Domenica
XIX del Tempo Ordinario – Anno B – 9 agosto 2015
Rito
Romano
1
Re 19, 4-8; Sal 33/34; Ef 4,30-5,2; Gv 6, 41-51
Rito
Ambrosiano
1Re
18,16b-40a; Sal 15; Rm 11,1-15; Mt 21, 33-46
XI
Domenica dopo Pentecoste
1)
Pane di Vita eterna.
Due
domeniche fa abbiamo visto il dono del pane che Gesù fa sul lago di
Tiberiade, moltiplicando cinque pani per condividerli con numerosa
gente che lo seguiva. Domenica scorsa, abbiamo visto questa gente
cercare perché voleva ancora mangiare di quel pane moltiplicato e
condiviso. Oggi, il Messia spiega che l’importante non è il pane
della terra, ma il Pane del cielo, cioè Lui stesso. Di fronte a
questa affermazione di Gesù: “Sono io il pane disceso dal cielo”
(Gv 6, 48), i giudei reagiscono mormorando. Non riescono a
convincersi dell’origine divina di Gesù. Per loro che pensano di
conoscerlo bene, è solamente il figlio di Giuseppe e allora come
poteva essere sceso dal cielo? Di fronte alle mormorazioni dei
giudei, Gesù non discute, ma riafferma: “Sono io il pane disceso
dal cielo”, “Sono io il pane della vita”.
Non è il pane di Mosè
che dà la vita per sempre: “I vostri padri mangiarono la manna nel
deserto, eppure sono morti” (Gv 6, 49). Gesù - e solo Gesù
- è il “Pane”, la Parola e la sapienza di cui l’essere umano
ha fame. Più avanti si comprenderà che il pane è anche
l’Eucaristia, ma ora - a questo punto del discorso – l’insistenza
è sulla Parola. L’Antico Testamento è tutto percorso da
un'ansiosa ricerca della Parola di Dio che rischiara il cammino della
vita e ne rivela il senso. Nella tradizione giudaica la manna era
divenuta il simbolo della Parola. E i giudei lo attendevano di nuovo
in dono, abbondantemente. Il nostro passo evangelico afferma che
proprio Gesù, il figlio del falegname, riassume in sé tutta questa
attesa e la porta a compimento. Di fronte al rifiuto dei giudei Gesù
non si limita a denunciare l’incredulità, né si accontenta di
indicarcene la ragione. Ci svela l’origine e le condizioni della
fede. Il pensiero è tanto importante che Gesù lo ripete due volte:
“Chi ascolta il Padre e si lascia da lui istruire viene a me”,
“Nessuno viene a me se il Padre non lo attira”. Nessuno può
andare da Cristo, se il Padre non lo attira. Non si diventa cristiani
se non per questa attrazione, non certo per via di indottrinamento.
Noi diventiamo cristiani per attrazione: siamo attirati da un Dio
buono come il pane, umile come il pane, cibo inesauribile che
alimenta la vita, ogni vita, tutta la vita.
Nel cuore di ogni uomo
c’è l’attrazione al Figlio, esercitata dal Padre. La struttura
fondamentale dell’uomo è essere figlio. Anche il desiderio di
fraternità indica la necessità di un padre (Gesù è la prima
persona che ha vissuto nel corpo la realtà di Figlio del Padre e di
fratello di tutti.). E cosa vuole un figlio dal padre? Vuole la vita
nell’amore. Vuole essere amato incondizionatamente dal Padre. Tutto
ciò è inscritto nel cuore di ogni persona umana ed è questo
desiderio dell’amore del Padre che ci fa figli e ci attira al
Figlio, fratello nostro, fonte inesauribile di vita, di bene e
grazia.
Il Padre ci attira non
con la costrizione ma con il dono di suo Figlio, un’offerta che
suscita la libertà del destinatario: la manna è dono e
domanda (manna viene da man hu: che cos’è?); il
dono che Gesù è, suscita a sua volta alcune domande sulla sua
identità (“chi è?”: cfr. Gv 6,42). Così, le domande
incredule di coloro che conoscendo l’origine umana di Gesù non
accedono alla fede in lui quale rivelatore di Dio, non dicono
solamente il peccato di chi le formula, ma esprimono anche il
carattere non coercitivo e non obbligante del dono che Gesù è e fa.
