XXI
Domenica del Tempo Ordinario – Anno C – 21 agosto 2016
Rito Romano
Is
66,18-21; Sal 116; Eb 12,5-7.11-13; Lc 13,22-30
Rito
Ambrosiano
Esd
2,70-3,7.10-13; Sal 101; Ef 4,17-24; Mt 5,33-48
XIV
Domenica dopo Pentecoste
1) Il dono della
vita per entrare nella Vita è una lotta.
Se leggiamo con
attenzione il brano del Vangelo di questa Domenica, ci accorgiamo che
Gesù non risponde direttamente alla domanda: “Signore, sono pochi
quelli che si salvano?” (Lc 13,23), ma invita
alla serietà dei propositi e delle scelte: “Sforzatevi di
entrare per la porta stretta, perché molti, vi dico, cercheranno di
entrarvi, ma non vi riusciranno” (Lc
13,24).
Per Cristo non è
importante rispondere alla domanda su quanti si salvano. Per Lui è
importante dire come ci si può salvare ed indica il cammino della
salvezza che passa per una porta stretta. La vera domanda che
dobbiamo farci non è: “Sono pochi quelli che si salvano?”, ma
“Cosa dobbiamo fare per non essere esclusi dalla salvezza?”. E’
per questo che il Cristo inizia la sua risposta con un imperativo:
“Lottate”. La traduzione ufficiale in italiano è “Sforzatevi!”,
ma il testo greco usa “agonìzesthe” da “agonizzo” (da cui
viene la parola “agonia” che è la lotta finale prima della
morte), che va tradotto “lottate” con ogni forza, senza sosta e
con fermezza di orientamento, cioè con lo sguardo e il cuore
fermamente orientati a Cristo.
Inoltre occorre fare
attenzione al fatto che invece di rispondere da una domanda sugli
altri (“quanti sono ‘quelli’ che si salvano?”), Gesù da una
risposta che riguarda direttamente chi lo ascolta: “Lottate”.
“Lottate”,
“sforzatevi” di entrare per la porta stretta. Per la porta larga
passa chi crede di avere addosso l’odore di Dio, preso tra incensi,
riti e preghiere, e di questo si vanta. Per la porta stretta entra
“chi ha addosso l’odore delle pecore” (Papa Francesco),
l’operaio di Dio con le mani segnate dal lavoro, dal cuore buono. È
la porta del servizio d’amore, del mettersi a disposizione di Dio e
del prossimo.
Gesù ci dice che
occorre percorrere la via tracciata da Lui e passare per quella porta
che è Lui stesso: “Io sono la porta; se uno entra attraverso di me
sarà salvo” (Gv 10,9). Per salvarsi bisogna prendere come
lui la nostra croce, rinnegare noi stessi nelle nostre aspirazioni
contrarie all'ideale evangelico e seguirlo nel suo cammino: “Se
qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua
croce ogni giorno e mi segua” (Lc 9,23).
Per tutti quelli che
lo vogliono il passaggio alla vita eterna è aperto, ma è ‘stretto’
perché è esigente, richiede impegno, abnegazione, mortificazione
del proprio egoismo: è crocifiggente. Ma vale davvero la pena di
accogliere la chiamata dell’unico Redentore che invita tutti al
banchetto della vita immortale.
Già da ora e per
l’eternità, la vita è bella e lieta non quando è nell’egoismo,
ma quando si appropria della croce e la riempie di un amore che
libera e fa sprigionare tutto il bene che è dentro di noi.
Ma c’è da
soddisfare un’unica condizione uguale per tutti: quella di lottare,
di sforzarsi di seguire Cristo ed imitarlo, prendendo su di sé, come
Lui ha fatto, la propria croce e dedicando la vita al servizio dei
fratelli.
2) Porta della
misericordia.
Gesù parla di se
stesso come Porta e andando in croce mostra che la chiave di questa
porta è la Croce. E’ una porta “stretta” perché il suo è un
amore esigente e perché noi siamo larghi, gonfi di superbia e di
amor proprio. Cristo è la Porta di misericordia che perdona al
nostro cuore contrito, cioè sminuzzato, sbriciolato perché da cuore
di pietra è diventato cuore di carne. Porta stretta la cui chiave è
la Croce, che permette di aprire la porta del Cuore di Gesù anche se
sono gli ultimi istanti di vita, come è accaduto al buon ladrone,
che grazie a questa chiave ha avuto aperta la
porta del Cielo, dove è stato accolto (Lc 23, 39-43). Anche noi
possiamo e dobbiamo “usare” questa chiave, che ci fa rinunciare
alla vita per avere la Vita, entrando nel Regno di Dio per restare
sempre nel suo amore e nella sua gioia.
