Rito Romano
IV Domenica di Pasqua o
della divina Misericordia – Anno C – 17 aprile 2016
At
13,14.43-52; Sal 99; Ap 7,9.14-17; Gv 10, 27-30
Rito Ambrosiano
At
21,8b-14; Sal 15; Fil 1,8-14; Gv 15, 9-17.
Premessa.
Nel Vangelo di San
Giovanni Cristo parla di se stesso come Pane di vita (cap. 6), Luce
del mondo (cap. 8) e nel breve brano di oggi (cap. 10) come buon
Pastore.
Per capire
quest’immagine chiara nel passato e per gli appartenenti al mondo
rurale, ma non così evidente per chi vive oggi in aeree urbane, è
utile ricordare che ai tempi della vita terrena di Cristo, al calare
della sera, i pastori conducevano i loro greggi in un grande recinto
comune per passarvi la notte. Al mattino ogni pastore gridava il suo
particolare richiamo e le pecore, riconoscendone la voce, lo
seguivano fiduciosamente fuori dal recinto senza affatto sbagliare.
1) Il Pastore
vero dà la vita.
La figura del pastore
e del gregge a cui Gesù si ispira, si trova già nell’Antico
Testamento. Jahvé è il pastore che fa pascolare il suo gregge (Is
40,11) e nel corso della storia lo affida successivamente ai suoi
servi Abramo, Mosè, Giosuè, i Giudici e i re di Israele. Questi
ultimi però spesso e volentieri non hanno ottemperato al loro
compito e allora Ezechiele, in un testo che si leggeva durante la
Festa della Dedicazione, pronuncia il famoso oracolo: “Guai
ai pastori di Israele, che pascolano se stessi! … Ecco, io stesso
cercherò le mie pecore e ne avrò cura ... Ricondurrò all’ovile
la pecora smarrita; fascerò quella ferita e curerò quella malata …
Susciterò per loro un pastore che le pascerà”(Ez 34, 1,
11, 16, 23).
Ed ecco la
realizzazione di questa profezia: secoli dopo, durante la Festa della
Dedicazione, Gesù definisce se stesso come il vero Pastore buono,
che finalmente si prende cura con amore del gregge di Israele. A
differenza del mercenario, cui non importa nulla delle pecore, Lui,
il Pastore vero, conosce bene quelle che gli appartengono, se
ne prende cura con amore e loro ascoltano la sua voce.
Conoscere e ascoltare
sono verbi che indicano un dialogo profondo, una comunione
nell'esistenza, non soltanto nelle idee. Dunque, tra Gesù, Pastore,
e i suoi discepoli, le pecore che il Padre gli ha dato, c’è una
profonda comunione. Gesù è il Pastore perché dà (=offre) la vita
per le sue pecore, per dare loro la vita eterna e nessuno può
strappargliele.
Nessuno, né angeli né
uomini, né vita né morte, né presente né futuro, nulla potrà mai
separarci dall'amore di Cristo, ci ripete l'apostolo Paolo (cfr. Rm
8, 38). La forza e la consolazione di questa parola assoluta,
“nessuno”, è subito raddoppiata: “le strapperà”. Verbo,
questo, che non è al presente, ma al futuro per indicare un’intera
storia, lunga quanto il “tempo” di Dio. L’uomo, ogni “umana
pecorella” è, per Cristo, una passione eterna.
Per tutte e per
ciascuna ha “pagato” con la sua vita e le tiene con il suo amore
che la condotto come agnello al macello. Il Buon Pastore è nello
stesso tempo l’Agnello. Così leggiamo in Gv 2,36: “Ecco
l’agnello di Dio!”; e così ci rivela l’Apocalisse: “L’Agnello
sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della
vita”(Ap 7,17). Gesù svolge la sua vocazione di pastore che
guida e custodisce le sue pecore, non dal di fuori, ma dall'interno
della condizione umana di debolezza e di prova, simboleggiata
dall’agnello: lui stesso l’ha condivisa fino in fondo, fino alla
morte di croce. Vivendola con amore, ne ha fatto scaturire una
possibilità di vita, e di vita piena ed eterna.
Il fatto che l’Agnello
Gesù si identifichi con il Pastore è perché nessuno può guidare
alla fonti della vita se non facendosi modello del gregge. Questa
Guida, che conduce le pecore a pascoli di vita, è l’Agnello che si
è immolato perché le sue pecore che ama singolarmente (di ciascuna
conosce il nome e di ciascuna ha cura) esprime la comunione fra Gesù
e i suoi discepoli, le cui persone sono coinvolte nella loro
integralità: intelligenza, cuore, modo di essere e di agire.
