CORPUS
DOMINI - Anno A – 14 giugno 2020
Rito
Romano
Dt
8,2-3.14b-16a; Sal 147; 1 Cor 10,16-17; Gv 6,51-58
Rito
Ambrosiano
Dt
8,2-3. 14b-16a; Sal 147; 1Cor 10,16-17; Gv 6, 51-58
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Amore da adorare e da annunciare in processione.
In
questa domenica la Liturgia ci fa celebrare la Solennità del Corpo e
Sangue del Signore, il cui nome tradizionale è “Corpus Domini”.
Si tratta di una festa che è sorta nel secolo XIII e che
si è sviluppata grandemente in tutta la
Chiesa Cattolica. Ma essa ha radici più
antiche, in effetti San Giovanni Paolo II vedeva l’inizio di
questa festa in quella prima “processione” fatta
dagli Apostoli
con Cristo dopo l’Ultima Cena. Accompagnando il Redentore e, al
tempo stesso, portandolo nei loro
cuori come Eucaristia ricevuta pochi momenti
prima, gli Undici uscirono dal
Cenacolo verso il monte degli Ulivi.
Lasciando
il nostro Cenacolo, anche noi con Cristo nel cuore andiamo tra gli
uomini amici o nemici che siano. Dopo aver celebrato
l’Eucaristia in Chiesa, dopo essere
“usciti” da noi stessi per adorare il Signore, Pane vivo del
Cielo, siamo invitati ad “uscire” e percorrere le strade del
mondo per annunciare l’amore, che nutre davvero la nostra esistenza
e dona la vita che non muore. L’amore è più forte
della morte; in Gesù Cristo Dio è in mezzo a noi.
Soltanto
se c’è una risposta alla morte, l’uomo può essere veramente
contento. Ma, se esiste questa risposta, allora è essa l’effettiva
e valida autorizzazione alla gioia, ciò che può veramente
costituire il fondamento di una festa. Nella
sua essenza, l’Eucaristia
è, la risposta al problema della morte, l’incontro con l’amore,
che è più forte della morte. Il Corpus Domini è risposta a questo
nucleo del mistero eucaristico.
Inoltre.
se è vero che l’Eucaristia è il Sacramento del più
profondo nascondersi di Dio: egli si nasconde sotto le specie del
pane e del vino, e
in tale modo si nasconde nell’uomo, è
altrettanto vero che l’Eucaristia è il
Sacramento di un particolare uscire nel mondo – e dell’entrare
tra gli uomini e in mezzo a tutto ciò di cui si compone la loro vita
quotidiana. La
presenza di Cristo nell’Ostia consacrata è
silenziosa, nascosta, dimessa, eppure ansiosa di incontrare lo
sguardo di tutti gli uomini che lo attendono anche senza saperlo.
Accompagniamo la processione eucaristica in
uscita con la preghiera, perché cresca in noi il desiderio di
immergerci nel mistero dell’Eucarestia e perché tutto il
modo si possa aprire a questo amore infinito.
Oggi
questo uscire ha la forma della processione eucaristica, in cui noi
fedeli accompagniamo per le strade delle città e dei paesi,
ripetendo l’esodo di Gesù e dei suoi Apostoli dal Cenacolo al
Monte degli Ulivi (Nel paragrafo 3 ne scriverò un po’ più
ampiamente). Allora fu una processione nel dolore della passione che
cominciava. Oggi è una processione nella gioia della risurrezione di
Cristo che benedice il mondo e lo conforta. In effetti, la
processione del Corpus Domini ci insegna che l’Eucaristia ci vuole
liberare da ogni abbattimento e sconforto, ci vuole far rialzare,
perché possiamo riprendere il cammino con la forza che Dio ci dà
mediante Gesù Cristo risorto, Pane di vita.
2)
Pane di Vita e di Amore.
Per
entrare nel mistero dell’Eucaristia, prima di tutto –secondo me-
è necessario ricordarsi delle parole di Gesù: “Dio ha amato
talmente il mondo da donare il Suo figlio Unico perché il mondo si
salvi per mezzo di Lui” (cfr Gv 3, 16).
L’Eucaristia
è il sacramento, che perpetua questo dono che viene dall’amore
fedele di Dio.
