III
Domenica
del
Tempo
Ordinario
– Anno
A
-
26
gennaio
2014
Rito
Romano
Is
8,23b
-
9,3;
Sal
26;
1
Cor
1,10-13.
17;
Mt
4,12-23
Gesù,
Luce del mondo
Rito
Ambrosiano
– Festa
della
Santa
Famiglia
di
Gesù,
Maria
e
Giuseppe
Sir
7, 27-30. 32-36; Sal 127; Col 3, 12-21; Lc 2, 22-33
1)
La
prima
chiamata:
“Convertitevi”.
Nel
brano
di
oggi
l’Evangelista
e
Apostolo
Matteo
ci
narra
che
Gesù
lasciò
Nazareth,
dove
nel
nascondimento
aveva
vissuto
una
vita
quotidiana
così
normale
che
nessuno
dei
suoi
compaesani1
aveva
visto
in
Lui
qualcuno
di
eccezionale,
e
andò
a
Cafarnao
per
portare
la
luce
di
Dio.
Andò
in
un
luogo,
dove
c’era
una
grande
mescolanza
di
ebrei
e
di
altri
popoli
e
per
questo
era
chiamato
dai
Giudei
“Galilea
delle
genti”,
ossia
“provincia
dei
pagani”.
La
logica
umana
si
sarebbe
aspettata
che
l’annuncio
messianico
partisse
dal
cuore
del
giudaismo,
cioè
da
Gerusalemme2,
ed
eccolo
invece
partire
da
una
regione
periferica,
la
Galilea,
generalmente
disprezzata
e
ritenuta
contaminata
dal
paganesimo.
Ma
proprio
ciò
che
costituisce
una
sorpresa
è
per
San
Matteo
il
compimento
di
un'antica
profezia
e
il
segno
rivelatore
di
Gesù:
il
Messia
universale
che
frantuma
ogni
forma
di
particolarismo.
Gesù
incominciò
da
questa
“apparente”
periferia3
per
illuminare
sia
la
Città
santa
che
il
mondo
e
il
suo
annuncio
è
riassunto
da
San
Matteo
in
una
formula
concisa:
“Il
Regno
di
Dio
è
vicino,
convertitevi”.
Queste
prime
parole
di
Gesù
sono
semplici,
poche.
San
Marco
scrive:
“Il
tempo
è
compiuto;
il
Regno
di
Dio
è
vicino;
convertitevi
e
credete
al
Vangelo”
(Mc
1,15).
Le
parole
riportate
nel
Vangelo
di
oggi
sono
ancora
più
scarne:
“Convertitevi,
perché
il
regno
dei
cieli
è
vicino”
(Mt
4,17)
e,
forse,
non
chiare
per
noi
moderni
per
la
loro
stessa
sobrietà.
Per
capirle,
e
capire
pure
la
differenza
tra
il
messaggio
di
Giovanni
e
l’annuncio
di
Gesù,
ne
propongo
una
spiegazione
nel
linguaggio
nostro,
cercando
di
far
emergere
il
loro
eternamente
vivo
significato.
“Il
Tempo
è
compiuto”.
Il
Tempo
aspettato,
profetato,
annunziato
è
giunto
a
pienezza.
E’
compiuto
il
tempo
di
vivere
senza
conoscere
la
bellezza
della
vita
con
Cristo.
E’
compiuto
il
tempo
degli
inganni.
E'
tempo
di
farci
aprire
gli
occhi
da
Dio
e
contemplare
il
Suo
volto,
che
poi
diventa
in
parte
il
nostro.
“Il
Regno
è
vicino”.
Giovanni
il
Battista
diceva
che
un
Re
sarebbe
venuto
presto
a
fondare
un
nuovo
regno:
il
Regno
dei
Cieli.
Gesù
dà
la
lieta
notizia
che
il
Re
è
venuto
e
che
le
porte
del
Regno
sono
aperte.
Il
Regno
non
è
la
fantasia
sorpassata
di
un
povero
Ebreo
di
venti
secoli
fa;
non
è
una
cosa
antiquata,
una
memoria
morta,
un
sogno
infranto.
II
Regno
dei
cieli
è
in
noi.
Comincia
da
subito:
è
anche
opera
nostra,
per
la
felicità
nostra,
in
questa
vita,
su
questa
terra.
