Rito Romano
V Domenica di Pasqua –
Anno C – 24 aprile 2016
At 14,21-27; Sal 144;
Ap 21,1-5; Gv 13,31-35
Rito Ambrosiano
At 14,21-27; Sal 144;
Ap 21,1-5; Gv 13,31-35
1) Un comando
nuovo ed antico.
Nella Liturgia della
Parola di questa V Domenica di Pasqua c’è un aggettivo che vi
ricorre più volte: “nuovo, nuova”. Nelle prime due letture
della Messa si parla di “un nuovo cielo e una nuova terra”, della
“nuova Gerusalemme”, di Dio che fa “nuove tutte le cose” e,
nel Vangelo, del “comandamento nuovo”: “Vi do un
comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri” (Gv 13,
34).
In che senso il
comandamento dell’amore è nuovo? Sant’Agostino come risposta
afferma che Gesù definisce “nuovo” il comando dell’amore
fraterno e reciproco perché rinnova, ci fa nuovi, trasforma tutto e
tutti. In effetti “l’amore di Cristo ci rinnova, rendendoci
uomini nuovi, eredi del Testamento nuovo, cantori del cantico nuovo”
(Sant’Agostino). Se dovessimo mettere delle parole in bocca
all’amore, potremmo usare le parole che Dio pronuncia nella seconda
lettura di oggi: “Ecco, io faccio nuove tutte le cose” (Ap
21, 5). Dunque il comando dell’amore è nuovo in senso attivo,
dinamico. È fonte di novità.
Ma
in che cosa consiste la novità di questa volontà di Cristo? Di per
sé il comando dell’amore è antico1,
come dice San Giovanni nella sua prima lettera (cfr. 1Gv 1, 7
– 10). E’ un comando “antico” come Dio. E già l’Antico
Testamento (cfr. Dt 6) invitava ad amare Dio sopra ogni cosa e
il prossimo come se stessi.
Dunque,
la novità di cui Gesù parla non è legata al tempo ma alla
modalità: “Come io ho amato voi, così amatevi anche voi
gli uni gli altri” (Gv 13, 35). E il “come” non indica
la quantità dell’amore (chi potrebbe amare come il Figlio di Dio)
ma la modalità. Cristo non dice amatevi “quanto” io vi ho amati,
ma “come” io vi ho amati. Per noi, poveri esseri limitati la sua
misura senza limiti è impossibile. E' possibile seguirlo, imitarlo
nella sua modalità di amare. Per esempio lavare i piedi come a fatto
Lui, partendo da chi è più povero. Lavando i piedi agli Apostoli,
Cristo indicò come sia importante praticare la carità come amore
umile che sta con gli amici, che serve gli amici. Si tratta di un
modo di vivere, di un dono di sé che non può essere oscurato da
quel desiderio di impossessarsi di tutto, anche dei poveri, per
accomodarci nella retorica di un aiuto caritatevole.
L’amore fraterno e
vicendevole è la novità della vita di Dio che irrompe nel nostro
vecchio mondo, rigenerandolo. Ed è l’anticipo della vita futura a
cui aspiriamo e garanzia di quella presente perché “abbiamo tutti
bisogno di molto amore per vivere bene” (Jacques Maritain).
L’amore tra i
discepoli, fratelli di Cristo e tra di loro, è un amore che tende
alla reciprocità: “amatevi gli uni gli altri” (Gv 13, 35)
è ripetuto più volte. Ma se vogliamo che il nostro amore reciproco
sia come quello di Cristo, questo amore deve nascere dalla gratuità
ed aprirsi a tutti i fratelli in umanità. Deve quindi essere una
carità reciproca e aperta. “Da questo tutti riconosceranno che
siete miei discepoli”(Id.). L'amore cristiano – proprio
quando se ne sottolinea la reciprocità – non cessa di essere
aperto, anzi si apre a tutti: è universale. L'amore scambievole è
per l'uomo movimento, vita, uscire dal chiuso, dall'odio,
dall'egoismo e dall'indifferenza per respirare a pieni polmoni. San
Giovanni, il discepolo prediletto, scrive: “Noi sappiamo di essere
passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli, chi non ama
rimane nella morte” (1 Gv 3,14). “Amarsi reciprocamente”
non è un’ imposizione, ma una direttiva amorosa che salvaguarda e
promuove la vita umana. In questa volontà d’amore dove sono
riassunti il destino del mondo e la sorte di ognuno di noi.
