III
domenica di Pasqua – Anno C – 14 aprile 2013
Rito
romano
At
5, 27b-32. 40b-41; Sal 29; Ap 5, 11-14; Gv 21, 1-19
Cristo
è l’amore che chiede di essere seguito.
Rito
ambrosiano
At
28,16-28; Sal 96; Rm 1,1-1-16b; Gv 8,12-19
Cristo
luce di carità per mondo.
1)
Le apparizioni: una Presenza che sta.
A
Pasqua, la prima di tutte le domeniche, abbiamo festeggiato la
vittoria del Verbo di Vita, che è Luce. Questa Luce ha sconfitto le
tenebre ed è il principio di una vita che non è sottomessa
all’usura del tempo perché è messa nell’eterna giovinezza di
Dio. Abbiamo celebrato la vittoria dell’Amore, che è più forte
della morte e del peccato, che ha fatto entrare nel mondo la morte e
le sue tenebre.
Domenica
scorsa, la seconda dopo Pasqua, ci è stata ricordata la tenerezza di
Gesù per Tommaso, il suo discepolo appassionato ma assente alla
prima apparizione del Risorto nel Cenacolo. Questo Apostolo, davanti
alla concretezza della presenza del Redentore, l’ha riconosciuto ed
ha detto le parole più belle e splendide della fede cristiana: «Mio
Signore e mio Dio».
Allora Gesù guardò Tommaso con i suoi occhi pieni di misericordia.
Poi con uno
sguardo che dona serenità e fiducia, che infonde coraggio e audacia,
che sprigiona passione e forza irresistibili invitò tutti gli
Apostoli ad andare fino agli estremi confini della terra per
annunciare il Vangelo: la più buona e bella notizia di cui ha
assoluto bisogno l’uomo di ogni tempo e di ogni luogo.
In questa
terza domenica di Pasqua Gesù dona la propria presenza ad alcuni
apostoli per confermare loro la vocazione di essere imbarcati nel e
dall’amore
infinito, misericordioso e fedele, come i pesci della pesca
straordinaria, di cui il vangelo di oggi ci parla. Non è solo
un’apparizione per confermarli nella certezza della Sua
Risurrezione, è anche una ri-presa della missione di essere
pescatori di uomini.
Con
le apparizioni Gesù manifesta una Presenza santa e fedele.
Oggi come allora egli invita a stare
con
Lui, che sta
(Gv
21,4) sulla riva del lago.
Con
la sua Presenza dimostra che l’Amore donato vince la morte per sé
e per gli amici, Giuda compreso. Non dimentichiamo che quando andò
per tradirLo, Giuda fu chiamato da Cristo: “Amico”. Come non
pensare che questa parola non abbia trafitto in bene il cuore del
traditore. E forse l’ultimo momento, ricordando quella parola e
l’accettazione del bacio, anche Giuda avrà sentito che il Signore
gli voleva ancora bene e lo riceveva tra i suoi di là.
Nell’ultima
Cena Gesù disse a tutti gli Apostoli: «Non
vi chiamo più servi, ma amici»
(Gv 15,
15). Gesù fa anche a noi questo dono di chiamarci “amici”
E proprio
perché siamo suoi amici, Cristo ci parla da amico ad amici e chiede
di amarci gli uni gli altri, presentando il suo stesso amore come la
fonte, il modello e la misura del nostro amore vicendevole e fraterno
(cfr Gv 15,
12).
In
breve, possiamo dire che il Risorto invita i suoi Apostoli, e oggi
noi, a stare con lui. Occorre “stare” con Lui, innestati in Lui
come tralci alla vite per avere la sua Vita, “occorre
stare con Gesù per poter stare con gli altri”
(Benedetto XVI, alla Fraternità sacerdotale San Carlo Borromeo il 13
febbraio 2011). Stando con Lui condividiamo l’amore che dura per
sempre ed è per tutti.
2)
Il potere che nasce dall’amore: Mi ami? …Ti voglio bene… Pasci
i miei agnelli.
