IV
Domenica di Pasqua – Anno C – 21 aprile 2013
Rito
romano
At
13, 14. 43-52; Sal 99; Ap 7, 9. 14-17; Gv 10, 27-30
Il
buon Pastore
Rito
ambrosiano
At
21,8b-14; Sal 15; Fil 1,8-14; Gv 15,9-17
Vi
ho chiamato amici: il Pastore di amici
Una
breve premessa:
Nella
nostra cultura attuale la figura del pastore è quasi sconosciuta e
definire qualcuno pecora è un’offesa.
Nella Bibbia, invece, la
pastorizia è ben nota ed ha un significato positivo e profondo.
Infatti nella Sacra Scrittura Dio stesso viene rappresentato come
pastore del suo popolo. "Il
Signore è il mio pastore, non manco di nulla
" (Sal
23,1). "Egli
è il nostro Dio e noi il popolo che egli pasce"
(Sal
95,7). Il futuro Messia è anch'esso descritto con l'immagine del
pastore: "Come
un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo
raduna; porta gli agnellini sul seno e conduce pian piano le pecore
madri"
(Is 40,11). Questa immagine ideale di pastore trova la sua piena
realizzazione in Cristo. Egli è il buon pastore che va in cerca
della pecorella smarrita; si impietosisce del popolo perché lo vede
"come
pecore senza pastore" (Mt 9,36); chiama i suoi discepoli "il
piccolo gregge"
(Lc 12, 32). Pietro chiama Gesù "il
pastore delle nostre anime"
(1
Pt
2, 25) e nella lettera agli Ebrei "il
grande pastore delle pecore"
(Eb
13,20).
Dunque
Gesù è il Pastore vero, perché è colui che guida con amore il suo
gregge, provvede perché rimanga unito, difende le sue pecore dai
pericoli. Il buon pastore conosce le pecore ad una ad una (non sono
anonime) e si preoccupa per ciascuna di esse, le conta quando
ritornano all'ovile perché nessuna vada perduta e se ne manca una,
lascia le altre per cercare quella perduta.
Definendo
pecore i propri seguaci e amici, Cristo sottolinea la relazione
vitale che li unisce a Lui. Questa relazione di salvezza viene poi
ulteriormente definita dai seguenti verbi: “ascoltano e seguono”
riferiti a noi credenti, “conosco” riferito a Gesù.
1)
Il Pastore buono, appassionato e provvidente.
Gesù
conosce e ama ciascuno dei suoi seguaci. E non deve sembrare così
strano che ci chiami pecore se lui stesso si è lasciato definire
“agnello”, anche perché il suo compito di “togliere i peccati
del mondo” diventi la nostra missione di portare il suo perdono a
tutti i popoli.
Nel
vangelo di oggi, Lui parla di noi come sue pecore e di se stesso come
di pastore buono, che dà la vita per le sue pecore... Pecore a cui
egli non rinuncia mai e che ama fino a donare la vita per loro: mosso
dalla passione per noi non ha esitato e affrontare la passione della
Croce. Lui è il pastore buono e innamorato e dà la vita perché noi
abbiamo la vita eterna. Viene spontaneo chiedersi come facciamo, noi
pecore così fortunate, a lasciare questa Via per smarrirci su strade
che portano a dei burroni… fortunatamente lui, il Pastore
immensamente buono ci cerca, ci chiama per nome e, quando ci trova,
ci mette sulle sue spalle e, in quanto divino Pastore buono,
misericordioso e fedelmente innamorato, ci conduce ai pascoli eterni
del cielo (cfr 1
Pt 2,25).
Siamo
nelle mani del Buon Pastore, che ci conduce amorevolmente ad uno ad
uno e ci introduce nella vita vera, nella vita di amici, come il
Vangelo ambrosiano ricorda. Da parte nostra però non
basterà che di dichiariamo “amici” di Cristo. La vera amicizia
con Gesù si esprime nel modo di seguirlo: con la bontà del cuore,
con l’umiltà, con la mitezza e la misericordia.
Seguire
Gesù è impegnare la nostra volontà e muovere i nostri i passi
dietro Colui la cui Parola di Vita abbiamo ascoltato e amato. Dietro
a lui i nostri passi non vacillano, Egli ci porterà ai verdi
pascoli, anche se dovessimo attraversare una valle oscura... non
temeremmo perché lui è con noi (cfr. Sal
23).