2) Amare: un
comando che è un dono.
L’Apostolo che
Cristo prediligeva scrive ancora: “In questo consiste l’amore di
Dio, nell'osservare i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non
sono gravosi, anzi sono leggeri e fonte di gioia: sono un dono” (1
Gv 5,3). Il comandamento dell'amore è chiamato da San Giovanni
un dono (il verbo dare è troppo debole, meglio tradurre donare). Può
sembrare assurdo affermare che un comandamento sia un dono, può
sembrare paradossale, ma è conforme a tutto l’insegnamento
biblico. La legge di Dio è un dono, perché quello che dice indica
la natura di Dio e il nostro futuro, la nostra vocazione più
profonda. Per esempio, il comandamento: “Non uccidere” vuol dire
che la natura di Dio è vita e che noi siamo chiamati alla vita.
Quando Dio “comanda”
di amare vuol dire che Lui è Amore e che siamo chiamati all’Amore.
Ma che cos’è
l’Amore? Uno esiste in quanto amato, se no, non esiste. Sappiamo
anche che Dio è amore, ma come si fa a conoscere che Dio è amore?
Ecco, Gesù l’ha manifestato: l’amore è lavare i piedi a Pietro
che lo rinnega, l’amore è dare se stesso a Giuda che lo consegna e
lo tradisce, è sapere amare in un modo assoluto e incondizionato
l’altro come altro, prescindendo anche dai suoi meriti. Come il
genitore ama il figlio non per i meriti che ha, perché se uno
facesse nascere un figlio in base ai meriti che il figlio ha questo
figlio non nascerebbe mai e se lo facesse crescere in base ai meriti
che ha non crescerebbe mai. L’essere amati é la condizione per
vivere e per condividere l’amore ricevuto.
Nel solco del suo
predecessore, Benedetto XVI, che ha spiegato teologicamente l’amore
nella sua Enciclica “Deus caritas est”, Papa Francesco da
pastore autentico dice: “Che cos’è l’amore? E’ la
telenovela? Quello che vediamo nei teleromanzi?” Alcuni pensano che
sia quello l’amore. Parlare dell’amore è tanto bello, si possono
dire cose belle, belle, belle. Ma l’amore ha due assi su cui si
muove, e se una persona, un giovane non ha questi due assi, queste
due dimensioni dell’amore, non è amore. Prima di tutto, l’amore
è più nelle opere che nelle parole: l’amore è concreto … Non è
amore soltanto dire: “Io ti amo, io amo tutta la gente”. No. Cosa
fai per amore? L’amore si dà. Pensate che Dio ha incominciato a
parlare dell’amore quando si è coinvolto con il suo popolo, quando
ha scelto il suo popolo, ha fatto alleanza con il suo popolo, ha
salvato il suo popolo, ha perdonato tante volte – tanta pazienza ha
Dio! –: ha fatto, ha fatto gesti di amore, opere di amore. E la
seconda dimensione, il secondo asse sul quale gira l’amore è che
l’amore sempre si comunica, cioè l’amore ascolta e risponde,
l’amore si fa nel dialogo, nella comunione: si comunica”.
3) Il Pellicano
come immagine di Cristo-Amore.
Dalla tradizione
medievale ci viene un’immagine che può essere utile a capire che
cos’è l’amore: è l’immagine di Gesù Cristo rappresentato
come un Pellicano, che si apre il petto con il becco e prende il suo
cuore per dare da magiare ai suoi piccoli, poiché non ha trovato
pesci da dare loro da mangiare. L’origine di questa immagine
eucaristica viene da un’antica leggenda, ma rappresenta bene
l’amore concreto del Figlio di Dio che si comunica dando la vita
per dare il cibo di Vita.