Dopo
il pasto consumato mangiando il pane offerto dal Risorto stesso e del
pesce arrostito frutto della pesca eccezionale, inizia il dialogo tra
Gesù e Pietro, che ricorda a Pietro il suo tradimento, la sua
defezione. E' bastata la battuta di una serva pettegola per farlo
crollare e ridicolizzare. Questo ricordo è doloroso per Pietro, ma
Gesù non gli chiede né spiegazioni né scuse; gli chiede solo se
gli vuole bene, perché a Gesù non interessa che il suo nuovo
pontefice sia forte o coerente, gli interessa solo sapere se gli
vuole bene, se ha ancora il desiderio di seguirlo. Colui che sarà il
Vescovo di Roma, che presiede alla carità, riceve il suo incarico
con un “esame” sulla carità. A Pietro che gli offriva il suo
dolore, Cristo diede la conferma del suo amore.
Il
cammino della santità non consiste nel non avere mai tradito, ma nel
rinnovare ogni giorno la nostra amicizia per Cristo.
Le
tre domande di Gesù sono sempre diverse, perché Gesù si adatta
alle riposte di Pietro. Alla prima domanda: Mi
ami (in
greco agapàs
me
da agapào)
più di tutti?,
Pietro risponde senza restare nei termini esatti: infatti mentre Gesù
usa un verbo raro, quello dell'agàpe, il verbo sublime dell'amore
assoluto, dell’amore di oblazione, Pietro risponde con il verbo
umile, quotidiano, quello dell'amicizia e dell'affetto (in greco
filèo):
ti voglio bene (filo
se),
inoltre, non si paragona con gli altri.
Ed
ecco la seconda domanda:
Simone
figlio di Giovanni, mi ami (agapàs me)?
Gesù ha capito la fatica di Pietro, e chiede di meno: non più il
confronto con gli altri, ma rimane la richiesta dell'amore assoluto
(agàpe).
Pietro risponde ancora di sì, ma lo fa come se non avesse capito
bene, usando ancora il suo verbo (filèo),
quello più rassicurante, così umano, così nostro: io ti sono
amico, lo sai, ti voglio bene. Non osa parlare di amore, si aggrappa
all'amicizia, all'affetto.
Nella
terza domanda, è Gesù a cambiare il verbo, abbassa quella esigenza
alla quale Pietro non riesce a rispondere, si avvicina al suo cuore
incerto, ne accetta il limite e adotta il suo verbo:
Pietro, mi
vuoi bene (fileìs
me
da fileo)?
Gli domanda l'affetto se l'amore è troppo; l'amicizia
almeno, se l'amore mette paura; semplicemente un po' di bene.
Gesù
dimostra il suo amore abbassando per tre volte le esigenze
dell'amore, rallentando il suo passo (come sulla strada verso Emmaus)
su quello più lento del discepolo.
Insomma,
Gesù accetta che Pietro lo “ami” come lui pensa gli è possibile
e siccome sa che Pietro Lo ama veramente e totalmente gli affida il
primato dell’amore per pascere la Chiesa, gli mette sulle spalle il
potere che deriva dalla carità (agàpe). Uno che come Pietro ha
saputo riconoscere la propria povertà e ricevere l’amore da
Cristo, saprà servire, pascendoli i suoi fratelli poveri, bisognosi
di amore e di verità. Pietro è pronto: saprà aiutare i fratelli
poveri ora che ha accettato la sua povertà, ha mendicato l’amore
del Signore, che lo invita a seguirlo, sempre.
3)
E noi?
A
Pietro, ma a ciascuno di noi, Gesù rivolge la parola finale del
vangelo romano di oggi: «Seguimi».
Dietro a Pietro, seguiamo Cristo, non dimenticando un fatto
significativo: Gesù Cristo appare prima alle donne, sue fedeli
seguaci, che non ai discepoli e agli stessi apostoli, che pure aveva
scelto come portatori del suo Vangelo nel mondo.
Alle
donne per prime affida il mistero della sua risurrezione, rendendole
prime testimoni di questa verità. Forse vuol premiare la loro
delicatezza, la loro sensibilità al suo messaggio, la loro fortezza
che le aveva spinte fino al Calvario.
Forse
vuol manifestare un tratto squisito della sua umanità, consistente
nel garbo e nella gentilezza con cui accosta e benefica le persone
che contano meno nel gran mondo dei suoi tempi. E ciò che sembra
risultare da un testo di Matteo 28,9-10): «Ed
ecco Gesù venne incontro (alle donne che correvano a dare l'annunzio
ai discepoli) dicendo: Salute a voi! Ed esse, avvicinatesi, gli
cinsero i piedi e lo adorarono. Allora Gesù disse loro: "Non
temete: andate ad annunziare ai miei fratelli che vadano in Galilea e
là mi vedranno (e ciò accadde come ci testimonia il vangelo di
oggi”.
