venerdì 30 ottobre 2015

I Santi: gli amici di Dio

Festa di Tutti i Santi - Domenica XXXI del Tempo Ordinario – Anno B – 1 novembre 2015
Rito Romano
Ap 7,2-4.9-14; Sal 23; 1 Gv 3,1-3; Mt 5,1-12a

Rito Ambrosiano
Is 56,3-7; Sal 23; Ef 2,11-22; Lc 14,1a.15-24
II Domenica dopo Dedicazione del Duomo di Milano.

1) Concittadini e famigliari del cielo.
La liturgia, che il 1° novembre celebra la Solennità di Tutti i Santi1 e che il 2 novembre ricorda tutti morti, ci fa venerare la memoria2 dei santi non solamente averli modelli esemplari o protettori soccorrevoli, ma per farci vivere in loro compagnia, mediante una famigliarità che si fa preghiera e che consolida l’unione di tutta la Chiesa nello Spirito Santo, mediante l’esercizio della carità fraterna. Per aiutare a capire e vivere sempre di più la preghiera di lode a Dio per i Santi e la carità per i defunti propongo quindi alcune riflessioni sulla comunione dei santi e sulla vita eterna.
a- Credere e vivere la comunione dei santi3, vuol dire credere e vivere la misteriosa ma reale vita in comune che noi condividiamo coi santi: la vita di Cristo in noi è la stessa vita che è in loro. Come la comunione tra di noi che siamo in cammino su questa Terra ci porta più vicino a Cristo, così la comunione con i santi ci unisce a Cristo, dal quale, come dalla fonte e dal capo, viene tutta la grazia e tutta la vita dello stesso popolo di Dio. Niente è più bello di questa condivisione operata in noi e nei santi dallo Spirito Santo. Grazie a questo amore di condivisione possiamo vivere nella Comunione dei Santi che s’inizia in casa, in fabbrica, in ufficio, nei campi, ovunque una persona umana col suo lavoro esegue il disegno della divina carità condividendo la vita quotidiana. L'amore che trafigge le nostre opere di vita provvisoria e le trasforma in opere di vita eterna. La Comunione dei Santi è una comunione di amore, che affratella soprattutto nella preghiera tutti i fedeli di Cristo: quelli che sono pellegrini su questa Terra, quelli che, defunti, compiono la loro purificazione, e quelli che sono felici in cielo. Tutti insieme formiamo una sola Chiesa: Una comunità immensa di fratelli e sorelle che nel Fratello dicono Padre Nostro (Cfr. Clemente Rebora).
b- Credere e vivere la vita eterna per noi cristiani non vuol dire credere solamente in una vita che dura per sempre, ma anche in una nuova qualità di esistenza, pienamente immersa nell’amore di Dio, che libera dal male e dalla morte e ci pone in comunione senza fine con tutti i fratelli e le sorelle che partecipano dello stesso Amore. L’eternità, pertanto, può essere già presente al centro della vita terrena e temporale, quando l’anima, mediante la grazia, è congiunta a Dio, suo ultimo fondamento. “Tutto passa: solo Dio non muta” (Santa Teresa d’Avila). Dice un Salmo: “Vengono meno la mia carne e il mio cuore; ma la roccia del mio cuore è Dio, è Dio la mia sorte per sempre” (Sal 72/73, 26). Tutti i cristiani, chiamati alla santità, sono uomini e donne che vivono saldamente ancorati a questa “Roccia”. Hanno i piedi sulla terra, ma il cuore già nel Cielo, definitiva dimora degli amici di Dio.


