Rito
Romano
XVII
Domenica del Tempo Ordinario – Anno C – 24 luglio 2016
Gen 18,20-32; Sal 137; Col 2,12-14; Lc 11,1-13
Gen 18,20-32; Sal 137; Col 2,12-14; Lc 11,1-13
Rito
Ambrosiano
X
Domenica dopo Pentecoste
1Re
3,5-15; Sal 71; 1Cor 3,18-23; Lc 18,24b-30
Una
premessa:
Nel
suo significato etimologico pregare vuol dire chiedere, domandare
aiuto ed esprimere il desiderio di ricevere qualcosa e, soprattutto
la vita, rivolgendosi a Dio.
Tra le numerose
definizione di “preghiera” propongo ; La preghiera è “elevazione
della mente in Dio” (San Giovanni Damasceno) e “richiesta di cose
oneste a Dio” (Id.), slancio del cuore (Santa Teresa del Bambino
Gesù), è dono di sé, Ma è anche richiesta di essere aiutati a
compiere lo scopo della propria vita..
Come
dice san Tommaso la preghiera è l’espressione “espressione del
desiderio che l’uomo ha di Dio”. Questa attrazione verso Dio, che
Dio stesso ha posto nell’uomo, è l’anima della preghiera, che si
riveste poi di tante forme e modalità secondo la storia, il tempo.
Ogni
essere umano porta in sé il desiderio di Dio, tant’è vero che
tutti portiamo in noi una sete di infinito, una nostalgia di
eternità, una ricerca di bellezza, un desiderio di amore, un bisogno
di luce e di verità, che lo spingono verso l’Assoluto. A questo
Assoluto ci si rivolge con la preghiera, che è la posizione più
realista e vera dell'uomo di fronte a Dio, il Senso pieno della vita
che desideriamo conoscere e vedere.
Da
sempre questo desiderio è nell’uomo come attesta questa preghiera
di un cieco egiziano vissuto millenni fa e che, attesta qualcosa di
universalmente umano, qual è la pura e semplice preghiera di domanda
da parte di chi si trova nella sofferenza, quest’uomo prega: “Il
mio cuore desidera vederti... Tu che mi hai fatto vedere le tenebre,
crea la luce per me. Che io ti veda! China su di me il tuo volto
diletto”.
“Che
io ti veda, o Dio” è il cuore della preghiera, perché “il
desiderio di conoscere Dio realmente cioè di vedere il volto di Dio,
è insito in ogni uomo, anche negli atei” (Benedetto XVI)
2)
Pregare con la vita.
Questo desiderio di
vedere Dio si realizza seguendo Cristo e pregandolo non solo quando
ne abbiamo bisogno o quando troviamo uno spazio di tempo nelle nostre
occupazioni quotidiane, ma con la tutta la nostra esistenza. È tutta
la nostra vita che deve essere orientata all’incontro con Lui,
all’amore verso di Lui, all’amore di Lui.
In
questo amore ha il suo posto l’amore al prossimo che, nella luce
della Croce, ci fa riconoscere il volto di Gesù nel povero, nel
debole, nel sofferente. Ciò è possibile solo se il vero volto di
Gesù ci è diventato familiare nell’ascolto della sua Parola e
naturalmente nel Mistero dell’Eucaristia, che è la grande scuola
in cui impariamo a vedere il volto di Dio, entriamo in rapporto
profondo con Lui e con i nostri fratelli e sorelle in umanità.
C’è
un aneddoto che può aiutarci a capire ciò. Si racconta che una
suora, Figlia della Carità, scrisse al suo Fondatore chiedendogli:
“Che cosa devo fare se, mentre sto facendo l’adorazione, un
povero bussa alla porta del Convento”. San Vincenzo de Paoli
rispose: “Non lasci Dio, se lasci Dio per Dio”. Questa Legge
della carità esige l’ascolto del cuore, un ascolto fatto di
obbedienza non da servi ma da figli fiduciosi e consapevoli di essere
amati dal Padre. L’ascolto della Parola è incontro personale con
il Signore della vita, un incontro che deve tradursi in scelte
concrete e diventare cammino e sequela. Quando gli viene chiesto cosa
fare per avere la vita eterna, Gesù indica la strada dell’osservanza
della Legge e dice come fare per portarla a completezza: “Una cosa
sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai
un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi” (Mc 10,21 e par.).
Realizzare la Legge è seguire Gesù, andare sulla strada di Gesù,
in compagnia di Gesù, che nel Vangelo di oggi ci insegna a pregare,
dicendo ai discepoli di allora e di oggi: “Quando pregate dite
‘Padre’”. Parola da dire non solo con la bocca ma con tutta la
nostra vita.
3)
Pregare con Cristo e in Cristo.
