II
Domenica
del
Tempo
Ordinario
– Anno
A
-
19
gennaio
2014
Rito
Romano
Is
49,
3.
5-6;
Sal
39;
1
Cor
1,
1-3;
Gv
1,
29-34
Rito
Ambrosiano
– II
Domenica
dopo
l’Epifania
Nm
20,
2.
6-13;
Sal
94;
Rm
8,
22-27;
Gv
2,
1-11
1)
L’Agnello
di
Dio
è
promozione
dell’uomo.
Con
questa
Domenica
inizia
il
periodo
più
lungo
dell'anno
liturgico:
il
Tempo
ordinario1,
durante
il
quale
la
Chiesa
non
celebra
un
particolare
mistero
della
vita
del
Signore
e
della
storia
della
salvezza,
ma
il
mistero
di
Cristo
nella
sua
totalità.
E’
il
tempo
per
eccellenza
della
sequela
sulle
orme
di
Gesù
verso
il
compimento
della
storia
(34a
domenica).
E
il
periodo
nel
quale
siamo
invitati
a
contemplare
gli
insegnamenti
e
le
opere
del
Salvatore
durante
la
sua
vita
pubblica,
così
di
domenica
in
domenica
si
segue
il
Signore
sulla
via
del
“compimento
di
ogni
giustizia”
(Mt
3,15),
affinché
la
Chiesa
diventi
sempre
più
somigliante
al
suo
maestro
e
sposo.
Per
una
comprensione
più
approfondita
di
questi
avvenimenti,
la
Liturgia
di
oggi
ce
li
fa
esaminare
alla
luce
della
divinità
di
Gesù,
la
cui
incarnazione
rende
la
vita
santuario
della
divinità.
Non
solo
la
sua
vita
è
divina.
Con
la
salvezza
da
lui
portata
portando
via
i
peccati,
la
nostra
vita
quotidiana,
il
nostro
lavoro,
le
nostre
gioie
e
tenerezze
diventano
l’ambito
della
santità
divina.
In
Gesù,
Agnello
di
Dio2,
la
santità
si
rivela
come
formidabile
promozione
della
vita
e
dell’uomo.
E
l’uomo,
perdonato,
è
trasfigurato,
è
reso
figlio
di
Dio
ed
artigiano
di
luce
con
le
sue
mani.
Nel
giorno
della
sua
ordinazione,
il
prete
riceve
la
consacrazione
delle
mani.
E’
un
fatto
magnifico.
Ma
nel
Cristo
tutte
le
mani
sono
sante,
tutte
le
mani
sono
consacrate,
tutte
le
mani
possono
diventare
mani
di
luce.
Nel
Cristo
tutti
i
corpi
sono
chiamati
a
diventare
Tempio
dello
Spirito
Santo
e
Membra
di
Gesù
Cristo.
Il
Tempio
che
noi
siamo
è
molto
più
bello
di
ogni
chiesa
fatta
di
pietra
e
Dio
è
in
noi
più
che
in
una
chiesa,
perché
è
in
quella
chiesa
per
essere
in
noi.
Nel
Vangelo
tutti
i
volti
sono
chiamati
a
irradiare
il
Volto
di
Cristo.
La
vocazione
che
Lui
offre
quando
ci
è
presentato
come
Agnello
di
Dio
non
è
una
chiamata
ad
entrare
in
un
ambito
proibito.
Per
raccoglierci
in
unità
ci
invita
alla
mensa,
dove
“molto
semplicemente”
si
mangia
del
pane
e
del
vino,
che
il
sacramento
ha
reso
il
corpo
ed
il
sangue
dell’Agnello
di
Dio,
perciò
diventiamo
Colui
che
mangiamo.
2)
L’Agnello
di
Dio
che
perdona.
Nel
brano
evangelico
di
questa
domenica
(Gv
1,29-34)
troviamo
una
professione
di
fede
in
Cristo
che
si
articola
in
tre
affermazioni:
“Ecco
l'Agnello
di
Dio
che
toglie
i
peccati
del
mondo”
(1,29),
l’Agnello
che
conduce
alla
sorgente
della
vita,
della
felicità,
e
asciuga
ogni
lacrima
dai
nostri
occhi
(cfr.