2) Nostalgia del Cielo e Comunione felice.
Mentre auguro che queste due feste liturgiche risveglino in noi una nostalgia del Cielo, vorrei invitare a coltivare non solo il desiderio della compagnia dei Santi, ma anche la preghiera perché Cristo, nostra vita, si mostri anche a noi come si è mostrato ai Santi e ci faccia essere sempre più radicati in Lui. In questa comunione felice dei santi è quanto mai utile e necessaria la preghiera che raccomanda alla misericordia di Dio i defunti che in Lui sono vivi, che ci hanno preceduto e che ci attendono. Essa è garanzia di consolazione, come ci ricorda Sant’Agostino, che scrive: “Una lacrima per i defunti evapora, un fiore sulla tomba appassisce, una preghiera, invece, arriva fino al cuore dell’Altissimo”, che redime con il dono del Figlio in Croce. Per questo abbiamo la certezza che “nessuno andrà perduto”: l’amore di Cristo per noi Gli ha trafitto le mani e ci ha “inchiodati” eternamente a Cristo. Quelle piaghe sono ora gloriose, e riempiono di speranza ogni frammento della nostra vita che, in Lui, è ancorata per l’eternità. A questo riguardo Papa Francesco ha ricordato che i primi cristiani rappresentavano la speranza con un’ancora,come se la vita fosse l’ancora gettata nella riva del Cielo e tutti noi incamminati verso quella riva, siamo aggrappati alla corda dell’ancora … è una bella immagine, questa speranza. Avere il cuore ancorato là dove sono i nostri cari, parenti e amici: dove sono i nostri antenati, dove sono i santi, dove è Gesù. Dove è Dio. Questa è la speranza: questa è la speranza che non delude. E’ una speranza sicura che viene dalla fede la quale ci assicura che niente va perduto in Cielo, dove ci sarà il ricongiungimento con nostro padre, nostra madre, i nostri fratelli e sorelle e tutti gli amici.
In effetti, l’amore più forte della morte è la garanzia che ci sarà il ricongiungimento tanto desiderato. Il cuore appassionato di Cristo è la nostra “dimora stabile e definitiva”, dove ci ritroveremo per sempre uniti nell’Amore, per l’Amore e dall’Amore. Per questo il 2 novembre “commemoriamo” i nostri fratelli defunti: facciamo memoria “con loro” dello stesso amore che ci ha raggiunti e uniti nella grande famiglia di Dio. La liturgia non fa tanto memoria della morte, quanto della risurrezione. La liturgia parla di lacrime asciugate dalla mano di Dio. La preghiera liturgica per i defunti ci fa chiedere: “ammettili a godere la luce del tuo volto”. Ecco un verbo umile e forte, disarmato ed umano: godere. L’Eternità fiorisce nella gioia di un amore goduto per sempre perché niente ci può separare da esso, come ci insegna l’Apostolo Paolo: “Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Né angeli né demoni, né vita né morte, nulla ci potrà mai separare dall’amore” (Rm 8,35­37). Preghiamo allora con tutta la Chiesa, che nella Colletta della Messa ci fa chiedere: “Ascolta, o Dio, la preghiera che la comunità dei credenti innalza a te nella fede del Signore risorto, e conferma in noi la beata speranza che insieme ai nostri fratelli defunti risorgeremo in Cristo a vita nuova. Amen”.
Questo propongo per invitare a vivere la festa dei santi e la commemorazione dei defunti secondo l’autentico spirito cristiano, cioè nella luce che proviene dal Mistero pasquale. Cristo è morto e risorto e ci ha aperto il passaggio alla casa del Padre, il Regno della vita e della pace. Chi segue Gesù in questa vita è accolto là, dove Lui ci ha preceduto e ci attende.