Anche l'episodio
dell'apparizione a Maria di Magdala (Gv
20,11-18) è di straordinaria finezza sia da parte della donna, che
rivela tutta la sua appassionata e composta dedizione alla sequela di
Gesù, sia da parte del maestro che la tratta con squisita
delicatezza e benevolenza.
A
questa precedenza delle donne negli eventi pasquali dovrà ispirarsi
la Chiesa, che nei secoli ha potuto contare tanto su di esse per la
sua vita di fede, di preghiera e di apostolato.
Inoltre,
secondo me, le Vergini consacrate ci danno un esempio di come la vita
offerta a Dio nella consacrazione fa in modo che l’amore sia
complemento che fa
viva e operante la fede (Gal.
5, 6): l’amore, la carità; ciò che farà dire a S. Agostino una
delle sue memorabili parole sintetizzanti: «Hoc
est enim credere in Christum, diligere Christum»;
questo vuol dire finalmente credere in Cristo, amare Cristo (Enarr.
in Ps. 130, 1; PL
37, 1704). Ancora di
più, le Vergini Consacrate mostrano con la loro vita che l’amore a
Dio spinge al trasferimento di questo amore ai fratelli e sorelle in
umanità.
Consiglio
pratico:
Propongo
di ripetere spesso questa bella preghiera di Sant’Agostino:
“Custodisci,
Signore, i nostri cuori uniti per sempre, affinché seguendo solo te
lungo il cammino il nostro affetto diventi carità” (Custodi,
Domine, animas nostras in perpetuo iunctas, ut te solum sequentes in
via dilectio nostra caritas fieri posset).
LETTURA
PATRISTICA
SANT’AGOSTINO
D’IPPONA
SUL
SALMO 130
ESPOSIZIONE
DISCORSO
AL POPOLO
sull’umiltà
e sulla fede che implica l’amore
Il
credente è tempio di Dio e membro del corpo di Cristo.
1.
Nel presente salmo ci si inculca l'umiltà di quel fedele servo di
Dio dalla cui voce esso è cantato e che è l'intero corpo di Cristo.
Spesse volte infatti abbiamo richiamato alla vostra attenzione che la
voce di chi canta [nel salmo] non deve intendersi come voce di un
singolo individuo ma come voce di tutti i componenti il corpo di
Cristo. E siccome questi " tutti " sono compaginati nel suo
corpo, possono parlare come un solo uomo: in effetti i molti e l'uno
sono una stessa entità. In se stessi sono molti, nell'unità
dell'unico [Cristo] sono uno solo. E questo corpo di Cristo è anche
tempio di Dio, secondo le parole dell'Apostolo: Santo
è il tempio di Dio e questo siete voi, voi
cioè
che credete in Cristo con quella fede che comporta l'amore. Credere
in Cristo è infatti la stessa cosa che amare Cristo.
Non come credevano i demoni,
senza amore cioè,
sicché pur credendo dicevano: Che
c'è in comune fra noi e te, o figlio di Dio?
Noi dobbiamo credere in modo tale che la nostra fede in Cristo sia un
tratto di amore. La nostra parola non deve essere: Cosa
c'è in comune fra noi e te? ma:
Noi siamo tuoi, avendoci tu riscattati. Quanti credono in questa
maniera sono, per così dire, le pietre vive con le quali è
costruito il tempio di Dio ; sono il legno incorruttibile con
cui fu formata l'arca che le acque del diluvio non riuscirono a
sommergere. Essi sono ancora il tempio di Dio - si tratta ovviamente
sempre di uomini! - nel quale Dio viene pregato e dal quale egli
esaudisce. Chi prega Dio al di fuori di questo tempio non viene
esaudito col conseguimento della pace propria della Gerusalemme
celeste, sebbene venga esaudito quanto a certe richieste di beni
temporali che Dio elargisce anche ai pagani. In tal senso una volta
furono esauditi anche i demoni, quando fu loro concesso di entrare
nei porci. Ben altra cosa è l'essere esaudito in ordine alla vita
eterna, e questo non è concesso se non a chi prega nel tempio di
Dio. Ora nel tempio di Dio prega soltanto colui che prega nella pace
della Chiesa, nell'unità del corpo di Cristo. Questo corpo di Cristo
consta di molti credenti sparsi su tutta la terra, ed è per questo
che chi prega nel tempio viene esaudito. Chi prega nella pace della
Chiesa prega in spirito e verità, né la sua preghiera è fatta in
quel tempio che era solamente una figura.