Cristo
è la porta “stretta”, ma è anche la porta “larga”, perché
ha la larghezza dell'infinita misericordia di Dio.
Mi
spiego con un esempio preso dalla vita di San Girolamo1,
che - dopo la conversione - per far penitenza dei suoi peccati scelse
Betlemme per 35 anni della sua vita. Fino alla morte, per tutti
questi anni visse in una povera cella accanto alla grotta della
Natività, pregando, studiando e traducendo in latino la Bibbia. In
una notte di Natale gli appare Gesù Bambino che gli chiede: Non hai
niente da darmi nel giorno della mia Nascita? Il Santo gli risponde:
Ti do il mio cuore! - Va bene, ma desidero ancora qualche altra cosa.
- Ti do le mie preghiere! Va bene; ma voglio qualche cosa di più,
insisteva Gesù. - Non ho più niente, che vuoi che ti dia? - Dammi i
tuoi peccati o Girolamo, rispose Gesù Bambino, perché io possa
avere la gioia di perdonarli ancora. Gesù ci domanda tutto, persino
i peccati, per donarci (per-donarci) tutto.
Con
dolce violenza, l’amore misericordioso di Gesù continua il suo
cammino alla conquista dei cuori. Tra questi cuori, occupano un posto
speciale quelli delle Vergini Consacrate nel mondo che, vivendo nella
verginità il dono totale di sè a Cristo, accettano lietamente di
passare per la porta stretta per appartenere strettamente a Lui, che
dice: “Ecco Io sto alla porta (del cuore) e busso: se qualcuno
ascolta la mia voce e mi apre Io verrò da lui e farò grande festa
con lui” (cfr. Ap 3, 20).
Con la loro esistenza
vissuta nella semplicità e nel nascondimento, queste donne
testimoniano che la porta stretta è l’adesione sponsale a Cristo
mediante 'accettazione umile, nella fede pura e nella fiducia serena,
della parola di Dio, del suo disegno di amore esigente, stringente
sulla loro persone, sul mondo e sulla storia; è l'osservanza dei
comandamenti, come manifestazione della volontà amorosa di Dio, in
vista di un bene superiore che realizza la vera felicità. E’ pure
l’accettazione della sofferenza come mezzo di espiazione e di
redenzione per sé e per gli altri, e quale espressione suprema di
amore.
Le vergini consacrate
testimoniano che la porta stretta è, in una parola, l’accoglienza
della mentalità evangelica, che trova nel discorso della montagna la
più pura sintesi e nella verginità la più alta realizzazione. E’
l’amore puro e casto che salva, l’amore che è già sulla terra
beatitudine interiore di chi, nei modi più svariati, nella
mansuetudine, nella pazienza, nella giustizia, nella sofferenza e nel
pianto, si dimentica di sé e si dona. La croce – porta stretta
perché stringente, esigente - è simbolo e icona dell’amore
verginale, perché la croce è la pienezza massima dell’amore per
Dio e per ogni persona umana. E’ un amore che abbraccia tutti e non
esclude nessuno; è la sintesi al massimo grado di amore ricevuto e
donato, di amore crocifisso e già risorto o illuminato dai chiarori
dell’alba della risurrezione. La croce è il cuore del mondo, così
è stato nella storia della salvezza, e le donne che hanno scelto
questo amore verginale ospitano in sé questo cuore.
1 Girolamo nacque a Stridone verso il 347 da una famiglia cristiana, che gli assicurò un’accurata formazione, inviandolo anche a Roma a perfezionare i suoi studi. Da giovane sentì l’attrattiva della vita mondana (cfr Ep. 22,7), ma prevalse in lui il desiderio e l’interesse per la religione cristiana. Ricevuto il Battesimo verso il 366, si orientò alla vita ascetica. Partì poi per l’Oriente e visse da eremita nel deserto di Calcide, a sud di Aleppo (cfr Ep. 14,10), dedicandosi seriamente agli studi. Perfezionò la sua conoscenza del greco, iniziò lo studio dell’ebraico (cfr Ep. 125,12), trascrisse codici e opere patristiche (cfr Ep. 5,2). La meditazione, la solitudine, il contatto con la Parola di Dio fecero maturare la sua sensibilità cristiana. Sentì più pungente il peso dei trascorsi giovanili (cfr Ep. 22,7) e avvertì vivamente il contrasto tra mentalità pagana e vita cristiana. Nel 382 si trasferì a Roma: qui il Papa Damaso, conoscendo la sua fama di asceta e la sua competenza di studioso, lo assunse come segretario e consigliere; lo incoraggiò a intraprendere una nuova traduzione latina dei testi biblici per motivi pastorali e culturali.
