Rito Romano
VI Domenica di Pasqua –
Anno C – 1° maggio 2016
At
15,1-2.22-29; Sal 66; Ap 21,10-14.22-23; Gv 14,23-29
Rito Ambrosiano
At
21,40b-22,22; Sal 66; Eb 7,17-26; Gv 16,12-22
1) Il cammino
delle sei Domeniche di Pasqua.
Nel periodo di Pasqua,
la Liturgia della Chiesa ci fa ricordare (nel senso biblico del
termine: rendere presente) Cristo risorto concretamente presente e
veramente vivente. Per questo durante le Messe delle prime tre
Domeniche di Pasqua ci sono stati proposti i brani del Vangelo in cui
sono raccontati gli incontri del Risorto con Maria Maddalena, con i
discepoli di Emmaus, con gli Apostoli e con San Tommaso e alla fine
con Pietro, che viene confermato nell’amore perché ha presentato a
Cristo il suo dolore.
Nella IV domenica ci è
stato ricordato che Cristo è il buon Pastore ed è presente come
guida attraverso i sacerdoti e i vescovi. Nella V Domenica ci è
stato ricordato che Gesù risorto è presente nell'amore
concretamente vissuto e reciprocamente donato nella comunità dei
cristiani, che hanno “come” esempio il Cristo stesso.
Oggi, l’insegnamento
delle Domeniche precedenti arriva al culmine. Nella VI Domenica di
Pasqua, infatti, il Vangelo ci fa ascoltare Gesù non si accontenta
di abitare in mezzo a noi, ma chiede di essere ascoltato (di
osservare la sua parola) per potere “dimorare” in noi. Cristo
dunque non è più semplicemente uno con noi, uno tra di noi, anche
se è il migliore: Lui ora è in noi con il suo Spirito.
In noi credenti che
ascoltiamo la sua parola e ai quali dona lo Spirito Santo perché ci
dia la pace e “richiami al nostro cuore tutto quello che Cristo ha
fatto e insegnato e ci renda capaci di testimoniarlo con le parole e
con le opere” (cfr. la Colletta della VI Domenica di Pasqua).
Sapere e fare
esperienza dell’amore di Dio in noi e per noi è pace confortante e
gioiosa, ma è anche responsabilità grande e quotidiana.
2) Osservare la
Parola, che è dono dell’amore.
Dalla meditazione del
passo odierno del Vangelo di Giovanni (14,23-29) emergono due temi:
l’amore obbediente per Gesù e il dono dello Spirito.
In effetti, in questo
brano evangelico, il Figlio di Dio presenta il legame indissolubile
tra l’amore a Lui e l’osservanza della Sua Parola. A questo
riguardo, va tenuto presente che il termine greco usato da San
Giovanni: “Logos” secondo i vari contesti può significare: la
“Parola” che è Cristo, il Verbo di Dio, la “parola” che
Cristo rivolge ai suoi interlocutori, e il “comandamento” dato
per amore e da osservare con amore. Questo terzo significato non è
poi così strano perché se uno ama prende così sul serio la
“parola” dell’amato da portarla nel cuore, da custodirla
osservandola. Cioè se amiamo il Signore, vuol dire che Lo portiamo
nel cuore, custodendo (osservando) le sue parole, perché vogliamo
vivere come Lui, vogliamo che Lui diventi la nostra vita. In effetti,
se si ama una persona, quella persona diventa la nostra vita e
l’ascoltiamo mettendo in pratica quello che dice.
Dunque la prova che si
ama veramente il Signore è l’obbedienza. E’ vero che il verbo
“amare” dice anche desiderio, affetto, amicizia, appartenenza, ma
qui si sottolinea che non si può parlare di vero amore se manca
l’osservanza dei comandamenti: “Se uno mi ama osserverà la mia
parola” (Gv 14, 23). E, subito, sempre nello stesso v. 23, Gesù
aggiunge “e il Padre mio lo amerà e
noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Id 14, 23).
In questo modo, il Figlio di Dio sottolinea un’altra caratteristica
dell’amore: quella di essere il luogo dell'incontro con l’amore
del Padre. Anzi è il luogo in cui il Padre e Gesù pongono la loro
dimora.
