Nella
Sacra Scrittura l'amore è identificato all'obbedienza, perché
l'obbedienza è il dono di sé.
Rito romano
VI Domenica di
Pasqua – Anno C – 5 maggio 2013
At 15,
1-2.22-29; Sal 144 (145); Ap 21,10-14.22-23; Gv 14,23-29
Rito
ambrosiano
At
21,40b-22,22; Sal 66; Eb 7,17-26; Gv 16,12-22
1)
Obbedire è amare.
Nel brano
romano del Vangelo di questa VI Domenica di Pasqua, Gesù collega
l'amore verso di Lui con l'osservanza della sua parola: “Se
uno mi ama, osserverà la mia parola”
(Osservare qui significa sia custodire che mettere in pratica).
Ma
perché è così importante obbedire a Dio? Perché Dio ci tiene
tanto a essere obbedito? Non certo per il gusto di comandare. Lui è
un Padre che vuole dei figli e non degli schiavi. Questi figli sono
chiamati ad amarLo mediante l’obbedienza, perché l'amore
è realmente un'affermazione dell'altro, di un Altro: è obbedienza,
praticata come l'affermazione di una presenza quale criterio e
comportamento di vita.
L’obbedienza
a Dio è importante perché, obbedendo a Lui, noi facciamo la Sua
volontà di bontà e perfezione, vogliamo le stesse cose che Lui
vuole, e così realizziamo la nostra vocazione originaria che è di
essere “a sua immagine e somiglianza”. Siamo nella verità, nella
luce e di conseguenza nella pace, come il corpo che ha raggiunto il
suo punto di quiete. Dante Alighieri ha racchiuso tutto ciò in un
verso tra i più belli di tutta la Divina Commedia: “e
’n la sua volontate è nostra pace”
(Dante Alighieri, Paradiso,
3,85).
Per
capire che la parola di Cristo non è un comando d’imposizione ma
una legge di libertà amorosa, dobbiamo chiedere al Signore di farci
capire che
l'amore non è dare ciò che si ha, ma ciò che si è; allora si
vuole anche ciò che gli altri sono, non le loro cose. Non il dono
delle proprie cose è amore, ma il dono di sé. Non per nulla nella
Sacra Scrittura l'amore è identificato all'obbedienza, perché
l'obbedienza è il dono di sé. Se
mi amate, osservate i miei comandamenti… Chi osserva i miei
comandamenti, quello è colui che mi ama,
dice Gesù nell'Ultima Cena.1
L'obbedienza
cristiana è prima di tutto atteggiamento d’amore. È quel
particolare tipo d'ascolto che c’è tra amici veri, perché
illuminato dalla certezza che l’amico, che dà la vita per l’amico,
ha solo cose buone da dire e da dare all’amico: un ascolto intriso
di quella fiducia che ci rende accoglienti della volontà di Cristo,
sicuri che essa sarà per il bene.
L'obbedienza
a Dio è cammino di crescita e, perciò, di libertà della persona
perché consente di accogliere un progetto o una volontà diversa
dalla propria che non solo non mortifica o diminuisce, ma fonda la
dignità umana.
2)
Obbedire è vivere nella libertà.
Finché non
c’è amore si obbedisce “costretti” da varie regole più o meno
rigide e più o meno numerose. Nell’amore si ascolta la volontà
dell’amato e si è lieti di metterla in pratica. L’obbedienza
cristiana è libera e liberante., per questa obbedienza a Dio
coincide anche con “il vero bene dell’Uomo”, di ogni uomo. Per
il cristiano, l'amare Dio implica ovviamente l'obbedienza alla Sua
volontà in vista di un sommo bene: la pace e l'amicizia con Dio e
con gli uomini (si pensi alla “legge delle Beatitudini” data da
Gesù durante il suo Discorso della Montagna.
La Madonna è,
dopo Cristo, l’esempio più alto di obbedienza, di amore e di
libertà. La Vergine Maria ha accolto con libertà suprema il Verbo
di Dio. Lei ha “osservato” (=custodito e messo in pratica)
fedelmente il dono dell’Amore di Dio, che grazie alla suo sì
obbediente si è fatto carne e ha posto la sua dimora in noi e tra
noi. Lei ha obbedito alla suprema legge dell’amore. Con il suo
libero sì, ha fatto sì che la verità e l’amore di Dio entrassero
nel cuore di lei e di ogni essere umano, che come lei dice sì al
dono di Dio. Allora Dio pone nel cuore umano la sua fissa dimora.