Dipende
anche
dalla
nostra
volontà,
dal
nostro
rispondere
sì
o
no
alla
vocazione
di
Cristo,
che
ci
chiama
ad
essere
santi,
cioè
a
guardare
il
cielo,
a
desiderare
il
cielo
e
sperare
di
vivere
sempre
in
cielo.
Il
Regno
di
Dio
è
pace
e
gioia4.
“Convertitevi”
aggiunge
Gesù.
“Convertitevi”:
anche
questa
“vecchia”
parola
è
stata
distorta
dal
suo
senso
autentico.
La
parola
del
Vangelo
in
greco
“Metanoèite”
non
si
può
tradurre
in
latino
con
“poenitemini”
o
in
italiano
con
“fate
penitenza”.
Metànoia
è
propriamente
il
cambiamento
del
modo
di
pensare,
il
cambiamento
della
mente,
la
trasformazione
dell'anima.
Metamorfosi
è
un
mutare
la
forma;
metanoia
un
mutare
lo
spirito,
è
cambiare
mentalità.
Giustamente
la
traduzione
dice
“conversione”,
che
è
il
rinnovamento
dell'uomo
interiore.
L’idea
di
“pentimento”
e
di
“penitenza”
non
sono
che
applicazioni
e
illustrazioni
dell’invito
di
Gesù
a
girarsi
verso
di
Lui,
a
muoversi
verso
la
luce.
Il
Messia
ci
invita
a
convertirci
alla
luce
della
verità
ed
alla
beatitudine
dell'amore.
Amandolo
lo
conosceremo
meglio,
e
conoscendolo
meglio
Lo
ameremo
ancora
di
più:
si
ama
bene
soltanto
quel
che
si
conosce;
l'amore
fa
trasparente
chi
s’ama.
La
prima
conversione
consiste
nel
credere,
nel
credere
al
Verbo
di
Amore.
“La
fede
in
quanto
legata
alla
conversione,
è
l’opposto
dell’idolatria;
è
separazione
dagli
idoli
per
tornare
al
Dio
vivente,
mediante
un
incontro
personale.
Credere
significa
affidarsi
a
un
amore
misericordioso
che
sempre
accoglie
e
perdona,
che
sostiene
e
orienta
l’esistenza,
che
si
mostra
potente
nella
sua
capacità
di
raddrizzare
le
storture
della
nostra
storia.
La
fede
consiste
nella
disponibilità
a
lasciarsi
trasformare
sempre
di
nuovo
dalla
chiamata
di
Dio.”
(Francesco,
Lett.
Enc.
Lumen
Fidei,
n.
13).
2)
Una
chiamata
nella
chiamata.
Il
brano
dell’Enciclica
di
Papa
Francesco
permette
di
passare
al
commento
della
seconda
parte
del
Vangelo
odierno
che
parla
della
chiamata
dei
primi
discepoli.
Questa
proposta
a
seguirLo
Gesù
la
fa
sulla
riva
del
lago
di
Cafarnao,
dove
Lui
stava
predicando
e
dove
gli
uomini
erano
intenti
al
loro
lavoro.
Nessuna
cornice
eccezionale
per
la
chiamata
dei
primi
discepoli:
un
porto
in
riva
ad
un
lago,
luogo
di
lavoro
per
dei
pescatori.
Cerchiamo
di
far
emergere
i
tratti
essenziali
di
questo
racconto
di
vita.
Gesù
è
il
protagonista.
Lui
è
il
personaggio
centrale.
Sua
è
l'iniziativa
(“vide
due
fratelli”
– Pietro
e
Andrea
– “e
disse
loro:
seguitemi”;
“vide
altri
due
fratelli”
– Giacomo
e
Giovanni
di
Zebedeo
– “e
li
chiamò”).
Non
è
l'uomo
che
si
autoproclama
discepolo,
ma
è
Gesù
che
converte
l'uomo
e
lo
chiama
ad
essere
suo
discepolo,
scegliendolo
con
amore.
Il
discepolo,
poi,
non
è
chiamato
in
primo
luogo
ad
imparare
una
dottrina
ma
a
vivere
con
una
Presenza,
che
è
il
centro
affettivo
della
sua
vita
di
chiamato.
Al
primo
posto
c'è
l'attaccamento
alla
persona
di
Gesù.
