Rito Romano
4ª Domenica di Avvento - Anno C – 19 dicembre 2021
Mi 5,1-4; Sal 79; Eb 10,5-10; Lc 1,39-45
Rito Ambrosiano
6ª Domenica di Avvento
Is 62,10-63,3b; Sal 71; Fil 4,4-9; Lc 1,26-38a
Domenica dell’Incarnazione o della Divina Maternità della Beata Vergine Maria
Premessa.
In questa ultima domenica di Avvento, il Vangelo ci racconta la visita di Maria, che porta in sé il Redentore, alla cugina Elisabetta. Nell’incontro fra queste due donne non dobbiamo riconoscervi solamente un semplice gesto di cortesia. Esso rappresenta l’incontro dell’Antico con il Nuovo Testamento. Le due donne, entrambe incinte, incarnano infatti l’attesa e l’Atteso. L’anziana Elisabetta simboleggia Israele che attende il Messia, mentre la giovane Maria porta in sé l’adempimento di tale attesa, a vantaggio di tutta l’umanità.
Nelle due donne si incontrano e riconoscono prima di tutto i frutti dei loro grembi, Giovanni e Cristo. A questo riguardo il poeta cristiano Prudenzio: «Il bambino contenuto nel grembo senile saluta, attraverso la bocca di sua madre, il Signore figlio della Vergine» (Apotheosis, 590: PL 59, 970). L’esultanza di Giovanni nel grembo di Elisabetta è il segno del compimento dell’attesa: Dio sta per visitare il suo popolo. Nell’Annunciazione l’arcangelo Gabriele aveva parlato a Maria della gravidanza di Elisabetta (cfr Lc 1,36) come prova della potenza di Dio: la sterilità, nonostante l’età avanzata, si era trasformata in fertilità.
La Madonna non porta ad Elisabetta solamente un aiuto materiale e un messaggio spirituale. Lei porta una Presenza: Il Verbo di Dio fatto carne, la Verità che salva la vita, facendosi carne e accendendo il cuore di chi la riceve con un amore verso il prossimo che muove la libertà a condividere ciò che gratuitamente si è ricevuto. Ciò facendo saremo annunciatori a tutto il mondo di questo Dio che si è fatto Figlio dell’uomo perché noi diventassimo figli di Dio.
1) Un sì di fede che si fa cammino di carità.
Dopo aver risposto “sì” all’annuncio portatole dall’angelo Gabriele, la Vergine Madre di colui che sarà chiamato “Figlio dell’Altissimo” va dalla cugina Elisabetta, che - anche se molto avanti con gli anni - attendeva un figlio. L’anziana parente non appena vede arrivare Maria, grazie al sussulto di gioia del bambino che porta in grembo, riconosce che davanti a lei vi è qualcuno di grande. Elisabetta è colmata di Spirito Santo e dà il suo benvenuto a Maria esclamando a gran voce: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo” (cfr Lc 1, 41-42). Benedetta1 e beata perché ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore.
Il brano del Vangelo di oggi è centrato sulla scena dell’incontro tra la Vergine Maria e la cugina Elisabetta. Per fare questo incontro di carità la Madonna si è messa in cammino di carità mossa da uno stupore pieno di gratitudine per quanto le è accaduto e che porta nel suo grembo. È grazie ai passi della Madonna che, ancor prima di nascere, Gesù è in cammino sulle strade del mondo andando verso gli uomini. Questo cammino è esempio per il nostro “dovere” di metterci in cammino sulle strade degli uomini per portare la luce del Vangelo a quanti non lo conoscono.
L’evangelista Luca non riporta le parole di saluto, che Maria rivolge ad Elisabetta quando arriva in casa sua. Questo silenzio è denso di significato. Proprio perché senza parole, il saluto di Maria mette in primo piano la sua persona, non ciò che eventualmente ha da dire. In primo piano è la voce (cfr. Lc 1,44): non le parole di Maria hanno fatto sussultare il bambino, ma la sua voce. E’ nella voce di Maria che il bambino Giovanni percepisce la presenza del Messia atteso.