Come
suggerisce il Catechismo della Chiesa Cattolica sforziamoci “di
comprendere la preghiera di Cristo, attraverso ciò che i suoi
testimoni ci dicono di essa nel Vangelo, è avvicinarci al santo
Signore Gesù come al roveto ardente: dapprima contemplarlo mentre
prega, poi ascoltare come ci insegna a pregare, infine conoscere come
egli esaudisce la nostra preghiera” (n. 2598). Possiamo poi trovare
la risposta chiara al come Gesù ci insegna a pregare, nel Compendio
del Catechismo della Chiesa Cattolica: “Gesù ci insegna a pregare,
non solo con la preghiera del Padre nostro, ma anche quando [Lui
stesso] prega. In questo modo, oltre al contenuto, ci mostra le
disposizioni richieste per una vera preghiera: la purezza del
cuore, che cerca il Regno e perdona i nemici; la fiducia
audace e filiale, che va al di là di ciò che sentiamo e
comprendiamo; la vigilanza, che protegge il discepolo dalla
tentazione» (n. 544).
Dal
Vangelo emerge che Gesù è interlocutore, amico, testimone e maestro
per la nostra preghiera.
In
Lui si rivela la novità del nostro dialogo con Dio: la preghiera
filiale, che il Padre aspetta dai suoi figli.
Da
Lui impariamo come la preghiera costante ci aiuti ad interpretare la
nostra vita, ad operare le nostre scelte, a riconoscere e ad
accogliere la nostra vocazione, a scoprire i doni che Dio ci ha dato,
a compiere quotidianamente la sua volontà di Padre amoroso, unica
via per realizzare nella verità la nostra esistenza.
Con
Lui diciamo il Padre nostro, che è una preghiera di comunione non
solo perché preghiamo con gli altri fratelli ma soprattutto con Lui
che è il Fratello che ha dato la vita per noi. Se sempre di più
diremo: “Padre” c on la nostra vita, saremo autentici figli nel
Figlio: veri cristiani.
Con
San Francesco, che seguì Cristo in modo così intenso da meritare di
somigliargli anche fisicamente grazie al dono delle stigmate, poi
preghiamo così:
“O santissimo Padre
nostro: creatore, redentore, consolatore e salvatore nostro.
Che sei nei cieli:
negli angeli e nei santi, illuminandoli alla conoscenza, perché tu,
Signore, sei luce, infiammandoli all'amore, perché tu, Signore, sei
amore, ponendo la tua dimora in loro e riempiendoli di beatitudine,
perché tu, Signore, sei il sommo bene, eterno, dal quale proviene
ogni bene e senza il quale non esiste alcun bene.
Sia santificato il
tuo nome: si faccia luminosa in noi la conoscenza di te, affinché
possiamo conoscere l'ampiezza dei tuoi benefici, l'estensione delle
tue promesse, la sublimità della tua maestà e la profondità dei
tuoi giudizi.
Venga il tuo regno:
perché tu regni in noi per mezzo della grazia e ci faccia giungere
nel tuo regno, ove la visione di te è senza veli,
l'amore di te è
perfetto,
la comunione di te è beata,
il godimento di te senza
fine.
Sia fatta la tua
volontà come in cielo così in terra: affinché ti amiamo
con tutto il cuore, sempre pensando a te; con tutta l’anima, sempre
desiderando te; con tutta la mente, orientando a te tutte le nostre
intenzioni e in ogni cosa cercando il tuo onore; e con tutte le
nostre forze, spendendo tutte le nostre energie e sensibilità
dell'anima e del corpo a servizio del tuo amore e non per altro; e
affinché possiamo amare i nostri prossimi come noi stessi,
trascinando tutti con ogni nostro potere al tuo amore, godendo dei
beni altrui come dei nostri e nei mali soffrendo insieme con loro e
non recando nessuna offesa a nessuno.
Dacci oggi il
nostro pane quotidiano: il tuo Figlio diletto, il Signore nostro
Gesù Cristo, dà a noi oggi: in memoria, comprensione e reverenza
dell'amore che egli ebbe per noi e di tutto quello che per noi disse,
fece e patì.
E rimetti a noi i
nostri debiti: per la tua ineffabile misericordia, per la potenza
della passione del tuo Figlio diletto e per i meriti e
l'intercessione della beatissima Vergine e di tutti i tuoi eletti.
Come noi li
rimettiamo ai nostri debitori: e quello che non sappiamo
pienamente perdonare, tu, Signore, fa' che pienamente perdoniamo sì
che, per amor tuo, amiamo veramente i nemici e devotamente
intercediamo presso di te, non rendendo a nessuno male per male e
impegnandoci in te ad essere di giovamento a tutti
E non ci indurre in
tentazione: nascosta o manifesta, improvvisa o insistente.
Ma
liberaci dal male: passato, presente e futuro. Amen”.
4)
La fecondità della preghiera delle Vergini Consacrate nel mondo.
