VI
Domenica di Pasqua – Anno A – 17 maggio 2020
Rito
Romano
At
8,5-8.14-17; Sal 65; 1Pt 3,15-18; Gv 14,15-21
|
Rito
Ambrosiano
At
4,8-14; Sal 117; 1Cor 2,12-16; Gv 14,25-29
Premessa:
Il
rischio che tutti possiamo correre in questo tempo di pandemia è
quello di essere determinati da ciò che non si ama invece di essere
determinati da ciò che si ama: Cristo risorto.
Trascorrere
le giornate con il telelavoro o “ammazzando il tempo” ci fa
correre il rischio di reagire o alle cose da fare o alla noia di non
sapere come occupare le lunghe giornate che siamo obbligati a passare
in casa.
In
tutte e due i casi l’abitudine al quotidiano, all’ordinario e –
spesso – al noioso, può soffocare la felicità recata dalla
risurrezione di Cristo, che in questo peridio pasquale siamo chiamati
a celebrare con particolare intensità.
Come
fare in modo che la nostra vita, qui e ora, sia la narrazione della
fedeltà all’incontro con Cristo risorto, che vivifica il nostro
cuore, come il fuoco della primavera vivifica il grano seminato nella
terra?
Propongo
due risposte.
-
Domandando la grazia di vivere l’amore a Cristo in modo diligente, attento, assiduo, sollecito, così che il “banale” quotidiano diventi eroico, cioè ricolmo dell’amore grande di Cristo. Questo affetto premuroso, questa domanda costante non è solo dei santi ma anche di noi peccatori. E la preghiera del peccatore pentito da pace a noi e gioia a Dio. Una gioia come quella di una madre quando il bambino neonato le sorride la prima volta.
-
Osservando i comandamenti di Cristo come risposta amorosa al Suo amore, che ci indica la strada della verità. Amare è osservare la “Parola” (i comandamenti di Cristo sono parole d’amore della Parola), perché l’amore consiste non tanto nelle parole o nei sentimenti, l’amore consiste nei fatti e nella verità. Quindi quei fatti, in quelle azioni, che corrispondono alla verità del cuore. Osservare vuol dire “guardare bene, con cura, per conoscere”, ma vuol dire anche “praticare”: è una pratica, cioè l’amore diventa conoscenza, ma anche pratica, diventa “fare”.
1)
La libertà è osservare i comandamenti.
Il
Vangelo ci insegna che l’essenziale è amare Cristo e custodire la
sua parola per attuarla, ed anche il brano evangelico di oggi mette a
tema l’amore: “Se
mi amate ... chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch’io lo
amerò e mi manifesterò a lui”
(Gv 14, 15.21). L'amore, che Gesù chiede, si esprime nell'osservare
i suoi comandamenti1
ed è reso possibile dall'amore che per primo Dio ci ha offerto: “Non
siamo stati noi ad amare Dio, ma è Lui che ha amato noi e ha mandato
il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati”
(1Gv
4,10). In effetti, quando ci si sente amati, siamo più facilmente
spinti ad amare. L’amore è il pieno compimento della vocazione di
ciascuno di noi. E’ il grande dono che ci rende veramente e
pienamente “umani”. E’ di questo amore che l’umanità, oggi
più che mai, ha bisogno, “perché
solo l’amore è credibile”(Giovanni
Paolo II).
Ma
come possiamo credere e praticare l’amore? Il Vangelo di oggi ci
offre due suggerimenti.
Il
primo modo è quello di obbedire ai comandamenti di Dio,
riconoscendoli come il contenuto ed il linguaggio dell’amore, che
ci “afferra” teneramente.
Entrare
nell'Amore di Cristo significa essere afferrati da un dinamismo, per
il quale non solo si osserva la Legge come un obbligo, ma la si mette
in pratica come un’esigenza del cuore: chi gusta l'Amore di Cristo
non può che amare e vivere di questo Amore, che è vita. In effetti
non c’è vera vita se non nel vero Amore. Un Amore che ci fa
esistere come figli e vivere da fratelli e sorelle.