Ap
7,14-17);
“Ho
contemplato
lo
Spirito
discendere
come
una
colomba
e
fermarsi
su
di
Lui”(1,32);
E
“il
Figlio
di
Dio”
(1,34).
La
dichiarazione
su
cui
mi
soffermo
in
particolare
è
la
prima:
“Ecco
l'Agnello
di
Dio
che
toglie
i
peccati
del
mondo”,
mettendoli
su
di
sé.
L’Immacolato,
il
quale
cancella
il
peccato
del
mondo
con
le
sue
sofferenze
e
con
la
sua
morte,
svela
il
Suo
Cuore
a
questo
mondo
che
vuole
misurare
tutto,
persino
Dio
e
il
suo
dono.
Oggi,
come
ad
ogni
Messa,
ci
è
chiesto
di
accogliere
questa
affermazione
come
di
fatto
è:
indicazione
del
dono
eucaristico
di
Dio
a
noi
e
di
rispondervi
come
la
liturgia
ci
chiede:
“Signore,
non
sono
degno
di
partecipare
alla
tua
mensa:
ma
di'
soltanto
una
parola
e
io
sarò
salvato”.
L’Agnello,
che
il
prete
mostra
elevando
l’ostia,
è
da
adorare
nella
sua
divina
umiltà
e
da
mangiare
nella
comunione
alla
sua
infinita
carità.
Per
capire
bene
il
brano
del
Vangelo
di
oggi,
riandiamo
alla
scena
che
esso
descrive.
Trascorsi
i
quaranta
giorni
nel
deserto
dove
era
andato
dopo
il
battesimo
di
Giovanni,
Gesù
ritorna
dal
Battista.
Questi
deve
essere
rimasto
sconvolto
dal
vedere
il
Figlio
di
Dio
tornare
da
lui
e
per
di
più
con
un
aspetto
di
uomo
provato
dal
digiuno
e
dalle
tentazioni
subite
nel
deserto.
Giovanni
sa
che
l’uomo
che
gli
viene
incontro
di
nuovo
è
il
Figlio
di
Dio,
l’Amato.
Vede
il
Messia,
che
è
della
tribù
di
Giuda,
ma
in
lui
non
percepisce
il
Leone
di
Giuda,
vede
l’Agnello
di
Dio,
la
vittima
che
si
offriva
liberamente
in
sacrificio
perché
il
mondo
fosse
redento.
Riconobbe
tra
la
moltitudine
dei
peccatori
lo
splendore
innocente
dell’Uomo-Dio,
che
aveva
lasciato
la
gloria
del
Cielo
per
andare
al
macello
sulla
Terra
e
lo
indicò
ai
discepoli
come
persona
da
seguire
al
suo
posto.
I
discepoli
non
capirono,
non
erano
in
grado
di
capire
cosa
volesse
dire
il
loro
maestro
Giovanni
indicando
il
Maestro
Gesù
come
l’Agnello,
immagine
non
chiaramente
nota
agli
ebrei
per
indicare
il
liberatore
tanto
atteso.
Noi
invece
sappiamo
(o
almeno
possiamo
saperlo)
che
nel
Nuovo
Testamento
agnello
ricorre
quattro
volte3
e
sempre
in
riferimento
a
Gesù.
In
effetti
fin
dagli
inizi
la
Chiesa
guardò
Gesù
come
Gesù
vedeva
se
stesso,
e
cioè
come
il
servo
di
Dio
-
innocente,
sofferente
e
paziente
-
come
un
agnello,
condotto
al
macello.
Inoltre
in
aramaico
“talja”
significa
sia
“agnello”
che
“servo”.
Infine
secondo
Giovanni4
Gesù
è
paragonato
all'agnello
pasquale,
come
si
deduce
dal
fatto
che
la
crocifissione
ebbe
luogo
in
coincidenza
con
la
Pasqua
ebraica
e
addirittura
con
l'ora
stessa
in
cui
nel
tempio
venivano
immolati
gli
agnelli
per
il
sacrificio
pasquale
(Come
si
può
leggere
anche
nel
libro
Gesù
di
Nazareth
di
Joseph
Ratzinger-Benedetto
XVI,
Milano
2007,
pp
446).
Il
Vangelo
di
oggi
ci
mette
di
fronte
alla
missione
di
tenerezza
di
Cristo
che
domanda
la
collaborazione
del
nostro
amore.