L’icona, cioè
l’immagine più bella di questa dimora “costruita”
dall’obbedienza amorosa è Maria, Vergine e Madre. La Madonna
accolse nella fede e nella carne Gesù, il Figlio di Dio, in piena
obbedienza alla Parola di Dio.
L’obbedienza a Dio e
alla sua azione nella fede include anche l’elemento dell’oscurità.
La relazione dell’essere umano con Dio non cancella la distanza tra
Creatore e creatura, non elimina quanto afferma l’apostolo Paolo
davanti alle profondità della sapienza di Dio: «Quanto insondabili
sono i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie!» (Rm 11,33). Ma
proprio chi - come Maria – è aperto in modo totale a Dio, giunge
ad accettare il volere divino, anche se è misterioso, anche se
spesso non corrisponde al proprio volere ed è una spada che trafigge
l’anima, come il profeta Simeone disse a Maria, quando insieme con
Giuseppe presentò Gesù al Tempio (cfr Lc 2,35).
Il cammino di fede
implica la gioia di ricevere il dono di amore, ma anche il momento
dell’oscurità, dovuta alle sofferenze della vita, alle croci delle
vita. Così fu per Maria, la cui fede le fece vivere la gioia
dell’Annunciazione, ma anche passare senza cedere attraverso il
buio della crocifissione del Figlio, per poter giungere fino alla
luce della Risurrezione.
Per gli Apostoli,
allora, e per ciascuno di noi, oggi, il cammino di obbedienza nella
fede non è diverso: incontriamo momenti di luce, ma incontriamo
anche tempi in cui Dio sembra assente, il suo silenzio pesa nel
nostro cuore e la sua volontà non corrisponde alla nostra, a quello
che noi vorremmo. Ma quanto più ci apriamo a Dio, accogliamo il dono
della fede, poniamo totalmente in Lui la nostra fiducia tanto più
Egli ci rende capaci, con la sua presenza, di vivere ogni situazione
della vita nella pace e nella certezza della sua fedeltà e del suo
amore. Questo però significa uscire da sé stessi e dai propri
progetti, perché la Parola di Dio, osservata con amore, sia la
lampada che guida i nostri pensieri e le nostre azioni.
Come ha potuto la
Madre di Dio vivere il suo cammino accanto al Figlio con una fede
così salda, anche nelle oscurità, senza perdere la piena fiducia
nell’azione della Provvidenza? E questa domanda vale anche per gli
Apostoli: “Come hanno potuto perseverare nel cammino con Cristo e
dare la vita per il Suo vangelo, cioè per la sua Parola buona e
lieta che porta alla gioia della vita vera attraverso la croce.
Maria e gli apostoli
hanno obbedito all’amore, hanno osservato la parola che era donata
a loro, che stava davanti a loro. Hanno “dialogato” con Cristo,
custodendo, osservando la Sua parola. Maria e gli Apostoli hanno
riflettuto sul significato della parola di Cristo e ne hanno concluso
che non potevano lasciarlo, perché solo Lui ha parola di vita
eterna. Il termine greco usato nel Vangelo, per definire questo
“riflettere”, “dielogizeto”, richiama la radice della parola
“dialogo”. Questo significa che noi credenti, osservanti “uditori
della Parola”, dobbiamo perseverare nel dialogo con la Parola di
Dio che ci è detta, lasciandola penetrare nella mente e nel cuore
per comprendere ciò che il Signore vuole da ciascuno di noi.
3) Il dono dello
Spirito.
Nel Vangelo di oggi
ascoltiamo pure: “Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso
di voi. Ma il Paraclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel
mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che
io vi ho detto” (Gv 14, 25-26).
Che cosa vuol dire
Gesù in questi due versetti? Il Risorto vuol dire ai suoi discepoli
di ieri e di oggi, di sempre che Lui non ci lascia soli, ci manda il
Consolatore, lo Spirito Santo, lo Spirito della verità che dà la
vita di Dio e la vita di Dio è l’amore. E’ questo amore che ci
farà conoscere ciò che Gesù ha detto, progressivamente e più lo
conosciamo più lo ami; più lo amiamo più lo conosciamo e avanti
all’infinito e per sempre.
