venerdì 14 dicembre 2012

III Domenica di Avvento – Rito Romano - V Domenica di Avvento – Rito Ambrosiano

16 dicembre 2012
Sof 3,14-18;Is 12;Fil 4,4-7;Lc 3,10-18
La gioia è la presenza dell’Amato.

V Domenica di Avvento – Rito Ambrosiano
Is 30,18-26b; Sal 145; 2Cor 4,1-6; Gv 3,23-32a
Il Precursore che annuncia la gioia di una Presenza.

1) La gioia non è semplicemente un’emozione, è un’esperienza.
I brani di vangelo proposti dalla liturgia romana e ambrosiana attirano la nostra attenzione su Giovanni il Battista, chiamato anche il Precursore. Questo appellativo indica che Giovanni correva non solo in avanti, che è ovvio, ma davanti a Cristo, per preparargli la strada, appianandola con la carità di una vita e di una predicazione di conversione.
Il Precursore non ha meritato questo “soprannome” perché correva fisicamente, ma perché camminava con passi di amore. Potremmo dire che era un ambasciatore dell’Amore, che insegnava che occorreva andare verso il Messia con passi d’amore purificato, convertito.
La conversione è dire “si” a Dio, come il profeta Sofonia (I lettura) ce lo ricorda, e dire “si” al prossimo (Vangelo odierno). In effetti, alle folle che gli chiedevano: “Che cosa dobbiamo fare?”, Giovanni rispondeva: "Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha; e chi ha da mangiare, faccia lo stesso".
Sofonia ci insegna che l’amore rinnova il cuore (I lettura, 3,18) e la paura lo invecchia. Il Vangelo di oggi ci insegna che l’amore è condivisione e fonte di vita. Anche il salmo ci invita alla gioia: “Gridate lieti ed esultate, abitanti di Sion, perché grande in mezzo a voi è il Santo di Israele”.

Nella seconda lettura l’Apostolo Paolo non è da meno, scrivendo ai cristiani di Filippi insiste sulla gioia: “Ve lo ripeto rallegratevi…”, precisando il perché: “il Signore è vicino”. La gioia implica la scomparsa dell'ansia e dell'inquietudine: “Non angustiatevi di nulla” e se per caso “Avete dei fastidi?... condivideteli con Dio. Nella preghiera fategliene parte”.
La sorgente della gioia è Dio, che guida i nostri passi per condurci dove Lui ci attende. Ma come camminare verso la grande luce di Cristo, che ci è indicata da quella, piccola, di Giovanni? La torcia che è Giovanni ci indica  il Sole che è Cristo (in questo modo i nostri occhi non si bruciano). Restituendo il cuore a Gesù, Luce che dà forza e speranza, anche in mezzo alle situazioni più difficili.
L’importante è abbandonarsi alle braccia divine, che ci sostengono nel nostro cammino. Dio non ci abbandona mai: è l’Emmanuele, il Dio sempre con noi.
Rivolgiamo (=con-vertiamo) il nostro sguardo a Lui. Ammiriamolo sul legno della culla a Betlemme e su quello della croce a Gerusalemme, dove ha definitivamente donato la sua vita perché ci ama. La contemplazione di un amore così grande porterà nei nostri cuori una speranza e una gioia che nulla può abbattere.
Come possiamo essere tristi, se abbiamo incontrato Cristo, che ha dato la vita per noi, per ciascuno di noi? Ma anche se fossimo tristi, non importa. La tristezza è segno che Dio ci manca, anche se non ne siamo consapevoli. La tristezza, che si fa umile domanda, è il prezzo della gioia della risposta. Basta che il nostro cuore gridi: “Vieni, Signore Gesù”, il Figlio di Dio che non si compiace del male (cfr Sal 5,5). Allora faremo esperienza di Dio, che benedice “il giusto: come scudo lo copre la sua benevolenza” (Sal 5,13) ed avremo una serena fiducia, fondata sulla misericordia-fedeltà (in ebraico hésed) di Dio, da una parte, e giustizia-salvezza (in ebraico sedaqáh) dall’altra.
Queste due parole ebraiche sono usate dalla Bibbia per celebrare l’alleanza che unisce per sempre il Signore al suo popolo ed ai singoli fedeli nella gioia. Infatti la gioia di Cristo consiste nel fatto che Lui si degna di gioire di noi e la nostra gioia perfetta consiste nell’essere in comunione con Lui (cfr S. Agostino, Discorso 32): è l’Alleanza nuova ed eterna.