Alle donne che si
donano a Cristo mediante la verginità consacrate è chiesto come
primario e irrinunciabile impegno di dedicarsi in modo prioritario
alla preghiera (Cfr. Rito di Consacrazione delle Vergini, Premesse,
n. 2). Consegnando il libro della
Liturgia delle Ore, il Vescovo si rivolge alla consacrata con queste
parole: "La preghiera della Chiesa risuoni senza interruzione
nel tuo cuore e sulle tue labbra come lode perenne al Padre e viva
intercessione per la salvezza del mondo»”(RCV, n. 48)
Alla
preghiera delle consacrate bene si è adatta quanto scriveva San
Cipriano affermando che la preghiera deve essere pacifica,
semplice e spirituale (De Oratione, I, 4, CC I, 541B)
Pacifica
nel senso di “espressione della pace” e di “richiesta della
pace”. La preghiera deve cioè: da una parte esprimere e
manifestare il nostro essere in pace con tutti;
dall’altra deve chiedere di impetrare lo stato di pace con Dio
Semplice perché
si serve della liturgia delle Ore e di poche parole proprie che
sgorgano da un cuore semplice e donato a Cristo. “Bisogna piacere
agli occhi di Dio sia nel comportamento del corpo che nel tono della
voce... Pensiamo che siamo davanti a Dio... abbiano dunque coloro che
pregano una parola ed una voce disciplinate, soffuse di calma e di
pudore»” (Ibid.
538AB)
Spirituale
perché è espressione della presenza dello Spirito Santo, che è
Spirito di unità, di concordia e di pace.
Queste
donne sono chiamate a pregare con Gesù Sposo, mediante una preghiera
“pacifica, semplice e spirituale”. che non può in alcun modo
essere una preghiera sterile, ma feconda (Papa Francesco).
Lettura
Patristica
Teodoro
di Mopsuestia
Hom.
Catech., 11, 7-9
Anzitutto
- dice Cristo - bisogna che voi sappiate chi siete stati e chi siete
diventati, cioè che conosciate la grandezza del dono ricevuto da
Dio. Poiché sono state fatte per voi grandi cose, molto più grandi
che per quelli che sono vissuti prima di voi. Ciò che io stesso
faccio per coloro che credono in me e che sono divenuti miei
discepoli per elezione, in verità il mette molto al di sopra dei
discepoli di Mosè. Se infatti è vero che la prima Alleanza fatta
sul Monte Sinai genera per la schiavitù, allora anch’essa è
schiava e genera schiavi (cf. Ga
4,24s).
Erano infatti schiavi tutti quelli soggetti ai comandamenti: questi
regolavano la loro condotta; e la pena di morte, alla quale nessuno
poteva sfuggire, era diretta contro tutti quelli che violavano i
comandamenti.
Ma
voi, grazie a me, avete ricevuto il dono dello Spirito Santo; esso vi
ha fatti diventare figli adottivi e così potete chiamare Dio Padre
vostro. Infatti, non avete ricevuto lo Spirito per ricadere nella
schiavitù e nella paura; ma lo spirito di adozione a figli, grazie
al quale nella libertà chiamate Dio Padre (Rm
8,15).
Adesso, voi servite in Gerusalemme con orgoglio e avete quella
libertà che spetta a coloro che la risurrezione rende liberi ed
immutabili, e partecipi della vita celeste già in questo mondo.
Dunque,
poiché c’è questa differenza tra voi e quelli che sono soggetti
alla Legge - se è vero che la lettera della Legge uccide e condanna
coloro che la violano ad una morte inevitabile, lo spirito invece
vivificato dalla grazia fa sì che mediante la risurrezione
diventiate immortali e immutabili - sarebbe bene che voi anzitutto
sapeste mantenere costumi degni di tale nobile condizione; infatti,
solo quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio sono figli di Dio,
quelli invece che sono soggetti alla Legge, hanno soltanto il nome
comune di figli. Ho detto: "Siete
dèi e figli dell’Altissimo"
(Ps
81,6s),
ma come uomini morirete. Perciò, coloro che hanno ricevuto lo
Spirito Santo e che quindi aspettano l’immortalità, devono vivere
dello Spirito, vivere secondo lo Spirito e avere la coscienza degna
di coloro che lo Spirito guida, cioè tenersi lontani dal peccato,
avere costumi conformi alla vita divina. In caso contrario, non sarò
con voi quando invocherete il nostro Signore e Dio.
Bisogna
naturalmente che sappiate che Dio è Signore e Creatore di tutte le
cose e dunque anche di voi; infatti, è grazie a lui che godete molti
beni. Eppure, chiamatelo Padre affinché, una volta compresa la
vostra nobile condizione, la vostra dignità e la vostra grandezza di
figli del Signore di tutte le cose e vostro Signore, possiate agire
in armonia con queste verità.
Non
dite, allora: «Padre mio», ma: «Padre nostro». Egli è infatti
Padre di tutti come la grazia, mediante la quale siamo diventati suoi
figli adottivi. Perciò, non vogliate solo agire degnamente verso il
Padre, ma vivete anche in buona armonia con i vostri fratelli, che
sono nelle mani dello stesso Padre.
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