Il vero dono si espone alla libertà del destinatario, anche al
possibile rifiuto. Anche all’umiliazione dell’indifferenza o del
rigetto.
2)
Mangiare.
Il
Vangelo di oggi, nei versetti finali, 48-51, parla di carne da
mangiare. E credere sarà sostituito dal mangiare e dal bere. Credere
è qualcosa di molto concreto: è mangiare. Mangiare è il processo
di assimilazione, così anche il bere. L’Eucaristia è
l’assimilazione del Figlio e vedremo come avviene.
Credo, dunque, che sia
corretto dire che il verbo principale del Vangelo di oggi è
“mangiare”. Esso indica un gesto semplice, quotidiano, ma vitale.
Mangiare è questione di vita o di morte e Dio è questo: è una
questione di vita o di morte. Ne va della nostra vita. Il segreto, il
senso ultimo nel tempo e nell’eterno è vivere di Dio. Cristo non
si dà da mangiare solo per farci diventare più buoni, ma per farci
diventare Dio, figli nel Figlio. Mangiare il corpo e il sangue di
Cristo non tende ad altro che a trasformarci in quello che riceviamo
(Leone Magno).
Il corpo di Cristo, il
suo essere uomo tra noi, la povera umanità che ha assunto, è il
Pane che dà la vita eterna. E l’uomo è strappato alla morte ed è
risuscitato “nell'ultimo giorno”, ma già ora chi crede in Cristo
possiede la vita eterna. “Come il legno della vite, piantato in
terra, dà frutto a suo tempo, come il grano di frumento, caduto in
terra e marcito, sorge molteplice, allo stesso modo i nostri corpi,
nutriti dell'Eucaristia, deposti in terra e qui dissolti,
risorgeranno a suo tempo perché il Verbo di Dio elargirà loro la
risurrezione a gloria di Dio Padre. Dio non ha... tollerato che ci
dissolvessimo nella terra” (Ireneo di Lione).
Gesù è venuto a
portare molto più del perdono dei peccati: ha portato se stesso, ha
dato se stesso, offrendosi come cibo. Tutta la vita del Figlio fu ed
è Eucaristia, quindi tutto è da Lui visto come Eucaristia.
Mangiare la carne e il sangue di Cristo, non si riduce perciò al
rito della Messa. Il corpo di Cristo non sta solo sull’altare - del
suo Spirito è piena la terra - Dio si è vestito d’umanità, al
punto che l’umanità intera è la “carne” di Dio. Infatti Lui
disse: “Quello che avete fatto a uno di questi l’avete fatto a
me”. “Mangiare il pane di Dio” è nutrirsi di Cristo e di
Vangelo, è mangiare quel pane buono, costantemente.
Domandiamoci allora:
noi di che cosa ci nutriamo? Di che cosa alimentiamo cuore e
pensieri? Stiamo mangiando generosità, bellezza, profondità? O
stiamo nutrendoci di superficialità, miopie, egoismi, intolleranze,
insensatezze? Se accogliamo in noi pensieri degradati questi ci
riducono come loro; se accogliamo pensieri di Vangelo, di bontà e di
bellezza essi ci fanno uomini e donne della bellezza. Se ci nutriamo
di Vangelo, il Vangelo dà forma al nostro pensare, al sentire,
all’amare. Se ci nutriamo del Corpo di Cristo, ci assimiliamo a Lui
e diventiamo ciò che ci abita.
Un esempio particolare
di vita eucaristica è quello che ci è offerto dalla Vergini
Consacrate nel mondo. Queste donne sono consapevoli che “la vita
consacrata ritrova la sua identità quando lascia trasparire nei
fatti la "memoria vivente del modo di esistere e di agire di
Gesù come Verbo incarnato di fronte al Padre e di fronte ai
fratelli. Essa è vivente tradizione della vita e del messaggio del
Salvatore” (Vita Consecrata, n. 22). Per questa ragione aderiscono
a Cristo, loro Sposo in modo speciale mediante la comunione. Alcuni
Maestri spirituali distinguono tre tipi di comunione che permettono
di aderire a Dio: l’Eucarestia, la contemplazione e l’obbedienza.
