V
Domenica di Pasqua – Anno C – 28 aprile 2013
Rito
romano
At
14-21b-27; Sal
144(145); Ap
21,1-5a; Gv
13,31-33a.34-35.
Rito
ambrosiano
At
4,32-37; Sal 132; 1Cor 12,31-13,8a; Gv 13,31b-35
“Amate”:
questo comando, che Cristo ci ha dato, è la “Magna Carta” del
Popolo che, nato dal Suo
costato trafitto, è trasformato santamente per mezzo dell'Amore. La
carità di Cristo spinge non solo a gesti d’amore ma anche ad una
vita di carità in Lui.
Purtroppo,
nel parlare o scrivere ordinario il significato della parola “amore”,
che dà la vita, ha ridotto a sentimento di bontà dolce oppure a
passione spesso sensuale. Nel Vangelo la parola “amore” è sempre
contrassegnata dalla croce, che indica una bontà appassionata, il
cui fine non è il “possesso” dell’altro ma il dono di sé
all’altro. Quando Cristo dice: “Vi amo”, la croce è inclusa,
egli intende la croce, cioè l’appassionato dono di sé. E in
questo modo ci mostra che l’amore puro, sincero è l’amore che si
dona liberamente.
Cristo
rivela il suo amore in modo appassionato: con la sua Passione e Morte
in Croce. L'amore, che Cristo rivela e propone con un “comando”,
è detto con parole delicate e con il gesto dell’andare in Croce,
dopo avercene dato prova con la lavanda dei piedi, con l’istituzione
dell’Eucaristia, che fortifica e rende stabili l’amore, e con
molti fraterni insegnamenti.
Molte
volte abbiamo letto o ascoltato la frase di Gesù che il Vangelo
romano di oggi ci propone: “Vi
do un comandamento nuovo: amatevi gli uni gli altri come io ho amato
voi” (Gv
13, 33). Per aiutare la nostra meditazione propongo –come premessa-
la spiegazione sintetica di termini:
Prima
di tutto bisogna ricordare che per l’Evangelista e Apostolo
Giovanni il termine “comandamento” significa la parola che rivela
l'amore di Dio Padre. In effetti, nel testo greco egli usa il termine
“entolè”,
che ha il significato di precetto,
consiglio, istruzione, prescrizione.
E' un po’ come la ricetta di un dottore che prescrive una
determinata cura per il nostro bene. Sta poi al paziente seguire o no
ciò che è stato prescritto. Comandamento in questo caso quindi non
è un ordine perentorio, qualcosa di obbligatorio così come lo
intendiamo noi nel significato corrente. La controprova che questo è
il significato che Giovanni voleva dare al termine comandamento lo
ritroviamo nel suo Vangelo dove il medesimo Apostolo per definire il
comandamento di Mosè non usa più entolè
ma “nomos”.
Nel servire e seguire Cristo dunque, non abbiamo bisogno tanto di
nomos.
Il nostro rapporto con Dio è molto più che un seguire delle regole
per eccellenti che siano. Dio ci dà dei comandi (entolè)
che ci guidano, ci formano, ci conducono sul Suo sentiero: in breve,
indicazioni che ci manifestano la sua volontà di salvezza.
In
effetti, il termine greco usato da Giovanni è in relazione non solo
all’ambito della legalità ma anche a quello della responsabilità.
Gesù quindi non comunica tanto una regola, ma rivela una missione di
salvezza e chiama ad una responsabilità. La traduzione latina è
corretta e mette “mandatum novum” che viene da mittere=inviare.
Quindi Gesù invita i suoi discepoli di allora e di oggi a mettere in
essere questo mandato, a “creare” questa carità reciproca ed
Egli aggiunge: «Il mondo vedrà che siete miei discepoli». Il mondo
capirà che il Vangelo è vivo e in “vigore” (si dice anche della
legge che è in vigore), se noi saremo amici, fratelli e sorelle tra
noi. Si rinnoverà così il miracolo dei primi secoli dell’era
cristiana, come lo attesta Tertulliano (n.155 – m. 230) che parla
di come la gente pagana fosse stupita e dicesse: “Ma
guarda, come si vogliono bene; ma guarda come c'è amore tra di loro”
(Apol.