“L'essenziale
è invisibile agli occhi” (Antoine de Saint-Exupéry, Il
piccolo Principe) è il segreto che la volpe consegna al piccolo
Principe dopo che quest'ultimo l’ha addomesticata e tra loro è
nato il legame indissolubile dell'amicizia vera. Il lungo e difficile
cammino che Gesù ha compiuto con i suoi discepoli ha portato ad un
“addomesticamento” reciproco, come quello che è narrato nel
libro di Saint-Exupéry. Gesù è legato ai suoi discepoli che chiama
amici, e loro sono legati a lui e tra di loro (“amatevi gli uni
gli altri come io vi ho amati”). Questo legame affrontò la
prova terribile della morte e il mistero della resurrezione, ma non
si spezzò. Da parte di Gesù c’è la promessa che l'amicizia non
sarebbe venuta meno: il dono dello Spirito Santo è proprio questo.
Ma, come dice la volpe al piccolo principe, “non si vede bene
che con il cuore”, e i comandamenti di Dio educano il cuore che
così può vedere.
2)
Liberi perché figli “legati” al Padre dall’amore obbediente, e
non orfani “slegati” dall’Amore.
Si
potrebbe obiettare: “Come si può comandare l’amore? E come
l’amore può avere dei comandamenti? L’amore non è libertà?”
Sì, l’amore è libertà, è quella libertà che aderisce alla
verità e all’amore lietamente e decisamente. L’amore conosce
molti obblighi e molti doveri, ma sono vissuti come espressione di
libertà, realizzazione di sé stessi e non come costrizione. L’amore
non è fare quel che mi pare e piace, l’amore è amare l’altro,
volere il bene dell’altro, l’amore è servire, l’amore è
mettere in gioco la propria vita, l’amore è esattamente il
contrario dell’egoismo.
L'amore
non è dare ciò che si ha, ma ciò che si è; allora si vuole anche
ciò che gli altri sono, non le loro cose. Non il dono delle proprie
cose è amore, ma il dono di sé stessi. Non per nulla nel Vangelo
l'amore è identificato all'obbedienza, perché l'obbedienza è il
dono di sé. Se mi amate, osservate i miei comandamenti… Chi
osserva i miei comandamenti, quello è colui che mi ama, dice
Gesù nell'Ultima Cena.
L’amore
di Cristo è la legge suprema che mi fa capire se quell’azione,
piccola o grande che sto facendo, è vera o falsa; se conduce alla
vita o alla morte. L’amore per Gesù, la Sua legge d’amore e di
libertà è la sorgente di ogni azione, di ogni comando. Lui ci ha
amati per primo, noi “dobbiamo” rispondere a questo amore, per
essere come Lui e vederLo: “L’amore di Dio è il primo che
viene comandato, l’amore del prossimo è il primo però che si deve
praticare... Amando il prossimo, rendi puro il tuo occhio per poter
vedere Dio” (Sant’Agostino d’Ippona, In Io. Ev.
tr., 17, 8).
La
nostra mente ed il nostro cuore non possono mai stare vuoti, o si
riempiono di una cosa oppure si colmano di un’altra. Anche durante
le nostre attività quotidiane dobbiamo tenere lo sguardo fisso su
Gesù, che vedremo se il nostro cuore e i nostri occhi hanno una
purezza angelica.
A
chi domanda come fare una preghiera continua, suggerisco di fare,
durante la giornata, brevi soste per rimettere ordine, per
raddrizzare la rotta, per liberarsi dai cattivi pensieri e
alimentarsi di nuovo con un versetto del Vangelo, o di un salmo o di
un episodio della vita del Signore.
