Rito romano
XXVII
Domenica del Tempo Ordinario – Anno C – 6 ottobre 2013
Ab
1,2-3;2,2-4; Sal 94; 2Tm
1,6-8.13-14; Lc 17,5-10
Fede
come granello di senape1
Rito
ambrosiano
VI
Domenica dopo il martirio di San Giovanni il Precursore
1Re
17,6-16; Eb 13,1-8; Mt 10,40-42
La
missione degli apostoli prosegue quella di Gesù.
1)
Una questione di qualità non di quantità.
La
Parola di Dio proposta in questa domenica indica che l’annuncio
missionario ha queste fondamentali caratteristiche: la
tenacia e l’umiltà. Infatti,
molto chiaramente Gesù indica ai suoi apostoli che il cammino - da
percorrere per essere missionari con lui e dietro i suoi passi - deve
essere fatto con una fede tenace e una umiltà che gratuitamente si
mette a servizio dell’annuncio della lieta ed amorosa verità
evangelica: il Regno di Dio è la Misericordia del Padre.
Davanti
alla richiesta di mettere
le loro vite nelle mani del Redentore, per servire il suo amore, i
discepoli si sentono inadeguati e quindi chiedono a Gesù: “Signore,
aumenta la nostra fede”
(Lc 17, 5).
Con
il paragone del granello
di senape e del gelso che le tempeste non possono sradicare dalla
terra perché è tenacemente radicato, Gesù vuole insegnare che di
fede non ne occorre tanta come a volte si pensa. Ne basta poca,
purché vera. Ebbene, un briciolo di fede vera può sradicare questa
pianta, perché un po’ di fede è più forte di tante radici.
Sviluppando
il paragone, possiamo dire che la fede è un radicarsi stabilmente in
Dio. E questo radicamento è questione di qualità non di quantità,
di autenticità non di sforzo. Questo affidamento autentico a Lui poi
si unisce all'accettazione di un progetto calcolato sulle possibilità
di Dio e non sulle nostre.
Dopo
l'insegnamento non
sulla quantità ma sulla forza della fede
(ne basta un briciolo per sradicare un albero), ecco una parabola (Lc
17, 7-10) che non è
certo priva, a prima vista, di risvolti umanamente irritanti. Forse
che Dio si comporta come certi padroni incontentabili, che sempre
chiedono e pretendono, e non danno un attimo di pace ai loro
servitori, che devono essere sempre e comunque a disposizione del
padrone?
No.
Con un modo di parlare un po’ paradossale ma chiaro Gesù insegna
che la forza del Vangelo risiede nel servizio fedele di coloro, che
hanno accettato l'amore di Dio, che si sono radicati nel Figlio e che
condividono il Verbo fatto carne nella potenza docile dello Spirito.
La fede permette un sapere autentico su Dio che coinvolge tutta la
persona umana: è un “sàpere”2,
cioè un conoscere che dona sapore alla vita, un gusto nuovo
d’esistere, un modo gioioso di stare al mondo. La fede si esprime
nel dono di sé per gli altri, nella fraternità che rende solidali,
capaci di amare, senza calcolo e senza pretese: umilmente. Nel
vangelo di oggi Gesù ci ridice:“Chi
di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà,
quando rientra dal campo: «Vieni subito e mettiti a tavola»? Non
gli dirà piuttosto: «Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai
fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e
berrai tu»? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha
eseguito gli ordini ricevuti? Così anche voi, quando avrete fatto
tutto quello che vi è stato ordinato, dite: «Siamo servi inutili3.
Abbiamo fatto quanto dovevamo fare»”
(Lc
17, 7-10). Come si
vede, Cristo è chiaro con i suoi apostoli (ed oggi con noi), precisa
chi è il signore e chi il servo nell'opera da svolgere, quali sono i
criteri da adottare nell'eseguire il comando, quale ricompensa spetta
a chi compie il suo servizio. Ma non dimentichiamo che nell’ultima
cena Gesù fece l’esatto contrario dei padroni della terra. Lui, il
Signore del Cielo, invitò ed invita a tavola i servi che sono
diventati suoi amici, che stupiti si lasciano lavare i piedi da Lui,
l’Amico e Signore. Questo è l’amore stupefacente di Dio per noi.
