Rito Romano
III Domenica di Pasqua – Anno C - 10 aprile 2016
At 5,27-32.40-41; Sal
29; Ap 5,11-14; Gv 21,1-19
Rito Ambrosiano
At 28, 16-28; Sal 96;
Rm 1,1-16b; Gv 8, 12-19
- L’apparizione è una manifestazione, come un incontro d’amore.
La liturgia della
Messa di oggi ci guida nella comprensione e nella riflessione della
risurrezione di Cristo proponendoci la terza apparizione di Gesù
risorto agli apostoli.
Per la precisione, va
ricordato che nel linguaggio evangelico il termine “apparizione”
ha un significato più profondo di quello che oggi è comunemente
inteso, che spesso si riferisce alla visione di un fantasma o di
qualcosa di evanescente. Quando l’evangelista Giovanni parla di
“apparizione” intende riferire del farsi vedere di Cristo,
dell’incontro reale col Risorto: un incontro tra persone, un
incontro dal quale nasce un riconoscimento, un dialogo, un impegno.
In effetti, il Vangelo del discepolo prediletto, ci parla di Gesù
che si manifesta, cioè si fa vedere, alle pie donne, alla Maddalena,
ai discepoli di Emmaus, agli Apostoli nel Cenacolo. Infine, a questi
incontri, che la liturgia ci ha fatto riascoltare nelle domeniche
precedenti, oggi il Vangelo di Giovanni aggiunge l’apparizione del
Risorto sulle rive del lago di Tiberiade a Pietro e ad altri 6
discepoli, che erano tornati al loro precedente lavoro di pescatori.
Era quasi l’alba e, seduto sulla riva del lago, c’era Gesù, ma
essi non lo riconobbero e ciò non solo a causa dell’oscurità
materiale.
Fu lui, il Risorto, ad
illuminare la loro mente con i segni che richiamarono alla memoria
esperienze già vissute col loro Maestro, quello stesso Gesù che ora
si faceva loro incontro, dopo aver vinto la morte.
Fu l’amore del
discepolo prediletto a riconoscere per primo Cristo.
Fu Pietro a prendere
l’iniziativa di buttarsi dalla barca per raggiungere per primo
Cristo. Vediamo cosi che due sono le caratteristiche di ogni
discepolo di Gesù: l’intuizione dell’amore e la prontezza nel
nuotare subito verso Cristo e nell’obbedire gettando le reti per la
pesca, che allude alla missione di essere pescatori di uomini.
2) La pesca e il
pasto.
La fatica notturna dei
pescatori è stata inutile perché Gesù aveva detto “senza di me
non potete far nulla” (Gv 15,5). Ma con Lui tutto cambia:
rigettano la rete e questa volta la ritirano piena di
centocinquantatrè grossi pesci.
E’ la Presenza del
Signore che riempie le reti, e sarà sempre la sua Parola che renderà
efficace in ogni tempo la missione dei discepoli. Questa missione
sarà sempre vuota senza Cristo e sempre fruttuosa con lui.
Ma il Risorto si
manifesta, cioè viene alla luce degli occhi dei discepoli non solo
con la pesca ma con l’invito: “Venite a mangiare” .
C’è stretta
connessione tra la pesca e il pasto. I discepoli tutti riconoscono
il Signore quando Lui dice loro: “Venite a mangiare”. Riconoscono
il Risorto quando, nel primo chiaro del giorno Gesù distribuisce
loro del pesce arrostito sulla brace insieme con del pane. Il Risorto
ripete uno dei gesti più simbolici di tutta la sua vita terrena: il
servizio di misericordia della mensa. Gesù distribuisce il pane e i
pesci (Gv 21,13),
In riva al lago, quel
gesto di distribuire il pesce arrostito sulla brace assieme al pane,
diventa silenziosa, viva memoria della moltiplicazione dei pani,
memoriale dell’ultima cena in cui il Figlio di Dio, ormai prossimo
alla morte, compì quel gesto di amore estremo, segno della sua
totale dedizione che è la sua vera identità, l’identità di un
Dio che è Dono, e si fa uomo per salvarci con il dono totale di se
stesse. Il Risorto si fa riconoscere nel gesto della dedizione, che è
stata la verità del suo intero cammino. La nota della dedizione
appartiene al Gesù terreno e al Signore risorto. E’ l’identità
che lo accompagna in ogni sua condizione di vita, che rivela chi egli
è veramente e che chiede di essere seguito in questa offerta di sé.