3) Via di santità.
Concludo queste riflessioni con alcuni pensieri sulla santità, perché questo è il tema unificante dei due giorni che siamo chiamati a vivere come membri della Comunione dei Santi.
La santità, lo sappiamo bene, è per tutti, come ci insegna la Bibbia già nell’Antico Testamento: “Siate santi, perché io, il Signore, Dio vostro, sono santo” (Lv 19,2). E nel Nuovo Testamento San Paolo scriverà: “Questa è la volontà di Dio che siate santi” (1 Ts. 4,3) seguendo in ciò Cristo che nel discorso della Montagna aveva detto: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5, 48).
In che cosa consiste questa perfezione, questa santità di Dio? Consiste nella pienezza dell’Amore che è Dio. Santo è chi crede all’amore e ha fiducia in Gesù, che ha rivelato la misericordia di Dio. Misericordia gratuitamente offerta e continuamente offerta e offerta a tutti.
La santità non è qualcosa cosa che interessa solo alcuni che hanno doti particolare “La santità non è qualcosa di straordinario, non è per pochi eletti. La santità è per ciascuno di noi un dovere semplice”(Madre Teresa di Calcutta). I santi sono i salvati, sono coloro che hanno risposto con amore all’Amore, fino a dare la vita per il Signore.
Oltre al martirio, il modo più alto di donare la vita al Signore è quello della virginità. Le donne, che consacrano la loro verginità per il Regno di Dio4 restando nel mondo, mostrano che il dono di se stesse e di tutta la loro esistenza è possibile ogni giorno, nell’umiltà della vita quotidiana orientata costantemente a Dio amato sopra ogni cosa, nelle gioie e nelle sofferenze.
Le qualità che fanno da ornamento a questa vita sono: la virginità consacrata e spiritualmente feconda, la carità appassionata, modestia riservata, dolcezza discreta, l’umiltà mariana: in breve: la sapienza del cuore. Per questo nel giorno della loro consacrazione la Chiesa chiede per queste donne che “Contemplino sempre il divino Maestro e al suo esempio conformino la loro vita. Risplenda in loro una perfetta castità, un'obbedienza generosa, una povertà vissuta con letizia evangelica. Ti piacciano per l'umiltà, o Padre, ti servano docilmente, aderiscano a te con tutto il cuore. Siano pazienti nelle prove, saldi nella fede, lieti nella speranza, operosi nell’amore. La loro vita a te consacrata edifichi la Chiesa, promuova la salvezza del mondo e appaia come segno luminoso dei beni futuri” (RCV n. 8).
1  Già nel 4° secolo, la Chiesa celebrava la memoria di tutti i cristiani martiri della fede il 13 maggio. Nel 615 Papa Bonifacio IV ufficializzò questa celebrazione istituendo la “Festa di Tutti i Martiri” per commemorare la dedicazione del Pantheon, un antico tempio romano trasformato in Chiesa cristiana dedicata alla Beata Vergine Maria e a tutti i martiri. Questo tempio dedicato a tutti gli dei (Pantheon) fu così convertito per celebrare la memoria dei Martiri, cioè di coloro che “vengono dalla grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello” (Ap 7,14). Successivamente, la celebrazione di tutti i martiri è stata estesa a tutti i santi. Infatti, nel corso dell’8° secolo, per iniziativa dei Vescovi franchi, la festa di Tutti i Martiri prese il nome di Festa di Ognissanti e fu spostata all’1 novembre.

2  Molto più di un semplice ricordo, la memoria è un’intimità che supera tempo e spazio, il “memoriale” che nella Scrittura giunge a diventare “il presente del passato” (S. Agostino).

3  Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma al n. 960 che “l’espressione comunione dei santi indica prima di tutto le “cose sante” [“sancta”], e innanzi tutto l’Eucaristia con la quale viene rappresentata e prodotta l’unità dei fedeli, che costituiscono un solo corpo in Cristo. E al n. 961 ricorda che comunione dei santi designa anche la comunione delle “persone sante” [“sancti”] nel Cristo che è “morto per tutti”, in modo che quanto ognuno fa o soffre in e per Cristo porta frutto per tutti.


4  La consacrazione è il dono totale di se stessi a Dio, non solo al fine di realizzare la propria vocazione ma per il bene di tutti, perché anche gli altri giungano alla vittoria finale, al Regno di Dio.



                                              Lettura Patristica
San Bernardo di Chiaravalle
Discorso 2 per la Festa di Tutti i Santi
Opera omnia,
ed. Cisterc. 5 [1968] 364-368.


