16
dicembre 2012
Sof
3,14-18;Is 12;Fil 4,4-7;Lc 3,10-18
La
gioia è la presenza dell’Amato.
V
Domenica di Avvento – Rito Ambrosiano
Is
30,18-26b; Sal 145; 2Cor 4,1-6; Gv 3,23-32a
Il
Precursore che
annuncia la gioia di una Presenza.
1)
La gioia non è semplicemente un’emozione, è un’esperienza.
I
brani di vangelo proposti dalla liturgia romana e ambrosiana attirano
la nostra attenzione su Giovanni il Battista, chiamato anche il
Precursore. Questo appellativo indica che Giovanni correva non solo
in avanti, che è ovvio, ma davanti a Cristo, per preparargli la
strada, appianandola con la carità di una vita e di una predicazione
di conversione.
Il
Precursore non ha meritato questo “soprannome” perché correva
fisicamente, ma perché camminava con passi di amore. Potremmo dire
che era un ambasciatore dell’Amore, che insegnava che occorreva
andare verso il Messia con passi d’amore purificato, convertito.
La
conversione è dire “si” a Dio, come il profeta Sofonia (I
lettura) ce lo ricorda, e dire “si” al prossimo (Vangelo
odierno). In effetti, alle folle che gli chiedevano: “Che cosa
dobbiamo fare?”, Giovanni rispondeva: "Chi ha due tuniche, ne
dia una a chi non ne ha; e chi ha da mangiare, faccia lo stesso".
Sofonia
ci insegna che l’amore rinnova il cuore (I lettura, 3,18) e la
paura lo invecchia. Il Vangelo di oggi ci insegna che l’amore è
condivisione e fonte di vita. Anche il salmo ci invita alla gioia:
“Gridate
lieti ed esultate, abitanti di Sion, perché grande in mezzo a voi è
il Santo di Israele”.
Nella
seconda lettura l’Apostolo Paolo non è da meno, scrivendo ai
cristiani di Filippi insiste sulla gioia: “Ve
lo ripeto rallegratevi…”,
precisando il perché: “il
Signore è vicino”.
La gioia implica la scomparsa dell'ansia e dell'inquietudine: “Non
angustiatevi di nulla”
e se per caso “Avete
dei fastidi?...
condivideteli con Dio. Nella preghiera fategliene parte”.
La
sorgente della gioia è Dio, che guida i nostri passi per condurci
dove Lui ci attende. Ma
come camminare verso la grande luce di Cristo, che ci è indicata da
quella, piccola, di Giovanni? La torcia che è Giovanni ci indica
il Sole che è Cristo (in questo modo i nostri occhi non si
bruciano).
Restituendo il cuore a Gesù, Luce che dà forza e speranza, anche
in mezzo alle situazioni più difficili.
L’importante
è abbandonarsi alle braccia divine, che ci sostengono nel nostro
cammino. Dio non ci abbandona mai: è l’Emmanuele, il Dio sempre
con noi.
Rivolgiamo
(=con-vertiamo) il nostro sguardo a Lui. Ammiriamolo sul legno della
culla a Betlemme e su quello della croce a Gerusalemme, dove ha
definitivamente donato la sua vita perché ci ama. La contemplazione
di un amore così grande porterà nei nostri cuori una speranza e una
gioia che nulla può abbattere.
Come
possiamo essere tristi, se abbiamo incontrato Cristo, che ha dato la
vita per noi, per ciascuno di noi? Ma anche se fossimo tristi, non
importa. La tristezza è segno che Dio ci manca, anche se non ne
siamo consapevoli. La tristezza, che si fa umile domanda, è il
prezzo della gioia della risposta. Basta che il nostro cuore gridi:
“Vieni, Signore Gesù”, il Figlio di Dio che non si compiace del
male (cfr Sal 5,5). Allora faremo esperienza di Dio, che benedice “il
giusto: come scudo lo copre la sua benevolenza” (Sal 5,13) ed
avremo una serena fiducia, fondata sulla misericordia-fedeltà (in
ebraico hésed)
di Dio, da una parte, e giustizia-salvezza (in ebraico sedaqáh)
dall’altra.
Queste
due parole ebraiche sono usate dalla Bibbia per celebrare l’alleanza
che unisce per sempre il Signore al suo popolo ed ai singoli fedeli
nella gioia. Infatti la gioia di Cristo consiste nel fatto che Lui si
degna di gioire di noi e la nostra gioia perfetta consiste
nell’essere in comunione con Lui (cfr S. Agostino, Discorso
32):
è l’Alleanza nuova ed eterna.
2)
La gioia non è solo essere amati, ma amare donando.
La
carità nasce da un cuore dilatato dalla gioia e la carità è
condividere la gioia, è trasmetterla. Dare una festa, per poter
condividere la gioia con gli altri (rallegratevi
con me)
è il modo che il Pastore buono conosce per poter trasmettere la
gioia quando trova la pecora che si era perduta, è il modo che il
Padre misericordioso usa quando il figlio prodigo torna a casa.
Nell’esempio
del buon Pastore e del Padre misericordioso vediamo che l’amore
produce gioia, e la gioia è una forma d’amore. Amare significa
voler bene e voler bene significa procurare il vero bene alla persona
amata, fino al dono lieto e totale di se stessi a
e per
chi si ama, come ha fatto Gesù a Betlemme e sul Calvario. Come ha
fatto la Madonna, che piena di grazia e di gioia (“l’anima
mia magnifica il Signore e gioisce il mio spirito in Dio mio
salvatore”)
ha portato da Elisabetta non tanto il suoi aiuto materiale, ma la
gioia in persona: Cristo. Una gioia tale che anche il piccolo
Giovanni, ancora nel grembo della madre anziana, sussultò di
letizia, percependo la presenza di Gesù, ancora nel grembo della
giovane mamma.