DISCORSO
34
http://www.augustinus.it/italiano/discorsi/discorso_045_testo.htm
DISCORSO
TENUTO A CARTAGINE NELLA BASILICA DEI MAGGIORI
SUL RESPONSORIO DEL
SALMO 149:
"CANTATE AL SIGNORE UN CANTICO NUOVO"
1. Siamo stati esortati a cantare
al Signore un cantico nuovo. L'uomo nuovo conosce il cantico nuovo.
Il cantico è un fatto d'allegrezza e, se consideriamo la cosa con
maggior diligenza, è un fatto d'amore, sicché chi sa amare la vita
nuova sa cantare il cantico nuovo. Occorre quindi che ci si precisi
quale sia la nuova vita a motivo del cantico nuovo. Rientrano infatti
nell'unico regno tutte queste cose: l'uomo nuovo, il cantico nuovo,
il testamento nuovo, per cui l'uomo nuovo e canta il cantico nuovo e
appartiene al Testamento nuovo.
Amiamo
perché siamo stati amati.
2. Non c'è nessuno che non ami;
quel che si domanda è che cosa ami. Non ci si esorta a non amare ma
a scegliere quel che amiamo. Ma cosa potremo noi scegliere se prima
non siamo stati scelti noi stessi? In effetti, se non siamo stati
prima amati, non possiamo nemmeno amare. Ascoltate l'apostolo
Giovanni. È quell'apostolo che poggiò il capo sul petto del Signore
e in quel banchetto bevve i misteri celesti . Da quanto bevve,
da quella sua felice ubriachezza eruttò: In
principio era il Verbo .
Umiltà sublime ed ubriachezza sobria! Orbene, quel grande
eruttatore, cioè predicatore, fra le altre cose che aveva bevute dal
petto del Signore disse anche questo: Noi
amiamo perché lui ci ha amati precedentemente .
Molto aveva concesso all'uomo - parlava infatti di Dio! - quando
aveva detto: Noi
amiamo. Chi ama? Chi è
amato? Gli uomini amano Dio, i mortali l'immortale, i peccatori il
giusto, i fragili l'immutabile, le creature l'artefice. Noi abbiamo
amato. Ma chi ci ha dato questa facoltà? Poiché
egli ci ha amati antecedentemente. Cerca
come possa l'uomo amare Dio: assolutamente non lo troverai se non nel
fatto che egli ci ha amati per primo. Ci ha dato se stesso come
oggetto da amare, ci ha dato le risorse per amarlo. Cosa ci abbia
dato al fine di poterlo amare ascoltatelo in una maniera più
esplicita dall'apostolo Paolo, che dice: La
carità di Dio è diffusa nei nostri cuori. Ma
come? Forse per opera nostra? No. Ma allora come? Attraverso
l'azione dello Spirito Santo che ci è stato dato .
Dio
è amore ineffabile.
3. Poiché dunque tanto grande è
la fiducia che abbiamo, amiamo Dio attraverso Dio. Senz'altro!
Siccome lo Spirito Santo è Dio, noi amiamo Dio attraverso Dio. Cosa
potrei dire di più che amiamo Dio attraverso Dio? Effettivamente, se
ho potuto affermare che l'amore
di Dio è diffuso nei nostri cuori attraverso l'azione dello Spirito
Santo che ci è stato donato ,
ne segue che, essendo lo Spirito Santo Dio, noi non possiamo amare
Dio se non per mezzo dello Spirito Santo, cioè non possiamo amare
Dio se non attraverso Dio. Ne è la [ovvia] conseguenza. Ascoltate la
cosa in maniera più palese dallo stesso Giovanni. Dio
è amore, e chi rimane nell'amore rimane in Dio e Dio rimane in lui .
Sarebbe stato poco dire: L'amore procede da Dio. Chi di noi oserebbe
dire quello che propriamente è stato detto: Dio
è amore? Lo ha detto
uno che sapeva quel che possedeva. Come fa allora l'immaginazione e
il pensiero dell'uomo, così instabili, a fabbricarsi un dio? Come
può l'uomo fabbricarsi in cuore un idolo, modellandolo sulle forme
che può pensare e non qual è quello che ha meritato di scoprire?