2) Ascoltare e
seguire chi ci conosce.
Nel breve brano
evangelico di oggi Gesù, Agnello-buon Pastore indica due
caratteristiche delle sue pecore: l’ascolto e la sequela. Dunque,
se vogliamo essere sale e luce anche in un mondo che cambia, come
oggi si è abituati dire, non dobbiamo principalmente affannarci in
ricerche e progetti diversi: la voce di Gesù è già risuonata e la
direzione del suo cammino è già tracciata. A noi singolarmente e in
comunione tra noi è richiesta anzitutto la fedeltà alla sua
presenza da portare nel mondo.
Noi pecorelle di
Cristo lo ascoltiamo perché solo Lui ha parola di vita eterna, di
vita piena, di vita che non muore e umilmente lo seguiamo perché
sappiamo che siamo da lui amati. Lui ancora oggi e fino alla fine dei
tempi, presenta se stesso come offerta inesauribile di vita: “Io do
loro la vita eterna”. Entrare in rapporto con Lui significa gustare
la vita nella sua pienezza: pur nella fragilità, nel peccato, nel
dolore, nella violenza subita, Lui è offerta di Amore. Lui per
primo, nella sua condizione umana ha sperimentato che persino nella
morte è presente un Amore che ridona la Vita. Ed è Lui solo il dono
di Amore che non abbandona nessuno, il dono di vita che non muore, il
dono di Amore più forte di tutto perfino della morte.
Questo Amore per
essere conosciuto ci chiede che il nostro cuore si impegni. Non si
conosce veramente se non Chi si ama. E’ l’amore che è capace di
andare oltre ad ogni evidenza. E’ un conoscere dal di dentro,
dall'intimo. E' un conoscere l'Essere. E' una conoscenza nell'Amore.
Ma il buon Pastore chiede pure di essere ascoltato. Nell’ascoltare
è impegnata la mente, l’intelligenza, la virtù dell’obbedienza.
Il vero ascolto si fa obbedienza che implica il seguire.
Nel seguire è
impegnata la volontà, capace di far muovere i nostri passi dietro
Colui che ascoltiamo e amiamo. SeguendoLo i nostri passi non
vacillano, Lui ci porterà ai verdi pascoli, anche se dovessimo
attraversare una valle oscura... non temeremo perché lui è con noi
(cfr. Sal 23).
Questo andare dietro a
Cristo buon Pastore ha una dimensione sponsale. Il tema dell’alleanza
nuziale arricchisce quello del Pastore buono da seguire vivendo con
Lui un’unità profonda.
Nell’Antico
Testamento (cfr. Osea 1-3; Is 54 e 62; Ger 2 e
3; Ez 16 e 23; Mal 2, 13-17; Rut, Tobia, Cantico
dei Cantici), per esprimere il rapporto tra Dio e il popolo si
trova spesso l’immagine dell’alleanza nuziale.
Anche nel Nuovo
Testamento, si parla di questa alleanza nuziale e il tema di Cristo
sposo emerge soprattutto nelle parabole del Regno (cfr. Mt 22,
2; 25, 1; Lc 12, 38). Nessuna meraviglia, dunque, che anche
Paolo ricorra all’immagine sponsale per illustrare il rapporto tra
Cristo e la comunità cristiana: “Provo per voi una specie di
gelosia divina, avendovi promessi a un unico sposo, per presentarvi
quale vergine casta a Cristo” (2Cor 11, 2).
Di questa alleanza San
Paolo ha messo in evidenza la fedeltà assoluta di Dio: “Anche se
noi manchiamo di fedeltà, egli però rimane fedele” (2Tim
2, 13); “Senza pentimenti sono i doni e la chiamata di Dio” (Rm
11, 29; 1,9)
Un modo specifico e
speciale di seguire Cristo Pastore e Sposo è quello delle Vergini
consacrate nel mondo. Queste donne testimoniano con il dono totale di
sé e con l’accoglienza totale di Cristo che l’amore sponsale tra
Cristo e la Chiesa è riconoscibile da ciò che l’Uno compie per
l’Altra. Cristo dona tutto se stesso per lei - sua carne -,
purificandola e santificandola con il lavacro battesimale e la
Parola, amandola come il proprio corpo, da lui nutrito (Eucaristia,
banchetto nuziale) e curata (sotto la guida del Buon Pastore).
