XI Domenica del Tempo Ordinario – Anno A - 18 giugno 2023
Rito Romano
Ez 17,22-24; Sal 91; 2Cor 5,6-10; Mc 4,26-34
Rito Ambrosiano
III Domenica dopo Pentecoste
Gen 2,18-25; Sal 8; Ef 5,21-33; Mc 10,1-12
1) L’Amore sotterrato nella terra
Il seme per essere produttivo deve essere messo sotto terra. Così Dio, perché il suo Regno nasca e cresca, ha messo il suo Amore dentro la terra, nel giardino del grembo della Vergine Maria: “così è germinato questo Fiore”(Dante, Il Paradiso Canto XXXIII). Il vero e grande Seminatore continua a “gettare” il Figlio, il seme divino, sulla terra. Ma noi terreni, siamo terra fertile come la Madonna?
Guardando la nostra estrema fragilità, ci viene immediato dire che non lo siamo. Guardandoci nel Cristo diciamo di sì. Inoltre non dobbiamo dimenticare che Gesù Cristo, Parola di Dio, non viene a noi solamente come dono, ma come perdono.
A noi il compito di aprire la terra del nostro cuore, mendicando la misericordia che ricrea. Una bella antifona della liturgia ambrosiana dice: “Antequam discutias mecum, Domine, miserere mei”: “Prima di parlare con me, Signore, perdonami, secondo la tua grande misericordia (cfr Sal 50), secondo la tua giustizia rivestita di pietà e tenerezza”.
Questa tenerezza di Dio ci prende come il ramoscello, di cui parla il profeta Ezechiele nelle prima lettura romana di oggi: Così dice il Signore Dio: prenderò dalla cima dei cedro, dalle punte suoi rami coglierò un ramoscello e lo pianterò sopra un monte alto, massiccio; lo pianterò sul monte alto d'Israele. Metterà rami e farà frutti e diventerà un cedro magnifico. Sotto di lui tutti gli uccelli dimoreranno, ogni volatile all'ombra dei suoi rami riposerà. Sapranno tutti gli alberi della foresta che io sono il Signore”.
Nelle mani di Dio, ogni uomo che accolga il Suo dono, che viva della sua Parola, che cammini sui passi del suo Figlio, può diventare annunciatore di salvezza e operaio intraprendente del Regno di amore, di giustizia e di pace a cui l’umanità intera anela.
Certo, Dio Padre ci prende con le sue “mani” e ci pianta il alto. Certo, Dio Padre è il Seminatore, il Verbo è la Semente, il terreno è l'uomo. Ma in questo processo il terreno non è affatto passivo. La qualità del raccolto dipende infatti dalla buona predisposizione della terra, insomma dalla fertilità del terreno profondo e insondabile che è il cuore dell'uomo. Come ben si esprime un famoso esempio della Scrittura, la Parola ha sempre la sua efficacia come la pioggia che discende dal cielo (cfr Is 55, 10 - 11): essa ha in sé qualità per irrigare e predisporre alla crescita, ma se il terreno è arido e refrattario, non potrà che dare pochi frutti.
Il terreno dell'uomo si predispone sulla base della volontà e della predisposizione dell'uomo stesso, che di fronte alla Parola non deve mai mostrarsi sospettoso o diffidente, ma considerarla come un Dono, aprendosi deliberatamente con fiducia e lasciandosi formare da essa.
Tuttavia, credo che ancor prima della buona volontà e della fiducia, dobbiamo essere puri ed umile per accogliere il seme, come ce ne ha dato un esempio grande la Madonna. Lei, l’Immacolata da sempre, si è messa umilmente a servizio della Parola, noi, a cui il dolore ed il perdono tolgono il peccato, possiamo fare altrettanto. Maria con la sua purezza immensa e la sua umiltà senza limiti ha nobilitato a tal punto l’umana natura che “il suo Fattor non disdegnò di farsi sua Fattura”(Dante, Il Paradiso Canto XXXIII) . Noi possiamo diventare terra degna, nobile e feconda, imitando la Madonna nella sua umiltà, grazie alla quale non era definita dall’esito delle cose da fare, ma dall’amore di Dio. E, resi puri dal perdono implorato, saremo vera dimora di Dio.
2) L’amore seminato nel cielo.
Il frutto che nasce dalla terra permette, a chi lo mangia, di vivere, ma non gli impedisce di morire. Cristo, seme seminato nel cielo mediante la Croce, “produce” il pane di immortalità.