Per questo lo Chiesa ha
stabilito le Liturgia delle “Ore”. Basta poco per smarrirsi, per
perdere il centro di gravità, uscire e distrarsi. Ecco allora i
salmi a intervalli regolari, per ritrovare il centro (Cristo) e
ricordarsi della “presenza” che abita nel profondo del nostro
cuore. Il cuore è cuore la sede dove possiamo riconoscere che Gesù
non ci ha abbandonati e che il legame stabilito con i suoi discepoli
non si è spezzato nonostante il passare dei secoli e le tante
fragilità e limiti dei cristiani dall'inizio fino ai giorni nostri.
Questo
accade nei monasteri dove niente deve essere anteposto all'Ufficio
divino, perché niente deve essere anteposto all'accoglienza di
questa divina “presenza”.
Occorre praticare lo custodia del
cuore e dei sensi. Il voler guardare tutto, parlare di tutto,
curiosare su tutto, riempiono la nostra casa di cianfrusaglie, quando
non di cose cattive. Il Signore allora, non può parlarci, entrare in
colloquio di amore con noi.
Questo
accade nella vita della Vergini consacrate nel mondo, che sono
chiamate a vivere una vita monastica dentro la società. A questo
riguardo il Catechismo della Chiesa Cattolica insegna: “Emettendo
il santo proposito di seguire Cristo più da vicino, [le vergini] dal
Vescovo diocesano sono consacrate a Dio secondo il rito liturgico
approvato e, unite in mistiche nozze a Cristo Figlio di Dio, si
dedicano al servizio della Chiesa”. Mediante questo rito solenne
(Consecratio virginum), “la vergine è costituita
persona consacrata” quale “segno trascendente dell'amore della
Chiesa verso Cristo, immagine escatologica della Sposa celeste e
della vita futura”.Aggiungendosi alle altre forme di vita
consacrata, l'ordine delle vergini
stabilisce la donna che vive nel mondo (o la monaca) nella preghiera,
nella penitenza, nel servizio dei fratelli e nel lavoro apostolico,
secondo lo stato e i rispettivi carismi offerti ad ognuna.
Le vergini consacrate possono associarsi al fine di
mantenere più fedelmente il loro proposito.” (CCC,
nn 923 e 924).
Queste
donne consacrate mostrano con la loro esistenza donata interamente a
Dio, che la profonda verità di questa affermazione di Cristo: “Chi
accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi
ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi
manifesterò a lui” (Gv 14, 21).
La
conseguenza
dell'amore e dell'obbedienza a Gesù è il dono del Paraclito2,
inviato dal Padre su richiesta orante del Figlio Gesù. Non siamo e
non saremo mai orfani, Gesù ce lo assicura nel Vangelo di oggi.
L’amore con il quale il Signore Gesù ci ama si traduce nella sua
preghiera costante che ci ottiene, istante dopo istante, il dono del
Paraclito.
E’ un nome che designava l’avvocato, colui che assiste e soccorre
nel processo per difendere contro l'accusatore.
E Satana3
significa appunto accusatore. Lo Spirito Santo è chiamato presso di
noi, anche oggi, in questo istante, e in ogni secondo della nostra
vita, per difenderci, per ricordarci e annunciarci la Verità, che
siamo figli di Dio nel Figlio Gesù.
Di
fronte alle accuse di infedeltà, di ipocrisa, di incostanza, di
fronte al disprezzo di noi stessi cui ci spinge l'accusatore, il
Paraclito ci con-sola, ci colma dell'amore del Signore, compie
in noi ogni comandamento, lo custodisce e lo accoglie sprigionando in
noi l'amore a Cristo. E’ vero: lo Spirito Santo è l’amore ,con
il quale amiamo il Signore, lo stesso amore che unisce il Padre ed il
Figlio, e ci fa intimi della loro intimità. Nello Spirito Santo
siamo dimora di Dio, e la nostra vita, tutta, è trasformata in una
cattedrale meravigliosa dove ogni uomo può riconoscere la presenza
amorevole e misericordiosa di Dio.
