Rito Romano
IV Domenica del Tempo
Ordinario – Anno C – 31 gennaio 2016
Ger
1,4-5.17-19; Sal 70; 1Cor 12,31-13,13; Lc 4,21-30
Rito
Ambrosiano
Santa
Famiglia di Nazareth
Sir
44,25-45,1c.2-5; Sal 111; Ef 5,33-6,4; Mt 2,19-23
1) La parola
realizzata, ascoltata e accolta.
La
frase finale del Vangelo di domenica
scorsa è ripresa come prima frase di quello di questa domenica. Essa
suona letteralmente così: “Oggi si è
compiuta questa Scrittura nei vostri orecchi” (Lc
4, 21).
Da
chi sono compiute le parole di
Isaia? Da Cristo, dal Figlio di Dio che si è fatto come noi per
farci come Lui, per salvarci
riconciliandoci con Dio, perché noi così conoscessimo l'amore di
Dio, per essere
nostro modello di santità, perché
diventassimo ‘partecipi della natura divina’
(2 Pt
1,4) (cfr Catechismo
della Chiesa Cattolica, nn 456 –
460)
Dove?
Negli
orecchi e a Nazareth.
Negli
orecchi per insegnare che la parola si compie in chi la ascolta, per
capirla e metterla in pratica. Perché “sempre
la fede nasce dall’ascolto della Parola di Dio – un ascolto
naturalmente non solo dei sensi, ma che dai sensi passa alla mente ed
al cuore” (Benedetto XVI,
10.11. 2012). “L’ascolto di Gesù fa forte la nostra fede”
(Francesco,
6.09. 2015), la cui misura è l’amore.
A
Nazareth, cioè nel quotidiano dove Cristo è cresciuto in grazia e
sapienza, dove per trent’anni ha condotto una vita così normale
che tutti i compaesani pensavano che Lui fosse il normale figlio di
un normale falegname. Il Dio che si è fatto uomo vi condusse una
vita da uomo, trent'anni di vita
ordinaria.
Quando? Oggi.
Nel Vangelo di San Luca, il
termine “oggi” non indica solo una precisazione temporale, ma è
sempre collocato in un contesto di salvezza che si sta realizzando
L’“oggi” evangelico è l’“oggi” di Dio, del suo amore,
della sua misericordia. È il rivivere fino in fondo anche le
stupefacenti parole di Gesù: “Zaccheo, scendi subito, perché oggi
devo fermarmi a casa tua” (Lc 19,
5) e “Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché
anch’egli (Zaccheo) è figlio di Abramo” (Lc 19, 10). La salvezza
è oggi non è un “dopo”, quando saremo più buoni e più bravi.
Basta il nostro dolore di peccatori pentiti per essere confermati nel
suo amore. Lui bussa oggi, noi non dobbiamo aspettare domani: il
Cristo è venuto in questo mondo perché “tutti abbiano la vita e
l’abbiano in abbondanza” (Gv
10,10). Ed è di questo “Amore Misericordioso” che il
nostro oggi ha bisogno, come Papa Francesco ci ricorda molto spesso.
Dunque, oggi, a
Nazareth, nella sinagoga del nostro cuore Gesù si presenta come
profeta nuovo, perché non è uno che annuncia cose future, ma il
liberatore che realizza le parole di Dio, oggi. Si presenta come
colui, che porta a compimento l’antica speranza contenuta nella
profezia di Isaia: grazie a Lui la liberazione degli oppressi e la
buona notizia per i poveri, la guarigione dei ciechi e il perdono dei
peccatori sono finalmente una realtà, oggi.
Se mi si chiedesse di
sintetizzare in poche parole questo primo paragrafo, direi che la
parola è eterna, quindi vale sempre, ma si realizza nel presente, si
realizza nella misura in cui oggi la ascoltiamo con le orecchie e
l’accogliamo con l’intelligenza e il cuore.
2)
Come lasciarsi sorprendere dalla verità.