Per
questo, nella festa del Corpo e del Sangue del Signore la Liturgia
propone come Prima Lettura della Messa di oggi un brano del
Deuteronomio, che è un invito a non dimenticare che durante l’esodo
Dio è sempre stato accanto al popolo di Israele. Nel Suo amore
fedele, Dio non ha esitato a mettere alla prova gli Ebrei nel
deserto, ma è stato sempre accanto a loro ed ha dato loro la manna
perché continuassero il cammino verso la terra promessa.
Nella
Seconda Lettura, san Paolo ci parla del fine dell’Eucaristia che di
“formare un solo corpo” (cfr 1 Cor 17), di essere
tutti in comunione con Cristo e di essere tra noi fratelli, cioè
Chiesa nutrita dal pane eucaristico condiviso. Comunione significa
scambio, condivisione. Ora la regola fondamentale della condivisione
è questa: quello che è mio è tuo e quello che è tuo è mio. Ma
che cosa ho io di propriamente “mio”? La miseria, il peccato:
solamente ciò è esclusivamente mio. E che cosa ha di “suo”
Gesù? La santità, la perfezione di tutte le virtù. Allora la
comunione consiste nel fatto che io dò a Gesù il mio peccato e la
mia povertà, e lui mi dà la Sua santità. Si realizza il
“meraviglioso scambio”, come lo definisce la Liturgia.
Nelle
Terza Lettura, che riporta un breve brano preso dal capitolo 6 del
Vangelo di San Giovanni, ci viene presentata la volontà di Gesù di
nutrire tutti con la sua carne e di dissetarli con il suo sangue per
avere la vita e averla in abbondanza.
Quando
si va a ricevere la Comunione, il sacerdote dice “Il Corpo di
Cristo”, e il fedele risponde “Amen”. Dobbiamo dunque essere
membra del Corpo del Cristo, perché sia vero il nostro Amen. E’ un
mistero di unità, pietà, carità. Un solo pane, un solo corpo,
fatto di molti. Il pane non è fatto con un solo chicco di grano, ma
con un gran numero. “Al battesimo siete stati imbevuti d’acqua.
Lo Spirito Santo è venuto allora in voi come il fuoco che cuoce la
pasta: Siate dunque ciò che vedete e ricevete ciò che siete”
(Sant’Agostino).
E’
pure importante sottolineare alcuni particolari che non sono però
dei dettagli irrilevanti. Nel Vangelo di Giovanni costatiamo che
l’Apostolo preferisce la parola “carne1”
alla parola “corpo”. Probabilmente vuole mettere in rilievo il
realismo dell'incarnazione (“il
Verbo si è fatto carne”
davvero) contro le tendenze che cercavano, al contrario, di negare al
Figlio di Dio la possibilità di assumere una vera e piena umanità.
Si noti, poi, la dimensione universale: questo Santo Cibo è per la
vita del mondo intero. Infine c’è un’insistenza che non è
casuale: mangiare la carne e bere il sangue è indispensabile per
avere la vita. Cristo è vero cibo per la vera vita degli uomini.
Santa
Teresa di Calcutta diceva alle sue suore che “dovevano trattare
i malati come il sacerdote tratta l'ostia consacrata” e
aggiungeva questa esperienza frutto della Comunione e
dell’Adorazione: “Quando adoro Gesù nell’Eucaristia vedo i
poveri e quando sto con i poveri vedo Gesù”.
3)
Convocazione, cammino e adorazione.
La
celebrazione della festa del Corpus Domini non consiste solamente
nella Messa celebrata in modo particolarmente solenne. Essa prevede
anche una processione per le strade della città o del paese.
La
Chiesa, il popolo di Dio radunato attorno all’Eucaristia, in tutte
le parrocchie della Terra avanza oggi davanti a tutto il mondo con la
più grande pretesa che si possa avanzare: quella di possedere e
offrire in un pezzo di pane e in un sorso di vino la carne e il
sangue di Gesù, di Colui che si è detto il Cristo, il Figlio di Dio
fatto Uomo, di colui che è il Redentore dell’uomo e del mondo
intero.
Durante
le processione un po’ di questo pane “consacrato” è posto in
un prezioso ostensorio ed è portato dalle mani del prete per le
nostre strade, perché sia adorato come il sacramento nel quale è
presente realmente il Signore del mondo.
Non
è imposto a nessuno credere in questo. Ma la certezza di un popolo
che cresce nel mondo e che qui è presente sfida chiunque a
“verificare” che possibilità di verità ci sia in quello che
viene proposto a credere.
