Rito romano
XXI Domenica del Tempo
Ordinario – Anno C – 25 agosto 2013.
Is 66, 18-21; Sal 116; Eb 12, 5-7.11-13;
Lc 13, 22-30
Cristo Porta, Via, Verità e Vita
Rito ambrosiano
Domenica che
precede il martirio di San Giovanni il Precursore
2Mac 6,1-2.18-28; Sal 140; 2Cor
4,17-5,10; Mt 18,1-10
I bambini capiscono ed accolgono la
Verità
1) La vera questione non è chi si
salva, ma come ci si salva.
Nel brano evangelico di oggi ci
viene descritto Gesù in cammino verso Gerusalemme, dove va morire e lungo la
strada insegna a chi lo segue la via per entrare nella casa del Padre. Per
sottolineare che la salvezza non è un problema di numero, perché essa è opera
di Dio che vuole che tutti si siano salvati[1] e
giungano alla conoscenza della verità, alla domanda: “Signore, sono pochi quelli che si salvano?” (Lc 13, 23), il Messia risponde con un imperativo: “Sforzatevi!” (meglio: “Lottate”[2]).
La
lotta di cui parla Gesù, alla luce della buona notizia (il Vangelo), è la lotta
contro l'autosufficienza, contro la ricchezza del cuore che è concupiscenza
della carne, concupiscenza degli occhi e superbia della vita.
Gesù
invita ad accogliere la potenza salvatrice di Dio, impegnandosi con tutte le
forze nel buon combattimento della fede, passando attraverso di Lui, che è la
Porta, per cui si riesce a entrare nel cuore del Padre.
Ad
entrare per questa porta sono i poveri in spirito, sono quelli che hanno piena
e dolorosa coscienza della loro povertà spirituale, della imperfezione della
loro anima, della scarsità di bene che c’è in noi. Solamente i poveri, che
conoscono di essere davvero poveri, soffrono di questa indigenza e si sforzano
e lottano per uscirne, mendicando la misericordia.
Ce
ne sono testimoni ed esempio gli Apostoli, ai quali molto è stato perdonato,
perché, eccetto in qualche momento, ebbero fede in Lui; perché si sforzarono di
amarlo come voleva esse amato e perché, dopo avere abbandonato l’Amore
nell’Orto del Getsemani, non Lo dimenticarono più e lasciarono per l’eternità
la memoria delle sue parole e della sua vita.
Ora
siamo nel tempo favorevole in cui è aperta la porta della Salvezza. E’ infatti
il tempo in cui il Padre ci invita alla conversione, mediante la predicazione
apostolica. La sapienza consiste nell’accogliere prontamente questo invito, che
implica
- una lotta per la perseveranza: “Non avete ancora resistito fino al sangue
nella vostra lotta contro il peccato” (Eb
12, 4),
- uno sforzo di fedeltà nella vita di ogni
giorno: “Bene servo buono e fedele. Sei
stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto: prendi parte alla gioia del
tuo padrone” (Mt 25,21),
-
una
devota accoglienza della Parola: “A quanti l’hanno accolto ha dato il potere di
diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome i quali non da
sangue, né da volere id carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati
generati” (Gv 1, 12-13).
2)
L’ascesi di comunione[3]
La lotta a cui Cristo ci invita può
essere chiamata anche ascesi [4],
per cui si parla anche di palestra ascetica. Tuttavia va tenuto presente che
l’ascesi non una ginnastica e neppure una lotta che calpesta non gli altri ma
se stessi. Secondo me è prima di tutto una modalità di “lotta” (e molti sono i
metodi ascetici), il cui scopo principale è la comunione con Dio. E’
soprattutto un cammino, un pellegrinaggio che è detto ascetico perché implica
un esercizio, una tensione costante, stupita e energica verso
l’alto, impegnando la propria vita nel desiderio
della santità attraverso una «regola» di ascesi personale, di comunione vissuta
e di carità. Per esempio, Giovanni Climaco (vissuto tra il 6° ed il 7°
secolo) nel suo libro La scala del
Paradiso sostiene che il cristiano in questo mondo è uno straniero di
passaggio, che tende alla città di
Dio, avanzando nel deserto pieno di
pericoli e privo di consolazioni, come gli Ebrei pellegrini nel deserto per
giungere al Monte Sinai dove Dio dà la Legge per l’alleanza di comunione.
“E
l’ascesi è proprio questo: che diventi in noi familiare, nonostante tutto, la
domanda della presenza di Cristo in ogni situazione della vita: a Cristo, Presenza
che salva. A noi tocca camminare senza smettere di domandare”[5]
e di tenere vivo lo stupore di essere amati.
La
persona umana è in viaggio[6]
perché è fuori di casa sua (come il figlio prodigo) e la sua casa è in qualche
modo impossibile da essere raggiunta con le sole sue forze. Egli può essere
risanato dalla grazia e l’ascesi è solamente una conseguenza di questa grazia
che il Padre dona, con il suo perdono.
Certo
va tenuto presente che lo sforzo spirituale, la
vita ascetica sono facilitate e
autenticate da una sequela ad una
persona autorevole e ad una immanenza nella comunità della Chiesa.
Si
pensi, per esempio, alla Vergine consacrate che vivono sulla forma di vita di
Cristo e sono chiamate ad essere l’esegesi vivente della Parola di Dio, alla
quale sono invitate ad accostarsi in modo costante. Alimentate dalla Parola,
che è da loro ascoltata, accolta, contemplata, celebrata quotidianamente, vissuta
come imperativo di vita, celebrano la Trinità, sono segno di fraternità e
servono la carità. Giovanni Paolo II cita Paolo per affermare che “compito della vita consacrata è di lavorare
in ogni parte della terra per consolidare e dilatare il regno di Cristo,
portando l’annuncio del Vangelo dappertutto” (Vita Consacrata, 78; cf.