La
seconda frase del Vangelo di oggi dice: “Tutti
gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia
che uscivano dalla sua bocca e dicevano: “Non è costui il figlio
di Giuseppe?” (Lc 4, 22). Se ci riallacciamo alla prima frase:
“Oggi si è compiuta questa Parola nei vostri orecchi” (Ibid. 4,
21), dobbiamo notare che Gesù non fa lunghi commenti alle parole di
Isaia, ma dice che in queste parole del profeta c’è il suo
programma per un mondo redento, dove non ci sono più disperati,
poveri, ciechi e oppressi. La Sua strada è per la pienezza
dell’umano, e tutti nella Sinagoga di Nazareth capiscono queste
parole nuove, parole di grazie che fanno bene. Ma la sorpresa e
l’entusiasmo passano velocemente. La conoscenza che gli abitanti di
Nazareth avevano del loro compaesano cresciuto in mezzo a loro in
modo “ordinario” ha soffocato la sorpresa e lo stupore per le sue
parole nuove e di grazie. La consuetudine di trent’anni di vita
normale ha ucciso la sorpresa dell’incontro. La vita si spegne
quando la mente e il cuore e non sono aperti al nuovo, non vivendo
nell’attesa del nuovo che viene sotto le “apparenze” del
quotidiano. La vita si spegne quando
muoiono le attese. Se non si vive nell’attesa orante l’abitudine
spegne il mistero e la sorpresa, e l’altro invece di essere il
Cielo sulla terra, la Benedizione di Dio che cammina sulla terra, è
“solamente” il figlio di Giuseppe, il falegname.
Ciò
che può sembrare un grande sogno, una irrealizzabile utopia, in
Cristo si realizza e così
-
da ciechi che eravamo diventiamo persone che ci vedono, cioè persone
che vengono alla luce vera,
-
da schiavi che eravamo, diventiamo liberi perché conosciamo la
verità dell’amore,
-
da oppressi dal giogo del nostro male siamo liberati dalla
misericordia.
L’attesa
del Salvatore permette lo stupore dell’incontro ed evita il rifiuto
di Cristo perché non si scandalizza che la Parola,
il disegno di Dio si realizzi nella carne di quell’uomo, che
sembra un uomo qualunque, invece è l’Uomo vero, il Dio vero, il
Fratello dell’uomo.
Come non ricordare le
parole del vecchio Simeone che accolse Gesù bambino nel tempio e
cantò: “Lui (Cristo) è luce per illuminare le genti, ma anche
segno di contraddizione” (cfr. Lc 2, 32.34, segno
di Dio che suscita stupore, contestazione e rifiuto.
Certo,
c’è uno scarto tra quello stupore e
quella meraviglia e le attese che loro (i compaesani di Gesù)
avevano e che noi oggi abbiamo. Come superare questo scarto? Con il
discernimento e con la docilità, suggerisce Papa Francesco, che
insegna “la parola di Dio viene da noi
e anche illumina lo stato del nostro cuore, della nostra anima”: in
una parola, “discerne”, e poi prosegue affermando che l’
“atteggiamento che noi dobbiamo avere davanti a Cristo, Parola di
Dio, è la docilità”. Si tratta di “essere docili alla parola di
Dio. La parola di Dio è viva. E perciò viene e dice quello che vuol
dire: non quello che io aspetto che dica o quello che io spero che
dica o quello che io voglio che dica”. La parola di Dio “è
libera”. Ed è “anche sorpresa, perché il nostro Dio è il Dio
delle sorprese: viene e fa le cose nuove sempre. È novità. Il
Vangelo è novità. La rivelazione è novità” “Il nostro Dio —
prosegue il Papa - è un Dio che sempre fa le cose nuove. E chiede da
noi questa docilità alla sua novità”. Quindi “Dio deve essere
ricevuto con questa apertura alla novità”. E questo atteggiamento
“si chiama docilità” (20 gennaio 2014).