Per
tutti, credenti o no, oggi è una grande occasione per ripensare a
questa fede della Chiesa. Il credente deve ritrovare le ragioni per
rinsaldarla in sé. Il non ancora credente deve paragonarsi con le
ragioni che gli vengono date. La più grande di tutte queste ragioni
è la “resistenza” di questa fede che fino ad oggi “fa” i
martiri (ne sono stati calcolati ben quarantacinque milioni nel
secolo XX) e i santi, che danno tutta la loro vita per l’amore a
questo Cristo presente nella Chiesa, nell’Eucaristia, nei fratelli.
La
processione di oggi non è come quella del Giovedì santo, quando,
dopo la prima Cena Eucaristica, gli Apostoli accompagnarono Cristo al
Monte degli Ulivi, è un cammino con Cristo risorto quindi è pieno
di letizia, di stupore sereno, di adorazione, che è la preghiera che
diventa sguardo. “L’adorazione è la preghiera che
prolunga la celebrazione e la comunione eucaristica e in cui l’anima
continua a nutrirsi: si nutre di amore, di verità, di pace; si nutre
di speranza, perché Colui al quale ci prostriamo non ci giudica, non
ci schiaccia, ma ci libera e ci trasforma” (Benedetto XVI, 2
maggio 2008).
In
questo “esodo” eucaristico ci sono di esempio le Vergini
Consacrate nel mondo. Nell’Eucaristia Cristo è sempre in cammino
verso il mondo e queste donne a Lui devote, con Lui vanno verso il
mondo. E’ parte della loro specifica vocazione portare Lui,
presente nelle specie del pane e presente nel loro cuore, per le
strade del mondo, affidando a Lui, alla sua bontà queste strade. Che
sull’esempio della Vergini consacrate la nostra persona sia casa
per Lui e con lui e la nostra vita di ogni giorno si penetrata ogni
giorno dalla sua presenza.
Esse
vivono dell’Eucaristia e testimoniano che l’Eucaristia assunta
con fede spinge a una vera comunione con Dio e, di conseguenza con il
prossimo. Il Pane consacrato e condiviso è segno visibile di questa
comunione, è sacramento di carità e il gesto di spezzarlo e di
distribuirlo deve essere segno d'amore e di accoglienza. L’Eucaristia
è il Pane quotidiano per il cammino di ogni giorno di persone
radunate, convocate per lodare Dio e vivere di Lui.
Con
l’Eucaristia il Signore non ci lascia soli in questo cammino. Egli
è con noi, sempre. Anzi, Egli desidera condividere la nostra sorte
fino ad immedesimarsi con noi. Ma non dimentichiamo che non basta il
progredire. Se non ci sono dei criteri di riferimento, il “progresso”
rischia di farci correre fuori strada. Rischiammo di finire in un
precipizio, o comunque di allontanarsi più rapidamente dalla meta,
se Lui non ci indica il cammino. Dio ci ha creati liberi, ma non ci
ha lasciati soli: si è fatto Lui stesso “via” ed è venuto a
camminare insieme con noi, perché la nostra libertà abbia anche il
criterio per discernere la strada giusta e percorrerla.
Non
solo il camminare con Cristo è libertà, anche l’inginocchiarsi
davanti all’Eucaristia, perché è professione di libertà. Chi si
inchina a Gesù non può e non deve prostrarsi davanti a nessun
potere terreno, per quanto forte. Noi cristiani ci inginocchiamo in
adorazione solamente davanti al Santissimo Sacramento, perché in
esso sappiamo e crediamo essere presente l’unico vero Dio, che ha
creato il mondo e lo ha tanto amato da dare il suo Figlio unigenito
(cfr Gv 3,16).
1
Il
termine greco usato da San Giovanni per “carne” è “sarx”,
che corrisponde all'ebraico “basar”:
è un vocabolo semitico che indica non tanto la carne, in senso
materiale, come la intendiamo noi, ma l’umanità,
la persona;
nel linguaggio biblico l'espressione “carne
e sangue”
designa
la persona umana
nella sua realtà storica, l'uomo totale nella sua manifestazione
concreta. Quindi l'espressione “mangiare la carne” non deve far
pensare all’antropofagia, ad una forma di cannibalismo, essa
indica piuttosto l’entrare in comunione totale con il Salvatore.
Lettura
Patristica
Sant’Agostina
d’Ippona (354 – 430)
SUL
SALMO 137
…Adorerò
presso il tuo tempio santo. Qual è questo tuo santo tempio?