Questi tre tipi non si
oppongono tra di loro e la vita delle Vergini consacrate mostra come
essi siano tra loro uniti e fruttuosi.
Prima di tutto la
comunione eucaristica quotidiana che assicura alla Consacrate la
presenza e l’azione vivificante del Corpo e del Sangue, dell’anima
e della divinità di Cristo che si immola, che, dunque, diffonde la
sua vita. In secondo luogo la contemplazione. Essa è la preghiera
che diventa sguardo e con essa la persona consacrata si espone alla
luce del Verbo fatto carne, luce che ci trasforma di chiarore in
chiarore. Infine, l’obbedienza che non è vissuta dalle Vergini
consacrate come sottomissione esteriore o come semplice esecuzione di
un ordine, ma il ripetere nella vita di ogni giorno il “sì” di
Maria al Signore che chiede di dimorare in loro e, tramite loro, nel
mondo.
Lettura
Patristica
Sant’Agostino
d’Ippona
Comment. in Ioan.,
26, 2.4.10.13
Solo un cuore che
ama può comprendere
"Non
mormorate tra voi: nessuno può venire a me se non lo attira il Padre
che mi ha mandato"
(Jn
6,43-44).
Con
queste parole il Signore ci annunzia una grande grazia. Nessuno va a
lui se non è attirato. Non cercare di giudicare chi è che sarà
attirato e chi è che non lo sarà, né di stabilire perché uno sarà
attirato e un altro non lo sarà, se non vuoi sbagliare. Accetta
queste parole e cerca di capirle. Non sei attratto dal Signore? Prega
per esserlo. Cosa veniamo a dire, fratelli? Che se siamo attirati a
Cristo, allora crediamo nostro malgrado, cioè è per effetto della
costrizione, non per effetto della nostra libera volontà? In verità,
si può entrare nella chiesa contro la propria volontà, e, contro la
propria volontà si può essere indotti ad avvicinarci all’altare e
a ricevere i sacramenti; ma non si può credere contro la propria
volontà...
Quando
ascolti: «Nessuno viene a me se non è attirato dal Padre», non
pensare di essere attirato tuo malgrado. La tua anima è attirata
anche dall’amore. Non dobbiamo temere di essere rimproverati da
quanti stanno attenti alle parole, ma restano lontanissimi dalla
interpretazione delle cose divine, i quali, a proposito di questo
passo delle sante Scritture, potrebbero dirci: In qual modo credo di
mia volontà se sono attirato da Dio? Io rispondo: Non sei attirato
per mezzo della volontà, ma per mezzo della gioia. Che significa
essere attirati per mezzo della gioia? "Metti
nel Signore la tua gioia, ed egli ti darà ciò che domanda il tuo
cuore"
(Ps
36,4).
Si tratta di una certa qual gioia interiore, cui è nutrimento quel
pane celeste.
Se
il poeta ha potuto dire: «Ciascuno è attirato dal suo piacere»
(Virgilio, Egl.,
2), - ho detto piacere, non necessità, gioia, non costrizione -, con
quanta maggior ragione possiamo dire noi che l’uomo è attirato a
Cristo, in quanto in esso trova la gioia della verità, della
beatitudine, della giustizia, della vita eterna, tutto ciò insomma
che è Cristo medesimo? Se il corpo ha i suoi piaceri, perché
l’anima non dovrebbe avere i suoi? Se l’anima non avesse i suoi
piaceri, il salmista non direbbe: "I
figli dell’uomo spereranno sotto la protezione delle tue ali; si
inebrieranno per l’abbondanza della tua casa, e, tu darai loro da
bere alla fonte delle tue delizie; perché presso di te è la fonte
della vita e nella tua luce vedremo la luce"
(Ps
35,8ss).
Dammi
un cuore che ama, ed egli capirà ciò che io dico. Dammi un cuore
che desidera, un cuore affamato e assetato che si sente in esilio in
questa solitudine terrena, un cuore che sospira la fonte della sua
eterna dimora ed egli confermerà ciò che dico. Ma se io parlo a un
cuore gelido, egli non potrà capirmi. E tali erano coloro che
mormoravano...
