di fronte alla Sacra Scrittura che ci dice di
riconoscere Dio nel povero. Il ricco egoista non osteggia Dio e non
opprime il povero, semplicemente non lo vede. Sta qui il grande
pericolo della ricchezza, ed è questa forse la principale lezione
della parabola.
2) Purezza
angelica e povertà.
Santa Teresa di
Calcutta affermava che per riconoscere Cristo nel povero ci vuole una
purezza angelica. Se i nostri occhi e cuori sono puri possono
riconoscere Gesù in Lazzaro.
Il Redentore ha
“assunto” la nostra natura di poveri Lazzari: è Lui che,
oggi, giace alla nostra porta, sulla soglia della nostra vita sazia
di beni materiali, superba e prepotente. Gesù si è fatto
Lazzaro perché potessimo riconoscere la nostra realtà di mendicanti
di infinito, di nostalgici di eterno. Lui, il Mendicante, bussa alla
porta nostro cuore mendicante di felicità vera: pura.
Per avere questa
purezza che sa scorgere Cristo nel povero che si accontenta delle
briciole della nostra mensa, occorre –come primo passo- domandare
perdono con un cuore contrito.
Il secondo passo è
“alzare lo sguardo” a Cristo, come il ricco lo alzò verso
Lazzaro in cielo con Abramo e mendicare a Cristo di avere lo stesso
destino di Lazzaro, il fratello che ha saputo amare in mezzo alla sua
povertà e malattia. Da parte nostra mendichiamo un cuore puro che
permetta ai nostri occhi di vedere Cristo accanto a noi, che –come
Lazzaro- mendica la nostra attenzione, la nostra pietà.
Il terzo passo è
aprire la porta del nostro cuore a cui Gesù bussa rivestito della
nostra debolezza per risvegliarci dal torpore di una vita
superficiale e sazia di beni materiali.
Il quarto passo è
umilmente riconoscerci come poveri “cani” che –come dice la
parabola- sono scacciati da tutti ma che si “accorgono del dolore
innamorato” di Lazzaro-Cristo e Gli curano le piaghe che li
salvano.
Infine convertirsi è
domandare umili e pentiti che qualcuno “bagni la punta del dito per
bagnarci la lingua” e ci doni comunione di vita. In questa vitale
comunione di amore sono superate le barriere tra mariti e mogli, tra
figli e genitori, tra confratelli e tra colleghi, tra poveri e
ricchi, tra i rifugiati e noi.
Aprendo la nostra
porta a questo prossimo, saremo capaci di aprirla a Cristo,
l’Emmanuele, il Dio che è sempre con noi e che ci è più prossimo
di quanto noi lo siamo a noi stessi.
Tutti siamo chiamati a
vivere la purezza per riconoscere Cristo nel povero ed essere
mendicanti del Salvatore, ma la vergini consacrate nel mondo
testimoniano che la verginità è quella “innamorata povertà”
(Jacopone da Todi) che lascia ogni altro amore per donarsi a Cristo.
Con il cuore vergine guardano a Cristo come ha fatto la Veronica e
diventano ciò che contemplano, mendicando solo il Suo amore.
Grazie a questo amore
verginale che contempla l’Amato, il cuore delle vergini diventa il
luogo dove si imprime il volto di Cristo, icona di verità. Con la
vita di mendicanti dello Sposo testimoniano che lietamente si può
lasciare tutto perché con Lui nulla è perduto, ma tutto portato a
compimento. Da Lui viene quella luce di perfezione che risplende
negli atti, nelle parole, nello sguardo di quelle creature che fanno
della nostra vita un canto che canta così:
«Forse che fine della
vita è vivere? Forse che i figli di Dio resteranno con fermi piedi
su questa miserabile terra? Non vivere, ma morire, e non digrossar la
croce ma salirvi e dare in letizia ciò che abbiamo. Qui sta la
gioia, la libertà, la grazia, la giovinezza eterna!» (Paul Claudel,
L’Annuncio a Maria). Il loro cuore è in sintonia con la
misericordia e la loro vita consacrata è segno che ciascuno di noi è
chiamato ad essere “luogo” abitato da Dio, il cui potente amore
perdona e ricrea.
1 Lazzaro vien dall’ebraico: “Elì osèr: Dio aiuta”. Il nome del povero è “Dio aiuta” sia perché Dio aiuta il povero, sia perché il povero è Dio che ci aiuta. Ciò che avete fatto ad uno di questi ultimi lo avete fatto a me, venite benedetti. Cioè il povero è lì ad aiutarci ed ha un nome; il povero è Dio che ci aiuta.
San Gregorio Magno
Hom., 40, 3 s.10
1. Fate dei poveri i
vostri avvocati
"Un
tale era ricco e si vestiva di porpora e bisso e banchettava ogni
giorno splendidamente. E c’era un mendicante, di nome Lazzaro,
pieno di piaghe, che se ne stava per terra alla porta del ricco"
(Lc
16,19).
Alcuni credono che il Vecchio Testamento sia più severo del Nuovo ma
si sbagliano. Nel Vecchio, infatti, non è condannato il non dare, ma
la rapina. Qui, invece, questo ricco non è condannato per aver preso
l’altrui, ma per non aver dato il suo. Non si dice ch’egli abbia
fatto violenza a qualcuno, ma che faceva pompa dei beni ricevuti. Si
può capire, quindi, quale pena dovrebbe meritare colui che ruba
l’altrui, se è già condannato all’inferno colui che non dona il
proprio. Nessuno perciò si assicuri dicendo: Non ho rubato nulla, mi
godo ciò che m’è stato legittimamente assegnato, poiché questo
ricco non è stato punito per aver rubato, ma perché si abbandonò
malamente alle cose che aveva ricevuto. Lo ha condannato all’inferno
quel suo non essere guardingo nella prosperità, il piegare i doni
ricevuti al servizio della sua arroganza, il non aver voluto redimere
i suoi peccati, pur avendone tutti i mezzi...
