I
Domenica di Avvento – Anno C – 29 novembre 2015
Rito
Romano
Rito
Ambrosiano
Is
45,1-8; Sal 125; Rm 9,1-5; Lc 7,18-28
III
Domenica di Avvento
Le
profezie adempiute
1)
Attesa di una visita
Il
tempo di Avvento è voluto dalla Chiesa per preparaci a celebrare
l'incarnazione del Verbo di Dio. E’ tempo di un’attesa, che dura
poco – 4 settimane nel rito romano e 6 in quello ambrosiano – e
che termina con la gioia del Natale, giorno che celebra la nascita di
Gesù tra il canto degli angeli : “Gloria in cielo e pace interra
agli uomini che Dio ama” e la gioia dei giusti (cfr. Antifona al
Magnificat – II Vespri di Natale).
L'Avvento
è il tempo che prepara nascita di Gesù, è il tempo di santa Maria
nell’attesa del parto, è - per noi - il tempo per educare il
nostro cuore ad una attesa che sia reale, quotidiana, costante, nella
tensione alla presenza di Chi si è fatto uomo per noi e ha salvato
la nostra vita. Ma non si attende solo la nascita di Gesù, si
attende il suo ritorno definitivo.
E’
per questo che la prima domenica di Avvento ci proietta già verso la
seconda venuta di Cristo, quando verrà nella gloria. In fondo è
questo l'avvento più importante, quello a cui noi tutti dobbiamo
prepararci.
E’
per questo che, nel Vangelo della I Domenica di Avvento, Gesù ci
dice di non smarrire il cuore, di non appesantirlo di paure e
delusioni: “State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si
appesantiscano” (Lc 21, 34) quindi “Vegliate in ogni
momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò
che sta per accadere e di comparire davanti al Figlio dell’uomo”
(Lc 21, 36).
In
effetti, è riduttivo parlare dell’Avvento solamente come periodo
di attesa del Natale, perché questo tempo liturgico ci è proposto
anche per prepararci a comparire davanti a Cristo, ad andare incontro
al Signore, che si fa prossimo all’uomo. Il cammino cristiano è
tutto rivolto a saper cogliere la novità di Dio, che si fa prossimo
a noi pieno di amore e di misericordia. Dio è il Bambino che tende
le braccia piene di tenerezza, il Pastore che cerca la pecorella
smarrita per riportarla salva all'’ovile, è il padre che corre
incontro al figlio perduto che ritorna, è il Samaritano che si china
premuroso sul ferito. È Gesù, che per noi muore sulla croce, culla
drammatica, scelta per ritornare nella Vita celeste.
Per
questo è necessario saper vivere “attendendo”, non solo nel
senso di aspettare Dio che viene, ma anche nel senso di tendere verso
Dio che tende verso noi mandando il Figlio che viene a visitarci.
In
effetti l’espressione “avvento” comprende anche quello di
“visitatio (=visitazione)”, che vuol dire “visita”. In
questo caso si tratta di una visita di Dio: Egli entra nella nostra
vita e vuole rivolgersi a noi (cfr Benedetto XVI).
L’avvento-visita del Signore implica una vigilanza. Occorre saper
vigilare, come il Cristo invita oggi: “State attenti…” (cfr Lc
21, 34 e 36 citato poco sopra) e più volte Lui l’ha ripetuto
nelle parabole, perché il Signore arriva come un ladro di notte o
come un Signore che ritorna per vedere che fine hanno fatto i suoi
beni affidati ai servi.
2)
Attesa di un incontro.
E’
vero che avvento vuol dire prima di tutto attesa, ma non è una
attesa vaga, generica e puramente sentimentale. E’ l’attesa di un
incontro personale, di luce. Un incontro che si esprime
particolarmente nel giorno del ricordo della sua venuta, ma che può
illuminare ogni giorno, ogni istante della nostra vita. L’avvento
è, quindi, il tempo in cui dobbiamo rinnovare la decisione di
spalancare al Salvatore la finestra del nostro cuore e della nostra
mente, perché ci illumini e rischiari tutto ciò che siamo.
Come
dobbiamo preparaci a questo incontro oltre al fatto che teniamo
vigilante il nostro essere, teso a Cristo?
Prima
di tutto cercando di arricchire il nostro sapere (che non vuole dire
solo conoscenza ma sapore) su Cristo, con lealtà e umiltà. In
effetti come possiamo riconoscerlo quando viene e amarlo se non lo
conosciamo e come possiamo conoscerlo se non lo “gustiamo”.
In
secondo luogo, pregando. Pregare, ovvero chiedere che lo Spirito
Santo ci illumini e sostenga la nostra ricerca del volto del Signore.