Questa
adesione
esige
un
profondo
distacco.
Giacomo
e
Giovanni,
Pietro
e
Andrea
lasciano
le
reti,
la
barca
e
il
padre.
Lasciano,
in
altre
parole,
il
mestiere
e
la
famiglia.
Il
mestiere
garantisce
sicurezza
e
stima
sociale,
il
padre
rappresenta
le
proprie
radici.
Si
tratta
di
un
distacco
radicale.
Questo
distacco
permette
di
rispondere
all'appello
di
Gesù
mediante
una
sequela
totale
e
gratuita.
I
due
verbi
“lasciare”
e
“seguire”
che
indicano
uno
spostamento
del
centro
della
vita
della
persona
chiamata.
L'appello
di
Gesù
non
è
in
vista
di
una
sistemazione
sociale,
non
colloca
in
uno
stato,
ma
mette
in
cammino
per
una
missione.
Infine
si
vede
che
le
caratteristiche
del
discepolo
sono
almeno
due:
la
comunione
con
Cristo
(“seguitemi”)
e
un
andare
verso
l’umanità
(“vi
farò
pescatori
di
uomini”).
La
seconda
nasce
dalla
prima.
Gesù
non
colloca
i
suoi
discepoli
in
uno
spazio
separato,
chiuso:
li
manda
per
le
strade
del
mondo.
A
questo
riguardo
anche
Papa
Francesco,
parlando
del
Santo
Pietro
Favre,
gesuita
francese,
invita
a
imitare
questo
“Compagno
di
Gesù”
lasciando
che
“Cristo
occupi
il
centro
del
cuore”5.
Anche
le
Vergini
consacrate
vivono
questa
“centralità”
di
Cristo,
seguendolo
in
pieno
abbandono
e
amorosa
fiducia.
Imitando
i
primi
4
apostoli
scelti
da
Gesù.
Non
è
un
caso
che
fossero
pescatori.
Il
pescatore,
che
vive
gran
parte
dei
suoi
giorni
nella
pura
solitudine
dell'acqua,
è
la
persona
che
sa
aspettare.
È
la
persona
paziente,
che
non
ha
fretta,
che
cala
la
sua
rete
e
si
affida
in
Dio.
L'acqua
fa
suoi
capricci,
il
lago
ha
le
sue
bizzarrie
e
i
giorni
non
sono
mai
eguali.
Partendo
per
andare
al
largo
in
cerca
di
pesci,
il
pescatore
non
sa
se
tornerà
colla
barca
colma
senza
neanche
un
pesce
da
mettere
al
fuoco
per
il
suo
pasto.
Si
rimette
nelle
mani
del
Signore
che
manda
l’abbondanza
e
la
carestia;
si
consola
del
giorno
cattivo
pensando
al
buono
che
venne
e
a
quello
che
verrà.
Con
il
genio
e
sensibilità
femminile
capace
di
dedizione
suprema,
le
Vergini
Consacrate
vivono
l’analoga
chiamata
degli
apostoli-pescatori,
l’analogo
cammino
di
santità
di
chi
va
dietro
a
Cristo
con
il
cuore
dilatato,
l’analoga
umiltà
della
santa
Famiglia
di
Nazareth
(come
richiama
la
liturgia
ambrosiana
di
oggi),
della
quale
evidentemente
Gesù
era
il
centro
e
dove
evidentemente
la
casa
dell’uno
era
l’affetto
dell’Altro.
Maria
e
Giuseppe
custodirono
e
aiutarono
a
crescere
Gesù
non
solo
perché
da
grande
avrebbe
detto
parole
di
vita
eterna,
ma
perché
sapevano
nella
fede
che
Lui
era
la
Parola
di
Vita
per
sempre.
1
“Non
è
costui
il
figlio
di
Giuseppe?”
(Lc
4,
22).
Marco
e
Matteo
aggiungono:
“Non
è
costui
il
figlio
di
Maria,
il
fratello
di
Giacomo,
di
Joses,
di
Giuda
e
di
Simone?
E
la
sue
sorelle
non
stanno
qui
da
noi?
E
si
scandalizzavano
di
lui”
(Mc
6,3;
cf
Mt
13,55).
