Domenica
XVI del Tempo Ordinario – Anno B – 19 luglio 2015
Rito
Romano
Ger
23,1-6; Sal 22; Ef 2,13-18; Mc 6,30-34
Rito Ambrosiano
Gdc
2, 6-17 ; Sal 105; 1Ts 2, 1-2. 4-12; Mc 10, 35-45
VIII
Domenica dopo Pentecoste.
1)
Compassione:
partecipazione profonda alla vita
dell'altro.
Coerente con il fatto
di aver scelto i suoi Apostoli “perché
stessero con lui e per mandarli a predicare.”
(Mc
3,14 – 15), Gesù invita a stare con Lui i discepoli che tornano
dal loro giro missionario perché si riposino: “Venite in disparte,
in un luogo solitario, e riposatevi un po’ ” (Mc
6, 31). La missione nata dalla comunione di vita con Cristo ha
bisogno di ristoro, richiede di andare in disparte per essere “soli”
con Gesù, in un luogo solitario per parlare al cuore (cfr Osea 2).
Questa “sosta di riposo” in disparte è usata dal Messia non solo
per dare la possibilità ai suoi discepoli di recuperare le forze ma
anche per introdurli ad una conoscenza più approfondita dei
“misteri del regno” (cfr. Mc
4,10-11) e renderli ancora più capaci di annunziare la Parola.
Qualcuno ha scritto: “Cammina per cercare gli altri, ma fermati per
trovare te stesso”. E’ quanto ci viene ricordato dall’invito
del Signore ai suoi discepoli. Anche con le migliori intenzioni e,
persino, allo scopo di far del bene agli altri, si può smarrire se
stessi. Ci si può “svuotare” al limite di non verificare più il
senso e l’orientamento per cui si lavora. Se questo può succedere
all'apostolo, al missionario, tanto più accade a chi si è come
ingolfato nella vita attiva di tutti i giorni, la vita che porta con
sé una serie di impegni e di problemi tutti all'esterno di noi.
E’ dunque
indispensabile accogliere l’invito di Gesù che dice anche a noi:
“Venite in disparte, con me”. Se stiamo con Gesù, impariamo da
lui il cuore di Dio. In questo tempo in disparte, il Signore concede
ciò che ha promesso di più prezioso, ciò che è più necessario:
concede se stesso. Riempiti dalla Sua presenza possiamo ritornare tra
la gente, portando con noi il cuore di Dio che fa di noi un santuario
di bellezza e compassione.
Secondo me, Gesù non
è preso dal dubbio di scegliere tra la stanchezza dei discepoli e la
domanda della gente che cerca. Il Cristo fai riposare gli amici e
risponde ai cercatori di Lui e della Sua parola. In questo modo i
discepoli imparano ad essere a disposizione dell’uomo, sempre.
Imparano a non appartenere a se stessi, ma al dolore e all’ansia di
luce dei cercatori di Luce. Imparano da Gesù la sua semplice e
divina capacità di commuoversi. Stando con Cristo, imparano da Lui
il Suo sguardo che si commuove. Lo stesso tesoro che noi oggi
dobbiamo salvare: la compassione, cioè il moto del cuore che muove
la mano a fare.
2)
Gesù formatore ed evangelizzatore.
Per capire bene i 5
versetti che compongono il brano del Vangelo di oggi è utile parlare
del contesto. Il capitolo 6 di San Marco mostra un grande contrasto.
Da un lato si parla del banchetto della morte, promosso da Erode con
i grandi di Galilea, nel palazzo della Capitale, durante il quale
viene ucciso Giovanni Battista (Mc
6,17-29). Dall'altro, il banchetto della vita, promosso da Gesù per
la gente di Galilea, affamata nel deserto, in modo che non perissero
lungo il cammino (Mc
6,35-44).
I cinque versetti
della lettura di questa domenica (Mc
6, 30-34) sono collocati esattamente tra questi due banchetti e
sottolineano due cose: 1) Gesù formatore
dei discepoli e 2) Gesù annunciatore
della Buona Novella che non è solo una questione di dottrina, ma di
accoglienza, di bontà, di tenerezza, di disponibilità, di
rivelazione dell'amore di Dio.
2.1.
Formazione.
I vv 30-32 di Marco al
capitolo 6 mostrano come Gesù formava i suoi amici alla
responsabilità. Il Cristo coinvolgeva i discepoli nella missione e
li portava in un luogo più tranquillo per poter riposare e fare una
revisione (cf Lc
10,17-20). Si preoccupava della loro alimentazione e del loro riposo,
poiché l’opera della missione era tale che non avevano tempo per
mangiare (cf Gv
21,9-13). La formazione della "sequela di Gesù" non era in
primo luogo la trasmissione di verità da imparare a memoria, bensì
una comunicazione della nuova esperienza di Dio e della vita che
irradiava da Gesù per i discepoli. La comunità che si formava
attorno a Gesù era l’espressione di questa nuova esperienza di
comunione. La formazione portava le persone ad avere altri occhi,
altri atteggiamenti. Faceva nascere in loro una nuova consapevolezza
nei riguardi della missione e di loro stessi. Faceva sì che
mettessero i loro piedi accanto a quelli degli esclusi. Produceva la
“conversione” per aver accettato la Buona Novella (Mc 1,15).