Se al posto
dell’attesa vissuta con docilità e discernimento,
abbiamo la pretesa, non solo non si riconosce Cristo ma ci si
arrabbia, come successe ai nazaretani. Gesù è pieno di Spirito, di
vita e di amore, i suoi compaesani passarono dallo stupore alla
collera e d’ira, che è lo spirito di morte. Lo scacciarono fuori
dalla città e lo condussero sul monte. Volevano ucciderlo
precipitandolo dal monte, ma Lui, passando in mezzo a loro,
camminava1.
E’ importante avere
la “docilità”2
perché non è un sinonimo di “debolezza”. Si tratta invece di un
atteggiamento legato alla prudenza3.
Ed è importante avere un “cuore4
docile”, cioè “una coscienza che sa ascoltare, che è sensibile
alla voce della verità, e per questo è capace di discernere il bene
dal male” (Benedetto XVI). In ciò le Vergini Consacrate nel mondo
ci sono di esempio significativo perché con “discernimento”
hanno risposto alla vocazione di Dio che le chiama ad essere spose di
Cristo. Queste donne con umiltà e semplicità gli hanno offerto il
loro “cuore”. Le vergini consacrate testimoniano che la docilità
non le ha trasformate in persone inutili, dipendenti, influenzabili,
senza carattere e capacità decisionali. In effetti “la docilità a
Cristo nello Spirito Santo è la strada della santità” (P. Louis
Lallement, SJ5)
percorsa da donne adulte che seguono Cristo Sposo “docile”
Agnello immolato per la salvezza del mondo. Essere docili e mansueti
come Cristo vuol dire partecipare attivamente alla sua passione.
Cristo fu “docilmente”
forte per prendere su di sé la Croce pesante per i nostri peccati.
Le Vergini sono “docilmente” forti per seguire il Redentore e
stare salde accanto alla Croce, come ha fatto la Vergine Maria.
Per
essere docili nello Spirito occorre vivere con la Vergine Maria anche
la sua purezza, e tutta l’anima nostra sarà data a Cristo solo;
non soltanto una verginità fisica, ma una verginità anche
spirituale che rifiuta ogni pensiero, ricordo e affetto che non sia
per lui; tutto l’essere della persona consacrata si consuma in un
atto di amore che la unisce al suo Sposo divino. E non solamente la
purezza e la semplicità, ma anche l’umiltà e la docilità.
1 Traduco alla lettera il Vangelo in greco che usa ἐπορεύετο da πορεύομαι, che vuol dire “camminare” anche se la traduzione liturgica dice: “se ne andò”. “Camminava” è diverso. “Andarsene” può essere capito come: “Vi abbandono”. “Camminare”, invece, vuol dire che niente ferma Gesù, Lui prosegue la sua missione d’amore. Non lo fermerà la morte. Non lo fermerà nessuno. Lui sa attendere, sa camminare, sa cercarci come il Buon Pastore che ricerca la pecora smarrita.
2 La docilità è nei bambini la naturale disposizione a lasciarsi guidare, a seguire con fiducia, anche se con qualche ineluttabile riluttanza, le indicazioni dei genitori. La ragione profonda della docilità infantile non è la paura dei genitori o l’assoluta necessità della loro benevolenza, come garanzia per la propria sopravvivenza, ma la naturale fiducia nei loro confronti.
3 San Tommaso d’Aquino dice che la qualità più importante per avere un giudizio giusto di coscienza, dal momento che la realtà della vita è complessa e che siamo oscurati dalle passioni, è la docilità (S. Th. II-II. q. 49, a. 3).
4 Sappiamo che il “cuore” nella Bibbia non indica solo una parte del corpo, ma il centro della persona, la sede delle sue intenzioni e dei suoi giudizi. Potremmo dire: la coscienza.