2
Ai
tempi
della
vita
terrena
di
Cristo
Gerusalemme
era
il
centro
religioso
per
un
fedele
ebreo,
ma
politicamente
si
poteva
considerare
marginale
rispetto
al
potere
romano.
3
Va
tenuto
presente
che
Cafarnao,
lontana
dal
Tempio,
è
più
vicina
al
mare
Mediterraneo
e
sulla
rotta
delle
carovane
dei
mercanti,
e
diventa
il
crocevia
di
una
nuova
storia,
quella
della
salvezza.
4
“Il
regno
di
Dio
infatti
non
è
questione
di
cibo
o
di
bevanda,
ma
è
giustizia,
pace
e
gioia
nello
Spirito
Santo:
chi
serve
il
Cristo
in
queste
cose,
è
bene
accetto
a
Dio
e
stimato
dagli
uomini”(Rm
14,
17-18).
5
“Solo
se
si
è
centrati
in
Dio
è
possibile
andare
verso
le
periferie
del
mondo!
E
Favre
ha
viaggiato
senza
sosta
anche
sulle
frontiere
geografiche
tanto
che
si
diceva
di
lui:
«pare
che
sia
nato
per
non
stare
fermo
da
nessuna
parte»
(MI,
Epistolae
I,
362).
Favre
era
divorato
dall’intenso
desiderio
di
comunicare
il
Signore.
Se
noi
non
abbiamo
il
suo
stesso
desiderio,
allora
abbiamo
bisogno
di
soffermarci
in
preghiera
e,
con
fervore
silenzioso,
chiedere
al
Signore,
per
intercessione
del
nostro
fratello
Pietro,
che
torni
ad
affascinarci:
quel
fascino
del
Signore
che
portava
Pietro
a
tutte
queste
“pazzie”
apostoliche.”
(Francesco,
Omelia
nella
Chiesa
del
Gesù
a
Roma,
3
febbraio
2014).
Lettura
Patristica
Dal
Commento al vangelo di Matteo
di
Cromazio di Aquileia
Avendo
saputo
che
Giovanni
era
stato
arrestato,
si
ritirò
in
Galilea
[e
ciò
che
segue
fino
a]
su
quelli
che
dimoravano
nell’ombra
di
morte
una
luce
si
è
levata.
Lasciata,
dunque,
Nazaret,
il
Signore
e
Salvatore
nostro
illuminando
con
la
sua
presenza
diversi
luoghi
della
Giudea,
che
si
era
degnato
di
visitare,
giunse
nel
territorio
di
Zabulon
e
di
Neftali
per
adempiere
la
predizione
profetica
e
cacciato
l’errore
tenebroso,
infondere
la
luce
della
sua
conoscenza
in
coloro
che
credevano
in
lui,
non
solo
Giudei,
ma
anche
gentili.
Questo
fatto
l’evangelista
ricorda
nel
presente
passo,
richiamandosi
alle
parole
del
profeta
col
dire:
Al
di
là
del
Giordano
il
popolo
di
Galilea
delle
genti,
che
dimorava
nelle
tenebre,
vide
una
grande
luce.
In
quali
tenebre?
Certamente
nel
profondo
errore
dell’ignoranza.
Qual
è
la
grande
luce
che
vide?
Quella
di
cui
sta
scritto:
Era
la
luce
vera
che
illumina
ogni
uomo
che
viene
in
questo
mondo
(Gv
1,
9).
Di
ciò
diede
testimonianza
il
giusto
Simeone
nel
Vangelo,
dicendo:
Luce
che
hai
preparato
per
illuminare
le
genti
e
gloria
del
tuo
popolo
Israele
(Lc
2,
31-32).
Che
questa
luce
si
doveva
levare
un
giorno
nelle
tenebre
aveva
predetto
anche
Davide,
dicendo:
È
sorta
nelle
tenebre
una
luce
per
i
retti
di
cuore
(Sal
111,
4).
Anche
Isaia
parla
di
questa
luce
che
sarebbe
sorta
per
illuminare
la
Chiesa,
dicendo:
Rivestiti
di
luce,
rivestiti
di
luce,
Gerusalemme,
perché
giunge
la
tua
luce
e
la
maestà
del
Signore
è
sorta
in
te
(Is
60,
1)
[…].
2.