"No è così?". "No, ma è così". Cosa stai lì
a ordinarne i lineamenti, a strutturarne le membra, a plasmare
secondo il tuo arbitrio la statura, a immaginare la bellezza del
corpo? Dio è amore.
Qual è il colore
della carità? quali i lineamenti? quale la forma? Nulla di questo
vediamo; eppure lo amiamo.
Esempio
dell'amore umano.
4. Oso dire una cosa alla vostra
Carità. Osserviamo nelle cose inferiori ciò che dobbiamo
riscontrare nelle superiori. Lo stesso amore basso e terreno, lo
stesso amore sudicio e delittuoso che si attacca alle bellezze del
corpo ci offre un qualche richiamo per elevarci alle cose più alte e
più pure. Ecco un uomo lascivo e disonesto che si innamora d'una
bellissima donna. Il movente è, è vero, la bellezza del corpo, ma
quello che si cerca è lo scambio interno di amore. Se infatti quel
tale ode che la donna lo odia, non ne seguirà forse che tutto il suo
trasporto impetuoso per quelle membra attraenti si raffredderà? Da
ciò che mirava d'avere, in certo qual modo si ritrae, si allontana,
e, offeso, comincia anche a odiare ciò che amava. Forse che è
mutata la bellezza esteriore? Non le restano forse ancora tutte le
doti che l'avevano attratto? Certo che restano. La verità è che
egli ardeva [d'amore] per ciò che vedeva, ma dal cuore esigeva ciò
che non vedeva. Se al contrario s'accorge che lo scambio d'amore
esiste, quanto più fortemente se ne infiamma! Lei vede lui, lui vede
lei, l'amore non lo vede nessuno. Eppure ciò che si ama è proprio
questo [elemento] che non si vede.
5. Elevatevi da questa bramosia
fangosa, per abitare [col cuore] nella carità fulgente di luce. Tu
non vedi Dio. Ama e lo possiedi. In fatto di desideri riprovevoli,
quante cose si amano e non si riesce ad averle! Vengono cercate con
affetto sordido, ma non per questo immediatamente le si posseggono.
Coincidono forse amare l'oro e possedere l'oro? Molti lo amano, ma
non lo posseggono. Forse che amare amplissimi e feracissimi campi è
lo stesso che possederli? Molti li amano ma non li posseggono. Forse
che amare gli onori è lo stesso che possedere gli onori? Molti, che
pur bramano ardentemente gli onori, son privi di onori. Cercano di
averli, ma spesse volte muoiono prima di conseguire quel che
cercavano. Dio ci si offre in forma di capitale. Ci grida: Amatemi e
mi possederete, poiché se non mi avreste, non potreste nemmeno
amarmi.
Siate
voi stessi la lode di Dio.
6. O fratelli, o figli, o
germogli della Chiesa cattolica, o semi santi e celesti, o rigenerati
in Cristo e [in lui] nati dall'alto, ascoltatemi! Anzi, stimolati da
me, cantate al Signore
un cantico nuovo .
Eccomi - dici - io sto cantando. Stai cantando, è vero, stai
cantando: lo ascolto. Ma che la tua vita non proferisca testimonianza
contrastante con la tua lingua. Cantate con le voci, cantate con i
cuori; cantate con le labbra, cantate con i costumi. Cantate
al Signore un cantico nuovo. Volete
sapere cosa occorra cantare di colui che amate? Senza dubbio vuoi
cantare di colui che ami. Vuoi conoscere le sue lodi per cantarle.
Avete ascoltato: Cantate
al Signore un cantico nuovo. Vuoi
conoscerne le lodi? La
sua lode nella Chiesa dei santi .
La lode da cantare è lo stesso cantore. Volete innalzare lodi a Dio?
Siate voi la lode che volete proferire; e sarete sua lode se vivrete
bene. La sua lode infatti non è nelle sinagoghe dei giudei, non è
nella scempiaggine dei pagani, non negli errori degli eretici, non
nelle acclamazioni dei teatri. Volete sapere dove sia? Guardate a voi
stessi, siatelo voi stessi! La
sua lode nella Chiesa dei santi. Cerchi
il motivo che ti faccia godere quando canti? Si
allieti Israele in colui che l'ha creato ;
e non troverà dove allietarsi se non in Dio.
Per
acquistare la carità dona te stesso.
7. Bene, miei fratelli!
Interrogate voi stessi, esaminate le [vostre] celle interiori.