Il saluto di Maria, dunque, non è una semplice forma di cortesia, ma un’espressione di amore. Il saluto di Maria tocca tutto l’essere di Elisabetta, causando in lei il trasalimento di gioia, il sussulto di Giovanni nel grembo della madre una volta sterile. E’ un saluto che allude a quella vita nuova che è germogliata nel grembo di entrambe, e che è segno della salvezza inaugurata da Dio. Anche Elisabetta è piena di stupore per quanto le sta accadendo e per la visita del Signore portato dalla cugina Maria. Il suo è uno stupore che si fa domanda: “A che devo che la Madre del mio Signore venga a me?” A questo interrogativo la Madonna risponde intonando il suo inno di fede e di ringraziamento a Dio, il Magnificat, che si trova subito dopo il brano del Vangelo di oggi. Forse questo Cantico è nato in Maria durante il viaggio a piedi - lungo circa 150 chilometri – per arrivare fino ad Ain Karim, villaggio a 7-8 chilometri da Gerusalemme, dove abitavano Zaccaria ed Elisabetta.
Quando recitiamo il Magnificat, soprattutto la sera alla fine dei Vespri, cerchiamo di immedesimarci in Maria e di guardare alla nostra vita come lei guardava alla sua: con occhi di fede. Cerchiamo di imitare Maria, che ebbe una fede salda, una carità delicata, un’umiltà sincera e la gioia di portare Cristo al mondo.
2) Un sì umile e verginale, quindi materno.
Nel Magnificat la Madonna manifesta le due fondamentali direttrici, lungo le quali Dio agisce nella storia. Innanzitutto, la consapevolezza che la salvezza deriva unicamente dalla gratuita iniziativa di Dio e dalla sua fedeltà misericordiosa. In secondo luogo – contrariamente alla logica umana – questa salvezza si attua nella storia degli “anawim” biblici, cioè di quei fedeli che si riconoscono “poveri” non solo nel distacco da ogni idolatria della ricchezza e del potete, ma anche nell’umiltà profonda del cuore. E’ tramite i “poveri”, i puri e semplici di cuore, gli umili che Dio porta avanti il suo disegno di salvezza per l’umanità.
La Vergine Maria nel suo inno canta come l’umiltà sia gradita a Dio e come lei sia stata scelta per essere la Madre di Gesù perché umile. L’umiltà di Maria fu il terreno adatto per la realizzazione del progetto di Dio. In una bella omelia, San Bernardo di Chiaravalle mette in luce la grandezza dell’umiltà in Maria, non esitando ad attribuire ad essa – l’umiltà – un’importanza prioritaria anche di fronte alla stessa verginità. “Bella unione – scrive l’abate di Chiaravalle – della verginità con l’umiltà. Molto piace a Dio quell’anima in cui l’umiltà da pregio alla verginità, e la verginità adorna l’umiltà… Senza umiltà oso dire che neppure la verginità di Maria sarebbe stata gradita a Dio… Se dunque Maria non fosse stata umile, non sarebbe disceso in lei lo Spirito Santo… È dunque chiaro che, perché essa concepisse per opera dello Spirito Santo, ‘Dio, come lei canta, ha riguardato l’umiltà della sua serva’ (Lc 1,48), piuttosto che la sua verginità. E se piacque a causa della sua verginità, concepì però per la sua umiltà. Anzi, è chiaro anche che se la verginità piacque, certamente fu in vista della sua umiltà”.
Ma l’umiltà non è fine a se stessa, è finalizzata allo splendore della carità e in Maria vi era l’unione “di un’altissima carità e di una profondissima umiltà”(San Bernardo di Chiaravalle).
Nella visitazione ad Elisabetta, Maria, “Vergine Madre, umile e alta più che creatura” (Dante), porta in grembo il Verbo fatto carne e si fa, in qualche modo, “tabernacolo” – il primo “tabernacolo” della storia – dove il Figlio di Dio, ancora invisibile agli occhi degli uomini, si concede all’adorazione di Elisabetta, quasi “irradiando” la sua luce attraverso gli occhi e la voce di Maria” (San Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucarestia, n. 5).
La Madonna non è tanto una creatura che sa, quanto una creatura che crede perché dotata di grazia, di fede e così diventa figura della Chiesa che, nella fede, accoglie il proprio Salvatore e lo porta nel mondo, perché l’umanità intera possa gioirne.
In questa pastorale della Visitazione, ci sono di esempio le Vergini consacrate nel mondo, che con il loro lavoro “secolare” si fanno missionarie dell'amore camminando quotidianamente con i fratelli e sorelle in umanità, che così possono avere la gioia di essere considerati e amati.
Tale interessamento è ispirato dall'amore verginale per il Signore Gesù, amato sopra ogni cosa e fatto amare. Queste donne consacrate testimoniano che il cristiano autentico trasforma in carità tutte le cose che tocca: trasforma in carità il lavoro, la vita, la preghiera, il rapporto con gli altri. Qualunque cosa il cristiano pratichi viene come rinnovata, santificata, trasformata dalla forza dell’amore
L’importante è che nella nostra preghiera il grazie umile e amoroso abbia il primato. Come ha fatto Maria che con il suo Magnificat ha detto “grazie”, annunciando il Vangelo della Gioia: la lieta notizia dell'innamoramento di Dio, che si fa carne per noi.