2.2.
Evangelizzazione.
Poi nei vv 33-34
sempre del capitolo 6 di Marco, leggiamo che, mosso
dalla compassione, Gesù cambia l' uso del suo tempo ed accoglie la
gente che lo cerca.
La gente aveva intuito
che Gesù era andato all'altra riva del lago, e lo seguì. Quando
Gesù, scendendo dalla barca, vide quella moltitudine, rinunciò al
riposo e cominciò ad insegnare. Qui appare come la gente era
smarrita. Gesù rimase commosso, “perché erano come pecore senza
pastore”. Queste parole ricordano il salmo del buon pastore (Sal
23). Quando Gesù vede che la gente non ha pastore, si offre come
guida. Riprende ad insegnare. Guida la moltitudine che altrimenti
sarebbe smarrita nel deserto della vita, e la gente poteva così
cantare: “Il Signore è il mio pastore! Non manco di nulla!”.
L’annuncio
della Buona Novella mostra che Gesù si muove con sollecitudine e che
è spinto dalla compassione.
Cristo percorre tutta
la Galilea: i villaggi, i paesi, le città (Mc
1,39). Cambia perfino la residenza e va a vivere a Cafarnao (Mc
1,21; 2,1), città crocevia di diversi cammini. E questo facilitava
la divulgazione del Vangelo. E’ sempre in cammino. I discepoli
vanno con lui, ovunque. Nei prati, lungo le strade, in montagna, nel
deserto, in barca, nelle sinagoghe, nelle case.
Era spinto da una
compassione che nasceva dalla passione per il Padre e per la gente
povera ed abbandonata della sua terra. In qualsiasi luogo. dove
trovava gente che lo ascoltava, parlava e trasmetteva la Buona
Novella.
La gente di Galilea
era impressionata dal modo di insegnare di Gesù, perché era di
fronte a un insegnamento nuovo! Dato con autorevolezza! Diverso da
quello degli scribi!” (Mc
1,22.27). Ciò che più faceva Gesù era insegnare (Mc
2,13; 4,1-2; 6,34). Più di quindici volte il vangelo di San Marco
dice che Gesù insegnava.
Ma questo Evangelista non dice quasi mai ciò che il Messia
insegnava. Forse non gli interessava il contenuto? Dipende da ciò
che si intende per contenuto. Insegnare non vuol dire solamente
trasmettere verità che la gente doveva imparare a memoria. Il
contenuto che Gesù aveva ed ha da dare non emerge solo dalle parole,
ma anche nei gesti e dal modo in cui entra in rapporto con le
persone. Il contenuto non è mai separato dalla persona che lo
comunica.
San Marco definisce il
contenuto dell'insegnamento di Gesù come “Buona
Novella di Dio” (Mc 1,14). La Buona Novella
che Gesù proclama viene da Dio
e parla di Dio.
In tutto ciò che Dio dice e fà, traspaiono i tratti del volto di
Dio. Traspare l’esperienza che lui stesso ha di Dio, l’esperienza
del Padre. Rivelare Dio come Padre è la fonte, il contenuto e lo
scopo della Buona Novella di Gesù.
Questa lieta e buona
novella deve avere in tutti i cristiani degli annunciatori. Tuttavia
mi permetto di sottolineare il particolare e specifico contributo
dato dalla Vergini Consacrate per portare il vangelo nel mondo. La
loro consacrazione nella verginità non è fuga
dal mondo, fatta per paura o disinteresse o per una
deresponsabilizzazione, ma per esprimere attraverso i segni più
efficaci e incisivi gli elementi che fanno parte dell'essenza stessa
di ogni vita cristiana e della sequela del Signore: essere
sempre pronte a lasciare tutto per il regno dei Cieli; rifiutare la
logica del mondo; tendere ai beni spirituali che non passano, a cui
tutti sono chiamati; affermare il primato dell'amore di Dio su tutti
gli altri valori; vivere nella totale disponibilità all'ascolto del
Verbo e nella lode divina; imitare Cristo stando alla sua presenza
il più possibile, offrire con una esistenza che diventa servizio
d'amore una realizzazione esemplare di quello che la Chiesa tutta
deve essere. Come dice la
preghiera di Consacrazione di San Leone Magno : “Tu...hai
riservato ad alcune tue fedeli un dono particolare scaturito dalla
fonte della tua misericordia. Alla luce dell’eterna sapienza hai
fatto loro comprendere, che mentre rimaneva intatto il valore e
l’onore delle nozze, santificate all’inizio dalla tua
benedizione, secondo il tuo provvidenziale disegno, devono sorgere
donne vergini che, pur rinunziando al matrimonio, aspirassero a
possederne nell’intimo la realtà del mistero. Così le chiami a
realizzare, al di là dell’unione coniugale, il vincolo sponsale
con Cristo di cui le nozze sono immagine e segno. (RCV,
n.38).
