XI
Domenica del Tempo Ordinario – Anno C – 12 giugno 2016
Rito Romano
2Sam 12,7-10.13; Sal
31; Gal 2,16.19-21; Lc 7,36-8,3
Rito
Ambrosiano
Gen 4,1-16; Sal 49; Eb
11,1-6; Mt 5,21-24
IV Domenica dopo
Pentecoste
1)
Un incontro
sconvolgente.
Nel Vangelo di questa
XI Domenica è raccontato l’episodio dell’invito fatto da un
fariseo a Gesù per averlo a pranzo in casa sua, dove arriva non
invitata una nota peccatrice che “osa” lavare i piedi a Gesù con
lacrime e profumo. Per capire bene l’episodio occorre ricordare
certe usanze della “buona società” di allora. Quando un ricco
accoglieva un ospite alla propria mensa, anzitutto chiamava un servo
a lavargli i piedi, che i sandali non riparavano dalla polvere della
strada, poi lo baciava, e gli versava sul capo qualche goccia di olio
profumato. Inoltre è utile sapere che il banchetto era pubblico:
chiunque poteva entrare ad osservarlo.
Immedesimiamoci in uno
di curiosi che entrarono in quel giorno nella casa del fariseo
Simone, che aveva invitato l’ormai famoso Gesù. Forse, come Simone
il fariseo, siamo stati mossi non dall’ammirazione verso il Messia,
ma dal desiderio di “studiare” da vicino quell’uomo da molti
considerato un profeta, cioè un inviato da Dio. Ma durante il
banchetto, inaspettatamente, entra nella sala una donna (questi tipi
di pranzi erano a quel tempo solo per gli uomini) che per di più era
nota “peccatrice” (così la chiama l’Evangelista Luca). Questa
donna si getta, versando lacrime e profumo, sui piedi di Cristo. Gesù
la lascia fare; poi si rivolge al padrone di casa, del quale aveva
letto il pensiero (“Se costui fosse un profeta, saprebbe che genere
di donna è questa e non le permetterebbe di toccarlo”),
dicendogli: “Un creditore aveva due debitori, uno di cinquecento e
l’altro di cinquanta denari; non avendo essi di che restituire,
condonò il debito a tutti e due. Chi di loro lo amerà di più?”.
Il fariseo rispose correttamente: “Suppongo il primo” (Lc
7, 40-43).
Simone seppe dare la
risposta giusta a Cristo, ma in ultima analisi non era attirato da
Cristo se non per curiosità. La peccatrice, senza nome perché ci
rappresenta tutti, era attirata dallo sguardo e delle parole di
misericordia che sgorgavano dal cuore di Gesù e che illuminavano la
sua mente e riscaldavano il suo cuore. Il Redentore le dava la Pace,
il Bene e la Gioia che cercava e pianse prima per il dolore dei suoi
peccati e poi per la gioia del perdono.
Le lacrime di questa
donna furono come l’acqua del battesimo, nella quale morì la
peccatrice e nacque la creatura nuova. Lei presentò a Cristo il suo
dolore e Lui la confermò nel suo amore. L’amore nasce dal perdono
e il perdono fa crescere l’amore.
L’incontro con Cristo
sconvolse positivamente la vita di quella peccatrice e ciò può
accadere anche a noi se a Gesù presentiamo il nostro dolore.
2) Un incontro
sconcertante, ma salvifico
Credo che se anche noi
vogliamo essere sconvolti dal perdono di Cristo, dobbiamo prima
lasciarci sconcertare da questo episodio, sul quale stiamo
riflettendo. Lo abbiamo ascoltato tante volte e tutto ci sembra
evidente e normale. In effetti il modo in cui questa donna manifestò
il suo dolore ed amore è sconcertante. Se il solo fatto di
sciogliere i capelli dinanzi a uomini sarebbe stata un’indecenza
tale da meritare l’atto di divorzio, secondo alcuni testi
rabbinici, riusciamo a capire quanto per i presenti fu sconcertante è
il fatto che Gesù si lasciasse lavare i piedi da una donna che per
di più era una nota peccatrice. Lui tranquillamente accettò questi
gesti, dinanzi a un pubblico impacciato e scandalizzato. Ciò che il
fariseo e i gli altri invitati consideravano gesto di impurità
legale, analoga a quello del toccare un maiale o un cadavere, per
Gesù significava invece accoglienza, comunione con l’umanità
peccatrice: salvezza concessa come dono di grazia.