1
Faccio notare che
questa indicazione del v 15 è ripresa ai vv. 21 e 26, anche se in
forma diversa.
3
Satana
(in ebraico:
שָׂטָן,
Satàn;
in greco:
Σατᾶν
o Σατανᾶς;
Satàn
o Satanâs;
in latino:
Satănas.
Il significato in ebraico sarebbe “accusatore
in giudizio”,
“avversario”, “colui che si oppone”, “contraddittore”.
LETTURA
PATRISTICA
Sant’Agostino
d’Ippona (354 -430)
Commento
al Vangelo di San Giovanni
OMELIA
74
Il
dono di un altro Paraclito.
Chi
ama è segno che ha lo Spirito Santo, e quanto più amerà tanto più
lo avrà, affinché possa amare sempre di più.
1.
Abbiamo ascoltato, o fratelli, mentre veniva letto il Vangelo, il
Signore che dice: Se mi amate, osservate i miei comandamenti;
ed io pregherò il Padre, ed egli vi darà un altro Paraclito, il
quale resti con voi per sempre; lo Spirito di verità che il mondo
non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce; ma voi lo
conoscete, perché rimane tra voi e sarà in voi (Gv 14,
15-17). Molte sono le cose da approfondire in queste poche parole del
Signore; ma sarebbe troppo cercare ogni cosa che qui si può trovare,
o pretendere di trovare ogni cosa che qui si può cercare. Tuttavia,
prestando attenzione a ciò che noi dobbiamo dire e che voi dovete
ascoltare, secondo quanto il Signore vorrà concederci e secondo la
nostra e vostra capacità, ricevete per mezzo nostro, o carissimi,
ciò che noi possiamo darvi, e chiedete a lui ciò che noi non
possiamo darvi. Cristo promise agli Apostoli lo Spirito Paraclito;
notiamo però in che termini lo ha promesso. Se mi amate
- egli dice - osservate i miei comandamenti; ed io pregherò
il Padre, ed egli vi darà un altro Paraclito, il quale resti con voi
per sempre: lo Spirito di verità. Senza dubbio si tratta
dello Spirito Santo, una persona della Trinità, che la fede
cattolica riconosce consostanziale e coeterno al Padre e al Figlio.
E' di questo Spirito che l'Apostolo dice: L'amore di Dio è
stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci
è stato donato (Rm 5, 5). Come può dunque il Signore,
riferendosi allo Spirito Santo, dire: Se mi amate, osservate i
miei comandamenti; ed io pregherò il Padre, ed egli vi darà un
altro Paraclito, dal momento che senza questo Spirito non
possiamo né amare Dio, né osservare i suoi comandamenti? Come
possiamo amare Dio per ricevere lo Spirito, se senza lo Spirito non
possiamo assolutamente amare Dio? E come possiamo osservare i
comandamenti di Cristo per ricevere lo Spirito, se senza questo dono
non possiamo osservarli? E' forse da pensare che prima c'è in noi la
carità, che ci consente di amare Cristo, e, amandolo e osservando i
suoi comandamenti, si può meritare il dono dello Spirito Santo così
che la carità (non di Cristo che già era presente, ma di Dio
Padre), si riversi nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che
ci è stato donato? Questa è un'interpretazione errata. Infatti, chi
crede di amare il Figlio e non ama il Padre, significa che non ama il
Figlio, ma una invenzione della sua fantasia. Perciò l'Apostolo
dichiara: Nessuno può dire: Gesù è il Signore, se non nello
Spirito Santo (1 Cor 12, 3). Chi può dire: Gesù è il
Signore, nel senso che intende l'Apostolo, se non chi lo ama? Molti
infatti riconoscono Gesù a parole, mentre col cuore e con le opere
lo rinnegano; come appunto dice l'Apostolo: Confessano sì di
conoscere Dio, ma con le opere lo negano (Tt 1, 16). Se con le
opere si può negare Dio, è altrettanto vero che è con i fatti che
lo si confessa. E così nessuno può dire: Gesù è il Signore
- con l'animo, con le parole, con i fatti, con il cuore, con la
bocca, con le opere - se non nello Spirito Santo; e
nessuno lo dice in questo senso se non chi lo ama. Ora, se gli
Apostoli dicevano: Gesù è il Signore, e non lo
dicevano in modo finto come quelli che lo confessano con la bocca e
lo negano con il cuore e con le opere, se insomma lo dicevano in modo
autentico, sicuramente lo amavano. E come lo amavano, se non nello
Spirito Santo? E tuttavia il Signore ordina loro, prima di tutto di
amarlo e di osservare i suoi comandamenti, per poter ricevere lo
Spirito Santo, senza del quale essi di sicuro non avrebbero potuto né
amarlo né osservare i suoi comandamenti.