L'insegnamento dello
Spirito è ancora l’insegnamento di Gesù. Non c’è contrasto tra
i due. Compito dello Spirito è insegnare e ricordare. Si tratta
sempre dell'insegnamento di Gesù, ma colto e compreso nella sua
pienezza: “Vi insegnerà ogni cosa”. Non si tratta di aggiungere
qualcosa all'insegnamento di Gesù, quasi fosse incompleto. “Ogni
cosa” significa la pienezza, la sua radice, la sua ragione
profonda. E anche la memoria, dono dello Spirito, non è ricordo
ripetitivo, ma ricordo che attualizza. Lo Spirito mantiene aperta la
storia di Gesù, rendendola perennemente attuale e salvifica. Quindi
il dono dello Spirito che Gesù ci fa sulla croce e che fa nella
storia è la sua presenza costante nella storia, è lo Spirito
d’amore che ci fa capire e ci fa fare ciò che lui ha detto ed ha
fatto. Lo Spirito non ci insegna o ispira cose strane, ci fa capire
quello che Cristo ha detto e fatto, dandoci la forza di viverlo
perché è solo l’amore che ci fa capire e ci fa fare.
Naturalmente tutti
riceviamo il dono dello Spirito, la cui azione in noi ci fa
“ricordare” (cioè ridare al cuore) e "rende presente"
sempre di nuovo il Cristo. Ma in modo particolare va invocato sulle
Vergini consacrate nel mondo, le quali sono, nella Chiesa, il segno
visibile del mistero della Chiesa stessa, che è insieme vergine e
sposa (cfr. 2 Cor 11,2; Ef 5, 25 – 27). Se da una
parte la verginità annuncia fin da ora ciò che sarà la vita futura
(cfr. Mt 22,30): la vita simile a quella degli angeli, essa (la
verginità) ha anche un significato nuziale come nel Rituale di
consacrazione è indicato mediante la consegna delle insegne della
consacrazione, cioè il velo e l’anello, accompagnata da questa
preghiera: “Ricevete il velo e l’anello, segno della vostra
consacrazione nuziale. Sempre fedeli a Cristo, vostro Sposo, non
dimenticate mai che vi siete donate totalmente lui e al suo corpo
che è la Chiesa” (REV, n 19 e n. 88).
Lettura
Patristica
Bernardo di Chiaravalle
In Cant. Cant., Sermo
74, 6
Gli effetti della
presenza di Cristo in me
Vivo
e attivo è lui, e appena è entrato ha destato l’anima mia
assopita; ha commosso, reso molle e ferito il mio cuore, poiché era
duro e di sasso, e insensato. Ha cominciato anche a strappare e a
distruggere, a edificare e a piantare, a irrigare ciò che era arido,
a illuminare ciò che era tenebroso, a spalancare ciò che era
chiuso, a riscaldare ciò che era freddo, e così pure a raddrizzare
ciò che era storto, e a cambiare le asperità in vie piane, affinché
l’anima mia, e tutto ciò che è in me, benedicesse il Signore e il
suo santo nome. Entrando così più volte in me il Verbo, mio sposo,
non ha fatto mai conoscere la sua venuta da nessun indizio: non dalla
voce, non dall’aspetto, non dal passaggio. Nessun gesto suo insomma
lo ha fatto scoprire, nessuno dei miei sensi si è accorto che
penetrava nel mio intimo soltanto dal moto del cuore, come ho detto
prima ho sentito la sua presenza; dalla fuga dei vizi, dalla stretta
dei desideri carnali, ho avvertito la potenza della sua virtù; dallo
scuotimento e dalla riprensione delle mie colpe nascoste, ho ammirato
la profondità della sua sapienza; dalla sia pur piccola correzione
delle mie abitudini, ho sperimentato la bontà della sua mitezza,
dalla trasformazione e dal rinnovamento dello spirito della mia
mente, cioè del mio uomo interiore, mi son fatto comunque l’idea
della sua bellezza; e nel contempo dall’esame di tutte queste cose,
ho avuto timore delle sue grandezze senza numero.