2)
La fede è missionaria.
Ecco
il perché:
“La
fede nasce nell’incontro con il Dio vivente, che ci chiama e ci
svela il suo amore, un amore che ci precede e su cui possiamo
poggiare per essere saldi e costruire la vita” (Papa Francesco,
Lett. Enc. Lumen Fidei, n. 4): un Amore che ci lava persino i
piedi e che ci chiede di portarlo nel mondo intero come missionari
della Carità.
La
fede è un affidarsi a Dio, alla sua parola, alla sua guida sulle
strade oscure e impervie dell'esistenza. Quindi come missionari della
Verità dobbiamo portarla a tutti gli uomini perché sappiano a chi
vale la pena affidarsi e chi dà senso alla vita.
La
fede è sapere che all'origine di tutto c'è un Padre, che ci ha
tratto dal nulla per amore. Non siamo venuti al mondo per sbaglio,
senza che nessuno ci abbia né previsti né voluti. Noi non siamo in
balìa di un caso gelido e cieco: siamo nelle mani di Uno che ci vuol
bene e non ci abbandona mai, “il
quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla
conoscenza della verità”
(1 Tm 2,4). Lo scopo per cui Lui è venuto l’ha già definito
Cristo stesso: “Sono
venuto affinché abbiano la vita eterna: che conoscano Te, vero Dio,
e Colui che hai mandato, Cristo Gesù”
(Gv
17,3-4).
La
fede è luce che fa vedere le cose con gli occhi di Cristo, giudicare
le idee e gli accadimenti alla luce del suo insegnamento, diventare
capaci di un nuovo modo d'amare gli altri, che è lo stesso modo
limpido e disinteressato con cui Lui li ama. La
forza dell'annuncio del Vangelo non risiede nell'elaborare nuove
strategie d'impatto mediatico
nel nord del mondo o nel progettare interventi umanitari nel sud
della terra. La forza dell’evangelizzazione è nel nostro essere
missionari, che agiamo umilmente, con la consapevolezza di chi si sa
“servo inutile”, io tradurrei: servo che lavora gratuitamente
(cfr nota 3), ma che cosciente di essere come il lievito nascosto
nella farina o come il chicco di senape, che non differisce da un
granello di sabbia, pur avendo in sé un’energia vitale così
grande da dare origine a un albero, le cui fronde diventano rifugio e
conforto per i passerotti che fuggono dalla tempesta della vita.
La
fede è rendersi conto che
lo Spirito Santo, mandatoci dal Signore risorto, agisce nei nostri
cuori, ci aiuta a distinguere il bene dal male, ci sprona a camminare
sulla strada diritta, ci induce a comportarci - in un mondo litigioso
e duro - da uomini di misericordia e di pace. Lo scopo della fede che
ci è data è la missione: e la missione non è per l’Aldilà, ma è
per l’Aldiquà.
La
fede è la persuasione che ci è data la gioia di appartenere alla
Chiesa, Sposa e Corpo di Cristo, Famiglia dei figli di Dio e Luogo
certo, saldo e sicuro dell'incontro col Padre.
Non
c'è nulla di più decisivo per l'uomo, di più gratificante e di più
ragionevole della virtù teologale della fede. E non c'è nulla di
più prezioso da fare oggetto della nostra preghiera e della nostra
missione di evangelizzatori e evangelizzatrici.
La
Vergine consacrata è al servizio di questa missione
d’evangelizzazione vivendo la sua vocazione alla santità
attraverso una consacrazione a Dio fatta a Sua lode e per la salvezza
del mondo. Esse non sono chiamate a fare ma a essere e
ci ricordano che l’importante non è parlare o fare ma comunicare
ciò che siamo.
1
Un granello di senape è piccolo come una pulce, minuscolo, quasi
invisibile. Ma una volta seminato velocissimamente cresce, e
nell'arco di un anno quel piccolo seme può divenire un albero anche
di 3-4 m.