Lumen gentium, 44).
Il
Cristianesimo non sono regole da eseguire, ma un Amore da seguire umilmente,
come ci ricorda il Vangelo ambrosiano di oggi: “In verità vi dico: Se non vi
convertirete e non diventerete come bambini, non entrerete nel Regno dei Cieli”
( Mt 18,3). E che altro significa
divenire bambini se non divenire umili? Si chiedeva San Bernardo di Chiaravalle.
Ma
per vivere l’amore e salvarsi occorre lo sforzo di imboccarne la via con umiltà
e come insegnava il Card. John H. Newman avere il “culto degli affetti domestici” cioè l’amore dei parenti e degli
amici è “la fonte di un amore cristiano
più esteso”. Gli affetti domestici vissuti in una comunità concreta con
altri sono una scuola che richiede atti di donazione e di abnegazione (quindi
di ascesi) rendendo l’amore forte e perseverante.
[1] Cfr, per es., Gv 3,16-21, 6, 26-70; Mt 19, 14-29; Rm 10, 5-21; Ef 2. 1-10; Tim 2, 1-8.
[2] Alla lettera Gesù dice
“lottate per entrare per la porta stretta”, infatti nel testo greco c’è: “agonìzate” = lottate, da cui le
parole “agone” e “agonia”. D’altronde Cristo sta andando a Gerusalemme per
affrontare la sua passione, la sua agonia.
[3] “Ascesi di comunione” è
un’espressione ed il titolo di un libro di Don Divo Barsotti.
[4] dal latino
ascesis che deriva dal greco
ἄσκησις derivazione di ἀσκέω cioè “esercitare”.
La definizione che se ne dà è: “esercizio” o “pratica” spirituale e fisica,
composta di preghiera, meditazione
e varie attività anche fisiche per tendere alla perfezione
interiore, per distacco
dal mondo materiale
per ascendere verso il Cielo. Il giudizio sulla realtà senza preconcetti
alienanti, irragionevoli, richiede un «distacco da sé» (cfr. Lc 17,33), un lavoro faticoso che, nella
tradizione religiosa, si chiama ascesi, e che può essere realizzato solo
dalla persuasione dell’«amore a noi stessi come destino, come affezione
al nostro destino, che è Dio.
[5] Luigi Giussani, Alla
ricerca del volto umano. Contributo ad una antropologia, Milano 1995, p.
92.
[6] Ysabel de Andia, La Voie et le voyageur, Essai
d’anthropologie de la vie spirituelle, Paris, Editions du Cerf, 2012, pages
1024. E’un
saggio di antropologia che presenta l’uomo nel suo cammino verso Dio, dalla
terra al cielo. “Straniero e viaggiatore sulla terra” (Eb 11, 13), l’uomo segue
la via di Dio che si rivela in Cristo “Via, Verità e Vita” (Gv 14, 6).
Lettura
Patristica
Dai «Discorsi sul Cantico dei Cantici»
di san Bernardo di Chiaravalle, abate
sull’amore come ascesi
L'amore é sufficiente
per se stesso, piace per se stesso e in ragione di sé. E' se stesso merito e
premio. L'amore non cerca ragioni, non cerca vantaggi all'infuori di Sé. Il suo
vantaggio sta nell'esistere. Amo perché amo, amo per amare. Grande cosa é
l'amore se si rifà al suo principio, se ricondotto alla sua origine, se
riportato alla sua sorgente. Di là sempre prende alimento per continuare a
scorrere. L'amore é il solo tra tutti i moti dell'anima, tra i sentimenti e gli
affetti, con cui la creatura possa corrispondere al Creatore, anche se non alla
pari; l'unico con il quale possa contraccambiare il prossimo e, in questo caso,
certo alla pari. Quando Dio ama, altro non desidera che essere amato. Non per
altro ama, se non per essere amato, sapendo che coloro che l'ameranno si
beeranno di questo stesso amore. L'amore dello Sposo, anzi lo Sposo-amore cerca
soltanto il ricambio dell'amore e la fedeltà. Sia perciò lecito all'amata di
riamare. Perché la sposa, e la sposa dell'Amore non dovrebbe amare? Perché non
dovrebbe essere amato l'Amore? Giustamente, rinunziando a tutti gli altri suoi
affetti, attende tutta e solo all'Amore, ella che nel ricambiare l'amore mira a
uguagliarlo. Si obietterà, però, che, anche se la sposa si sarà tutta
trasformata nell'Amore, non potrà mai raggiungere il livello della fonte
perenne dell'amore. E' certo che non potranno mai essere equiparati l'amante e
l'Amore, l'anima e il Verbo, la sposa e lo Sposo, il Creatore e la creatura. La
sorgente, infatti, dà sempre molto più di quanto basti all'assetato. Ma che
importa tutto questo? Cesserà forse e svanirà del tutto il desiderio della
sposa che attende il momento delle nozze, cesserà la brama di chi sospira,
l'ardore di chi ama, la fiducia di chi pregusta, perché non é capace di correre
alla pari con un gigante, gareggiare in dolcezza col miele, in mitezza con
l'agnello, in candore con il giglio, in splendore con il sole, in carità con
colui che é l'Amore? No certo. Sebbene infatti la creatura ami meno, perché é
inferiore, se tuttavia ama con tutta se stessa, non le resta nulla da
aggiungere. Nulla manca dove c'é tutto. Perciò per lei amare così é aver
celebrato le nozze, poiché non può amare così ed essere poco amata. Il matrimonio
completo e perfetto sta nel consenso dei due, a meno che uno dubiti che l'anima
sia amata dal Verbo, e prima e di più.
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