[Viene
promesso lo Spirito Santo anche a chi lo ha.]
2.
Dobbiamo dunque concludere che chi ama lo Spirito Santo, e, avendolo,
merita di averlo con maggiore abbondanza, e, avendolo con maggiore
abbondanza, riesce ad amare di più. I discepoli avevano già lo
Spirito Santo, che il Signore prometteva loro e senza del quale non
avrebbero potuto riconoscerlo come Signore; e tuttavia non lo avevano
con quella pienezza che il Signore prometteva. Cioè, lo avevano e
insieme non lo avevano, nel senso che ancora non lo avevano con
quella pienezza con cui dovevano averlo. Lo avevano in misura
limitata, e doveva essere loro donato più abbondantemente. Lo
possedevano in modo nascosto, e dovevano riceverlo in modo manifesto;
perché il dono maggiore dello Spirito Santo consisteva anche in una
coscienza più viva di esso. Parlando di questo dono, l'Apostolo
dice: Ora, noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo ma lo
Spirito che viene da Dio, affinché possiamo conoscere le cose che da
Dio ci sono state donate (1 Cor 2, 12). E non una volta, ma
ben due volte il Signore elargì agli Apostoli in modo manifesto il
dono dello Spirito Santo. Appena risorto dai morti, infatti, alitò
su di loro e disse: Ricevete lo Spirito Santo (Gv 20,
22). E per averlo dato allora, forse che non inviò anche dopo lo
Spirito promesso? O non era il medesimo Spirito quello che Cristo
alitò su di loro e poi ancora inviò ad essi dal cielo (cf. At 2,
4)? Qui si pone un'altra domanda: perché questo dono fu elargito in
modo manifesto due volte? Forse questo dono fu elargito visibilmente
due volte perché due sono i precetti dell'amore: l'amore di Dio e
quello del prossimo, e per sottolineare che l'amore dipende dallo
Spirito Santo. Se bisogna cercare un altro motivo, non è adesso il
momento, dato che non possiamo tirare troppo in lungo questo
discorso. L'importante è tener presente che senza lo Spirito Santo
noi non possiamo né amare Cristo né osservare i suoi comandamenti,
e che tanto meno possiamo farlo quanto meno abbiamo di Spirito Santo,
mentre tanto più possiamo farlo quanto maggiore è l'abbondanza che
ne abbiamo. Non è quindi senza ragione che lo Spirito Santo viene
promesso, non solo a chi non lo ha, ma anche a chi già lo possiede:
a chi non lo ha perché lo abbia, a chi già lo possiede perché lo
possieda in misura più abbondante. Poiché se non si potesse
possedere lo Spirito Santo in misura più o meno abbondante, il
profeta Eliseo non avrebbe detto al profeta Elia: Lo Spirito
che è in te, sia doppio in me (2 Sam 2, 9).
3.