Il gelso, invece, è un albero secolare che può vivere
anche 600 anni, ha radici profonde, che si abbarbicano nella terra.
E' un albero molto difficile da sradicare, per questo è il simbolo
della solidità, della staticità, dell'inamovibilità
2
Verbo latino che vuol dire: gustare,
sentire il sapore,
poi in modo figurato avere
il gusto delle cose superiori ai sensi, quindi
essere saggio, per
cui da
sàpere derivano
anche queste due parole:
“sapore”,
“sapienza”.
3
“Inutili”
è la traduzione letterale e tradizionale del termine greco
“acreios”, ma forse il significato è più da intendersi nel
senso di “semplici
servitori”
o “soltanto
dei poveri servi”.
La
sottolineatura qui è più sulla gratuità che sulla
utilità: non prendiamola “alla lettera”, ma leggiamo la
parabola nel senso spirituale. È difficile, infatti, pensare,
sempre e in ogni caso, che Dio abbia creato degli uomini “inutili”,
ma ancor più se questi dimostrano di aver mantenuto un
comportamento giusto e corretto.
In
ogni caso, una volta che abbiamo compiuto il nostro dovere e abbiamo
detto: “siamo servi inutili”, possiamo aggiungere: “tuttavia
abbiamo un amico che ci ama più di quanto noi possiamo immaginare”.
Per questo siamo sicuri nelle sue mani. Per questo la Beata M.
Teresa di Calcutta diceva di se stessa: “Non
sono che una piccola matita nelle mani di Dio”.
Lettura
Patristica
Dalle
« Omelie » di san
Giovanni Crisostomo,
vescovo
(Om.
6 sulla preghiera fatta con fede; PG 64, 462-466)
La
preghiera, o dialogo con Dio, è un bene sommo. È, infatti, una
comunione intima con Dio. Come gli occhi del corpo vedendo la luce ne
sono rischiarati, così anche l'anima che è tesa verso Dio viene
illuminata dalla luce ineffabile della preghiera. Deve essere, però,
una preghiera non fatta per abitudine, ma che proceda dal cuore. Non
deve essere circoscritta a determinati tempi od ore, ma fiorire
continuamente, notte e giorno.
Non
bisogna infatti innalzare il nostro animo a Dio solamente quando
attendiamo con tutto lo spirito alla preghiera. Occorre che, anche
quando siamo occupati in altre faccende, sia nella cura verso i
poveri, sia nelle altre attività, impreziosite magari dalla
generosità verso il prossimo, abbiamo il desiderio e il ricordo di
Dio, perché, insaporito dall'amore divino, come da sale, tutto
diventi cibo gustosissimo al Signore dell'universo. Possiamo godere
continuamente di questo vantaggio, anzi per tutta la vita, se a
questo tipo di preghiera dedichiamo il più possibile del nostro
tempo.
La
preghiera è luce dell'anima, vera conoscenza di Dio, mediatrice tra
Dio e l'uomo. L'anima, elevata per mezzo suo in alto fino al cielo,
abbraccia il Signore con amplessi ineffabili. Come il bambino, che
piangendo grida alla madre, l'anima cerca ardentemente il latte
divino, brama che i propri desideri vengano esauditi e riceve doni
superiori ad ogni essere visibile.
La
preghiera funge da augusta messaggera dinanzi a Dio, e nel medesimo
tempo rende felice l'anima perché appaga le sue aspirazioni. Parlo,
però, della preghiera autentica e non delle sole parole.
Essa
è un desiderare Dio, un amore ineffabile che non proviene dagli
uomini, ma è prodotto dalla grazia divina. Di essa l'Apostolo dice:
Non sappiamo pregare come si conviene, ma lo Spirito stesso intercede
per noi con gemiti inesprimibili (cfr. Rm
8, 26b). Se il Signore dà a qualcuno tale modo di pregare, è una
ricchezza da valorizzare, è un cibo celeste che sazia l'anima; chi
l'ha gustato si accende di desiderio celeste per il Signore, come di
un fuoco ardentissimo che infiamma la sua anima.