Certo questo dono
inesauribile esige una risposta. Ma la risposta, appunto, viene dopo,
non è la prima parola, è soltanto la seconda.
In effetti la salvezza
viene dall’amore che Gesù nutre per noi e che lo spinge a dare la
sua vita per noi. La salvezza non può venire da un dovere, perché
semmai i doveri sono l'espressione, la risposta, al fatto che noi
nella vita abbiamo fatto un incontro, che è nata una relazione tra
noi e Gesù, e che da quel momento è cambiato il nostro modo di
comportarci. Le parole di Gesù a Simone, il suo ospite fariseo che
in realtà non lo ha mai accolto veramente anche se lo ha fatto
entrare in casa sua, è appunto un richiamo al primato della
relazione.
E che cosa passa per
quella relazione creata dall’amore? Gesù lo dice con chiarezza:
il perdono.
3)
Relazione con
Cristo.
Il perdono permette di
avere una relazione di comunione con Cristo. In effetti, a che cosa
serve pregare (il verbo greco che è tradotto con “invitare” alla
lettera vuol dire pregare) Gesù di voler condividere la nostra
tavola, se il cuore è lontano come lo era quello di Simone?
Questo fariseo si
ferma sulla soglia di un vero rapporto di comunione e resta
imprigionato nella sua pretesa giustizia di uomo che si considera una
persona per bene. Si ritiene senza peccato, quindi nessuna lacrima
solca il suo viso. Giudica, appoggiandosi sulla propria conoscenza
delle Scritture, guidato solo dai propri criteri, quelli fondati su
regole e “precetti di uomini” che hanno la pretese di correggere
quelli di Dio. Simone ha il dono di essere a tavola con Gesù, ma è
presenza in modo formale con un atteggiamento di superiorità e
sufficienza che gli fa dimenticare anche le regole elementari
dell'accoglienza. Crede di compiere la Legge e i precetti, ma
tralascia l'essenziale che è l'accoglienza di un ospite, con i riti
che qualunque ebreo era solito compiere; neanche questa semplice
attenzione aveva, neanche il minimo.
Ben diverso e più
vero è l’atteggiamento della “peccatrice di quella città”,
che nonostante sapesse di non potersi accostare a Gesù, “si
avvicinò dunque non al capo, ma ai piedi del Signore; lei che aveva
a lungo battuto la strada del vizio, cercava di seguire le orme
segnate dai piedi santi del Signore. Cominciò a versare lacrime, che
sono come il sangue del cuore, quindi lavò i piedi del Signore con
l'umile confessione dei propri peccati” (S. Agostino). E dal
fondo del dolore e del pentimento, la "fede" - ovvero il
cammino che l'aveva condotta sino a quel pezzo di terra ai piedi
di Gesù come al fonte battesimale, con la speranza che l'impossibile
di una vita nuova potesse divenire possibile - la spinge ad
inginocchiarsi dinanzi a Lui. Gesù sa perfettamente “chi e
che specie di donna è quella che lo sta toccando”: è “una
peccatrice”, come Simone, ma, a differenza di questi, lo “tocca”
per amore: lo “tocca” per consegnargli il suo peccato. Lei lo
sa, conosce la propria assoluta indegnità, i peccati sono lì, tra
le sue mani, evidenti. E un dolore acuto a percuoterle il petto,
un'angoscia mortale. Questa donna ha toccato la morte, ora tocca la
Vita.
4) Ospitalità
del cuore.
L’ospitalità vera
non fu quella offerta da Simone a Gesù ma dalla peccatrice a Gesù
e, quindi, da tutti noi. Fu ed è l’ospitalità del cuore. Essa
nacque e nasce dall’amore. Non è un fatto esterno, di
comportamenti, ma di scelte interiori, dettate dall’amore. Le
parole di Simeone aprirono solo formalmente, esteriormente la porta
della sua casa al Salvatore, mentre le lacrime di questa donna
peccatrice aprirono la porta del cuore.