19).
Questo
amore “comandato” da Cristo ha poi due caratteristiche indicate
da “nuovo” e “come”.
Il
comando dell'amore reciproco, fraterno è da Gesù definito «nuovo».
Non si tratta di una novità puramente cronologica, ma di una novità
qualitativa. Il comando dell'amore è nuovo come è nuovo Gesù, il
nuovo Mosè che scrive la legge dell’amore non su tavole di pietra
ma sul nostro cuore. L'amore reciproco, fraterno e gratuito è la
novità della vita di Dio che irrompe nel nostro vecchio mondo,
rigenerandolo. Ed è l'anticipo della vita eterna, definitiva e
stabile cui aspiriamo.
2)
Il dono di un comando che invita ad amare senza misura.
L'avverbio
greco cathos
usato nel vangelo romano odierno viene tradotto con il termine come:
"Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli
altri". Come
intendere questo “come”? Forse i discepoli dovranno imitare il
comportamento del proprio Maestro? Questo risulta riduttivo, si
finirebbe per fare di Gesù un personaggio del passato, dal quale si
ereditano delle consegne da applicare, di modo che l'azione dei
discepoli perpetui nel tempo quella di Gesù.
Al contrario è
possibile un'interpretazione più profonda. Kathos
qui, come in altri
testi, non ha il senso di una similitudine, ma quello di un'origine.
Si può tradurre: Con
l'amore con cui vi ho amato, amatevi gli uni gli altri,
versione più vicina al significato del testo. L'amore del Figlio per
i suoi discepoli genera il loro movimento di carità: è il suo
amore, l'amore di Gesù, che passa in loro quando amano i fratelli e
ne sono riamati.
E'
l'amore con il quale Gesù ama ogni uomo che rende possibile la
fraternità e impegna in questo senso ogni comunità cristiana. Un
amore sempre nuovo, sempre gratuito e profondo, come l'alleanza che
Dio rivela amando l'umanità e il mondo (cfr. Gv
3,6; Ez
34-37; Ger
31,31).
Amarci
gli uni gli altri con il cuore di Cristo ecco il comando nuovo. Ma se
la misura della carità del nostro Redentore è “amare senza
misura” (cfr. S. Bernardo di Chiaravalle (De
diligendo Deo, 16),
come possiamo essere all’altezza dell’amore di Cristo. E’ un
compito impari. Gesù ha amato perdutamente, fino a perdere la sua
stessa vita. Come possiamo fare altrettanto? Lui ha dato la propria
vita per il suo prossimo, tutti noi, ed ha avuto come primo compagno
in paradiso un condannato a morte: il buon ladrone. L’amore di
Cristo è un amore dove prima dell’io c’è l’altro.
Come
è possibile avere e vivere questo amore? Arrendendosi a questo
amore. Se accetteremo di essere sua proprietà, come già aveva
intuito il profeta Geremia: “Signore
tu mi ha sedotto ed io mi sono lasciato sedurre”,
saremo suoi figli per sempre. L’Amore che ci ha scelto fin dal
momento in cui le sue mani plasmarono il nostro corpo, ci chiama ad
essere come tralci che aderiscono alla vite e che producono frutti di
vita vera per gli altri.
In
questo ci sono di esempio le Vergini consacrate che, con la loro
piena risposta all’offerta di se stesse a Dio nella castità,
mostrano che la legge del cielo è scesa sulla terra, perché l’amore
di Dio rende possibile il santo amore per il prossimo, nella
condivisione della fede e della reciproca e servizievole carità.
Lettura
Patristica
SANT’AGOSTINO
D’IPPONA
DISCORSO
332
Perché
i martiri sono amici di Cristo. L'amore reciproco in vista del regno
dei cieli.
1.
