Domenica XV del Tempo Ordinario – Anno
B – 12 luglio 2015
Rito Romano
Am
7,12-15; Sal 84; Ef 1,3-14; Mc 6,7-13
Rito Ambrosiano
Gs 10,6-15; Sal 19; Rm 8,31b-39; Gv 16,33-17,3
VII Domenica dopo Pentecoste.
1) I Discepoli
sono dei chiamati.
L’evangelista Marco man mano
che ci presenta la figura di Cristo, vero Uomo e vero Dio, ci mostra anche i
tratti essenziali della figura dei suoi discepoli (quelli di allora e quello di
oggi), che sono 1. l’abbandono completo nella sequela, 2. l’amorosa confidenza,
3. la missionarietà che reca gioia. Infatti, nel brano evangelico di questa
domenica San Marco parla di Gesù che invia i suoi discepoli in missione, perché il discepolo è colui che ha lasciato
tutto per seguire Cristo e diventarne missionario con una fiducia tale da
servirsi solo di mezzi poveri: un paio di sandali, un vestito e un bastone per
il cammino.
Dunque, il discepolo è colui, che
ascolta, crede, si distacca da ciò che gli è caro e si pone al seguito di Gesù,
che gli è diventato ciò che di più caro ha: Gesù è la perla preziosa.
Il discepolo rimane con Cristo, fa
vita comune e itinerante con Lui, che lo invia in missione. Ma c’è anche un
altro aspetto: il discepolo è inviato in missione. In effetti, San Marco ci
dice che Cristo ha inviato i suoi discepoli per compiere la missione portare a
tutti i popoli l’annuncio gioioso non solo che la salvezza è vicina ma che il
Salvatore è incontrabile tramite la presenza dei suoi discepoli di vita nuova.
E questo è vero anche oggi perché il
cristianesimo vive come un fatto presente e si comunica come incontro reale.
Ma va tenuto presente che il discepolo cristiano è
anzitutto un chiamato da Dio che si è fatto incontro. Propriamente parlando,
non si diviene cristiani per autonoma scelta; lo si diventa per risposta ad una
chiamata. C’è, infatti, un amore che precede la nostra risposta. E’ questo che
ci è insegnato da Cristo quando dice: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto
voi” (Gv …) e da San Paolo: “In Cristo (il Padre) ci ha scelti prima della
creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella
carità” (Ef 1, 46). Già l’Antico
Testamento, da Abramo in poi, pone Dio all’origine di ogni chiamata; l’iniziativa
di avviare la storia della salvezza del popolo d'Israele è tutta del Signore.
“Abramo, chiamato da Dio, obbedì” (Eb 11,
8).
Anche nelle narrazioni delle vocazioni profetiche emerge
con chiarezza il primato di Dio che chiama. Esemplare è la vicenda di Amos, che
ascoltiamo nella prima lettura della Messa di questa Domenica. Questo profeta è
come scaraventato dalla vocazione in un duro confronto con le ingiustizie del
potere politico. Inoltre deve scontrarsi con le fredde considerazioni del
“cappellano di corte”, il sacerdote Amasia, che lo esorta alla prudenza. Amos
ribatte al sacerdote che alla radice delle sue parole non c'è una sua scelta
personale legata a prospettive proprie. E' Dio stesso che lo ha costretto con
una ben precisa chiamata: “Non ero profeta, né figlio di profeta; ero un pastore
e un raccoglitore di sicomori; il Signore mi prese di dietro al bestiame e il
Signore mi disse: Va’, profetizza in mezzo al mio popolo Israele” (Am 7, 14 -15).
2) Discepoli cioè missionari.
Non solo il profeta è chiamato ad
essere missionario. Anche il discepolo è inviato in missione, come il
brano evangelico di oggi[1] (6,7-13)
ci fa meditare. Infatti, l’evangelista Marco annota che Gesù “li mandò” e
questo comporta almeno la consapevolezza di essere inviati da Dio e non da
decisione propria, mandati per un progetto in cui i discepoli sono coinvolti,
ma di cui non sono i proprietari.
Oggi
come allora i cristiani, che in quanto tali sono discepoli di Cristo, vengono
inviati quali Missionari della verità misericordiosa. Oggi come allora i
discepoli invitano la gente alla conversione e danno sollievo alla sofferenza.
Il messaggio, che in nome di Cristo
annunciano, è un invito alla conversione: “Giratevi verso la luce, perché la
luce è già qui. Pure e sante sono le nostre mani sui malati con le quali annunciamo:
Dio è già qui, è vicino a te con amore, e guarisce la vita, girati verso di lui”.
E’ importante capire l’insistenza di
Gesù evangelica sulla povertà come condizione indispensabile per la missione:
né pane, né bisaccia, né soldi. È una povertà che è fede, libertà e leggerezza.
Anzitutto, libertà e leggerezza: un discepolo appesantito dai bagagli diventa
sedentario, conservatore, incapace di cogliere la novità di Dio e abilissimo
nel trovare mille ragioni di comodo per giudicare irrinunciabile la casa nella
quale si è accomodato e dalla quale non vuole più uscire. Inoltre la povertà è
anche fede: è segno di chi non confida in se stesso ma si affida a Dio.