A che serve dunque la nostra lode ai santi, a che il nostro tributo di gloria, a che questa stessa nostra solennità? Perché ad essi gli onori di questa stessa terra quando, secondo la promessa del Figlio, il Padre celeste li onora? A che dunque i nostri encomi per essi? I santi non hanno bisogno dei nostri onori e nulla viene a loro dal nostro culto. E’ chiaro che, quando ne veneriamo la memoria, facciamo i nostri interessi, non i loro. Per parte mia devo confessare che, quando penso ai santi, mi sento ardere da grandi desideri. Il primo desiderio, che la memoria dei santi o suscita o stimola maggiormente in noi, é quello di godere della loro tanto dolce compagnia e di meritare di essere concittadini e familiari degli spiriti beati, di trovarci insieme all’assemblea dei patriarchi, alle schiere dei profeti, al senato degli apostoli, agli eserciti numerosi dei martiri, alla comunità dei confessori, ai cori delle vergini, di essere insomma riuniti e felici nella comunione di tutti i santi.
Ci attende la primitiva comunità dei cristiani, e noi ce ne disinteresseremo? I santi desiderano di averci con loro e noi e ce ne mostreremo indifferenti? I giusti ci aspettano, e noi non ce ne prenderemo cura? No, fratelli, destiamoci dalla nostra deplorevole apatia. Risorgiamo con Cristo, ricerchiamo le cose di lassù, quelle gustiamo. Sentiamo il desiderio di coloro che ci desiderano, affrettiamoci verso coloro che ci aspettano, anticipano con i voti dell’anima la condizione di coloro che ci attendono. Non soltanto dobbiamo desiderare la compagnia dei santi, ma anche di possederne la felicità. Mentre dunque bramiamo di stare insieme a loro, stimoliamo nel nostro cuore l’aspirazione più intensa a condividerne la gloria. Questa bramosia non é certo disdicevole, perché una tale fame di gloria é tutt’altro che pericolosa. Vi é un secondo desiderio che viene suscitato in noi dalla commemorazione dei santi, ed é quello che Cristo, nostra vita, si mostri anche a noi come a loro, e noi pure facciamo con lui la nostra apparizione nella gloria. Frattanto il nostro capo si presenta a noi non come é ora in cielo, ma nella forma che ha voluto assumere per noi qui in terra. Lo vediamo quindi non coronato di gloria, ma circondato dalle spine dei nostri peccati. Si vergogni perciò ogni membro di far sfoggio di ricercatezza sotto un capo coronato di spine. Comprenda che le sue eleganze non gli fanno onore, ma lo espongono al ridicolo. Giungerà il momento della venuta di Cristo, quando non si annunzierà più la sua morte. Allora sapremo che anche noi siamo morti e che la nostra vita é nascosta con lui in Dio. Allora Cristo apparirà come capo glorioso e con lui brilleranno le membra glorificate. Allora trasformerà il nostri corpo umiliato, rendendolo simile alla gloria del capo, che é lui stesso.
Nutriamo dunque liberamente la brama della gloria. Ne abbiamo ogni diritto. Ma perché la speranza di una felicità così incomparabile abbia a diventare realtà, ci é necessario il soccorso dei santi. Sollecitiamolo premurosamente. Così, per loro intercessione, arriveremo là dove da soli non potremmo mai pensare di giungere

Godete e rallegratevi, perché grande è la vostro ricompensa nei cieli.
La beatitudine, consiste nel raggiungimento di ciò che colma e fa felice definitivamente il cuore dell’uomo. È la felicita che hanno conseguito i santi, che oggi celebriamo riuniti in un’unica festa. È una schiera che nessuno può numerare e che hanno lavato le loro vesti nel sangue dell’ Agnello, hanno cioè sperimentato in vita e in morte l’infinita misericordia di divina e vivono, anche per le loro virtù, nella beatitudine eterna. Una beatitudine a cui ogni fedele aspira nella speranza che lo stesso Cristo ci infonde. Il Cristo annuncia una felicità che non è nell’ordine dei valori terreni, ma è in vista del Regno, proclamato da lui, e, pur cominciando già su questa terra per coloro che accolgono Cristo e le sue esigenze, sarà definitiva solo nell’eternità. La Chiesa, formata da tutti i santi, ci invita oggi a guardare al futuro e al premio che Dio ha riservato a coloro che lo seguono nel difficile cammino della perfezione evangelica. Tutti vorremmo che, dopo la nostra morte, questo giorno fosse anche la nostra festa. Gesù ci invita a godere e rallegrarci già durante il percorso in vista dell’approdo finale. La santità quindi non è la meta di pochi privilegiati, ma l’aspirazione continua e costante di ogni credente, nella ferma convinzione che questa è innanzi tutto un progetto divino che nessuno esclude e che ci è stata confermata a prezzo del sacrificio di Cristo, che ha dato la vita per la nostra salvezza, quindi per la nostra santità. Non conseguire la meta allora significherebbe rendersi responsabile di quel grande peccato, che nessuno speriamo commetta, di vanificare l’opera redentiva del salvatore. Sant’Agostino, mosso da santa invidia soleva ripetersi: “Se tanti e tante perché non io?”

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