Dopo la morte di Papa Damaso, Girolamo lasciò Roma nel 385 e intraprese un pellegrinaggio, dapprima in Terra Santa poi in Egitto. Nel 386 si fermò a Betlemme, dove furono costruiti un monastero maschile, uno femminile e un ospizio per i pellegrini che si recavano in Terra Santa. A Betlemme restò fino alla morte. Si spense nella sua cella, vicino alla grotta della Natività, il 30 settembre 419/420.
Lettura patristica
San Girolamo (347 -
419/420)
Epist., 148, 31-32
«Il Signore ama il
cuore puro»
Questo
mistero è grande, ed è arduo il percorso della castità; ma è
grande pure la ricompensa, e il Signore vi ci chiama quando dice nel
Vangelo: "Venite, benedetti del Padre mio, e prendete
possesso del regno che vi è stato preparato fin dall’origine del
mondo" (Mt
25,34). E ancora, sempre
il Signore in persona, dice: "Venite a me, tutti voi che
soffrite e che vi sentite stanchi, ed io vi ristorerò. Prendete su
di voi il mio giogo, e imparate da me, perché sono dolce ed umile di
cuore; e troverete pace per le anime vostre, perché il mio giogo è
soave e il mio peso leggero" (Mt
11,28-30).
Ancora
il Signore, invece, dirà a quelli che saranno alla sua sinistra:
"Andate lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno che il
Padre mio ha preparato per il diavolo e per i suoi satelliti. Non vi
conosco, voi che siete operatori d’iniquità. Là vi sarà pianto e
stridor di denti" (Mt
25,41 Lc
13,27-28).
E
certamente in quel luogo vi saranno gemiti e pianti da parte di tutti
coloro che si sono ingolfati negli affari di questa vita tanto da
dimenticarsi di quella futura, di coloro che la venuta del Signore
sorprenderà sotto il peso del sonno dell’ignoranza, oppressi dalle
onde d’una dannosa spensieratezza. È per questo, appunto, che
ancora lui dice nel Vangelo: "State all’erta, perché non
vi succeda di appesantirvi il cuore nei bagordi, nell’ubriachezza e
nelle preoccupazioni di questa vita, e che quel giorno vi colga
all’improvviso come un laccio, perché piomberà così su tutti
coloro che si troveranno sulla faccia della terra" (Lc
21,34-35); e ancora:
"Vegliate e pregate, perché non sapete quando arriverà
questo momento" (Mc
13,33).
Sono
fortunati coloro che quel giorno l’aspettano, lo stanno a spiare,
direi, per fare in modo di prepararvisi giorno per giorno; e senza
starsene tranquilli per la vita trascorsa nella giustizia, si
rinnovano di giorno in giorno nella virtù (2Co
4,16). È un fatto che
dal giorno in cui uno smette di esser giusto, la giustizia del
passato non gli servirà proprio a niente, come pure l’ingiustizia
non porterà alcun danno al malfattore dal momento in cui questi si
convertirà dalla sua vita iniqua (Ez
18,26-28).
Per
conseguenza, un santo non deve essere sicuro di se stesso finché si
trova a combattere in questa vita, ma neppure deve disperarsi chi è
peccatore, poiché in base alla massima del Profeta che abbiamo
riportato può diventar giusto in un solo giorno.
Ma
tu mettiti sotto per far sì che lungo il tempo di tua vita riesca a
praticare la giustizia; e non fidarti della rettitudine in cui hai
trascorso la vita passata, perché questo ti renderebbe più
rilassata. Fa’ invece come dice l’Apostolo:
"Dimentico il passato, e proteso
a ciò che mi sta davanti corro verso la meta per conseguire il
premio della mia sublime vocazione"
(Ph 3,13-14),
ben sapendo che sta scritto come chi scruta il nostro cuore è Dio
(Pr 24,12).
Appunto per questo si preoccupa di aver l’anima monda dal peccato,
in quanto sta scritto ancora: "Salvaguarda
il tuo cuore con ogni attenzione possibile"
(Pr 4,23),
e anche: "Il Signore ama i cuori
puri, e tutti coloro che sono senza macchia li guarda con amore"
(Pr 22,11).
Sotto,
dunque, a regolare il tempo che ti resta di vita in modo da passarlo
senza colpa alcuna. Potrai allora tranquillamente cantare col
Profeta: "M’aggiravo dentro casa mia con l’innocenza nel
cuore" (Ps 100,2), e anche: "M’accosterò
all’altare di Dio, al Dio che rende gioiosa la mia giovinezza"
(Ps 42,4).
Non
basta, infatti, cominciare. La giustizia sta nel portare a termine.
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