Questo
Vangelo
ci
fa
mettere
i
nostri
passi
nei
passi
di
Gesù
e
ci
domanda
di
accompagnarlo
fino
alla
fine,
di
realizzare
questo
piano
misterioso
in
cui
il
trionfo
di
Dio
deve
compiersi
nella
“sconfitta”
della
Croce
affinché
sappiamo
che
non
si
tratta
per
noi
di
aspettare
a
braccia
conserte
la
realizzazione
di
un
destino
che
si
compie
senza
di
noi.
Al
contrario
noi
siamo
coinvolti
nel
lavoro
per
costruire
con
Dio
un
mondo
fondato
sull’amore,
un
mondo
la
cui
dimensione
creatrice
è
una
dimensione
di
generosità
e
di
dono
di
sé,
con
Cristo,
per
Cristo
e
in
Cristo.
La
Chiesa
conserva
sempre
nel
suo
cuore
il
Cuore
dello
Sposo
e
nel
cuore
della
Chiesa
è
sempre
possibile
vivere
la
santità
e
divenire
la
sposa
bella
dell’Agnello
immolato.
In
ciò
ci
sono
di
esempio
le
Vergini
consacrate.
Esse
hanno
risposto
di
sì
a
Cristo
sposo
e
grazie
a
quel
sì
la
loro
presenza
nella
Chiesa
e
nel
mondo
è
un
Vangelo
vivente,
una
testimonianza
di
Dio,
che
loro
offrono,
rivelano
e
comunicano
senza
bisogno
di
parlare.
La
loro
vita
è
vita
di
comunione
d'amore
con
Cristo,
che
chiama,
perdona
e
dimora
con
noi
conformando
noi
a
Lui:
“Nella
vita
consacrata,
dunque,
non
si
tratta
solo
di
seguire
Cristo
con
tutto
il
cuore,
amandolo
«più
del
padre
e
della
madre,
più
del
figlio
o
della
figlia»
(cfr
Mt
10,
37),
come
è
chiesto
ad
ogni
discepolo,
ma
di
vivere
ed
esprimere
ciò
con
l'adesione
«conformativa»
a
Cristo
dell'intera
esistenza
,
in
una
tensione
totalizzante
che
anticipa,
nella
misura
possibile
nel
tempo
e
secondo
i
vari
carismi,
la
perfezione
escatologica”.
(B.
Giovanni
Paolo
II,
Es.
Ap.
Post-Sin.
Vita
Consecrata,
N.16).
1
Il
tempo
ordinario
è
costituito
da
33
o
34
settimane,
distribuite
tra
la
festa
del
Battesimo
del
Signore
e
l’inizio
della
Quaresima
(primo
periodo),
e
tra
la
settimana
dopo
Pentecoste
e
la
Solennità
di
Cristo
Re
(secondo
periodo).
Due
elementi
sono
fondamentali
per
cogliere
il
significato
e
l’importanza
del
tempo
ordinario:
il
lezionario,
che
con
la
lettura
semicontinua
dei
vangeli
sinottici
ritma
il
cammino
delle
domeniche
e
dei
giorni
feriali,
e
la
domenica,
come
giorno
del
Signore
e
primo
giorno
della
settimana.
Di
domenica,
in
ogni
ciclo
annuale,
si
legge
un
diverso
evangelista.
Nell’anno
A
Matteo,
nell’anno
B
Marco,
nell’anno
C
Luca.
Le
prime
letture
tratte
dall’Antico
Testamento
sono
scelte
in
base
al
brano
evangelico,
in
modo
che
ci
sia
un
rapporto
di
promessa-compimento,
profezia-realizzazione.
Le
seconde
letture
invece
seguono
la
lettura
semicontinua
dell’epistolario
paolino,
della
lettera
di
Giacomo
e
della
lettera
agli
Ebrei.
Anche
nei
giorni
feriali
si
segue
il
criterio
della
lettura
semicontinua
dei
testi
biblici.
Si
leggono
ogni
anno
i
tre
vangeli
sinottici:
Marco
(settimane
1-9);
Matteo
(settimane
10-22);
Luca
(settimane
23-34).
2
E’
sorprendente
la
caratterizzazione
di
Gesù
come
“l'Agnello
di
Dio
che
toglie
il
peccato
del
mondo”,
frase
che
si
può
tradurre
anche
così:
‘che
porta
su
di
sè
il
peccato
del
mondo’.