Il Vangelo di oggi
termina con un testo molto noto: il dialogo fra Gesù e Pietro (Gv
21,15-19). Per affidare a Pietro l’incarico di pascere il suo
gregge, il Messia risorto chiede l’amore, non altro.
Se la Chiesa è la
comunità dell’amore, il suo Capo deve avere il primato dell’amore
perché ama Cristo più di tutti gli altri. Certo Pietro deve amare
anche il gregge che è chiamato a condurre alla santità,
ammaestrandolo e servendolo. Ma la condizione per svolgere questo
“ufficio”, questo incarico è anzitutto quella di amare Gesù.
Per servire gli uomini non basta guardare gli uomini e i loro
bisogni, ma amare Gesù Cristo più di tutti gli altri.
Rileggiamo questo
dialogo: “Gesù disse a Simon Pietro: “Simone, figlio di
Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: “Certo, Signore,
tu lo sai che ti voglio bene”. Gli disse: “Pasci i miei agnelli”.
Gli disse di nuovo, per la seconda volta: “Simone, figlio di
Giovanni, mi ami?”. Gli rispose: “Certo, Signore, tu lo sai che
ti voglio bene”. Gli disse: “Pascola le mie pecore”. Gli disse
per la terza volta: “Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?”.
Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: “Mi
vuoi bene?”, e gli disse: “Signore, tu conosci tutto; tu sai che
ti voglio bene”. Gli rispose Gesù: “Pasci le mie pecore. In
verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da
solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue
mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi”.
Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato
Dio. E, detto questo, aggiunse: “Seguimi’” (Gv 21,
15-19).
Perché Cristo ha
chiesto a Pietro quello che Lui già sapeva? A questa domanda San
Agostino rispose così: “Alla sua triplice negazione corrisponde la
triplice confessione d'amore, in modo che la sua lingua non abbia a
servire all'amore meno di quanto ha servito al timore, e in modo che
la testimonianza della sua voce non sia meno esplicita di fronte alla
vita, di quanto lo fu di fronte alla minaccia della morte. Sia dunque
impegno di amore pascere il gregge del Signore, come fu indice di
timore negare il pastore. Coloro che pascono le pecore di Cristo con
l'intenzione di volerle legare a sé, non a Cristo, dimostrano di
amare se stessi, non Cristo, spinti come sono dalla cupidigia di
gloria o di potere o di guadagno, non dalla carità che ispira
l’obbedienza, il desiderio di aiutare e di piacere a Dio. Contro
costoro, ai quali l'Apostolo rimprovera, gemendo, di cercare i propri
interessi e non quelli di Gesù Cristo (cfr. Fil 2, 21), si
leva forte e insistente la voce di Cristo. Che altro è dire: Mi ami
tu? Pasci le mie pecore, se non dire: Se mi ami, non pensare a
pascere te stesso, ma pasci le mie pecore, come mie, non come tue;
cerca in esse la mia gloria, non la tua; il mio dominio, non il tuo;
il mio guadagno e non il tuo” (Discorsi sul Vangelo di san
Giovanni, 123, 4-5)
Anche a noi, oggi,
Gesù fa questa domanda: “Mi ami tu?” e la fa conoscendo la
nostra debolezza. “Rispondiamo come San Pietro che ci mostra la
strada: quella di seguire Cristo fidandosi di Lui, che conosce tutto
di noi, confidando non sulla nostra capacità di essergli fedeli,
quanto sulla sua incrollabile fedeltà” (Papa Francesco).
3) Una domanda
ripetuta?
L’amore non si
ripete, contempla. Chiedere più volte a chi si ama: “Mi ami?”.