2) La gioia non è solo essere amati, ma amare donando.
La carità nasce da un cuore dilatato dalla gioia e la carità è condividere la gioia, è trasmetterla. Dare una festa, per poter condividere la gioia con gli altri (rallegratevi con me) è il modo che il Pastore buono conosce per poter trasmettere la gioia quando trova la pecora che si era perduta, è il modo che il Padre misericordioso usa quando il figlio prodigo torna a casa.
Nell’esempio del buon Pastore e del Padre misericordioso vediamo che l’amore produce gioia, e la gioia è una forma d’amore. Amare significa voler bene e voler bene significa procurare il vero bene alla persona amata, fino al dono lieto e totale di se stessi a e per chi si ama, come ha fatto Gesù a Betlemme e sul Calvario. Come ha fatto la Madonna, che piena di grazia e di gioia (“l’anima mia magnifica il Signore e gioisce il mio spirito in Dio mio salvatore”) ha portato da Elisabetta non tanto il suoi aiuto materiale, ma la gioia in persona: Cristo. Una gioia tale che anche il piccolo Giovanni, ancora nel grembo della madre anziana, sussultò di letizia, percependo la presenza di Gesù, ancora nel grembo della giovane mamma.
Se Giovanni fu capace di percepire la presenza di Cristo, nonostante l’oscurità del grembo che lo conteneva, e gioì, non potremo noi percepire la presenza di Gesù, nonostante l’oscurità delle nostre difficoltà o del nostro “banale” quotidiano ed essere nella gioia? Certamente. Basta che con la curiosità dei pastori e la preghiera dei Re Magi andiamo a Cristo e davanti a Lui ci mettiamo in ginocchio. Poi come loro offriamo a Cristo il nostro stupore e i nostri semplici doni (per Colui che ha fatto il mondo l’oro è poca cosa) e Lui di nuovo si donerà a noi completamente e teneramente.
“Le donne consacrate sono chiamate in modo tutto speciale ad essere, attraverso la loro dedizione vissuta in pienezza e con gioia, un segno della tenerezza di Dio verso il genere umano ed una testimonianza particolare del mistero della Chiesa che è vergine, sposa e madre”(Giovanni Paolo II, Esort ap Vita Consacrata, 25 marzo 1996, n. 57).
Questo dono le Vergini consacrate lo ricevono in modo particolare nel Rito della consacrazione e sono chiamate a viverlo in modo sempre più maturo e consapevole. 

Per tale dono “la vergine diventa una persona consacrata, segno sublime dell’amore che la Chiesa porta a Cristo, immagine escatologica della sposa celeste e della vita futura” (Premesse al Rito, 1). “Ricevete l’anello delle mistiche nozze con Cristo e custodite integra la fedeltà al vostro Sposo, perché siate accolte nella gioia del convito eterno” (Rituale di Consacrazione delle Vergini, n. 40).
La modalità abituale è fare memoria di Cristo, nato per noi, nel quotidiano come storia di salvezza e rendere grazie (=fare Eucaristia). “Vivano con lode senza ambire la lode; a Te solo diano gloria nella santità del corpo e nella purezza dello spirito; con amore ti temano, per amore ti servano” (Rituale di Consacrazione delle Vergini, n. 38).
Tutti poi, celibi o sposati, laici o religiosi, siamo chiamati a mettere in pratica le parole di Gesù richiamate da San Paolo negli Atti degli Apostoli: «Si è più beati nel dare che nel ricevere» (At 20,35). Parole che Madre Teresa di Calcutta spiegava così: «La gioia è una rete d’amore per catturare le anime. Dio ama chi dona con gioia. E chi dona con gioia dona di più». E il Servo di Dio Paolo VI scriveva: «In Dio stesso tutto è gioia poiché tutto è dono» (Esort. Ap. Gaudete in Domino, 9 maggio 1975).
Quindi con gioia prepariamoci ad accogliere Cristo, che riporta nel mondo il Dono di Dio, l’infinito amore fedele e misericordioso, giusto e salvifico.



Per prepararsi bene a Cristo, Perdono di Dio, che viene a Natale, consiglio per questa domenica la seguente preghiera di S. Tommaso Moro:

Signore,
dammi una buona digestione
ed anche qualcosa da digerire.
Donami la salute del corpo
col buonumore necessario a mantenerla.
E donami, Signore, un'anima santa
che faccia tesoro
di quello che è buono e puro,
affinché non si spaventi
alla vista del male,
ma trovi, alla tua presenza,
la via per rimettere le cose a posto.
Donami un'anima che non conosca
la noia, i brontolii, i sospiri e i lamenti;
e non permettere che io mi affligga eccessivamente
per quella cosa troppo invadente
che si chiama "io".
Signore,
dammi il senso del ridicolo
e concedimi la grazia di comprendere gli scherzi,
affinché conosca nella vita
un po' di gioia e possa farne partecipi anche gli altri. Amen”




San Tommaso Moro, Martire (7 febbraio 1477 - 6 luglio 1535)
Marito e padre esemplare, uomo politico, grande umanista cristiano ha coniato il termine «utopia» (parola composta da ou = non e topos = luogo), indicando un'immaginaria isola dotata di una società ideale, di cui descrisse il sistema politico nella sua opera più famosa, «L'Utopia», del 1516. È ricordato soprattutto per il suo rifiuto alla rivendicazione del Re Enrico VIII di farsi capo supremo della Chiesa d'Inghilterra, una decisione che mise fine alla sua carriera politica conducendolo alla pena capitale con l'accusa di tradimento.
S. Tommaso Moro preferì essere condannato a morte da Enrico VIII, piuttosto di tradire la propria coscienza.
L’armonia fra il naturale e il soprannaturale costituisce forse l'elemento che più di ogni altro definisce la personalità di questo grande Statista inglese: egli visse la sua intensa vita pubblica con umiltà semplice, contrassegnata dal celebre "buon umore", anche nell'imminenza della morte.
 Spinto dalla sua passione per la verità, mostrò anche con l’accettazione della sua condanna a morte che non si può separare l’uomo da Dio, né la politica dalla morale.
La testimonianza di san Tommaso Moro, ucciso mediante decapitazione, illustra con chiarezza una verità fondamentale dell’etica politica: la difesa della libertà della Chiesa da indebite ingerenze dello Stato è allo stesso tempo difesa, in nome del primato della coscienza, della libertà della persona nei confronti del potere politico.
Il 31 ottobre 2000, il B. Papa Giovanni Paolo II lo proclamò Patrono dei Governanti e dei Politici.

Nessun commento:

Posta un commento