venerdì 22 aprile 2016

Un comandamento antico e nuovo: Amare.

Rito Romano
V Domenica di Pasqua – Anno C – 24 aprile 2016
At 14,21-27; Sal 144; Ap 21,1-5; Gv 13,31-35
 

Rito Ambrosiano
At 14,21-27; Sal 144; Ap 21,1-5; Gv 13,31-35


1) Un comando nuovo ed antico.
Nella Liturgia della Parola di questa V Domenica di Pasqua c’è un aggettivo che vi ricorre più volte: “nuovo, nuova”. Nelle prime due letture della Messa si parla di “un nuovo cielo e una nuova terra”, della “nuova Gerusalemme”, di Dio che fa “nuove tutte le cose” e, nel Vangelo, del “comandamento nuovo”: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri” (Gv 13, 34).
In che senso il comandamento dell’amore è nuovo? Sant’Agostino come risposta afferma che Gesù definisce “nuovo” il comando dell’amore fraterno e reciproco perché rinnova, ci fa nuovi, trasforma tutto e tutti. In effetti “l’amore di Cristo ci rinnova, rendendoci uomini nuovi, eredi del Testamento nuovo, cantori del cantico nuovo” (Sant’Agostino). Se dovessimo mettere delle parole in bocca all’amore, potremmo usare le parole che Dio pronuncia nella seconda lettura di oggi: “Ecco, io faccio nuove tutte le cose” (Ap 21, 5). Dunque il comando dell’amore è nuovo in senso attivo, dinamico. È fonte di novità.
Ma in che cosa consiste la novità di questa volontà di Cristo? Di per sé il comando dell’amore è antico1, come dice San Giovanni nella sua prima lettera (cfr. 1Gv 1, 7 – 10). E’ un comando “antico” come Dio. E già l’Antico Testamento (cfr. Dt 6) invitava ad amare Dio sopra ogni cosa e il prossimo come se stessi.
Dunque, la novità di cui Gesù parla non è legata al tempo ma alla modalità: “Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13, 35). E il “come” non indica la quantità dell’amore (chi potrebbe amare come il Figlio di Dio) ma la modalità. Cristo non dice amatevi “quanto” io vi ho amati, ma “come” io vi ho amati. Per noi, poveri esseri limitati la sua misura senza limiti è impossibile. E' possibile seguirlo, imitarlo nella sua modalità di amare. Per esempio lavare i piedi come a fatto Lui, partendo da chi è più povero. Lavando i piedi agli Apostoli, Cristo indicò come sia importante praticare la carità come amore umile che sta con gli amici, che serve gli amici. Si tratta di un modo di vivere, di un dono di sé che non può essere oscurato da quel desiderio di impossessarsi di tutto, anche dei poveri, per accomodarci nella retorica di un aiuto caritatevole.
L’amore fraterno e vicendevole è la novità della vita di Dio che irrompe nel nostro vecchio mondo, rigenerandolo. Ed è l’anticipo della vita futura a cui aspiriamo e garanzia di quella presente perché “abbiamo tutti bisogno di molto amore per vivere bene” (Jacques Maritain).
L’amore tra i discepoli, fratelli di Cristo e tra di loro, è un amore che tende alla reciprocità: “amatevi gli uni gli altri” (Gv 13, 35) è ripetuto più volte. Ma se vogliamo che il nostro amore reciproco sia come quello di Cristo, questo amore deve nascere dalla gratuità ed aprirsi a tutti i fratelli in umanità. Deve quindi essere una carità reciproca e aperta. “Da questo tutti riconosceranno che siete miei discepoli”(Id.). L'amore cristiano – proprio quando se ne sottolinea la reciprocità – non cessa di essere aperto, anzi si apre a tutti: è universale. L'amore scambievole è per l'uomo movimento, vita, uscire dal chiuso, dall'odio, dall'egoismo e dall'indifferenza per respirare a pieni polmoni. San Giovanni, il discepolo prediletto, scrive: “Noi sappiamo di essere passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli, chi non ama rimane nella morte” (1 Gv 3,14). “Amarsi reciprocamente” non è un’ imposizione, ma una direttiva amorosa che salvaguarda e promuove la vita umana. In questa volontà d’amore dove sono riassunti il destino del mondo e la sorte di ognuno di noi.