Se
Giovanni fu capace di percepire la presenza di Cristo, nonostante
l’oscurità del grembo che lo conteneva, e gioì, non potremo noi
percepire la presenza di Gesù, nonostante l’oscurità delle nostre
difficoltà o del nostro “banale” quotidiano ed essere nella
gioia? Certamente. Basta che con la curiosità dei pastori e la
preghiera dei Re Magi andiamo a Cristo e davanti a Lui ci mettiamo in
ginocchio. Poi come loro offriamo a Cristo il nostro stupore e i
nostri semplici doni (per Colui che ha fatto il mondo l’oro è poca
cosa) e Lui di nuovo si donerà a noi completamente e teneramente.
“Le
donne consacrate sono chiamate in modo tutto speciale ad essere,
attraverso la loro dedizione vissuta in pienezza e con gioia, un
segno della
tenerezza
di Dio verso il genere umano
ed una testimonianza particolare del mistero della Chiesa che è
vergine, sposa e madre”(Giovanni Paolo II, Esort ap
Vita Consacrata,
25 marzo 1996, n. 57).
Questo
dono le Vergini consacrate lo ricevono in modo particolare nel Rito
della consacrazione e sono chiamate a viverlo in modo sempre più
maturo e consapevole.
Per tale dono “la
vergine diventa una persona consacrata, segno sublime dell’amore
che la Chiesa porta a Cristo, immagine escatologica della sposa
celeste e della vita futura”
(Premesse al Rito, 1). “Ricevete
l’anello delle mistiche nozze con Cristo e custodite integra la
fedeltà al vostro Sposo, perché siate accolte nella gioia del
convito eterno”
(Rituale di Consacrazione delle Vergini, n. 40).
La
modalità
abituale è fare memoria di Cristo, nato per noi, nel quotidiano come
storia di salvezza e rendere grazie (=fare Eucaristia). “Vivano con
lode senza ambire la lode; a Te solo diano gloria nella santità del
corpo e nella purezza dello spirito; con amore ti temano, per amore
ti servano” (Rituale di Consacrazione delle Vergini, n. 38).
Tutti
poi, celibi o sposati, laici o religiosi, siamo chiamati a mettere in
pratica le parole di Gesù richiamate da San Paolo negli Atti degli
Apostoli: «Si
è più beati nel dare che nel ricevere»
(At
20,35). Parole che Madre Teresa di Calcutta spiegava così: «La
gioia è una rete d’amore per catturare le anime. Dio ama chi dona
con gioia. E chi dona con gioia dona di più».
E il Servo di Dio Paolo VI scriveva: «In
Dio stesso tutto è gioia poiché tutto è dono»
(Esort. Ap. Gaudete
in Domino,
9 maggio 1975).
Quindi con
gioia prepariamoci ad accogliere Cristo, che riporta nel mondo il
Dono di Dio, l’infinito amore fedele e misericordioso, giusto e
salvifico.
Per
prepararsi bene a Cristo, Perdono di Dio, che viene a Natale,
consiglio per questa domenica la seguente preghiera di S. Tommaso
Moro:
“Signore,
dammi
una buona digestione
ed
anche qualcosa da digerire.
Donami
la salute del corpo
col
buonumore necessario a mantenerla.
E
donami, Signore, un'anima santa
che
faccia tesoro
di
quello che è buono e puro,
affinché
non si spaventi
alla
vista del male,
ma
trovi, alla tua presenza,
la
via per rimettere le cose a posto.
Donami
un'anima che non conosca
la
noia, i brontolii, i sospiri e i lamenti;
e
non permettere che io mi affligga eccessivamente
per
quella cosa troppo invadente
che
si chiama "io".
Signore,
dammi
il senso del ridicolo
e
concedimi la grazia di comprendere gli scherzi,
affinché
conosca nella vita
un
po' di gioia e possa farne partecipi anche gli altri. Amen”
San
Tommaso Moro, Martire (7 febbraio 1477 - 6 luglio 1535)
Marito
e padre esemplare, uomo politico, grande umanista cristiano ha
coniato il termine «utopia» (parola composta da ou
= non e topos
= luogo), indicando un'immaginaria isola dotata di una società
ideale, di cui descrisse il sistema politico nella sua opera più
famosa, «L'Utopia»,
del 1516. È ricordato soprattutto per il suo rifiuto alla
rivendicazione del Re Enrico VIII di farsi capo supremo della Chiesa
d'Inghilterra, una decisione che mise fine alla sua carriera politica
conducendolo alla pena capitale con l'accusa di tradimento.
S.
Tommaso Moro preferì essere condannato a morte da Enrico VIII,
piuttosto di tradire la propria coscienza.
L’armonia
fra il naturale e il soprannaturale costituisce forse l'elemento che
più di ogni altro definisce la personalità di questo grande
Statista inglese: egli visse la sua intensa vita pubblica con umiltà
semplice, contrassegnata dal celebre "buon umore", anche
nell'imminenza della morte.
Spinto dalla sua passione per la
verità, mostrò anche con l’accettazione della sua condanna a
morte che non si può separare l’uomo da Dio, né la politica dalla
morale.
La
testimonianza di san Tommaso Moro, ucciso mediante decapitazione,
illustra con chiarezza una verità fondamentale dell’etica
politica: la difesa della libertà della Chiesa da indebite ingerenze
dello Stato è allo stesso tempo difesa, in nome del primato della
coscienza, della libertà della persona nei confronti del potere
politico.
Il
31 ottobre 2000, il B. Papa Giovanni Paolo II lo proclamò Patrono
dei Governanti e dei Politici.
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