Di
questa
luce,
dunque,
nel
presente
passo
è
stato
detto:
Il
popolo,
che
dimorava
nelle
tenebre,
ha
visto
una
grande
luce.
Ha
visto,
però,
non
con
la
vista
del
corpo,
perché
è
una
luce
invisibile,
ma
con
gli
occhi
della
fede
e
con
la
visione
dello
spirito…
Prosegue,
quindi:
Da
allora
Gesù
cominciò
a
predicare
e
a
dire:
Fate
penitenza,
perché
il
regno
dei
cieli
è
vicino.
Affinché
queste
parole
del
Signore,
con
le
quali
esorta
a
convertirsi,
fossero
ascoltate,
lo
Spirito
Santo,
in
precedenza,
anche
per
bocca
di
Davide,
aveva
invitato
il
popolo
alla
penitenza,
dicendo:
Se
ascolterete
oggi
la
sua
voce,
non
indurite
i
vostri
cuori,
come
per
metter
alla
prova,
quando
mi
tentarono
nel
deserto
(Sal
94,
8-9).
In
questo
stesso
salmo
poco
sopra,
per
invitare
il
popolo
peccatore
alla
penitenza
e
suggerire
sentimenti
di
compunzione,
così
si
esprime:
Venite,
prostriamoci
davanti
a
lui
e
innalziamo
suppliche
al
cospetto
del
Signore
che
ci
ha
creati,
perché
egli
è
il
nostro
Dio.
Il
Signore
esorta
alla
penitenza,
lui
che
promette
il
perdono
del
peccato,
lui
che
dice
per
bocca
d’Isaia:
Sono
io,
sono
io
che
cancello
le
tue
iniquità
e
non
ricorderò
i
tuoi
peccati.
Ma
tu
ricordatene,
accusa
tu
per
primo
le
tue
colpe,
per
essere
giustificato
(Is
43,
25-26)…
Giustamente
dunque,
il
Signore
esorta
il
popolo
alla
penitenza
dicendo:
Fate
penitenza,
perché
il
regno
dei
cieli
è
vicino,
affinché,
in
seguito
a
questa
confessione
del
loro
peccato,
diventassero
degni
del
regno
dei
cieli
che
si
avvicinava.
Uno,
infatti,
non
può
ricevere
la
grazia
del
Dio
del
cielo,
se
non
sarà
purificato
da
ogni
sozzura
di
peccato
mediante
la
confessione
di
penitenza,
mediante
il
dono
del
battesimo
della
salvezza
del
Signore
e
Salvatore
nostro.
3
Prosegue,
poi:
Passando
lungo
il
mare
vide
due
fratelli
[e
ciò
che
segue
fino
a]
e
subito,
lasciata
la
barca
e
il
padre
loro,
seguirono.
O
felici
questi
pescatori
che
il
Signore
scelse
per
primi
al
ministero
della
predicazione
divina
e
alla
grazia
dell’apostolato
tra
tanti
dottori
della
Legge
e
scribi,
tra
tanti
sapienti
del
mondo!
E
certamente
degna
del
Signore
nostro
e
conveniente
alla
sua
predicazione
fu
tale
scelta,
per
ottenere
che
nella
predicazione
del
suo
nome
nascesse
un’ammirazione
che
avrebbe
suscitato
una
lode
tanto
più
grande,
quanto
più
meschini
nel
mondo
e
umili
nel
secolo
ne
fossero
stati
i
predicatori.
Questi
non
avrebbero
conquistato
il
mondo
per
mezzo
della
sapienza
della
parola,
ma
avrebbero
liberato
il
genere
umano
da
un
errore
mortale
mediante
la
semplice
predicazione
della
fede,
come
dice
l’Apostolo:
Perché
la
vostra
fede
non
sia
fondata
sulla
sapienza
degli
uomini,
ma
sulla
potenza
di
Dio.
E
ancora:
Dio
ha
scelto
ciò
che
nel
mondo
è
stolto,
per
confondere
i
sapienti,
e
ha
scelto
ciò
che
nel
mondo
è
debole,
per
confondere
i
forti,
e
ha
scelto
ciò
che
nel
mondo
è
ignobile
e
disprezzabile
e
ciò
che
è
nulla,
per
distruggere
le
cose
che
sono
(1
Cor
1,
2-5).