Se noi lo seguiamo fino là, la Parola divina si insinua nella nostra vita, per trasformarla secondo il suo progetto d'amore, proprio come il seme che, “caduto” e disperso fra le “zolle” di cielo, si dipana misteriosamente e il nostro cuore, terra prima incolta e abbandonata in un campo fruttuoso di raccolti: il seme cresce un po' alla volta, viene alimentato dalla terra e dal clima appropriato della stagione, si tramuta prima in piccole spighe finché il terreno celestizzato non diventa grano pronto per la mietitura.
Non dimentichiamo che prima di essere seminato in cielo mediante la Croce, Gesù si è inginocchiato davanti agli uomini, lavandolo loro i piedi. Imitiamo anche in questo il Redentore che con il gesto della lavanda dei piedi ha mostrato l’amore divino con tutte le componenti umane: simpatia, tenerezza, generosità, commozione e servizio, con quella vibrazione umana, che rende Gesù vicino a tutti e ne conquista i cuori.
Come un granellino di senape, Gesù si è fatto piccolo, povero e indifeso, condividendo la condizione dei deboli e dei reietti e per questo è stato esaltato con un nome al di sopra di ogni altro nome (Fil 2, 9). Una volta morto e sepolto, Gesù ha apportato la crescita del Regno che aveva già diffuso in germe con le sue parole e con le sue opere: per mezzo delle sue apparizioni da Risorto, nell'Ascensione al Cielo e nella realizzazione della promessa del dono dello Spirito a Pentecoste e nella continuità del suo annuncio per mezzo della Chiesa, Cristo fa crescere costantemente il seme del Regno e ne dispiega i fruttuosi raccolti dappertutto.
Come afferma infatti il vangelo di oggi, noi non conosciamo né saremo mai in grado di conoscere tempi e modalità con cui Dio fa crescere il suo seme, non ci è dato sapere quali procedimenti, tempi, sentieri Dio metta in atto per far crescere la propria semente, non sapremo mai quanti passi sono necessari fino al conseguimento dell'obiettivo. Nessuno può illudersi di pronosticare futuri risultati o di anticipare eventi e soluzioni. Occorre semplicemente lasciare fare a Dio, le cui vie e i cui sentieri sono differenti dai nostri (Is 55, 5) e saper attendere nell'umiltà, nella fede e nella speranza.
Affidarci a Dio nell’essere seminatori nel suo nome comporta certamente l'essere piccoli e crescere progressivamente, senza bruciare le tappe. Chi si trova oggi a godere di una buona posizione di successo o a fare l'inventario delle copiose risorse acquisite ha dovuto iniziare con poco, affrontare le dure lotte e gli immancabili sacrifici che ogni traguardo comporta.
Il versetto successivo, in ogni caso e in tutti i campi, inizia con una serie di fallimenti, di frustrazioni e di incomprensioni altrui, conosce insidie a volte precostituite, richiede costanza, fiducia e perseveranza nella prova e nella tentazione di voler abbandonare. Ma quando finalmente l'obiettivo è raggiunto, ebbene i risultati sono paragonabili alla pianta che è scaturita da un insignificante granellino di senapa: ora è talmente grande da torreggiare su tutta la flora antistante e da diventare sede di numerosi nidi di uccelli.
Prendere parte attiva alla novità del Regno realizzata da Cristo vuol dire seguire le sue orme instancabilmente e conseguire i medesimi premi di gloria anche se la tappa necessaria e inevitabile è sempre la Croce, dove Cristo manifestò che l’amore folle di Dio ha vinto il male, dove la morte è stata vinta dalla Vita.
Riceviamo Cristo come il Cielo l’ha ricevuto quando gli uomini l’hanno messo in Croce.
In modo particolare le Vergini Consacrate nel mondo devono essere la terra divenuta cielo grazie alla consacrazione. Queste donne si inseriscono nel solco di quelle consacrate, che subirono il martirio per rimanere fedeli al Signore. Esse furono numerosissime, specialmente i primi tre secoli della vita della Chiesa.
Il ricordo delle vergini consacrate martiri deve rimanere per queste donne un vivo richiamo al dono totale di sé che la consacrazione verginale richiede. (cfr Ecclesiae Sponsae Imago, Introduzione, 8 giugno 2018).
Lettura Patristica San Cipriano, vescovo e martire |
Dal trattato «Sul Padre nostro» di
|
Nessun commento:
Posta un commento