"In
verità, in verità vi dico, chi crede in me ha la vita eterna"
(Jn
6,47).
Ha voluto rivelare la sua natura. Avrebbe potuto dire più
brevemente: Chi crede in me avrà me stesso. Cristo è infatti vero
Dio e vita eterna. Chi crede in me, egli dice, viene in me; e chi
viene in me, ha me stesso. Cosa intende, Cristo, dicendo «ha me
stesso»? Intende, avere la vita eterna.
Colui
che è vita eterna accettò la morte, ha voluto morire: ma nella tua
natura, non nella sua. Egli ha ricevuto la natura carnale da te, in
modo da morire per te. Ha preso la carne dagli uomini, ma non nel
modo in cui la prendono gli uomini. Egli, che ha il Padre nel cielo,
scelse una madre in terra: in cielo è nato senza madre, in terra è
nato senza padre. La vita ha accettato la morte, affinché la vita
uccidesse la morte. Dunque «chi crede in me - dice - ha la vita
eterna»; non la vita che appare manifesta, ma quella che sta
nascosta. Perché la vita eterna, cioè il Verbo, «in principio era
presso Dio, ed era Dio il Verbo, e la vita era la luce degli uomini».
Lui
che è vita eterna, ha dato la vita eterna alla carne che aveva
assunto. È venuto per morire e nel terzo giorno è risuscitato. Tra
il Verbo che accetta di farsi carne, e la carne che risuscita, la
morte è annientata...
"Io
sono il pane vivo, io che sono disceso dal cielo"
(Jn
6,51).
Cioè sono vivo perché discendo dal cielo. Anche la manna era
discesa dal cielo: ma la manna era un simbolo, questo pane è la
verità. "Se
uno mangia di questo pane vivrà in eterno; e il pane che io darò, è
la mia carne per la vita del mondo ()".
Come
la carne, cioè gli uomini, potevano comprendere il Signore che dava
al pane il nome di carne? Egli chiamava carne ciò che la carne non
può comprendere, e tanto meno lo comprende in quanto chiama il pane
carne. Per questo essi inorridirono, e dissero che era troppo, e che
non era possibile. «È la mia carne - disse -per la vita del mondo».
I
fedeli conosceranno il corpo di Cristo, se non trascureranno di
essere essi stessi il corpo di Cristo. Che divengano il corpo di
Cristo, se vogliono vivere dello Spirito di Cristo. Solo il corpo di
Cristo vive del suo Spirito. Cercate di capire, fratelli, quanto ho
detto. Tu sei un uomo, hai lo spirito e hai il corpo. Chiamo spirito
ciò che è chiamato anima, grazie alla quale l’uomo è uomo:
infatti l’uomo consta di anima e di corpo. Hai dunque uno spirito
invisibile, mentre il corpo è visibile. Dimmi: è il tuo spirito che
vive del tuo corpo, o il tuo corpo che vive del tuo spirito? Mi
rispondano coloro che vivono (e chi non può rispondere, io non so se
egli vive); è il corpo che vive del mio spirito. Tu vuoi vivere
dello Spirito di Cristo? Sii nel corpo di Cristo. Forse che - obietti
- il mio corpo vive del tuo spirito? Il mio corpo vive del mio
spirito, e il tuo del tuo. Il corpo di Cristo non può vivere se non
dello Spirito di Cristo. Questo ci dice l’apostolo Paolo quando ci
spiega la natura di questo pane: "Un
solo pane, un solo corpo siamo noi, anche se siamo molti"
(1Co
10,17).
Oh,
grande mistero d’amore! grande simbolo di unità! grande legame di
carità! Chi vuol vivere, ha dove vivere, e ha di che vivere. Si
avvicini, creda, entri nel corpo, e parteciperà alla vita. Non fugga
la unione con gli altri membri, non sia un membro corrotto che merita
di essere tagliato, non sia un membro difforme di cui il corpo debba
vergognarsi, sia bello, sia composto, sia sano, si unisca al corpo e
viva di Dio e per Dio: si affaticherà sulla terra, ma per regnare,
dopo, in cielo.
Nessun commento:
Posta un commento