Ma anche questa volta è
Gesù che prende l’iniziativa, perché l’amore di chi è
perdonato viene dopo, è la riconoscente risposta, è il frutto di
quel perdono offerto in modo preveniente. Gesù ci perdona, e quando
noi ce ne accorgiamo impariamo ad amarlo, attraverso le nostre
lacrime di pentimento. “Colui al quale si perdona poco, ama poco”,
dice Gesù, indicando bene l’ordine: prima il perdono, e poi la
risposta di amore.
Ricordarci di quanto
siamo stati perdonati, ci aiuta ad amare molto Gesù, e a seguirlo
tra le lacrime del nostro pentimento e la gioia del cuore.
5) Un
insegnamento per e dalle Vergini Consacrate nel mondo.
La vita di questa donna
pubblica peccatrice cambiò perché si mise in ginocchio ai piedi di
Gesù, sperimentandone il perdono e “la pace” nella quale
“camminare” nella vita nuova. Questo cammino di liberazione non
deve essere fatto solo per passare dal male al bene, ma per
perseverare fino ai piedi di Cristo in Croce e nel giardino dove era
situato il sepolcro e dove prima fra i credenti la Maddalena (nulla
vieta di pensare che questa donna innominata sia Maria Maddalena)
incontrò il Signore Risorto, che la chiamò per nome.
Un modo importante di
perseverare ai piedi di Cristo è quello delle Vergini consacrate nel
mondo. La loro castità permette a queste donne di baciare i piedi di
Cristo santamente. Il verbo greco corrispondente a questo baciare
(katafileo) ci dice che non si tratta del bacio cortese di
saluto, né di quello appassionato degli innamorati e neppure quello
del padre spinto dal sangue comune con il figlio. Il verbo greco
katafileo (baciare) denota devozione sincera o
genuina (7,38.45; 15,20; At 20,37). Questo verbo greco è usato nella
parabola del padre misericordioso che perdona il figlio perduto. E'
un bacio tenero di perdono. E’ un bacio di un amore che tutto
scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta: di un amore che non
passa perché è una amore eterno e divino. E’ l’amore di Dio che
ci cerca, ci perdona e ci ricolma di grazia e gioia.
La vita delle vergini
testimonia che, dando completamente se stesse a Dio, si può amare il
prossimo in modo sincero e genuino comunicandogli il perdono divino
con la pratica costante delle opere di misericordia.
Così anche noi
oggi possiamo versare le lacrime su Gesù supplicando la carità che
può trasformare il nostro amore limitato al pentimento in dono e
perdono che oltrepassa la soglia della morte e del peccato. Lacrime
nostre sui piedi del fratello e della sorelle, perché in ciascuno è
vivo Cristo.
La verginità ci fa
liberi per amare d'amor puro che non cerca contraccambio, e ci fa
consegnare all'altro gratuitamente e senza misura.
Lettura Patristica
San Gregorio Magno
Hom., 33, 1-8
Perché
vide
le
macchie
della
sua
turpitudine
corse
a
lavarsi
alla
fontana
della
misericordia,
e
non
si
vergognò
dei
convitati.
Poiché
si
vergognava
di
se
stessa
dentro
di
sé,
neanche
pensò
che
ci
fosse
qualche
cosa
di
cui
si
dovesse
vergognare
innanzi
agli
altri.
Che
cosa,
allora,
ci
deve
stupire:
Maria
che
va
dal
Signore,
il
Signore
che
l’accoglie?
Che
l’accoglie
o
che
la
trascina?
Dirò
più
esattamente
che
l’accoglie
e
la
trascina,
poiché
la
trascinò,
nell’anima,
con
la
sua
misericordia
e
l’accolse
esteriormente
con
la
sua
mansuetudine.
Al
vedere
questo,
il
Fariseo
disprezza
non
solo
la
peccatrice
che
si
presenta,
ma
anche
il
Signore
che
l’accoglie,
e
dice
tra
sé:
"Se
fosse
un
profeta
costui,
saprebbe
certamente
che
razza
di
donna
è
questa
che
lo
tocca"
(Lc
7,39).
Ecco
il
Fariseo
veramente
superbo
e
falsamente
giusto
accusa
la
malata
della
sua
malattia
e
il
medico
per
il
soccorso
che
le
porta,
lui
che
era
malato
di
superbia,
e
non
lo
sapeva.