Quello in cui abiteremo, in cui adoreremo. Alla sua adorazione tende
infatti la nostra corsa. Il nostro cuore è gravido, sul punto di
partorire, e cerca un posto per partorire. Orbene, quale sarà il
luogo dove Dio deve essere adorato? Qual è quel mondo o
quell'edificio o quel trono in cielo e fra le stelle? Lo cercheremo
ricorrendo alle Sacre Scritture, e la risposta sarà nelle parole
della Sapienza, là dove dice: Io ero con lui; io ero colei
di cui egli si compiaceva quotidianamente. Ci elenca poi le sue
opere e ci indica quale sia il trono di Dio. Qual è? Continua:
Quando formava grosse nubi in alto, quando separava la sua sede
sopra i venti. Ora sua sede è lo stesso che suo tempio. Dove
andremo dunque? Dovremo proprio adorarlo al di sopra dei venti? Se
Dio è da adorarsi al di sopra dei venti, in questo ci vincono gli
uccelli. Per " venti " si possono però intendere le anime,
cioè col nome " venti " si indicano le anime, come dice in
un passo la Scrittura: Ha volato sopra le penne dei venti,
dov'è da intendersi che ha volato al di sopra delle risorse
dell'anima. In forza di questa ampiezza di significato diciamo che
l'anima è un soffio divino, una specie di vento: certo non dello
stesso genere del vento che sentiamo quando sbatacchia qua e là gli
oggetti ma indicando con tale nome una realtà invisibile, che cioè
non si riesce a vedere con gli occhi, né a udire con gli orecchi né
a sentire col naso, né a gustare con la gola, né a toccare con le
mani. Quel che infatti chiamiamo anima è una energia vitale che ci
fa vivere. Se prendiamo " i venti " in questo senso, non
occorre che supponiamo delle penne materiali, per volare a
somiglianza degli uccelli al tempio di Dio e là adorarlo. Ci
accorgeremo, viceversa, che, supposta naturalmente la nostra
intenzione di essere suoi fedeli, è su di noi stessi che Dio ha la
sua sede. Vedete se non sia proprio questo il senso delle parole
dell'Apostolo: È santo il tempio di Dio, che siete voi.
Sicuramente (è cosa evidente) Dio abita negli angeli. Da cui
segue che, quando il nostro godimento proviene non da beni materiali
ma da realtà spirituali e da esse trae motivo per innalzare il
cantico a Dio salmodiando in compagnia degli angeli, allora tempio di
Dio è la stessa assemblea degli angeli, e in quel tempio noi lo
adoriamo. C'è una Chiesa di quaggiù e una Chiesa di lassù. La
Chiesa di quaggiù è l'insieme dei fedeli, la Chiesa di lassù è
l'insieme degli angeli. Alla Chiesa di quaggiù scese il Signore
degli angeli: colui che, mentre si faceva nostro servo, veniva
servito dagli angeli. Diceva: Non son venuto per essere servito ma
per servire. In che cosa si è reso nostro servo, se non
donandoci quello che anche oggi mangiamo e beviamo? Che se il Signore
degli angeli s'è fatto nostro servo, non disperiamo di diventare un
giorno simili agli angeli. Chi era più grande degli angeli discese a
fianco dell'uomo; il Creatore degli angeli assunse la natura
dell'uomo e il Signore degli angeli per l'uomo morì. Per tutto
questo io adorerò presso il tuo santo tempio, e per tuo
tempio intenderò non un tempio eretto da mani di uomo ma quello
stesso tempio che tu stesso ti sei eretto.
E
confesserò al tuo nome, nella tua misericordia e nella tua verità.
Per queste due cose noi confessiamo. Così si legge anche
nell'altro salmo: Tutte le vie del Signore sono misericordia e
verità. Per queste due cose noi confessiamo: Nella tua
misericordia e nella tua verità. Per la misericordia verso i
peccatori volgesti a noi lo sguardo, per la verità ti mantenesti
fedele alle promesse. Ebbene, io confesserò a te per la tua
misericordia e la tua verità. E secondo questi due atteggiamenti
io secondo le mie forze vorrò comportarmi: userò misericordia e
verità, misericordia nel soccorrere, verità nel giudicare. Se con
tali risorse Dio ci viene in aiuto, con le stesse noi ci meritiamo
Dio [in premio]. A buon diritto quindi misericordia e verità son
tutte le vie del Signore. Non ci sono altre vie per le quali egli
possa venire a noi; non ci sono altre vie per le quali noi possiamo
andare a lui.
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