Questo
tempo, quindi, educa il cuore e la mente di ognuno ad un attesa che
sia reale, quotidiana, costante, nella tensione alla presenza di Chi
si è fatto uomo per noi e ha salvato la nostra vita: “Le festività
della Chiesa certo rammentano fatti trascorsi, ma sono anche
presente, attuazione viva; poiché ciò che è accaduto una volta
nella storia deve farsi continuamente evento nella vita del credente.
Allora è venuto il Signore, per tutti; ma Egli deve venire sempre di
nuovo per ciascuno” (Benedetto XVI).
I
tre Vangeli di San Marco, San Matteo e San Luca parlano di questa
venuta poco prima del racconto della passione di Cristo, si tratta
della sua ultima predicazione. Lo stile è apocalittico ( di cui ho
dato una sintetica spiegazione domenica scorsa): guerre,
devastazioni, catastrofi naturali, distruzione del mondo. Non ci
mettano troppa paura queste descrizioni drammatiche, è uno stile
soprattutto orientale per ricordare che davanti a Cristo tutto assume
un significato nuovo e anche il mondo, che sembra stabile ed eterno,
avrà una fine, quando il Signore verrà a ridare un nuovo ordine a
tutte le cose. Quindi anche nel Vangelo di San Luca, che leggeremo
in questo Anno C, il Messia usa parole apocalittiche cogliendo
l'occasione dalla lode che alcuni facevano del tempio di Gerusalemme,
ma affermando che questo tempio sarebbe stato distrutto (Lc
21,5-7). Vi sarebbero stati segni premonitori, quali guerre di un
popolo contro l'altro, persecuzione dei discepoli di Cristo, (Lc
21, 8-19) l'assedio e la distruzione di Gerusalemme (Lc
21,20-24). Dopo le sofferenze causate dagli uomini, Gesù passa, nel
brano di oggi a parlare degli eventi cosmici e della sua venuta nella
gloria. Il timore santo che può venire dall’ascoltare queste
parole ci aiuta a preparaci alla venuta di Cristo non solo in modo
sentimentale, ma coscienti che si tratta di un incontro decisivo per
la nostra esistenza.
In
questo ci può essere di esempio la Vergine Maria. Lei è un modello
da seguire in questa attesa perché la Madonna è “una semplice
ragazza di paese, che porta nel cuore tutta la speranza di Dio”
(Papa Francesco) e con il suo “sì”, con il suo “fiat”
ha preso carne la speranza di Israele e del mondo intero. Il tempo di
Avvento, che oggi di nuovo incominciamo, ci restituisce l’orizzonte
della speranza, una speranza che non delude perché è fondata sulla
Parola di Dio … Una speranza che non delude semplicemente perché
il Signore non delude mai! Lui è fedele!” (Id.).
La
verginità è il mezzo scelto da Dio per dare un nuovo inizio al
mondo. Come nella prima creazione, anche ora Dio crea “dal
nulla”, cioè dal vuoto delle possibilità umane, senza bisogno
di alcun concorso e di alcun appoggio. E questo “nulla”, questo
vuoto, questa assenza di spiegazioni e di cause naturali, è
rappresentato appunto dalla verginità di Maria.
In
questo Avvento, contempliamo la verginità di Maria per una
meditazione sulla castità perfetta per il Regno dei cieli.
San
Cipriano scriveva alle prime vergini cristiane "Voi avete
cominciato a essere ciò che noi tutti un giorno saremo” (Sulle
Vergini, 22, PL 4, 475). Una tale profezia, lontano dall’essere
contro gli sposati, è invece anzitutto per loro, a loro beneficio.
Ad essi ricorda che il matrimonio è santo, è bello, è creato da
Dio e redento da Cristo, è immagine dello sposalizio tra Cristo e la
Chiesa, ma che non è tutto. Cristo è tutto.
Con
il loro “sì” senza riserve a Dio, con loro la vita umile,
semplice, povera, obbediente, fedele come quello della Madonna anche
tra le prove e le difficoltà, rendono visibile il Cristo. Col dono
della propria vita affrettano l'avvento di Cristo e del Suo Regno.
Con la consacrazione le consacrate diventano per tutti gli uomini
segno dell’amore di Dio e dei beni eterni che Lui ci dona.