5 E’ autore classico di spiritualità cristiana. Nacque il 1° novembre 1588 a Châlons sur Marne nella Champagne. Fino da piccolo fu messo nel collegio dei Gesuiti a Bourges; a 17 anni fu novizio della Compagnia; a 33 vi fece la professione religiosa. Successivamente, in diversi luoghi, insegna matematica, filosofia, teologia, morale, scolastica. Morì il 5 aprile 1635 a Bourges (Francia).
Un suo confratello, il P. Champion, SJ, ha lasciato due ritratti di P. Louis Lallemant, SJ, l’uno fisico e l’altro spirituale, che meritano di essere qui ricordati. “Una figura alta, maestosa nel portamento; aveva la fronte ampia e serena, il pelo e i capelli castani, la testa già calva, il volto ovale e ben modellato, il colorito lievemente abbronzato, le guance di solito accese dal riflesso del fuoco celeste che gli ardeva in cuore; gli occhi d’una dolcezza incantevole rivelavano la fermezza del suo giudizio e la perfetta uguaglianza del suo carattere…”. “Una mente egregia, aperta a tutte le scienze; una forza di giudizio penetrante e ferma; un’indole dolce, sincera e dignitosa; disgusto istintivo e grandissimo per il vizio, massime per quello impuro; un’alta idea del servizio di Dio e una inclinazione specialissima per la vita interiore…”.
Lettura Patristica
Sant’Ambrogio di
Milano
In Luc., 4, 46
s.
L’invidia nemica
della misericordia
"In
verità vi dico che nessun profeta è accetto in patria sua"
(Lc
4,24).
L’invidia non si manifesta mai per metà: dimentica dell’amore
tra concittadini, fa diventare motivi di odio anche le naturali
ragioni di affetto. Ma con questo esempio, e con queste parole, si
vuol indicare che invano tu potresti attendere la grazia della
misericordia celeste, se nutri invidia per la virtù degli altri;
Dio, infatti, disprezza gli invidiosi e allontana le meraviglie del
suo potere da coloro che disprezzano, negli altri, i doni suoi. Le
azioni del Signore nella sua carne, sono espressione della sua
divinità, e le sue cose invisibili ci vengono mostrate attraverso
quelle visibili.
Non
a caso il Signore si scusa di non aver operato in patria i miracoli
propri della sua potenza, allo scopo che nessuno di noi pensi che
l’amor di patria debba essere considerato cosa di poco conto. Non
poteva infatti non amare i suoi concittadini, egli che amava tutti
gli uomini: sono stati essi che, con il loro odio, hanno rinunziato a
quest’amore per la loro patria. Infatti l’amore "non
è invidioso, non si gonfia d’orgoglio"
(1Co
13,4).
E, tuttavia, questa patria non è priva dei benefici di Dio: quale
miracolo più grande infatti avvenne in essa della nascita di Cristo?
Vedi dunque quali danni procura l’odio: a causa di esso vien
giudicata indegna la patria, nella quale egli poteva operare come
cittadino, dopo che era stata trovata degna di vederlo nascere nel
suo seno come Figlio di Dio...
"C’erano
molti lebbrosi al tempo del profeta Eliseo, e nessuno di essi fu
mondato, ma solo il siro Naaman"
(Lc
4,27).
È
chiaro che questa parola del Signore e Salvatore ci spinge e ci
esorta allo zelo di venerare Dio, poiché egli mostra che nessuno è
guarito ed è stato liberato dalla malattia che macchia la sua carne,
se non ha cercato la salute con desiderio religioso; infatti i doni
di Dio non vengono dati a coloro che dormono, ma a coloro che
vegliano...
Perché
il Profeta non curava i suoi fratelli e concittadini, non guariva i
suoi, mentre guariva gli stranieri, coloro che non praticavano la
legge e non avevano comunanza di religione, se non perché la
guarigione dipende dalla volontà, non dalla nazione cui uno
appartiene, e perché il beneficio divino si concede a chi lo
desidera e l’invoca, e non per diritto di nascita? Impara quindi a
pregare per ciò che desideri ottenere: il beneficio dei doni celesti
non tocca in sorte agli indifferenti.