La
parola
greca
significa
‘allontanare,
levar
via',
e
per
fare
ciò
naturalmente
ciò
che
dev'essere
portato
via
dev'essere
caricato
sulle
spalle.
Per
togliere
il
peccato
del
mondo
l'Agnello
prende
su
di
sé
le
conseguenze
del
peccato
espiando
al
nostro
posto,
e
così
toglie
ogni
effetto
al
peccato,
o
meglio
alla
colpa
del
peccato,
lo
mette
da
parte.
Perciò
l'espressione
riunisce
in
sè
le
due
cose,
l'assunzione
del
peso
e
la
sua
eliminazione.
Questa
esegesi
illustra
bene
l’ambivalenza
dell'espressione
greca
ho
airon
ten
hamartian
tou
kosmou
(lat.
qui
tollit
peccatum
mundi),
il
cui
verbo
greco
airo,
al
pari
del
latino
tollere
significa
sia
portar
via,
sia
prendere
su
di
sé,
caricarsi
sulle
spalle
(mentre
purtroppo
questa
ambivalenza
di
significato
non
si
riscontra
nella
traduzione
italiana
togliere).
Non
è
erudizione
filologica
fine
a
se
stessa.
Con
questa
espressione,
infatti,
il
Vangelo
si
riferisce
sia
al
quarto
carme
del
Servo
del
Signore
(Is
53,1-12),
sia
all'agnello
espiatorio
di
Levitico
14,
12-13,
sia
infine
all'agnello
pasquale
(Es
12,
1-14;
Gv
19,36)
che
diventa
il
simbolo
della
redenzione.
3
Gv
1,29.36;
At
8,32;
1Pt
1,19.
Lettura
Patristica
San
Gregorio
Nazianzeno
(330-390),
Vescovo,
Dottore
della
Chiesa
Discorso
teologico
4
Seguire
l'Agnello
di
Dio
“Gesù
è
Figlio
dell'uomo,
a
motivo
di
Adamo
e
a
motivo
della
Vergine
da
cui
discende...
Egli
è
Cristo,
l'Unto,
il
Messia,
a
motivo
della
sua
divinità;
questa
divinità
è
l'unzione
della
sua
umanità...,
presenza
totale
di
Colui
che
così
lo
consacra...
Egli
è
la
Via,
perché
lui
in
persona
ci
conduce.
È
la
Porta,
perché
ci
introduce
nel
Regno.
È
il
Pastore,
perché
guida
il
suo
gregge
ai
pascoli
erbosi
e
lo
fa
bere
ad
un'acqua
dissetante;
gli
indica
la
via
da
percorrere
e
lo
difende
dalle
bestie
selvatiche;
riporta
la
pecora
smarrita,
ritrova
la
pecora
perduta,
fascia
la
pecora
ferita,
custodisce
le
pecore
in
buona
salute
e
grazie
alle
parole
che
gli
ispira
la
sua
scienza
di
Pastore,
le
raduna
nell'ovile
di
lassù.
Egli
è
anche
la
pecora,
perché
è
la
vittima.
È
l'Agnello,
perché
è
senza
difetto.
È
il
Sommo
sacerdote,
perché
offre
il
Sacrificio.
È
Sacerdote
alla
maniera
di
Melchisedek,
perché
è
senza
madre
nel
cielo,
senza
padre
sulla
terra,
senza
genealogia
lassù.
Infatti,
dice
la
Scrittura:
«Chi
dirà
la
sua
generazione».
È
anche
Melchisedek
perché
è
Re
di
Salem,
Re
della
Pace,
Re
della
giustizia...
Questi
sono
i
nomi
del
Figlio,
Gesù
Cristo,
lo
stesso
«ieri,
oggi
e
sempre»,
corporalmente
e
spiritualmente,
e
lo
sarà
per
sempre.
Amen.
riferimenti
biblici
:
Mt
24,27
;
Mt
1,16
;
Gv
14,6
;
Gv
10,9
;
Gv
11
;
Sal
22
;
Is
53,7
;
Gv
1,29
;
Eb
6,20
;
Eb
6,20
;
Eb
7,3;
Is
53,8
;
Eb
7,2
;
Eb
13,8)
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