Non è una ripetizione, è la verifica (nel senso etimologico di
“fare vero) un rapporto d’amore, è un invito alla contemplazione
che rende più salda una appartenenza. Nel caso di San Pietro, Gesù
“interrogò” il primo degli apostoli per rinnovare, nel perdono,
il rapporto tra loro e Dio. San Pietro più che ripetere tre volte la
stessa risposta, ribadì tre volte il riconoscimento di una
appartenenza, che durante la passione dell’Amato aveva negato tre
volte. All’inizio di quel giorno, che divenne un bel giorno, Pietro
vide Cristo Risorto sulla riva del lago di Tiberiade, si buttò dalla
barca per essere il primo a raggiungere a nuoto l’Amico che lo
attendeva. Arrivato a riva, si mise in ginocchio e lo contemplò,
cioè la sua preghiera divenne gesto e sguardo verso il mistero
dell’amore che gli stava davanti in piedi. Pietro non aveva che il
suo dolore grande di amico debole e traditore. Cristo lo confermò
nel suo amore e lo rimise in piedi, chiedendogli di seguirLo guidando
la comunità dell’amore: la Chiesa.
Oggi, l’amico e
fratello Gesù si rivolge a noi, viene incontro a noi e ci domanda:
“Mi ami?”, non “che cosa hai fatto?”
A un mondo che deturpa
l’amore, confondendolo con il piacere, Cristo proclama la legge
dell’amore che “misericordiando” (Papa Francesco) purifica,
eleva e santifica.
La santità, che
consiste nel vivere la pienezza della carità verso Dio e verso il
prossimo, è unica ma può assumere forme diverse. Fra queste
sottolineo quella delle Vergini consacrate nel mondo. Con la loro
dedizione piena a Cristo, con una vita in cui niente è anteposto a
Cristo, queste donne mostrano che la santità non consiste nel non
avere mai tradito, ma ribadire ogni giorno l’amicizia sponsale con
Cristo. “Consapevoli che l’amore di Dio è soprattutto un amore
di misericordia e che le donne hanno questo tratto” (Papa
Francesco), le vergini consacrate sono coscienti di essere
chiamate al compito speciale di essere nel mondo il riflesso
particolare della misericordia e di quella tenerezza. Con la loro
vita, dedicando a Lui e al suo Regno tutte le proprie forze di amore,
testimoniano che ogni vocazione è accoglienza della carità di Dio e
risposta a Lui nel servizio degli altri. La loro totale donazione a
Cristo le consacra in un compito speciale, quello di essere nel mondo
il riflesso particolare della misericordia e della tenerezza di Dio.
Lettura Patristica
San Giovanni Crisostomo
( ca
344/354
– 407)
In Matth., 77, 6
La prova dell’amore
Vi
sia un uomo che digiuna, che vive castamente, e che soffre infine il
martirio, consumato dalle fiamme, e vi sia un altro che rinvia il
martirio per l’edificazione del prossimo e, non solo lo rinvia ma
se ne parte da questo mondo senza averlo subito. Quale di questi due
uomini otterrà maggior gloria, dopo aver lasciato questa vita? Non
c’è bisogno qui di discutere a lungo né di parlare eloquentemente
per decidere, dato che il beato Paolo dà il suo giudizio dicendo:
"Morire
ed essere con Cristo è la cosa migliore, ma rimanere nella carne è
più necessario per causa vostra"
(Ph
1,23-24).
Vedi come l’Apostolo antepone l’edificazione del prossimo al
morire per raggiungere Cristo? Non vi è infatti mezzo migliore per
essere unito a Cristo che il compiere la sua volontà, e la sua
volontà non consiste in nessun’altra cosa come nel bene del
prossimo... "Pietro"
- dice il Signore -, "mi
ami tu?
Pasci le
mie pecore"
(Jn
21,15),
e, con la triplice domanda che gli rivolge, Cristo manifesta
chiaramente che il pascere le pecore è la prova dell’amore. E
questo non è detto solo ai sacerdoti, ma a ognuno di noi, per
piccolo che sia il gregge affidatoci. Difatti, anche se è piccolo,
non si deve trascurarlo poiché il "Padre
mio"
- dice il Signore -
"si
compiace in loro"
(Lc
12,32).