2) Amare: un comando che è un dono.
L’Apostolo che Cristo prediligeva scrive ancora: “In questo consiste l’amore di Dio, nell'osservare i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi, anzi sono leggeri e fonte di gioia: sono un dono” (1 Gv 5,3). Il comandamento dell'amore è chiamato da San Giovanni un dono (il verbo dare è troppo debole, meglio tradurre donare). Può sembrare assurdo affermare che un comandamento sia un dono, può sembrare paradossale, ma è conforme a tutto l’insegnamento biblico. La legge di Dio è un dono, perché quello che dice indica la natura di Dio e il nostro futuro, la nostra vocazione più profonda. Per esempio, il comandamento: “Non uccidere” vuol dire che la natura di Dio è vita e che noi siamo chiamati alla vita.
Quando Dio “comanda” di amare vuol dire che Lui è Amore e che siamo chiamati all’Amore.
Ma che cos’è l’Amore? Uno esiste in quanto amato, se no, non esiste. Sappiamo anche che Dio è amore, ma come si fa a conoscere che Dio è amore? Ecco, Gesù l’ha manifestato: l’amore è lavare i piedi a Pietro che lo rinnega, l’amore è dare se stesso a Giuda che lo consegna e lo tradisce, è sapere amare in un modo assoluto e incondizionato l’altro come altro, prescindendo anche dai suoi meriti. Come il genitore ama il figlio non per i meriti che ha, perché se uno facesse nascere un figlio in base ai meriti che il figlio ha questo figlio non nascerebbe mai e se lo facesse crescere in base ai meriti che ha non crescerebbe mai. L’essere amati é la condizione per vivere e per condividere l’amore ricevuto.
Nel solco del suo predecessore, Benedetto XVI, che ha spiegato teologicamente l’amore nella sua Enciclica “Deus caritas est”, Papa Francesco da pastore autentico dice: “Che cos’è l’amore? E’ la telenovela? Quello che vediamo nei teleromanzi?” Alcuni pensano che sia quello l’amore. Parlare dell’amore è tanto bello, si possono dire cose belle, belle, belle. Ma l’amore ha due assi su cui si muove, e se una persona, un giovane non ha questi due assi, queste due dimensioni dell’amore, non è amore. Prima di tutto, l’amore è più nelle opere che nelle parole: l’amore è concreto … Non è amore soltanto dire: “Io ti amo, io amo tutta la gente”. No. Cosa fai per amore? L’amore si dà. Pensate che Dio ha incominciato a parlare dell’amore quando si è coinvolto con il suo popolo, quando ha scelto il suo popolo, ha fatto alleanza con il suo popolo, ha salvato il suo popolo, ha perdonato tante volte – tanta pazienza ha Dio! –: ha fatto, ha fatto gesti di amore, opere di amore. E la seconda dimensione, il secondo asse sul quale gira l’amore è che l’amore sempre si comunica, cioè l’amore ascolta e risponde, l’amore si fa nel dialogo, nella comunione: si comunica”.