Ma
per seguire occorre
ascoltare,
impegnando la mente ed il cuore. Il vero ascolto è obbedienza
(etimologicamente obbedire viene da ob-audire=
prestare
ascolto),
come hanno fatto gli apostoli che cosi divennero pescatori di uomini
e pastori di anime. L’obbedienza vera è, dunque, dare ascolto e
mettere in pratica la parola d’amore che Cristo ci dice.
L’obbedienza
va vissuta
non solo eseguendo dei gesti ma con il desiderio di imparare da Lui
il criterio della propria vita, mettendoci alla sequela della verità
dell’amore, lasciandoci guidare dall’amore di un Pastore buono,
di un Amico vero.
2)
La vocazione: “spazio” di libertà.
Se
i due verbi “seguire”
e “ascoltare”, usati nel vangelo romano di oggi, sono verbi che
indicano un dialogo profondo, una comunione nell'esistenza, non
soltanto nelle idee, il terzo verbo “conoscere” fonda la
vocazione degli Apostoli e di ciascuno di noi. Essa è chiamata ad un
rapporto di comunione fra Gesù e i suoi discepoli e coinvolge la
persona intera: idee, amore, comportamento. Una chiamata per ricevere
la vita: «Io do loro la vita eterna» e per condividerla con
l’umanità intera.
Se
due sono le note che caratterizzano, come dice Gesù, le sue pecore:
ascoltare e seguire, con una precisazione: ascoltare la sua voce e
percorrere la strada che Egli stesso percorre, il sapersi conosciuti
e amati da Cristo vuol dire non tenere questo dono per se stessi. Con
questa conoscenza di Cristo siamo chiamati ad essere sale e luce per
il mondo. E’ vero poi che questo è un mondo che cambia, come oggi
si è soliti dire, ma questa non è una ragione per affannarsi in
ricerche e progetti diversi: la voce di Gesù è già risuonata e la
direzione del suo cammino è già tracciata. Alla comunità cristiana
è richiesta anzitutto la fedeltà della memoria, non anzitutto la
genialità dell'invenzione di programmi pastorali nuovi.
Gesù
è un amico che ci conosce e ci fa capire che è impegnato il cuore.
Non si conosce veramente se non ciò che si ama. E' l'amore che è
capace di andare oltre ad ogni evidenza. E' un conoscere dal di
dentro, dall'intimo. E' un conoscere l'Essere, la Vita, la Verità
seguendone la Via. E’ una conoscenza nell'Amore, che libera.
Gesù
ha più volte detto che la sua libertà non sta nel prendere le
distanze dal Padre, ma nel fare in tutto al sua volontà. Libertà e
obbedienza al Padre (che è sempre l'obbedienza al dono di sé)
coincidono. Lo spazio vero della libertà è l'amore, a cui Cristo ci
chiama. La vocazione è un dono da accogliere con stupore:
“Lo
stupore per il dono che Dio ci ha fatto in Cristo, imprime alla
nostra esistenza un dinamismo nuovo, impegnandoci a essere testimoni
del Suo amore. E diveniamo testimoni, quando, attraverso le nostre
azioni, parole, modo di essere, un ALTRO appare e si comunica. Si può
dire che la testimonianza è il mezzo con cui la verità dell'amore
di Dio raggiunge l'uomo nella storia, invitandolo ad accogliere
liberamente questa novità radicale. Nella testimonianza Dio si
espone, per così dire, al rischio della libertà dell'uomo”.
(Benedetto XVI, Sacramentum
veritatis,
n. 85).
Oggi,
è la domenica del Buon Pastore, dedicata alle vocazioni sacerdotali,
ma non dobbiamo dimenticare quelle religiose, perché chi si impegna
a seguire Cristo nella povertà obbedienza e castità ricorda a tutto
il Popolo di Dio che :“La
povertà, la castità, l'obbedienza, non valgono nulla fintanto che
non sono espressioni dell'amore, fintanto che non è l'amore,
insomma, che ci spoglia nella povertà, non è l'amore che ci
purifica nella castità, non è l'amore che ci immola
nell'obbedienza.”