Non
scelse,
dunque,
i
nobili
del
mondo
o
i
ricchi,
perché
la
predicazione
non
destasse
sospetto,
non
i
sapienti
della
terra
così
che
si
potesse
credere
che
aveva
persuaso
il
genere
umano
mediante
la
sapienza
mondana,
ma
scelse
i
pescatori,
illetterati,
inesperti,
ignoranti,
perché
fosse
evidente
la
grazia
del
Salvatore.
Umili,
è
vero,
nel
mondo
anche
per
l’esercizio
della
loro
arte,
ma
veramente
eccelsi
per
la
fede
e
per
l’ossequio
del
loro
animo
devoto,
spregevoli
per
la
terra,
ma
graditissimi
al
cielo,
ignobili
per
il
mondo,
ma
nobili
per
Cristo,
non
iscritti
nell’albo
del
senato
di
questa
terra,
ma
iscritti
nell’albo
degli
angeli
in
cielo,
poveri
per
il
mondo,
ma
ricchi
per
Dio.
Infatti
il
Signore
sa
chi
scegliere
lui
che
conosce
i
segreti
del
cuore,
quelli
certamente
che
non
cercavano
la
sapienza
del
secolo,
ma
desideravano
la
sapienza
Dio,
né
bramavano
le
ricchezze
del
mondo,
ma
aspiravano
ai
tesori
celesti.
Perciò,
come
sentirono
il
Signore
dire:
Venite
dietro
di
me,
subito,
lasciate
le
loro
reti
e
il
padre
e
ogni
loro
bene,
lo
seguirono.
E
in
ciò
si
dimostrarono
veramente
figli
di
Abramo
perché
sul
suo
esempio,
udita
la
voce
di
Dio,
seguirono
il
Salvatore.
Rinunciarono,
infatti,
subito
ai
proventi
materiali,
per
conseguire
il
guadagno
eterno,
lasciarono
il
padre
terreno,
per
avere
un
Padre
celeste,
e
perciò,
non
a
torto,
meritarono
di
essere
scelti.
4
Il
Signore,
dunque,
scelse
dei
pescatori
che,
mutando
in
meglio
il
mestiere
della
pesca,
dalla
pesca
terrena
passarono
a
quella
celeste,
per
catturare
come
pesci
dal
profondo
gorgo
dell’errore
il
genere
umano
per
la
sua
salvezza,
conforme
a
ciò
che
lo
stesso
Signore
disse
loro:
Venite
dietro
di
me
e
vi
farò
pescatori
di
uomini.
Questa
stessa
cosa
aveva
precedentemente
promesso,
per
bocca
del
profeta
Geremia,
dicendo:
Ecco,
io
manderò
molti
pescatori,
dice
il
Signore,
e
li
pescheranno.
E
dopo
di
ciò
manderò
dei
cacciatori,
e
li
cattureranno
(Ger
16,
16).
Perciò,
sappiamo
che
gli
apostoli
furono
chiamati
non
solo
pescatori,
ma
anche
cacciatori:
pescatori,
perché
per
mezzo
delle
reti
della
predicazione
evangelica
catturano
dal
mondo
tutti
i
credenti
come
pesci;
cacciatori,
poi,
perché,
per
la
loro
salvezza,
catturano,
come
una
caccia
voluta
dal
cielo,
gli
uomini
che
vagano
nell’errore
di
questo
mondo
come
in
una
selva
e
vivono
a
guisa
delle
fiere…
Mediante
la
predicazione
apostolica,
pertanto,
ogni
giorno
i
credenti
sono
catturati
per
vivere.
E
guarda
quant’è
diversa
questa
celeste
pesca
degli
apostoli
dalla
pesca
di
questa
terra.
I
pesci,
infatti,
quando
sono
catturati,
muoiono.
Gli
uomini,
invece,
sono
catturati
perché
vivano,
secondo
ciò
che
il
Signore
disse
Pietro,
quando
aveva
preso
una
grande
quantità
di
pesci:
Non
temere:
d’ora
in
poi
sarai
colui
che
dà
la
vita
agli
uomini.