Ma c’è anche un altro aspetto che
non si può dimenticare: l’atmosfera “drammatica” della missione. Il rifiuto è
previsto (Mc 7, 11): la parola di Dio
è efficace, ma a modo suo. Il discepolo deve proclamare il messaggio e in esso
giocarsi completamente, ma deve lasciare a Dio il risultato. Al discepolo è
stato affidato un compito, ma non è garantito il successo.
Inoltre è importante non dimenticare
che il discepolo non è solo che è chiamato ad essere un maestro, ma è pure un
testimone che si impegna nella lotta contro il Male, perché è dalla parte della
verità, della libertà e dell'amore,
Infine,
non bisogna dimenticare che per essere missionari, bisogna prima di
tutto essere discepoli di Cristo, ascoltare sempre di nuovo l’invito a
seguirlo, imitandolo: “Imparate da me, che sono mite e umile di cuore” (Mt 11,29). Un discepolo, in effetti, è
una persona che si pone all’ascolto della Parola di Gesù (cfr Lc 10,39), riconosciuto come il Maestro
che ci ha amati fino al dono della vita. Si tratta dunque, per ciascuno di noi,
di lasciarsi plasmare ogni giorno dalla Parola di Dio: essa ci renderà amici
del Signore Gesù e capaci di far entrare altre persone in questa amicizia con
Lui. Questa amicizia fraterna con Cristo, centro della nostra vita, permette di
andare nelle periferie umane per portare a tutti la verità di Cristo, Amore
incarnato.
Un modo particolare di essere
“discepoli-missionari” (Papa Francesco) è quello delle vergini consacrate che
vivendo e lavorando nel mondo incontrano le persone che vivono e lavorano nelle
periferie esistenziali. Vi è uno stile femminile nel vivere la missione, uno
modo di essere discepole-missionarie come lo è stata la Vergine Maria, la
Discepola-Missionaria per eccellenza. Più che a Mnasone di Cipro che ospitò San
Paolo nel suo viaggio da Cesarea a Gerusalemme è alla Madonna che compete il
titolo di “discepolo della prima ora” (At
21, 16), perché credette al Figlio di Dio l’Altissimo nel momento nel momento
in cui si incarnava nel suo grembo per opera dello Spirito Santo. E’ Maria la
prima missionaria perché per prima portò Cristo sulle strade del mondo per
andare dalla cugina Elisabetta. Fu una missionaria che portava non un discorso,
ma il Vangelo in carne e ossa. Le Vergini consacrate imitano in modo speciale
la Madonna mediante la vigilanza e la preghiera, cioè mediante la custodia del
cuore offerto a Cristo con il dono della loro verginità, e la docilità allo
Spirito Santo. Mediante una vita riservata, anche se nel mondo le vergini
consacrate vivono un raccoglimento personale, grazie al quale si dedicano
all’ascolto delle Parola di Dio. Sul loro esempio, il nostro cuore e la nostra
mente tengano vivo l’amore materno, che anima tutti quelli che nella missione
della Chiesa cooperano alla rigenerazione degli uomini (Cfr Lumen Gentium, 65). Ogni cristiano è
chiamato a fare proprio l’atteggiamento di Maria per animare maternamente l’annuncio
evangelico di Cristo e per esercitare il “potere” di servire il Signore nei
fratelli e sorelle in umanità, vivendo nella propria situazione la fecondità
verginale della Chiesa, come appunto testimoniano le Vergini consacrate.
[1] “Chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche. E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro». Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano” (Mc 6. 7 – 13).
Lettura Patristica
Beda il
Venerabile,
In Evang. Marc., 2, 6, 6-9
Le
caratteristiche della missione dei discepoli
"E percorreva i villaggi circostanti insegnando. Chiamò poi i dodici e
cominciò a mandarli a due a due a predicare e dava loro il potere sugli spiriti
immondi" (Mc 6,6-7).
«Benevolo e clemente, il Signore e maestro non rifiuta ai servi e ai discepoli
i suoi poteri, e, come egli aveva curato ogni malattia e ogni debolezza, così
dà agli apostoli il potere di curare ogni malattia ed ogni infermità. Ma c’è
molta differenza tra l’avere e il distribuire, il donare e il ricevere. Gesù,
quando opera, lo fa col potere di un padrone; gli apostoli, se compiono
qualcosa, dichiarano la loro nullità e la potenza del Signore con le parole:
"Nel nome di Gesù, alzati e cammina"» (Girolamo).
"E ordinò loro di non prender nulla per il viaggio se non un bastone
soltanto, non bisaccia, non pane, né denaro nella cintura, ma andassero calzati
di sandali e non indossassero due tuniche" (Mc 6,8-9).
«Tanto grande dev’essere nel predicatore la fiducia in Dio che, sebbene non si
preoccupi delle necessità della vita presente, tuttavia deve sapere con
certezza che non gli mancherà niente. E questo per evitare che, se la sua mente
è presa da preoccupazioni terrene, egli non rallenti nell’impegno di comunicare
agli altri le parole eterne (Greg. Magno).
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