Non è un Dio qualsiasi:
è il Dio
vivo,
che è amore,
che crea a sua
immagine la libertà,
che libera
dalla morte con la croce di Pasqua,
che apre
all'uomo, nello Spirito Santo, lo spazio infinito della vera libertà.
Credere
in questo Dio non è aderire ad una teoria, non è avere un’opinione
sul divino e sull’umano. Credere è riconoscere una Presenza che ci
ama. In effetti “la
fede nasce dall’impatto dell’amore di Gesù con il cuore
dell’uomo. La fede è l’iniziativa dell’amore di Gesù Cristo
sul suo cuore.”(Benedetto
XVI).
3)
Amore è felicità.
Un monaco
agostiniano, che è rimasto anonimo, ha lasciato scritto: «L’amicizia
è una virtù, ma l’essere amati non è una virtù, è la
felicità».
Prima bisogna essere amati, poi si può amare. Prima bisogna essere
contenti di essere amati, poi si comunica questo amore pieno di gioia
agli altri, osservando il comando dell’amore.
L'amore per
Cristo è la risposta libera e totale alla
scelta originaria che Lui ha fatto di noi, una risposta che non può
essere vago sentimento, ma passa attraverso l'ascolto attento della
parola di verità che Cristo ci ha annunciato, parola di vita, parola
che salva, parola accolta, coltivata nel cuore e poi vissuta.
Chi
ama veramente il Signore Lo ascolta, Lo segue, si lascia guidare da
Lui, perché sa che obbedirgli non è cosa gravosa, ma è segno di
amore che dice desiderio, affetto, amicizia, appartenenza. Di più,
nel breve passo del Vangelo romano che oggi ci è proposto, l'amore è
anche il luogo dell'incontro col Padre, il luogo in cui il Padre e il
Figlio Gesù pongono la loro dimora: "Se uno mi ama, osserverà
la mia parola; il Padre mio lo amerà, e noi verremo da lui e faremo
dimora presso di lui". Il Vangelo di carità chiede di costruire
case di carità, comunità di carità vissuta, che siano segno
tangibile della novità
di Cristo
nella storia,
lievito umile,
ma fecondo, nella società
individualista
e conflittuale. Il cuore di queste comunità sono le Vergini
consacrate. Questa donne testimoniano che l’amore
è il dono di sé, e il dono di sé a un certo momento ha una sua
riprova in questo: tu non puoi possedere più nulla dal momento che
non possiedi te stesso. Lietamente hanno donato tutto all’Amore e
diffondo questo Amore, lietamente.
Questa
domenica consiglio due testi di San Tommaso, quindi si tratta di due
scritti “quasi” patristici.
Preghiera
per l’obbedienza di San
Tommaso d'Aquino
“Rendimi,
Signore mio Dio,
obbediente senza ripugnanza,
povero senza
rammarico, casto senza presunzione,
paziente senza mormorazione,
umile senza finzione,
giocondo senza dissipazione, austero senza
tristezza,
prudente senza fastidio, pronto senza vanità,
timoroso
senza sfiducia, veritiero senza doppiezza,
benefico senza
arroganza,
così che io senza superbia corregga i miei fratelli
e
senza simulazione li edifichi con la parola e con l'esempio.
Donami,
o Signore, un cuore vigile
che nessun pensiero facile allontani da
te,
un cuore nobile che nessun attaccamento ambiguo degradi,
un
cuore retto che nessuna intenzione equivoca possa sviare,
un cuore
fermo che resista ad ogni avversità,
un cuore libero che nessuna
violenza possa soggiogare.
Concedimi, Signore mio
Dio,
un'intelligenza che ti conosca,
una volontà che ti
cerchi,
una sapienza che ti trovi,
una vita che ti piaccia,
una
perseveranza che ti attenda con fiducia,
una fiducia che, alla
fine, ti possegga.”
Lettura
(quasi) Patristica
Dagli Opuscoli
teologici di San Tommaso d’Aquino
La
Legge della divina carità
“E’
evidente
che non tutti possono dedicarsi a fondo alla scienza; e perciò
Cristo ha emanato una legge breve e incisiva che tutti possano
conoscere e dalla cui osservanza. nessuno per ignoranza possa
ritenersi scusato. E questa è la legge della divina carità. Ad essa
accenna l’Apostolo con quelle parole: “Il Signore pronunzierà
sulla terra una parola breve” (Rm
9, 28).