Quando Giovanni Battista disse: Iddio dona lo Spirito senza
misura (Gv 3, 34), parlava del Figlio di Dio, al quale appunto
lo Spirito è dato senza misura, perché in lui abita tutta la
pienezza della divinità (cf. Col 2, 9). Non potrebbe infatti l'uomo
Cristo Gesù essere mediatore tra Dio e gli uomini senza la grazia
dello Spirito Santo (cf. 1 Tim 2, 5). Infatti egli stesso afferma che
in lui si è compiuta la profezia: Lo Spirito del Signore è
sopra di me; per questo mi ha unto, mi ha mandato a predicare ai
poveri la buona novella (Lc 4, 18-21). Che l'Unigenito sia
uguale al Padre, non è grazia ma natura; il fatto invece che l'uomo
sia stato assunto nell'unità della persona dell'Unigenito, è grazia
non natura, secondo la testimonianza del Vangelo che dice: Intanto
il bambino cresceva, si fortificava ed era pieno di sapienza, e la
grazia di Dio era in lui (Lc 2, 40). Agli altri, invece, lo
Spirito viene dato con misura, e questa misura aumenta, finché si
compie per ciascuno, secondo la sua capacità, la misura propria
della sua perfezione. Donde l'esortazione dell'Apostolo: Non
stimatevi più di quello che è conveniente stimarsi, ma stimatevi in
maniera da sentire saggiamente di voi, secondo la misura di fede che
Dio ha distribuito a ciascuno (Rm 12, 3). Lo Spirito infatti
non viene diviso; sono i carismi che vengono divisi come sta scritto:
Vi sono diversità di carismi, ma identico è lo Spirito
(1 Cor 12, 4).
4.
Dicendo poi: Io pregherò il Padre, ed egli vi darà un altro
Paraclito, il Signore ci fa capire che egli stesso è
Paraclito. Paraclito corrisponde al latino avvocato; e Giovanni dice
di Cristo: Abbiamo, come avvocato presso il Padre, Gesù
Cristo giusto (1 Io 2, 16). In questo senso dice che il mondo
non può ricevere lo Spirito Santo, così come sta scritto: Il
desiderio della carne è inimicizia contro di Dio: esso infatti non
si assoggetta alla legge di Dio né lo potrebbe (Rm 8, 7).
Come a dire che l'ingiustizia non può essere giusta. Per mondo qui
si intende coloro che amano il mondo di un amore che non proviene dal
Padre. E perciò l'amore di Dio, riversato nei nostri cuori per mezzo
dello Spirito Santo che ci è stato donato, è l'opposto dell'amore
di questo mondo, che ci sforziamo di ridurre e di estinguere in noi.
Il mondo quindi non lo può ricevere perché non
lo vede né conosce. L'amore mondano, infatti, non possiede
occhi spirituali, senza dei quali non è possibile vedere lo Spirito
Santo, che è invisibile agli occhi della carne.
5.
Ma voi - dice il Signore - lo conoscerete perché
rimarrà tra voi e sarà in voi. Sarà in loro per rimanervi,
non rimarrà per esservi; poiché per rimanere in un luogo, prima
bisogna esserci. E affinché non credessero che l'espressione:
rimarrà presso di voi, volesse significare una
permanenza simile a quella di un ospite in una casa, spiegò il senso
delle parole: rimarrà presso di voi, aggiungendo: e
sarà in voi. Lo si potrà dunque vedere in modo invisibile, e
non potremmo conoscerlo se non fosse in noi. E' così che noi vediamo
in noi la nostra coscienza; noi possiamo vedere la faccia di un
altro, ma non possiamo vedere la nostra; mentre possiamo vedere la
nostra coscienza e non possiamo vedere quella di un altro. La
coscienza, però, non esiste fuori di noi, mentre lo Spirito Santo
può esistere anche senza di noi; e che sia anche in noi, è un dono.
E se non è in noi, non possiamo vederlo e conoscerlo così come deve
essere veduto e conosciuto.
Nessun commento:
Posta un commento