L’importante è che ognuno risponda con umiltà e secondo le sue capacità. Se guardiamo alla scena della Visitazione vediamo Zaccaria che risponde con la sua fatica a credere, Elisabetta che benedice, Maria che loda, Giovanni che “danza”. In vari modi ognuno di loro riconosce e porta il Signore nel mondo. Viviamo questo avvento in modo che sia pronunciata per ciascuno di noi la parola: Benedetto - Benedetta sei tu perché porti il Signore, come Maria. Allora capiremo meglio quanto dice Santo Ambrogio: “Se, secondo la carne, una sola è la madre di Cristo, secondo la fede tutte le anime generano Cristo: ognuna infatti accogli in sé il Verbo di Dio” (Esposizione del Vangelo secondo Luca, 2, 26-27).
L’importante è custodire verginalmente e alimentare la memoria di Dio, custodendola in noi stessi e cercando di risvegliarla negli altri. “E’ bello questo: fare memoria di Dio, come la Vergine Maria che, davanti all’azione meravigliosa di Dio nella sua vita, non pensa all’onore, al prestigio, alle ricchezze, non si chiude in se stessa. Al contrario, dopo aver accolto l’annuncio dell’Angelo e aver concepito il Figlio di Dio, che cosa fa? Parte, va dall’anziana parente Elisabetta, anch’essa incinta, per aiutarla; e nell’incontro con lei il suo primo atto è la memoria dell’agire di Dio, della fedeltà di Dio nella sua vita, nella storia del suo popolo, nella nostra storia: «L’anima mia magnifica il Signore … perché ha guardato l’umiltà della sua serva … di generazione in generazione la sua misericordia» (Lc 1,46.48.50). Maria ha memoria di Dio” (Papa Francesco, 29 settembre 2015).
1 Benedire nella tradizione biblica significa – in primo luogo - dire bene di qualcuno, lodare, complimentarsi e, poi, significa dire bene a qualcuno ovvero augurare. La benedizione come lode fa riferimento ad una realtà attuale, mentre la benedizione come augurio chiama in causa ed impegna il futuro. Il significato augurale della benedizione, il benedire è esercitare sovranità sulla storia di qualcuno, impegnare e decidere il futuro. L'uso ebraico utilizza spesso questo verbo “benedire” nella vita e accompagna le persone amate con il suo augurio, la sua benedizione.
Lettura Patristica
Origene
In Luc., 7, 1-6
La visita di Maria a Elisabetta
I più buoni vanno dai meno buoni per procurare loro qualche vantaggio con la loro venuta. Così anche il Salvatore andò da Giovanni, per santificare il suo battesimo, e Maria, dopo aver udito il messaggio dell’angelo, cioè che stava per concepire il Salvatore e che la sua cugina Elisabetta era incinta, "si alzò e si recò in fretta alla montagna, ed entrò nella casa di Elisabetta" (Lc 1,39-40). Gesù, che era nel seno di lei, aveva fretta di santificare Giovanni che si trovava nel grembo della madre.
Prima che venisse Maria per salutare Elisabetta, il fanciullo non «esultò nel seno»; ma non appena Maria ebbe pronunziata la parola che il Figlio di Dio, nel suo seno, le aveva suggerito, "esultò il fanciullo per la gioia", e da allora Gesù fece, del suo precursore, un profeta.
Era necessario che Maria, che era quanto mai degna di essere madre del Figlio di Dio, salisse alla montagna dopo il colloquio con l’angelo, e dimorasse sulle vette. Per questo sta scritto: «In quei giorni Maria si alzò e si recò alla montagna».
Doveva del pari, non essendo affatto pigra nel suo zelo, affrettarsi sollecitamente, e, ricolma di Spirito Santo, essere condotta sulle vette, essere protetta dalla potenza di Dio la cui ombra l’aveva già ricoperta.
Venne dunque "in una città di Giuda, nella casa di Zaccaria e salutò Elisabetta. E accadde che quando Elisabetta udì il saluto di Maria, esultò il fanciullo nel suo seno ed ella fu ricolmata di Spirito Santo" (Lc 1,39-41).