Quando veneriamo i martiri, rendiamo onore ad amici di Dio. Volete
sapere che cosa ha fatto di loro degli amici di Dio? Lo indica Cristo
stesso; afferma infatti: Questo
è il mio comandamento, che vi amiate a vicenda. Si
amano a vicenda quelli che intervengono insieme agli spettacoli degli
istrioni; si amano a vicenda quelli che si trovano insieme a
ubriacarsi nelle bettole; si amano a vicenda quelli che accomuna una
cattiva coscienza. Cristo dovette fare perciò una distinzione
nell'amore quando ebbe a dire: Questo
è il mio comandamento, che vi amiate a vicenda. In
realtà, la fece; ascoltate. Dopo aver detto: Questo
è il mio comandamento, che vi amiate a vicenda, subito
aggiunse: come io vi ho
amato. Amatevi a
vicenda così, per il regno di Dio, per la vita eterna. Siate insieme
ad amare, amate me, però. Vi amerete reciprocamente se vi unisce
l'amore per un istrione; sarà maggiore il vostro amore reciproco se
vi unisce l'amore per colui che non può farvi scontenti, il
Salvatore.
Fino
a che punto ci dobbiamo amore reciproco.
2.
Il Signore proseguì ancora e continuò a istruire, quasi gli
avessimo chiesto: E in che modo ci hai amati, per sapere come
dobbiamo amarci tra noi? Ascoltate: Nessuno
ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici.
Amatevi a vicenda in
modo da offrire ciascuno la vita per gli altri. I martiri infatti
misero in pratica questo di cui parla anche l'evangelista Giovanni
nella sua lettera: Come
Cristo ha dato la sua vita per noi, così anche noi dobbiamo dare la
vita per i fratelli. Accostatevi
alla mensa del Potente: voi fedeli ben sapete a quale mensa vi
accostate; richiamate alla memoria le parole della Scrittura: Quando
siedi davanti alla mensa di un potente, considera che tu devi
preparare altrettanto. A
quale mensa di potente ti accosti? A quella in cui egli ti porge se
stesso, non a mensa imbandita dalla perizia di cuochi. Cristo ti
porge il suo cibo, vale a dire, se stesso. Accostati a tale mensa e
saziati. Sii povero e ti sazierai. I
poveri mangeranno e si
sazieranno. Considera che tu devi preparare altrettanto. Per
capire, segui il commento di Giovanni. Forse infatti ignoravi che
significa: Quando siedi
alla mensa di un potente, considera che tu devi preparare
altrettanto. Ascolta
il commento dell'Evangelista: Come
Cristo ha dato la vita per noi, così anche noi dobbiamo preparare
altrettanto. Che vuol dire 'preparare altrettanto'? Dare
la vita per i fratelli.
La
carità è dono di Dio.
3.
Per saziarti, ti sei accostato povero; come ti procurerai
l'altrettanto da preparare? Fanne richiesta proprio a chi ti ha
invitato, per avere di che dargli in cibo. Niente avrai se non te
l'avrà dato egli stesso. Ma possiedi già un po' di carità? Non
attribuirla a te stesso: Che
cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto?
Possiedi già un po' di carità? Chiedi che si accresca, chiedi che
giunga a perfezione, fin quando tu non pervenga a quella mensa di cui
non si trova una più lauta in questa vita. Nessuno
ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici.
Ti sei accostato povero, torni indietro ricco: anzi, tu non ti
allontani e, restandovi, sarai ricco. Da lui i martiri ricevettero di
che soffrire per lui: siatene certi, lo ebbero da lui. Fu il padre di
famiglia a porgere loro di che offrirgli in cibo. Possediamo lui,
chiediamo a lui. E, se siamo manchevoli quanto all'esserne degni,
presentiamo la nostra domanda per mezzo dei suoi amici, gli amici di
lui, i quali gli avevano offerto a mensa quanto egli aveva loro
donato. Preghino, quelli, per noi, così che il Padre di famiglia lo
accordi anche a noi. E per avere il di più, riceviamo dal cielo.