Tutti i cristiani
devono avere un rapporto profondo con Cristo-Eucaristia, ma va tenuto
presente che il mistero eucaristico dell’amore manifesta un
rapporto intrinseco con la verginità consacrata, in quanto questa è
espressione della dedizione esclusiva della Chiesa a Cristo. Infatti
la vergini consacrate accolgono Cristo-Sposo con fedeltà radicale e
feconda. Nell’Eucaristia le vergini consacrate nel mondo trovano
ispirazione e alimento per la loro piena dedizione a Cristo (cfr
Sacramentum caritatis, n 81) .
Le vergini consacrate
sono appassionate nel loro amore per l’Eucaristia, accogliendo
Cristo come loro ispirazione e loro cibo da condividere. La loro
consacrazione verginale non è una rinuncia all’amore, anzi le
rende sempre pronte a ricevere l’amore intimo del Signore e a
ricambiarlo con la preghiera e il servizio al prossimo amato d’amore
verginale come quello di Cristo. Queste donne consacrate seguono,
cioè imitano l’Agnello nello splendore della verginità. “Voi
dunque - dice loro S. Agostino - seguite l'Agnello conservando con
perseveranza ciò che avete consacrato a Lui con ardore (S. Virg.
29,29) .
La
verginità impreziosita dalla consacrazione verginale, è
quotidianamente rivitalizzata dalla sponsalità eucaristica dove si
respira l’amicizia di Gesù: amicizia di similitudine,: “Come il
Padre ha amato me, io amo voi” (Gv
15,9). Il precetto “amatevi come io vi ho amati, nel mio amore”
(Gv
13,34; 15,9 ss.) è chiave
interpretativa della donazione mediante
il sacramento della presenza amica del Signore risorto.
1 Si tratta di un comandamento “antico” e “nuovo”. Antico perché risale a Dio stesso che è Amore dall'eternità e nell'amore conferma tutti i suoi figli; nuovo per il fatto che il criterio di comportamento, l’attitudine e l’attendibilità di chi dice di dimorare in Cristo dovrà configurarsi nell'amore verso i fratelli scongiurando ogni sorta di odio, di ritrosia e di sospetto: il distintivo del cristiano deve essere la capacità di amare anche al di sopra delle proprie forze e fino a negare se stesso.
Lettura
Patristica
Sant’Agostino
d’Ippona (354 – 430)
Comment.
in Ioann., 65, 1-3
Uomini
nuovi in virtù del comandamento nuovo
Cristo
ci ha dunque dato un nuovo comandamento, nel senso che ha detto di
amarci l’un l’altro, così come egli ci ha amati. È questo amore
che ci rinnova, affinché diveniamo uomini nuovi, eredi del Nuovo
Testamento, cantori di un nuovo cantico. Questo amore, fratelli, ha
rinnovato anche i giusti dei tempi antichi, i patriarchi e i profeti,
come più tardi ha rinnovato i beati apostoli. Esso ora rinnova tutte
le genti, e, di tutto il genere umano che è diffuso ovunque sulla
terra, fa, riunendolo, un sol popolo nuovo, il corpo della nuova
sposa del Figlio unigenito di Dio, della quale il Cantico dei Cantici
dice: "Chi
è colei che si alza splendente di candore?"
(Ct
8,5
, secondo i LXX). Essa è splendente di candore perché è rinnovata:
da che cosa, se non dal nuovo comandamento? Ecco perché i suoi
membri sono solleciti l’uno per l’altro e se uno soffre, soffrono
con lui tutti; se uno è glorificato, gioiscono con lui tutti gli
altri (1Co
12,25-26).
Essi ascoltano e praticano quanto dice il Signore: «Vi do un nuovo
comandamento, che vi amiate gli uni gli altri», ma non come si amano
quelli che cercano la corruzione, né come si amano gli uomini in
quanto hanno la stessa natura umana, ma come si amano coloro che sono
dèi e figli dell’Altissimo, e che mirano a divenire fratelli
dell’unico Figlio suo, che si amano a vicenda dell’amore del
quale egli li ha amati, che li porterà a giungere a quella meta dove
egli sazierà tutti i loro desideri, nell’abbondanza di tutte le
delizie (Ps
102,5).
Allora, ogni desiderio sarà soddisfatto, quando Dio sarà tutto in
tutti (1Co
15,28).