5
Anche
Ezechiele,
riferendosi
apertamente
a
questi
pescatori
evangelici
in
quanto
catturano
i
pesci
perché
abbiano
la
vita:
E
là
ci
sarà,
disse,
una
gran
quantità
di
pesce,
perché
là
è
venuta
quest’acqua
e
sarà
salvo
e
vivrà
ogni
uomo
a
cui
giungerà
questo
fiume,
e
sederanno
i
pescatori
e
in
disparte
asciugheranno
le
reti,
e
i
suoi
pesci
saranno
come
pesci
di
un
grande
mare,
una
quantità
abbondantissima.
Mirabile,
dunque,
è
questa
pesca
e
meravigliosi
i
pescatori,
che
pescano
non
perché
ne
muoiano
quelli
che
catturano,
ma
perché
vivano.
Secondo
quanto
avviene
su
questa
terra
vivono
i
pesci
che
non
sono
catturati,
in
questa
pesca,
invece
muoiono
quelli
che
non
meritavano
di
essere
catturati.
Come,
appunto,
la
pesca
di
questi
pescatori
catturi
per
dare
la
vita
quelli
che
cattura
mostra
chiaramente
il
profeta
nella
citazione
riportata
più
sopra:
Poiché
là
è
venuta
quest’acqua
e
vivrà
il
pesce
a
cui
giungerà
questo
fiume.
Certamente
il
profeta
non
parla
di
quest’acqua
comune
né
di
un
fiume
terreno,
ma
dell’acqua
del
battesimo
della
salvezza
e
del
fiume
della
predicazione
del
Vangelo,
dal
quale
i
credenti
traggono
l’alimento
della
vita.
Vuoi
sapere
qual
è
quest’acqua
che
risana,
che
cura,
che
dà
la
vita?
Ascolta:
il
Signore
che
dice
nel
Vangelo:
Chi
berrà
dell’acqua
che
do
io
non
avrà
sete
in
eterno,
ma
in
lui
ci
sarà
una
fonte
di
acqua
zampillante
per
la
vita
eterna
(Gv
4,
13-14).
Vuoi
sapere
anche
che
cosa
sia
questo
fiume
nel
quale
si
ha
la
vita?
Ascolta
il
profeta
che
dice:
L’impeto
del
fiume
rallegra
la
città
di
Dio
(Sal
45,
5).
Così,
dunque,
mentre
costoro
pescano
siamo
catturati
dal
mare
di
questo
mondo,
siamo
tratti
dal
gorgo
dell’errore,
per
rinascere
nell’acqua
del
battesimo
e,
purificati
dal
fiume
del
Vangelo,
rimanere
in
vita.
6
Prosegue,
poi:
E
Gesù
percorreva
tutta
la
Galilea
[e
ciò
che
segue
fino
a]
e
al
di
là
del
Giordano.
Che
questo
sarebbe
avvenuto
aveva
predetto
Isaia
dicendo:
Egli
ha
preso
su
di
sé
nostre
sofferenze
e
ha
guarito
la
nostra
pena.
Per
questo,
infatti
era
venuto
il
maestro
di
vita
e
il
medico
celeste,
Cristo
Signore,
cioè
per
istruire
gli
uomini
col
suo
insegnamento,
fonte
di
vita,
e
per
guarire
con
la
medicina
celeste
i
mali
del
corpo
e
dell’anima,
per
liberare
i
corpi
posseduti
dal
diavolo
e
ricondurre
alla
vera
e
completa
salute
coloro
che
erano
affetti
da
ogni
sorta
d’infermità.
Infatti,
curava
le
malattie
fisiche
con
la
parola
della
potenza
divina
e
con
la
medicina
dell’insegnamento
celeste
risanava
le
ferite
dell’anima.
E
Davide
mostra
con
chiarezza
che
tali
ferite
dell’anima
sono
guarite
solo
da
Dio,
quando
dice:
Benedici,
anima
mia,
il
Signore
e
non
dimenticare
tutti
i
suoi
benefici.
E
aggiunse:
Egli
perdona
tutte
le
tue
colpe
e
guarisce
tutte
le
tue
malattie
(Sal
102,
2-3).
Vero,
dunque,
e
perfetto
medico
è
quello
che
dona
sanità
del
corpo
e
rende
la
salute
dell’anima,
il
Signore
e
Salvatore
nostro,
che
è
benedetto
nei
secoli
dei
secoli.
Amen.
(Cromazio
di
Aquileia,
Commento
a
Matteo,
Trattati
15-16).
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