A questo riguardo sono
illuminanti le parole che il Papa emerito ha rivolto a loro in
occasione del congresso del 2008. Benedetto XVI, alludendo al tema
“Un dono nella Chiesa e per la Chiesa”, disse: “In questa luce
desidero confermarvi nella vostra vocazione e invitarvi a crescere di
giorno in giorno nella comprensione di un carisma tanto luminoso e
fecondo agli occhi della fede, quanto oscuro e inutile a quelli del
mondo”. E aggiunse: “La vostra vita sia una particolare
testimonianza di carità e segno visibile del Regno futuro (cfr. Rito
della consacrazione delle Vergini, 30). Fate in modo che la
vostra persona irradi sempre la dignità dell'essere sposa di Cristo,
esprima la novità dell'esistenza cristiana e l'attesa serena della
vita futura. Così, con la vostra vita retta, voi potrete essere
stelle che orientano il cammino del mondo”.
Le Vergini consacrate
testimoniano che non ci sono due amori, quello divino e quello umano,
ma solo due aspetti dello stesso amore. Dunque, è giusto affermare
che amore sponsale e amore verginale sono due volti dell’unico
amore di Gesù Cristo.
Queste
donne sono spose per appartenere unicamente nel puro ed esclusivo
amore nuziale a Cristo-Sposo (castità), per essere guidate da
Cristo-buon Pastore (obbedienza) e per fare affidamento solamente in
Cristo Signore (povertà).
Lettura Patristica
Sant’Agostino
d’Ippona (354 -430)
Comment. in Ioan., 48,
4-6
La vita eterna
I
Giudei attribuivano una grande importanza a quanto avevano domandato
a Cristo. Se infatti egli avesse detto: Io sono Cristo, dato che essi
ritenevano che Cristo fosse soltanto figlio di David, lo avrebbero
accusato di volersi arrogare il potere regale. Ma più importante è
quanto egli rispose loro: a quelli che volevano far passare come
delitto il dichiararsi figlio di David, egli dichiarò di essere
Figlio di Dio. In qual modo? Ascoltate: "Rispose
loro Gesù: «Già ve l’ho detto e non credete; le opere che io
faccio in nome del Padre mio, rendono testimonianza in mio favore. Ma
voi non credete perché non siete delle mie pecore»"
(Jn
10,25-26).
Già
avete appreso chi siano le pecore: siate nel numero delle sue pecore!
Le pecore sono tali in quanto credono, in quanto seguono il loro
pastore, non disprezzano colui che le redime, entrano per la porta,
ne escono e trovano i pascoli: e sono pecore perché godono della
vita eterna. E perché allora disse a costoro: «Non siete delle mie
pecore»? Perché egli li vedeva predestinati alla morte eterna, e
non riacquistati alla vita eterna col prezzo del suo sangue.
"Le
mie pecore ascoltano la mia voce, e io le conosco, ed esse mi
seguono; e io do loro la vita eterna"
(Jn
10,27-28).
Ecco
quali sono i pascoli. Se ben ricordate, egli aveva detto prima: «Ed
entrerà e uscirà e troverà i pascoli». Siamo entrati credendo,
usciamo morendo. Ma nello stesso modo in cui siamo entrati per la
porta della fede, da fedeli anche usciamo dal corpo: usciamo per la
stessa porta per poter trovare i pascoli. Questi eccellenti pascoli
sono la vita eterna: qui l’erba non si inaridisce, sempre
verdeggia, sempre è piena di vigore. Si dice di una certa erba che è
sempre viva: essa si trova solo in quei pascoli. «La vita eterna -
dice - do loro», cioè alle mie pecore. Voi cercate motivi per
accusarmi, perché non pensate che alla vita presente.
"E
non periranno in eterno"
(Jn
10,27-28);
sottintende: voi invece andrete nella morte eterna, perché non siete
mie pecore. "Nessuno
le rapirà di mano a me ()".
Raddoppiate ora la vostra attenzione: "Il
Padre mio che me le ha date, è più potente di tutti"
(Jn
10,29).
Che
può fare il lupo? Che possono fare il ladro e il brigante? Essi non
possono perdere che quelli che sono predestinati alla rovina. Ma
quelle pecore di cui l’Apostolo dice: "Il
Signore conosce i suoi"
(2Tm
2,19),
e ancora: "Quelli
che ha conosciuti nella sua prescienza, quelli ha predestinati, e
coloro che ha predestinati, li ha anche chiamati; quelli che ha
chiamati li ha anche giustificati; e quelli che ha giustificati li ha
anche glorificati"
(Rm
8,29-30),
queste pecore, dicevo, non potranno né essere rapite dal lupo, né
asportate dal ladro, né uccise dal brigante. Colui che sa cosa ha
pagato per esse, è sicuro delle sue pecore. È questo il senso delle
parole: «Nessuno le rapisce di mano a me».
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