Questa
legge deve costituire la norma di tutti gli atti umani. Come infatti
vediamo nelle cose artificiali che ogni lavoro si dice buono e retto
se viene compiuto secondo le dovute regole, così anche si riconosce
come retta e virtuosa la azione dell’uomo, quando essa è conforme
alla regola della divina carità. Quando invece è in contrasto
con questa norma, non è né buona, né retta, né perfetta.
Questa
legge dell’amore divino produce nell’uomo quattro effetti
molto desiderabili. In primo luogo genera in lui la vita spirituale.
E’ noto infatti che per sua natura l’amato è nell’amante.
E perciò chi ama Dio, lo possiede in sé medesimo: “Chi sta
nell’amore sta in Dio e Dio sta in lui” (1 Gv
4, 16). E’ pure la legge dell’amore, che l’amante venga
trasformato nell’amato. Se amiamo il Signore, diventiamo anche
noi divini: “Chi si unisce al Signore, diventa un solo spirito con
lui ” (1 Cor
6, 17). A detta di sant’Agostino, “come l’anima è la vita del
corpo, così Dio è la vita dell’anima ”. L’anima perciò
agisce in maniera virtuosa e perfetta quando opera per mezzo
della carità, mediante la quale Dio dimora in essa. Senza la
carità, in verità l’anima non agisce: “Chi non ama rimane nella
morte” (1 Gv
3, 14). Se perciò qualcuno possedesse tutti i doni dello
Spirito Santo, ma non avesse la carità, non avrebbe in sé la vita.
Si tratti pure del dono delle lingue o del dono della fede o di
qualsiasi altro dono: senza la carità essi non conferiscono la vita.
Come avviene di un cadavere rivestito di oggetti d’oro o di pietre
preziose: resta sempre un corpo senza vita.
Secondo
effetto della carità è promuovere la osservanza dei comandamenti
divini: “L’amore di Dio non è mai ozioso — dice san Gregorio
Magno —quando c’è, produce grandi cose; se si rifiuta di essere
fattivo, non è vero amore”. Vediamo infatti che l’amante
intraprende cose grandi e difficili per 1’amato: “Se uno mi ama
osserva la mia parola”(Gv
14, 25). Chi dunque osserva il comandamento e la legge dell’amore
divino, adempie tutta la legge.
Il
terzo effetto della carità è di costituire un aiuto contro le
avversità. Chi possiede la carità non sarà danneggiato da alcuna
avversità: “Ogni cosa concorre al bene di coloro che amano Dio
”(Rm
8, 28); anzi è dato di esperienza che anche le cose avverse e
difficili appaiono soavi a colui che ama.
Il
quarto effetto della carità è di condurre alla felicità. La
felicità eterna è promessa infatti soltanto a coloro che possiedono
la carità, senza la quale tutte le altre cose sono insufficienti. Ed
è da tenere ben presente che solo secondo il diverso grado di carità
posseduto si misura il diverso grado di felicità, e non secondo
qualche altra virtù. Molti infatti furono più mortificati degli
Apostoli; ma questi sorpassano nella beatitudine tutti gli altri
proprio per il possesso di un più eccellente grado di carità. E
così si vede come la carità ottenga in noi questo quadruplice
risultato.
Ma
essa produce anche altri effetti che non vanno dimenticati: quali, la
remissione dei peccati, l’illuminazione del cuore, la gioia
perfetta, la pace, la libertà dei figli di Dio e l’amicizia con
Dio."
Dagli
“Opuscoli
teologici
” di san
Tommaso d’Aquino,
sacerdote; in Opuscula
theologica, II,
nn. 1137-1154,
1
Ecco il contesto :
Il brano di questa domenica è la parte finale del discorso di
addio rivolto da Gesù ai suoi discepoli durante l'Ultima Cena, che
occupa tutto il capitolo 14 del vangelo di Giovanni. L'inizio di
tale discorso è nel capitolo precedente (13,33) di cui abbiamo
ascoltato una parte la scorsa domenica, e un suo ampliamento nei
capitoli 15-17. Gesù saluta i suoi prima della sua passione, ma
indica loro anche ciò che devono fare in attesa del suo ritorno; le
sue parole non sono solo per i dodici ma anche per i discepoli di
tutti i tempi. Anche questa volta il contesto è importante,
suggerisco quindi di collocarlo all'interno del capitolo 14 che ha
questa struttura:
prima parte: La via per giungere al Padre
(14,1-14)
seconda parte: La comunione tra Gesù e la sua comunità
(14,15-26)
terza parte: la partenza di Gesù e il dono della pace
(14,27-31.
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