Una tale meta non conoscerà fine. Nessuno muore là dove nessuno può
giungere se prima non è morto per questo mondo, e non della comune
morte nella quale il corpo è abbandonato dall’anima, ma della
morte degli eletti. Quella morte che, mentre ancora siamo in questa
carne mortale, eleva il cuore in alto nei cieli. È di questa morte
che l’Apostolo dice: "Perché
voi siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio"
(Col
3,3).
Forse per la stessa ragione sta scritto: "L’amore
è forte come la morte"
(Ct
8,6).
È
grazie a questo amore che, pur restando ancora prigionieri di questo
corpo corruttibile, noi moriamo per questo mondo, e la nostra vita si
nasconde con Cristo in Dio; o, meglio, questo stesso amore è la
nostra morte per il mondo, ed è vita con Dio. Se infatti parliamo di
morte quando l’anima esce dal corpo, perché non dobbiamo parlare
di morte quando il nostro amore esce da questo mondo? L’amore è
quindi davvero forte come la morte. Che cosa è più forte di questo
amore che vince il mondo?
Ma
non crediate, fratelli, che il Signore dicendo: «Vi do un nuovo
comandamento, che vi amiate gli uni gli altri», abbia dimenticato
quell’altro comandamento che ci è stato dato, che amiamo il
Signore Dio nostro con tutto il cuore, con tutta l’anima e con
tutto il nostro spirito. Può sembrare che egli lo abbia dimenticato,
in quanto dice soltanto: «che vi amiate gli uni gli altri», come se
il primo comandamento non avesse rapporti con quello che ordina di
amare "il
prossimo tuo come te stesso"
(Mt
12,37-40).
A
"questi
due comandamenti"
- disse il Signore, come narra Matteo - "si
riduce tutta la legge e i profeti (Mt
22,40)".
Ma per chi bene li intende, ciascuno dei due comandamenti si ritrova
nell’altro. Infatti, chi ama Dio non può disprezzare Dio stesso
quando egli ordina di amare il prossimo; e colui che ama il prossimo
di un amore spirituale, chi ama in lui se non Dio? Questo è
quell’amore liberato da ogni affetto terreno, che il Signore
caratterizza aggiungendo le parole: «come io ho amato voi». Che
cosa, se non Dio, il Signore amò in noi? Non perché già lo
possedessimo, ma perché lo potessimo possedere; per condurci, come
poco prima ho detto, là dove Dio sarà tutto in tutti. È in questo
senso che, giustamente, si dice che il medico ama i suoi malati: e
cosa ama in essi, se non quella salute che desidera ripristinare, e
non certo la malattia che si sforza di scacciare?
Amiamoci
dunque l’un l’altro, e, per quanto possiamo, a vicenda aiutiamoci
a possedere Dio nei nostri cuori. Questo amore ci dona colui che ci
dice: “Come io vi ho amati, anche voi amatevi gli uni gli altri”
(Jn
13,34).
Egli ci ha amati per renderci capaci di amarci a vicenda; questo ci
ha concesso amandoci, che ci stringiamo con mutuo amore e, uniti
quali membra da un sì dolce vincolo, siamo il corpo di un tanto
augusto capo.
"In
questo appunto tutti riconosceranno che voi siete miei discepoli, se
avrete amore gli uni per gli altri"
(Jn
13,35).
È come se avesse detto: Coloro che non sono miei discepoli, hanno in
comune con voi altri doni, oltre la natura umana, la vita, i sensi,
la ragione e tutti quei beni che sono propri anche degli animali;
essi hanno anche il dono della conoscenza delle lingue, il potere di
dare i sacramenti, quello di fare profezie; il dono della scienza o
quello della fede, la capacità di distribuire ai poveri tutti i loro
beni, e quella di sacrificare il loro corpo nelle fiamme. Ma se essi
non hanno la carità, sono soltanto dei cembali squillanti: non sono
niente, e tutti questi doni a loro niente giovano (1Co
13,1-3).
Non è dunque in queste grazie, sia pure eccellenti, e che possono
esser date anche a chi non è mio discepolo, ma è «in questo che
tutti riconosceranno che voi siete miei discepoli, se avrete amore
gli uni per gli altri».
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