Lettura Patristica
Beda il Venerabile (+
735)
In Evang. Marc.,
2, 6, 30-34
Ritornati
gli apostoli da Gesù, gli riferirono tutte le cose che avevano fatto
e insegnato
(Mc
6,30).
Gli
apostoli non riferiscono al Signore soltanto ciò che essi avevano
fatto e insegnato, ma, come narra Matteo, i suoi discepoli, o i
discepoli di Giovanni, gli riferiscono il martirio che Giovanni ha
subito mentre essi erano impegnati nell’apostolato (Mt
14,12).
Continua pertanto:
"E
disse loro: «Venite voi soli in un luogo deserto a riposarvi un
poco»"
(Mc
6,31),
con quel che segue.
Fa
così non soltanto perché essi avevano bisogno di riposo, ma anche
per un motivo mistico, in quanto, abbandonata la Giudea che aveva con
la sua incredulità strappato via da sé il capo della profezia, era
sul punto di largire nel deserto, ai credenti di una Chiesa che non
aveva sposo, il cibo della parola, simile a un banchetto fatto di
pani e di pesci. Qui infatti i santi predicatori, che erano stati a
lungo schiacciati dalle pesanti tribolazioni nella Giudea incredula e
contestataria, trovano pace grazie alla fede che viene concessa ai
gentili. E mostra che vi era necessità di concedere un po’ di
riposo ai discepoli con le parole che seguono:
"Erano
infatti molti quelli che venivano e quelli che andavano; ed essi non
avevano neanche il tempo di mangiare"
(Mc
6,31).
È
chiara da queste parole la grande felicità di quel tempo che nasceva
dalla fatica incessante dei maestri e dallo zelo amoroso dei
discenti. Oh, tornasse anche ai nostri giorni tanta felicità, in
modo che i ministri della parola fossero talmente assediati dalla
folla dei fedeli e degli ascoltatori da non avere più nemmeno il
tempo di prendersi cura del proprio corpo! Infatti, gli uomini cui è
negato il tempo di prendersi cura del corpo, hanno molto meno la
possibilità di dedicarsi ai desideri terreni dell’anima o della
carne; anzi, coloro da cui si esige in ogni momento, a tempo
opportuno e importuno, la parola della fede e il ministero della
salvezza, hanno di conseguenza l’animo sempre ardentemente proteso
a pensare e a compiere cose celesti, in modo che le loro azioni non
contraddicano gli insegnamenti che escono dalla loro bocca.
"E
saliti sulla barca, partirono per un luogo deserto e appartato"
(Mc
6,32).
I
discepoli salirono sulla barca non soli, ma dopo aver con sé il
Signore, e si recarono in un luogo appartato, come chiaramente
racconta l’evangelista Matteo (Mt
14,13).
"E
li videro mentre partivano e molti lo seppero e a piedi da tutte le
città accorsero in quel luogo e li precedettero"
(Mc
6,33)
Dicendo
che li precedettero a piedi, si deduce che i discepoli col Signore
non andarono con la barca all’altra riva del mare o del Giordano
ma, varcato con la barca un braccio di mare o del lago, raggiunsero
una località vicina a quella stessa regione che gli abitanti del
luogo potevano raggiungere anche a piedi.
"E
uscito dalla barca, Gesù vide una grande folla, e si mosse a
compassione di loro, perché erano come pecore senza pastore, e prese
a dare loro molti insegnamenti"
(Mc
6,34).
Matteo
spiega più chiaramente in qual modo ebbe compassione di loro,
dicendo: "Ebbe
misericordia della folla e risanò i loro ammalati"
(Mt
14,14).
Questo è infatti nutrire veramente compassione dei poveri e di
coloro che non hanno pastore, cioè mostrare loro la via della verità
con l’insegnamento, liberarli con la guarigione dalle malattie
corporali, ma anche spingerli a lodare la sublime liberalità del
Signore ristorando gli affamati. Le parole seguenti di questo passo
sottolineano appunto che egli fece tutto questo. Mette alla prova la
fede delle folle e, dopo averla provata, la ricompensa con un degno
premio. Cercando infatti la solitudine, vuol vedere se le folle
vogliono o no seguirlo. Esse lo seguono e, compiendo il viaggio fino
al deserto, «non su cavalcature o su carri, ma con la fatica dei
loro piedi» (Girolamo), dimostrano quale pensiero essi abbiano per
la loro salvezza. E Gesù, come colui che può, ed è salvatore e
medico, fa intendere quanta consolazione riceva dall’amore di
coloro che credono in lui, accogliendo gli stanchi, ammaestrando gli
ignoranti, risanando gli infermi e ristorando gli affamati. Ma
secondo il significato allegorico, molte schiere di fedeli, dopo aver
abbandonato le città dell’antica vita, ed essersi liberati
dall’appoggio di varie dottrine, seguono Cristo che si dirige nel
deserto dei gentili. E colui che era un tempo «Dio conosciuto solo
in Giudea» (Ps
75,2),
dopo che i denti dei giudei sono diventati «armi e frecce, e la loro
lingua una spada tagliente», viene esaltato «come Dio al di sopra
dei cieli e la sua gloria si diffonde su tutta la terra»«(Ps
56,5-6).
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