3) Il Pellicano come immagine di Cristo-Amore.
Dalla tradizione medievale ci viene un’immagine che può essere utile a capire che cos’è l’amore: è l’immagine di Gesù Cristo rappresentato come un Pellicano, che si apre il petto con il becco e prende il suo cuore per dare da magiare ai suoi piccoli, poiché non ha trovato pesci da dare loro da mangiare. L’origine di questa immagine eucaristica viene da un’antica leggenda, ma rappresenta bene l’amore concreto del Figlio di Dio che si comunica dando la vita per dare il cibo di Vita.
Tutti i cristiani devono avere un rapporto profondo con Cristo-Eucaristia, ma va tenuto presente che il mistero eucaristico dell’amore manifesta un rapporto intrinseco con la verginità consacrata, in quanto questa è espressione della dedizione esclusiva della Chiesa a Cristo. Infatti la vergini consacrate accolgono Cristo-Sposo con fedeltà radicale e feconda. Nell’Eucaristia le vergini consacrate nel mondo trovano ispirazione e alimento per la loro piena dedizione a Cristo (cfr Sacramentum caritatis, n 81) .
Le vergini consacrate sono appassionate nel loro amore per l’Eucaristia, accogliendo Cristo come loro ispirazione e loro cibo da condividere. La loro consacrazione verginale non è una rinuncia all’amore, anzi le rende sempre pronte a ricevere l’amore intimo del Signore e a ricambiarlo con la preghiera e il servizio al prossimo amato d’amore verginale come quello di Cristo. Queste donne consacrate seguono, cioè imitano l’Agnello nello splendore della verginità. “Voi dunque - dice loro S. Agostino - seguite l'Agnello conservando con perseveranza ciò che avete consacrato a Lui con ardore (S. Virg. 29,29) .
La verginità impreziosita dalla consacrazione verginale, è quotidianamente rivitalizzata dalla sponsalità eucaristica dove si respira l’amicizia di Gesù: amicizia di similitudine,: “Come il Padre ha amato me, io amo voi” (Gv 15,9). Il precetto “amatevi come io vi ho amati, nel mio amore” (Gv 13,34; 15,9 ss.) è chiave interpretativa della donazione mediante il sacramento della presenza amica del Signore risorto.

1  Si tratta di un comandamento “antico” e “nuovo”. Antico perché risale a Dio stesso che è Amore dall'eternità e nell'amore conferma tutti i suoi figli; nuovo per il fatto che il criterio di comportamento, l’attitudine e l’attendibilità di chi dice di dimorare in Cristo dovrà configurarsi nell'amore verso i fratelli scongiurando ogni sorta di odio, di ritrosia e di sospetto: il distintivo del cristiano deve essere la capacità di amare anche al di sopra delle proprie forze e fino a negare se stesso.

Lettura Patristica
Sant’Agostino d’Ippona (354 – 430)
Comment. in Ioann., 65, 1-3


Uomini nuovi in virtù del comandamento nuovo

       Cristo ci ha dunque dato un nuovo comandamento, nel senso che ha detto di amarci l’un l’altro, così come egli ci ha amati. È questo amore che ci rinnova, affinché diveniamo uomini nuovi, eredi del Nuovo Testamento, cantori di un nuovo cantico. Questo amore, fratelli, ha rinnovato anche i giusti dei tempi antichi, i patriarchi e i profeti, come più tardi ha rinnovato i beati apostoli. Esso ora rinnova tutte le genti, e, di tutto il genere umano che è diffuso ovunque sulla terra, fa, riunendolo, un sol popolo nuovo, il corpo della nuova sposa del Figlio unigenito di Dio, della quale il Cantico dei Cantici dice: "Chi è colei che si alza splendente di candore?" (Ct 8,5 , secondo i LXX). Essa è splendente di candore perché è rinnovata: da che cosa, se non dal nuovo comandamento? Ecco perché i suoi membri sono solleciti l’uno per l’altro e se uno soffre, soffrono con lui tutti; se uno è glorificato, gioiscono con lui tutti gli altri (1Co 12,25-26). Essi ascoltano e praticano quanto dice il Signore: «Vi do un nuovo comandamento, che vi amiate gli uni gli altri», ma non come si amano quelli che cercano la corruzione, né come si amano gli uomini in quanto hanno la stessa natura umana, ma come si amano coloro che sono dèi e figli dell’Altissimo, e che mirano a divenire fratelli dell’unico Figlio suo, che si amano a vicenda dell’amore del quale egli li ha amati, che li porterà a giungere a quella meta dove egli sazierà tutti i loro desideri, nell’abbondanza di tutte le delizie (Ps 102,5). Allora, ogni desiderio sarà soddisfatto, quando Dio sarà tutto in tutti (1Co 15,28). Una tale meta non conoscerà fine. Nessuno muore là dove nessuno può giungere se prima non è morto per questo mondo, e non della comune morte nella quale il corpo è abbandonato dall’anima, ma della morte degli eletti. Quella morte che, mentre ancora siamo in questa carne mortale, eleva il cuore in alto nei cieli. È di questa morte che l’Apostolo dice: "Perché voi siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio" (Col 3,3). Forse per la stessa ragione sta scritto: "L’amore è forte come la morte" (Ct 8,6).