Ma
bisogna far bene attenzione anche al modo di narrare usato dalla
Verità, quando indica il ricco superbo e l’umile povero. Si dice
infatti: "Un
tale era ricco",
e poi si aggiunge subito: "E
c’era un povero di nome Lazzaro".
Certo, tra il popolo son più noti i nomi dei ricchi, che quelli dei
poveri. Perché allora il Signore, parlando di un ricco e di un
povero, tace il nome del ricco e ci dà quello del povero? Certo,
perché il Signore riconosce e approva gli umili e ignora i superbi.
Perciò dice anche ad alcuni che s’insuperbivano dei miracoli da
loro operati: "Non
vi conosco; andate via da me, gente malvagia"
(Mt
7,23).
Invece di Mosè è detto: "Ti
conosco per nome"
(Ex
33,12).
Del ricco, dunque, dice: "Un
tale ricco";
del povero, invece: "Un
mendicante di nome Lazzaro",
come se volesse dire: Conosco il povero, umile, non conosco il ricco,
superbo; quello lo approvo riconoscendolo, questo lo condanno
rifiutando di conoscerlo.
Bisogna
anche osservare con quanta attenzione il nostro Creatore disponga
tutte le cose. Il fatto è uno solo, ma non dice una cosa sola.
Lazzaro, coperto di piaghe, sta innanzi alla porta del ricco. Da
questo unico fatto il Signore ricava due giudizi. Forse il ricco
avrebbe avuto una scusa, se Lazzaro povero e piagato non fosse stato
proprio alla sua porta, se fosse stato lontano, se la sua indigenza
non avesse dato perfino fastidio ai suoi occhi. E se il ricco fosse
stato lontano dagli occhi del povero malato, questi avrebbe dovuto
sopportare una tentazione meno grave. Ma ponendo il povero e malato
alla porta del ricco e gaudente, il Signore, allo stesso tempo,
aggrava il titolo di condanna del ricco, che non si commuove alla
vista del povero, e fa vedere quanto grande sia la tentazione del
povero, che vede ogni giorno lo scialacquio del ricco. Non vedete,
infatti, che dura tentazione dovesse essere per il povero non aver
neanche il pane, esser malato, e vedere il ricco far feste tra
porpora e bisso; sentirsi mordere dalle piaghe e veder quello
scialarsela tra tanti beni, aver bisogno di tutto e veder quello che
non voleva dar nulla? Che tumulto di tentazioni dev’essere stato
nel cuore del povero, per il quale poteva essere già abbastanza la
sola pena della povertà, anche se fosse stato sano; e poteva essere
abbastanza la malattia, anche se avesse avuto dei mezzi. Ma perché
il povero fosse maggiormente provato, fu afflitto contemporaneamente
dalla malattia e dalla povertà. Vedeva il ricco muoversi sempre in
mezzo a uno stuolo di gente, e lui nessuno lo visitava. E che nessuno
lo avvicinasse lo attestano i cani che ne leccavano le piaghe.
"Morì
poi il mendicante e fu portato dagli angeli tra le braccia di Abramo.
Morì anche il ricco e fu gettato nell’inferno"
(Lc
16,22).
Così proprio quel ricco, che in questa vita non volle aver
compassione del povero, ora, condannato, ne cerca l’aiuto. Viene
aggiunto, infatti: "Alzando
gli occhi dai suoi tormenti, vide lontano Abramo e Lazzaro tra le sue
braccia e gridò: Padre Abramo, abbi pietà di me. Di’ a Lazzaro
che metta il suo dito nell’acqua e ne faccia cadere una goccia
sulla mia bocca, perché io brucio in questa fiamma"
(Lc
16,23-24).
Oh, quant’è sottile il giudizio di Dio! E quant’è misurata la
distribuzione dei premi e delle pene! Lazzaro avrebbe voluto le
briciole che cadevano dalla mensa del ricco, e nessuno gliele dava;
ora il ricco, nel supplizio, vorrebbe che Lazzaro facesse cadere dal
dito una goccia d’acqua sulla sua bocca. Vedete, vedete, allora,
fratelli, quanto sia stretta la giustizia di Dio. Il ricco non volle
dare al povero piagato la più piccola porzione della sua mensa, e
nell’inferno è ridotto a chiedere la più piccola delle cose. Negò
le briciole e chiede una goccia d’acqua...
Ma
voi, fratelli, conoscendo la felicità di Lazzaro e la pena del
ricco, datevi da fare, cercate degli intermediari e fate in modo che
i poveri siano vostri avvocati nel giorno del giudizio. Avete ora
molti Lazzari; stanno innanzi alla vostra porta e hanno bisogno di
ciò che ogni giorno, dopo che voi vi siete saziati, cade dalla
vostra mensa. Le parole del libro sacro ci devono disporre ad
osservare i precetti della pietà. Se lo cerchiamo, ogni giorno
troviamo un Lazzaro; ogni giorno, anche senza cercarlo, vediamo un
Lazzaro.
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