Abbellisci
la tua casa di modestia e umiltà mediante la pratica della
preghiera. Rendi splendida la tua abitazione con la luce della
giustizia; orna le sue pareti con le opere buone come di una patina
di oro puro e al posto dei muri e delle pietre preziose colloca la
fede e la soprannaturale magnanimità, ponendo sopra ogni cosa, in
alto sul fastigio, la preghiera a decoro di tutto il complesso. Così
prepari per il Signore una degna dimora, così lo accogli in
splendida reggia. Egli ti concederà di trasformare la tua anima in
tempio della sua presenza."
Tardi
ti ho amato ...
(dalle
Confessioni di Sant'Agostino Vescovo di Ippona)
Stimolato
a rientrare in me stesso, sotto la tua guida, entrai nell'intimità
del mio cuore, e lo potei fare perché tu ti sei fatto mio aiuto
(cfr. Sal 29, 11). Entrai e vidi con l'occhio dell'anima mia,
qualunque esso potesse essere, una luce inalterabile sopra il mio
stesso sguardo interiore e sopra la mia intelligenza. Non era una
luce terrena e visibile che splende dinanzi allo sguardo di ogni
uomo. Direi anzi ancora poco se dicessi che era solo una luce più
forte di quella comune, o anche tanto intensa da penetrare ogni cosa.
Era
un'altra luce, assai diversa da tutte le luci del mondo creato. Non
stava al di sopra della mia intelligenza quasi come l'olio che
galleggia sull'acqua, né come il cielo che si stende sopra la terra,
ma una luce superiore. Era la luce che mi ha creato. E se mi trovavo
sotto di essa, era perché ero stato creato da essa. Chi conosce la
verità conosce questa luce. O eterna verità e vera carità e cara
eternità!
Tu
sei il mio Dio, a te sospiro giorno e notte. Appena ti conobbi mi hai
sollevato in alto perché vedessi quanto era da vedere e ciò che da
solo non sarei mai stato in grado di vedere. Hai abbagliato la
debolezza della mia vista, splendendo potentemente dentro di me.
Tremai di amore e di terrore. Mi ritrovai lontano come in una terra
straniera, dove mi parve di udire la tua voce dall'alto che diceva:
«Io sono il cibo dei forti, cresci e mi avrai. Tu non trasformerai
me in te, come il cibo del corpo, ma sarai tu ad essere trasformato
in me».
Cercavo
il modo di procurarmi la forza sufficiente per godere di te, e non la
trovavo, finché non ebbi abbracciato il «Mediatore fra Dio e gli
uomini, l'Uomo Cristo Gesù» (1 Tm 2, 5), «che è sopra ogni cosa,
Dio benedetto nei secoli» (Rm 9, 5). Egli mi chiamò e disse: «Io
sono la via, la verità e la vita» (Gv 14, 6); e unì quel cibo, che
io non ero capace di prendere, al mio essere, poiché «il Verbo si
fece carne» (Gv 1, 14). Così la tua Sapienza, per mezzo della quale
hai creato ogni cosa, si rendeva alimento della nostra debolezza da
bambini.
Tardi
ti ho amato, bellezza
tanto antica e tanto
nuova, tardi ti ho
amato. Ed ecco che tu stavi dentro di me e io ero fuori e
là ti cercavo. E io, brutto, mi avventavo sulle cose belle da te
create. Eri con me ed io non ero con te. Mi tenevano lontano da te
quelle creature, che, se non fossero in te, neppure esisterebbero.
Mi
hai chiamato, hai gridato, hai infranto la mia sordità. Mi hai
abbagliato, mi hai folgorato, e hai finalmente guarito la mia cecità.
Hai alitato su di me il tuo profumo ed io l'ho respirato, e ora anelo
a te. Ti ho gustato e ora ho fame e sete di te. Mi hai toccato e ora
ardo dal desiderio di conseguire la tua pace.
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