       È grazie a questo amore che, pur restando ancora prigionieri di questo corpo corruttibile, noi moriamo per questo mondo, e la nostra vita si nasconde con Cristo in Dio; o, meglio, questo stesso amore è la nostra morte per il mondo, ed è vita con Dio. Se infatti parliamo di morte quando l’anima esce dal corpo, perché non dobbiamo parlare di morte quando il nostro amore esce da questo mondo? L’amore è quindi davvero forte come la morte. Che cosa è più forte di questo amore che vince il mondo?

       Ma non crediate, fratelli, che il Signore dicendo: «Vi do un nuovo comandamento, che vi amiate gli uni gli altri», abbia dimenticato quell’altro comandamento che ci è stato dato, che amiamo il Signore Dio nostro con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutto il nostro spirito. Può sembrare che egli lo abbia dimenticato, in quanto dice soltanto: «che vi amiate gli uni gli altri», come se il primo comandamento non avesse rapporti con quello che ordina di amare "il prossimo tuo come te stesso" (Mt 12,37-40).

       A "questi due comandamenti" - disse il Signore, come narra Matteo - "si riduce tutta la legge e i profeti (Mt 22,40)". Ma per chi bene li intende, ciascuno dei due comandamenti si ritrova nell’altro. Infatti, chi ama Dio non può disprezzare Dio stesso quando egli ordina di amare il prossimo; e colui che ama il prossimo di un amore spirituale, chi ama in lui se non Dio? Questo è quell’amore liberato da ogni affetto terreno, che il Signore caratterizza aggiungendo le parole: «come io ho amato voi». Che cosa, se non Dio, il Signore amò in noi? Non perché già lo possedessimo, ma perché lo potessimo possedere; per condurci, come poco prima ho detto, là dove Dio sarà tutto in tutti. È in questo senso che, giustamente, si dice che il medico ama i suoi malati: e cosa ama in essi, se non quella salute che desidera ripristinare, e non certo la malattia che si sforza di scacciare?

       Amiamoci dunque l’un l’altro, e, per quanto possiamo, a vicenda aiutiamoci a possedere Dio nei nostri cuori. Questo amore ci dona colui che ci dice: “Come io vi ho amati, anche voi amatevi gli uni gli altri” (Jn 13,34). Egli ci ha amati per renderci capaci di amarci a vicenda; questo ci ha concesso amandoci, che ci stringiamo con mutuo amore e, uniti quali membra da un sì dolce vincolo, siamo il corpo di un tanto augusto capo.

       "In questo appunto tutti riconosceranno che voi siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri" (Jn 13,35). È come se avesse detto: Coloro che non sono miei discepoli, hanno in comune con voi altri doni, oltre la natura umana, la vita, i sensi, la ragione e tutti quei beni che sono propri anche degli animali; essi hanno anche il dono della conoscenza delle lingue, il potere di dare i sacramenti, quello di fare profezie; il dono della scienza o quello della fede, la capacità di distribuire ai poveri tutti i loro beni, e quella di sacrificare il loro corpo nelle fiamme. Ma se essi non hanno la carità, sono soltanto dei cembali squillanti: non sono niente, e tutti questi doni a loro niente giovano (1Co 13,1-3). Non è dunque in queste grazie, sia pure eccellenti, e che possono esser date anche a chi non è mio discepolo, ma è «in questo che tutti riconosceranno che voi siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri».


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