(Divo Barsotti). Le Vergini Consacrate in particolare vivono ciò
conformandosi ogni giorno di più alla preghiera che il Vescovo ha
fatto su di loro il giorno della consacrazione: “Conducile
nella via della salvezza, perché esse desiderino ciò che ti piace e
siano sempre vigilanti per compierlo. Per Gesù Cristo, nostro
Signore”
(RCV, n21)
Due
suggerimenti:
una
preghiera ed una lettura.
In
questo cammino verso il cielo Gesù, Pastore vero e appassionato, ci
guida con amorosa provvidenza, possiamo pregare così: “Guidami,
luce amabile,
tra l'oscurità che mi avvolge.
Guidami
innanzi,
oscura è la notte,
lontano sono da casa.
Dove mi
condurrai?
Non te lo chiedo,
o Signore!
So che la tua potenza
m'ha conservato al sicuro
da tanto tempo,
e so che ora mi
condurrai ancora,
sia pure attraverso rocce e precipizi,
sia
pure attraverso montagne e deserti sino a quando sarà finita la
notte.
Non è sempre stato così:
non ho sempre pregato
perché
tu mi guidassi!
Ho amato scegliere da me il sentiero,
ma ora
guidami tu!”
(Beato J. H. NEWMAN).
Lettura
Patristica
Cristo,
buon pastore
Dalle
«Omelie sui vangeli» di san Gregorio Magno papa
(Om.
14, 3-6; PL 76, 1129-1130)
“Io
sono il buon Pastore; conosco le mie pecore», cioè le amo, «e le
mie pecore conoscono me» (Gv 10, 14). Come a dire apertamente:
corrispondono all'amore di chi le ama. La conoscenza precede sempre
l'amore della verità.
Domandatevi, fratelli carissimi, se siete
pecore del Signore, se lo conoscete, se conoscete il lume della
verità. Parlo non solo della conoscenza della fede, ma anche di
quella dell'amore; non del solo credere, ma anche dell'operare.
L'evangelista Giovanni, infatti, spiega: «Chi dice: Conosco Dio, e
non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo» (1 Gv 2, 4).
Perciò
in questo stesso passo il Signore subito soggiunge: «Come il Padre
conosce me e io conosco il Padre, e offro la vita per le pecore «(Gv
10, 15). Come se dicesse esplicitamente: da questo risulta che io
conosco il Padre e sono conosciuto dal Padre, perché offro la mia
vita per le mie pecore; cioè io dimostro in quale misura amo il
Padre dall'amore con cui muoio per le pecore.
Di queste
pecore di nuovo dice: Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le
conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna (cfr. Gv 10,
14-16). Di esse aveva detto poco prima: «Se uno entra attraverso di
me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo» (Gv 10, 9).
Entrerà cioè nella fede, uscirà dalla fede alla visione, dall'atto
di credere alla contemplazione, e troverà i pascoli nel banchetto
eterno.
Le sue pecore troveranno i pascoli, perché chiunque lo
segue con cuore semplice viene nutrito con un alimento eternamente
fresco. Quali sono i pascoli di queste pecore, se non gli intimi
gaudi del paradiso, ch'è eterna primavera? Infatti pascolo degli
eletti è la presenza del volto di Dio, e mentre lo si contempla
senza paura di perderlo, l'anima si sazia senza fine del cibo della
vita.
Cerchiamo, quindi, fratelli carissimi, questi pascoli,
nei quali possiamo gioire in compagnia di tanti concittadini. La
stessa gioia di coloro che sono felici ci attiri. Ravviviamo,
fratelli, il nostro spirito. S'infervori la fede in ciò che ha
creduto. I nostri desideri s'infiammino per i beni superni. In tal
modo amare sarà già un camminare.
Nessuna contrarietà ci
distolga dalla gioia della festa interiore, perché se qualcuno
desidera raggiungere la metà stabilita, nessuna asperità del
cammino varrà a trattenerlo. Nessuna prosperità ci seduca con le
sue lusinghe, perché sciocco è quel viaggiatore che durante il suo
percorso si ferma a guardare i bei prati e dimentica di andare là
dove aveva intenzione di arrivare”.
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