Ascolta Giovanni che egli ebbe precursore: Nessuno
può prendersi qualcosa se non gli è stato dato dal cielo. Ne
segue che riceviamo dal cielo anche quanto abbiamo; quindi riceviamo
dal cielo di avere il di più.
I
fornicatori non entreranno nella Città di Dio.
4.
È proprio la città quella che discende dal cielo: vediamo di essere
tali da meritare di entrarvi. Avete infatti ascoltato quali vi
entrano e quali ne sono esclusi. Non siate di quelli che, come avete
ascoltato, sono gli esclusi, specialmente i fornicatori. Alla lettura
del passo in cui la Scrittura ha indicato quelli che non entreranno,
dove sono citati anche gli omicidi, voi non vi siete sgomentati. Ha
citato i fornicatori, e l'effetto è giunto al mio orecchio, perché
vi siete battuti il petto. Io l'ho udito, personalmente l'ho udito,
l'ho visto io; e di quel che non ho veduto nei vostri letti mi sono
accorto al rimbombo, l'ho visto sui vostri petti, mentre siete stati
a batterli. Cacciate via di là il peccato: battersi il petto,
infatti, e continuare a fare queste medesime cose, nient'altro è che
indurire i peccati quasi pavimento. Fratelli miei, figli miei, siate
casti, amate la castità, tenetevi stretti alla castità, amate la
pudicizia: Dio è l'autore della pudicizia nel suo tempio, che siete
voi, la cerca; caccia via dal tempio gli impudichi. Contentatevi
delle vostre mogli, dal momento che volete che le vostre mogli si
contentino di voi. Come tu non vuoi che tua moglie abbia occasioni in
cui vieni soppiantato, non averne da parte tua nei suoi confronti. Tu
sei il signore, quella la serva: Dio ha creato entrambi. Sara
- dice la Scrittura -
aveva
rispetto per Abramo,
che chiamava signore.
È vero; questi contratti sono a firma del vescovo: le vostre mogli
sono vostre serve, voi, i padroni delle vostre mogli. Ma in
riferimento al rapporto dove i sessi, che sono distinti, si uniscono,
la moglie non è
arbitra del proprio corpo, ma lo è il marito.
Ecco, te ne stavi rallegrando, te ne sentivi orgoglioso, ti vantavi:
"Ha detto bene l'Apostolo, il Vaso di elezione ha avuto
un'affermazione della massima chiarezza: La
moglie non è arbitra del proprio corpo, ma lo è il marito. Dunque,
il padrone sono io". L'elogio l'hai fatto: ascolta quel che vien
dopo, sta' a sentire quel che non vuoi: io prego perché diventi tuo
volere. Di che si tratta? Ascolta: Allo
stesso modo anche il marito - quello
che è il padrone - allo
stesso modo anche il marito non è arbitro del proprio corpo, ma la
moglie. Ascolta questo
con buone disposizioni. Ti si toglie di mezzo il vizio, non
l'autorità, ti vengono proibiti gli adulteri, non si riconosce
superiorità alla donna. Tu sei uomo, rivelati tale: "virilità",
infatti, deriva da "virtù", o invertendo, "virtù"
da "virilità". Perciò, possiedi la virtù? Vinci la
libidine. Capo della
moglie - dice
l'Apostolo - è
l'uomo.
In quanto capo, sii la guida in modo che ti segua: ma fa' attenzione
dove tu conduci. Tu sei il capo, conduci dove ti deve seguire: evita,
però, di andare dove non vuoi che ti segua. Per non correre il
rischio di finire in un precipizio, bada di fare un percorso
rettilineo. Disponetevi in tal modo a recarvi dalla sposa novella, la
cui bellezza, i cui ornamenti - non di gioielli ma di virtù - sono
per suo marito. Se, quindi, lo avrete fatto da uomini casti e
morigerati e giusti, anche voi farete parte delle membra di quella
novella Sposa, che è la beata e gloriosa celeste Gerusalemme.
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