Lettura
patristica
San
Gregorio Magno
Sermo
1, 1-3
Fratelli
carissimi, il nostro Signore e Redentore, volendoci trovare preparati
e per allontanarci dall’amore del mondo, ci dice quali mali ne
accompagnino la fine. Ci scopre quali colpi ne indichino la fine, in
modo che se non temiamo Dio nella tranquillità, il terrore di quei
colpi ci faccia temere l’imminenza del suo giudizio. Infatti alla
pagina del santo Vangelo che avete ora sentito, il Signore poco prima
ha premesso: "Si
leverà popolo contro popolo e regno contro regno; vi saranno
terremoti, pestilenze e carestie dappertutto"
(Lc
21,10-11);
e poi ancora: "Ci
saranno anche cose nuove nel sole, nella luna e nelle stelle; sulla
terra le genti saranno prese da angoscia e spavento per il fragore
del mare in tempesta"
(Lc
21,25);
dalle cui parole vediamo che alcune cose già sono avvenute e
tremiamo per quelle che devono ancora arrivare. Che le genti si
levino contro altre genti e che la loro angoscia si sia diffusa sulla
terra l’abbiam visto più ai nostri tempi che non sia avvenuto nel
passato. Che il terremoto abbia sconquassato innumerevoli città,
sapete quante volte l’abbiam letto. Di pestilenze ne abbiamo senza
fine. Di fatti nuovi nel sole, nella luna e nelle stelle, apertamente
per ora non ne abbiam visto nulla, ma che non siano lontani ce ne dà
un segno il cambiamento dell’aria. Tuttavia prima che l’Italia
cadesse sotto la spada dei pagani, vedemmo in cielo eserciti di
fuoco, cioè proprio quel sangue rosseggiante del genere umano, che
poi fu sparso. Di notevoli confusioni di onde e di mare non ne
abbiamo ancora avute, ma poiché molte delle cose predette già si
sono avverate, non c’è dubbio che avvengano anche le poche, che
ancora non si sono avverate; il passato è garanzia del futuro.
Queste
cose, fratelli carissimi, le andiamo dicendo, perché le vostre menti
stiano vigilanti nell’attesa, non s’intorpidiscano nella
sicurezza, non s’addormentino nell’ignoranza e vi stimoli alle
opere buone il pensiero del Redentore che dice: "Gli
abitanti della terra moriranno per la paura e per il presentimento
delle cose che devono avvenire. Infatti le forze del cielo saranno
sconvolte"
(Lc
21,26).
Che cosa il Signore intende per forze dei cieli, se non gli angeli,
arcangeli, troni, dominazioni, principati e potestà, che appariranno
visibilmente all’arrivo del giudice severo, perché severamente
esigano da noi ciò che oggi l’invisibile Creatore tollera
pazientemente? Ivi stesso si aggiunge: "E
allora vedranno venire il Figlio dell’uomo sulle nubi con gran
potenza e maestà".
Come se volesse dire: Vedranno in maestà e potenza colui che non
vollero sentire nell’umiltà, perché ne sentano tanto più
severamente la forza, quanto meno oggi piegano l’orgoglio del loro
cuore innanzi a lui.
Ma
poiché queste cose sono state dette contro i malvagi, ecco ora la
consolazione degli eletti. Difatti viene soggiunto: "All’inizio
di questi avvenimenti, guardate e sollevate le vostre teste, perché
s’avvicina il vostro riscatto".
È la Verità che avverte i suoi eletti dicendo: Mentre s’addensano
le piaghe del mondo, quando il terrore del giudizio si fa palese per
lo sconvolgimento di tutte le cose, alzate la testa, cioè prendete
animo, perché, se finisce il mondo, di cui non siete amici, si
compie il riscatto che aspettate. Spesso nella Scrittura il capo sta
per la mente, perché come le membra son guidate dal capo, così i
pensieri sono ordinati dalla mente. Sollevare la testa, quindi, vuol
dire innalzare le menti alla felicità della patria celeste. Coloro,
dunque, che amano Dio sono invitati a rallegrarsi per la fine del
mondo, perché presto incontreranno colui che amano, mentre se ne va
colui ch’essi non amavano. Non sia mai che un fedele che aspetta di
vedere Dio, s’abbia a rattristare per la fine del mondo. Sta
scritto infatti: "Chi
vorrà essere amico di questo mondo, diventerà nemico di Dio"
(Jc
4,4).
Colui che, allora, avvicinandosi la fine del mondo, non si rallegra,
si dimostra amico del mondo e nemico di Dio. Ma non può essere
questo per un fedele, che crede che c’è un’altra vita e l’ama
nelle sue opere. Si può dispiacere della fine di questo mondo, chi
ha posto in esso le radici del suo cuore, chi non tende a una vita
futura, chi neanche sospetta che ci sia. Ma noi che sappiamo
dell’eterna felicità della patria, dobbiamo affrettarne il
conseguimento. Dobbiamo desiderare d’andarvi al più presto
possibile per la via più breve. Quali mali non ha il mondo? Quale
tristezza e angustia vi manca? Che cosa è la vita mortale, se non
una via? E giudicate voi stessi, fratelli, che significherebbe
stancarsi nel cammino d’un viaggio e tuttavia non desiderare
ch’esso sia finito.