Fra
i
due
malati
sta
il
medico.
Ma
un
malato
conserva
nella
febbre
la
sua
capacità
di
sentire;
l’altro,
per
la
febbre
della
carne,
aveva
perduto
la
forza
della
mente.
Infatti
quella
piangeva
per
ciò
che
aveva
fatto;
il
Fariseo,
invece,
orgoglioso
della
sua
falsa
giustizia
accresceva
la
forza
della
sua
malattia.
Nella
malattia
aveva
proprio
perduto
i
sensi,
costui,
se
neanche
capiva
quanto
fosse
lontano
dalla
salvezza.
Intanto
un
gemito
ci
obbliga
a
volgere
lo
sguardo
ad
alcuni
del
nostro
grado,
i
quali,
rivestiti
della
dignità
sacerdotale,
se
hanno
fatto
un
qualche
bene
esteriormente,
subito
disprezzano
gli
altri,
disdegnano
i
peccatori
e,
se
confessano
i
loro
peccati,
non
mostrano
loro
alcuna
comprensione,
anzi,
come
il
Fariseo,
si
guardano
bene
dal
farsi
toccare
da
una
peccatrice.
Se,
infatti,
quella
donna
si
fosse
gettata
ai
piedi
del
Fariseo,
questi
l’avrebbe
cacciata
a
calci,
avrebbe
creduto
di
rimanere
sporcato
dai
suoi
peccati.
Ma
per
il
fatto
che
gli
mancava
la
giustizia,
il
Fariseo
s’ammalava
per
il
peccato
altrui.
Perciò
ogni
volta
che
vediamo
i
peccati
degli
altri,
dobbiamo
prima
piangere
su
noi
stessi,
perché
forse
siamo
caduti
negli
stessi
peccati,
o
possiamo
cadervi.
E
anche
se
l’ufficio
c’impone
di
censurare
il
vizio,
dobbiamo
tuttavia
distinguere
tra
la
severità
contro
il
vizio
e
la
compassione
dovuta
alla
natura.
Se
il
vizio,
infatti,
va
colpito,
il
prossimo
dev’essere
sostenuto,
poiché
nel
momento
in
cui
detesta
ciò
che
ha
fatto,
il
prossimo
non
è
più
peccatore...
Pertanto,
fratelli,
ponderate
la
grandezza
della
pietà
del
Signore.
Eccolo
che
chiama,
e
coloro
ch’egli
ha
denunziato
come
peccatori,
li
invita
al
suo
abbraccio
dopo
che
lo
hanno
abbandonato.
Nessuno,
allora,
perda
l’occasione
d’una
così
grande
misericordia,
nessuno
disprezzi
la
medicina
offerta
dalla
divina
bontà.
Ecco,
la
divina
misericordia
ci
richiama,
dopo
che
abbiamo
peccato,
e
ci
apre,
se
torniamo,
le
braccia
della
sua
clemenza.
Rifletta
bene
ciascuno
quanta
pressione
eserciti
questo
Signore
che
aspetta
il
peccatore
e,
disprezzato,
non
s’indigna.
Perciò,
chi
s’è
allontanato,
ritorni;
chi
è
caduto
si
rialzi...
Ripensate,
fratelli,
a
questa
peccatrice
penitente
e
imitatela.
Detestate
ciò
che
ricordate
d’aver
fatto
nell’adolescenza
o
nella
gioventù,
lavate
con
le
lacrime
la
sporcizia
delle
azioni.
Amiamo
le
piaghe
del
nostro
Redentore,
piaghe
che
abbiamo
disprezzato
peccando.
Ecco,
si
apre,
per
accoglierci,
il
seno
della
divina
bontà;
la
nostra
vita
di
peccato
non
viene
respinta.
Se
detestiamo
la
nostra
cattiveria,
già
questo
ci
ridona
una
purezza
interiore.
Il
Signore
ci
abbraccia
al
nostro
ritorno,
perché
per
lui
non
può
essere
indegna
la
vita
di
un
peccatore,
se
è
lavata
col
pianto,
in
Gesù
Cristo
nostro
Signore.
Nessun commento:
Posta un commento