Guardate e riflettete su quanto siate ricchi in fatto di carità; e
poi accrescete quel che avete riscontrato. Badate a tale tesoro,
perché possiate essere interiormente ricchi. Anche delle altre cose
che hanno un gran pregio si dice, è vero, che son cose care, e ciò
non invano. Osservate il vostro modo di parlare. Questo - dite - è
più caro di quello. Che significa "più caro" se non più
prezioso? Se si dice "più caro" ciò che è più prezioso,
che cosa, miei fratelli, sarà più caro della carità in se stessa?
Quale pensiamo possa essere il suo prezzo ? Dove si trova il suo
prezzo? Prezzo del grano è qualche tua moneta, prezzo d'un campo è
l'argento, prezzo di una pietra preziosa è l'oro; prezzo della
carità sei tu stesso. Cerchi dunque come possedere un campo, una
pietra preziosa, un giumento. Cerchi come comprare un campo e lo
cerchi in tasca tua. Se però vuoi possedere la carità, cerca te
stesso, trova te stesso. Forse che stenti a darti per paura di
consumarti? Tutt'altro! Se non ti darai sei perduto. La stessa carità
[ti] parla per bocca della Sapienza e ti dice qualcosa che
t'impedisce d'avere paura delle parole: Da' te stesso . Se
infatti qualcuno volesse venderti un campo ti direbbe: Dammi del tuo
oro, e se qualche altro [volesse venderti] cose simili, dammi tue
monete - ti direbbe -, dammi del tuo argento. Ascolta cosa ti dice la
carità per bocca della Sapienza: Dammi
il tuo cuore, o
figlio . Dice: Dammi.
Che cosa?
Il tuo cuore, o figlio. Era
male quando esso era dalla parte tua, quando era tuo. Ti lasciavi
infatti attrarre da vanità e da amori lascivi e perniciosi. Toglilo
da li! Dove lo trasporterai? dove lo porrai? Dice: Dammi
il tuo cuore. Appartenga
a me e non perirà per te. Osserva infatti se ha voluto lasciare in
te qualche possibilità d'amare te stesso colui che ti dice: Amerai
il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente,
con tutta la tua anima .
Cosa resta del tuo cuore per amare te stesso? Cosa della tua anima o
della tua mente? Dice: Con
tutto. Esige tutto te
colui che ti ha creato. Ma non rattristarti quasi che non ti rimanga
nulla di cui godere. Si
allieti Israele, non
in sé, ma in colui che
l'ha creato .
Se
non ami Dio non ami te stesso.
8. Mi replicherai dicendo: Se non
mi rimane alcuna risorsa per amare me stesso - dal momento che mi si
ingiunge di amare colui che mi ha creato con
tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutta la mente
- come nel secondo precetto mi si comanda di amare il prossimo come
me stesso? . Questo significa piuttosto che devi [darti] al
prossimo con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutta la mente.
Come? Amerai il
prossimo tuo come te stesso . Dio
con tutto me stesso, il prossimo come me stesso. Così me, così te.
Vuoi ascoltare come debba amare te? Ami te stesso, se ami Dio con
tutto te stesso. Credi che giovi a Dio il fatto che tu lo ami? Forse
che, per il fatto che lo ami, Dio ci acquista qualcosa? Se non lo
ami, chi ci perde sei tu. Quando [lo] ami, tu te ne avvantaggi; tu
sarai là dove non si perisce. Mi risponderai dicendo: Ma quando non
mi sono amato? Non ti amavi certamente quando non amavi Dio, tuo
Creatore. Ma tu, pur odiandoti, credevi di amarti. Difatti chi
ama l'iniquità odia la sua anima .
Preghiera
dopo il discorso.
9.
Rivolti al Signore, Dio Padre onnipotente, a lui, con cuore puro, per
quanto può la nostra pochezza, rendiamo amplissime grazie. Preghiamo
con tutta l'anima la sua incomparabile mansuetudine perché si degni
di esaudire, secondo il suo beneplacito, le nostre preghiere; con la
sua potenza espella il nemico dalle nostre azioni e dai nostri
pensieri, moltiplichi in noi la fede, governi la mente, conceda
pensieri spirituali e ci conduca alla sua beatitudine. Per Gesù
Cristo, suo Figlio e nostro Signore, che è Dio, e vive e regna con
lui nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
Amen.
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