Non v’è perciò alcun dubbio che colei che fu allora ricolmata di Spirito Santo, lo fu a causa di suo figlio. Non fu infatti la madre a meritare per prima lo Spirito Santo; ma quando Giovanni, ancora chiuso nel seno materno, ebbe ricevuto lo Spirito Santo, Elisabetta, a sua volta, dopo la santificazione del figlio, «fu ricolmata di Spirito Santo». Potrai accettare questa verità quando saprai che qualcosa di simile è accaduto per il Salvatore. Si legge, come abbiamo trovato in molti esemplari, che la beata Maria ha profetato. Ma non ignoriamo che, secondo altri codici, fu Elisabetta a pronunziare anche queste parole profetiche. Maria fu dunque ricolmata di Spirito Santo dal momento in cui cominciò ad avere nel seno il Salvatore. Non appena ricevette lo Spirito Santo, creatore del corpo del Signore e il Figlio di Dio cominciò a vivere in lei, anche Maria fu ricolmata di Spirito Santo.
Orbene, esultò il fanciullo nel seno di Elisabetta ed ella, ricolmata di Spirito Santo, "gridò a grande voce e disse: Tu sei benedetta tra le donne" (Lc 1,42). A questo punto, per evitare che gli spiriti semplici siano ingannati, dobbiamo confutare le abituali obiezioni degli eretici. Di fatto io non so chi si è abbandonato ad una tale follia da affermare che Maria fu rinnegata dal Salvatore, per essersi unita, dopo la nascita di lui, a Giuseppe; chi così ha parlato, risponda delle sue parole e delle sue intenzioni. Voi, se qualche volta gli eretici vi fanno una tale obiezione, dite loro per tutta risposta: proprio in quanto era stata ricolmata di Spirito Santo, Elisabetta disse: «Tu sei benedetta fra le donne». Se Maria è stata dunque dichiarata benedetta dallo Spirito Santo, in qual modo il Signore ha potuto rinnegarla? Quanto a coloro che hanno sostenuto che ella contrasse il matrimonio dopo il parto, non hanno prove per dimostrare la loro tesi; infatti i figli che erano attribuiti a Giuseppe, non erano nati da Maria, e non c’è alcun testo della Scrittura che lo affermi.
"Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del ventre tuo. E donde a me la grazia che venga a me la madre del mio Signore?" (Lc 1,42-43). Dicendo: «Donde a me la grazia?», non mostra affatto di ignorare donde viene tale grazia, quasi che Elisabetta, ricolma di Spirito Santo, non sappia che la madre del Signore è venuta da lei obbedendo alla volontà di Dio, ma vuol dire: Che cosa ho fatto di buono? Quali grandi opere ho compiuto per cui la madre del Signore giunga fino a me? Per quale giustizia, per quali buone azioni, per quale fedeltà interiore ho meritato che la madre del mio Signore venga fino a me?
"Ecco, appena il tuo saluto è giunto alle mie orecchie, il fanciullo ha trasalito di gioia nel mio seno" (Lc 1,44). L’anima del beato Giovanni era santa: ancora chiuso nel seno di sua madre e sul punto di venire al mondo, conosceva colui che Israele ignorava; per questo esultò, e non soltanto esultò, ma esultò nella gioia. Aveva compreso che il Signore era venuto per santificare il suo servitore, ancor prima che nascesse dal ventre materno.
Voglia il cielo che capiti anche a me, che ho fede in tali misteri, di essere trattato da pazzo dagli increduli. I fatti stessi e la verità hanno dimostrato chiaramente che io ho creduto non ad una pazzia ma alla sapienza, perché ciò che è consideralo follia da costoro è per me motivo di salvezza.
Se la nascita del Signore non fosse stata tutta celeste e beata, se essa non avesse avuto niente di divino e di superiore alla natura umana, la sua dottrina non si sarebbe affatto diffusa per tutta la terra. Se fosse stato soltanto un uomo colui che era nel seno di Maria, e non il Figlio di Dio, come poteva avvenire che in quel tempo ed anche ora venissero guarite non solo le più diverse malattie dei corpi, ma anche quelle delle anime? Chi di noi non è stato insensato, di noi che ora, per misericordia divina, abbiamo l’intelligenza e la conoscenza di Dio? Chi di noi non ha mancato di fede nella giustizia, di noi che ora, per mezzo di Cristo, possediamo e seguiamo la giustizia? Chi di noi non è stato nell’errore e nello sconforto, di noi che oggi, per l’avvento del Signore, non conosciamo più né esitazioni né turbamenti, ma siamo sulla via, cioè siamo in Gesù che ha detto: "Io sono la via" (Jn 14,6)?
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