Ognuno di noi ha una pecora. Badiamo di portarla a pascoli
convenienti. L’uomo, appena si leva dal suo letto, non ricerchi
altra cosa, sia con le parole sia con le opere, che di render la sua
casa e la sua famiglia più pia. La donna, da parte sua, si dimostri
buona padrona di casa, ma prima ancora di questo abbia un’altra
preoccupazione assai più necessaria, quella cioè che tutta la sua
famiglia lavori e compia quelle opere che riguardano il regno dei
cieli. Se infatti negli affari terreni, prima ancora degli interessi
familiari, ci preoccupiamo di pagare i debiti pubblici perché,
trascurando quelli, non ci capiti di essere arrestati, tradotti in
tribunale e svergognati obbrobriosamente, a maggior ragione, nelle
cose spirituali, facciamo in modo di pagare anzitutto ciò che
dobbiamo a Dio, re dell’universo, in modo da non essere gettati là
dov’è stridore di denti.
Ricerchiamo,
inoltre, quelle virtù che da una parte procurano a noi la salvezza e
dall’altra sono utilissime al prossimo. Tali sono l’elemosina, le
orazioni; anzi, l’orazione riceve dall’elemosina forza e ali. "Le
tue orazioni"
- dice la Scrittura - "e
le tue elemosine sono servite per essere ricordato al cospetto di
Dio"
(Ac
10,4).
Ma non solo l’orazione, bensì anche il digiuno riceve
dall’elemosina efficacia. Se tu digiuni senza fare elemosina, la
tua azione non può essere digiuno e diventi peggiore di un ghiottone
e di un ubriaco, tanto peggiore quanto la crudeltà è più grave
peccato della gola. Ma perché parlo del digiuno? Anche se tu vivi
castamente, anche se tu conservi la verginità, ma non l’accompagni
con l’elemosina, tu rimani fuori della sala nuziale. Che cosa è
paragonabile alla verginità che, per la sua stessa eccellenza, non
fu posta per legge neppure nel Nuovo Testamento? Tuttavia, anch’essa
viene respinta se non è congiunta all’elemosina. Se, dunque, le
vergini sono ricacciate perché non l’hanno praticata con
generosità, chi mai potrà ottenere perdono se trascura di far
elemosina? Nessuno, di certo. Chi non pratica l’elemosina, perirà
dunque sicuramente. Infatti, se nelle cose di questo mondo nessuno
vive per se stesso, ma l’artigiano, il soldato, l’agricoltore, il
commerciante svolgono attività che contribuiscono al bene pubblico e
alla comune utilità, molto di più ciò deve realizzarsi nelle cose
spirituali. Vive veramente, soltanto chi vive per gli altri. Chi
invece vive solo per sé, disprezza e non si cura degli altri, è un
essere inutile, non è un uomo, non appartiene alla razza umana. Tu
forse mi dirai a questo punto: Devo allora trascurare i miei affari
per occuparmi di quelli altrui? No, non è possibile che colui che si
prende cura degli affari del prossimo trascuri i propri. Chi cerca
l’interesse del prossimo non danneggia nessuno, ha compassione di
tutti e aiuta secondo le proprie possibilità, non commette frodi, né
si appropria di quanto appartiene agli altri, non dice falsa
testimonianza, si astiene dal vizio, abbraccia la virtù, prega per i
suoi nemici, fa del bene a chi gli fa del male, non ingiuria nessuno,
non maledice neppur quando in mille modi è maledetto, ma ripete
piuttosto le parole dell’Apostolo: "Chi
è infermo che anch’io non sia infermo? Chi subisce scandalo che io
non ne arda?"
(2Co
11,29).
Al contrario, se noi ricerchiamo il nostro interesse non seguirà al
nostro l’interesse degli altri.
Convinti,
dunque, da quanto è stato detto, che non è possibile salvarci se
non ci interessiamo del bene comune, e considerando gli esempi del
servo che fu separato e di colui che nascose il talento sotto terra,
scegliamo quest’altra via, e conseguiremo anche la vita eterna, che
io auguro a tutti noi di ottenere per la grazia e l’amore di Gesù
Cristo, nostro Signore.
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