Pentecoste
– Anno A – 31 maggio 2020
Rito
Romano
At
2,1-11; 1Cor 12,3-7.12-13; Gv 20,19-23
Rito
Ambrosiano
At
2,1-11; Sal 103; 1Cor 12,1-11; Gv 14,15-20
1)
Pentecoste: stupore per un
dono grande.
“Il
giorno di Pentecoste, quando i discepoli «furono colmati di Spirito
Santo», fu il battesimo della Chiesa, che nacque ‘in
uscita’, in ‘partenza’
per annunciare a tutti la Buona Notizia” (Papa
Francesco).
Questa
Buona Notizia è attesa, accolta e capìta
dai nostri fratelli in umanità che, oggi come allora, stupiti
si chiedono: “Costoro
che parlano non sono forse tutti Galilei? Com’è che li sentiamo
ciascuno parlare la nostra lingua nativa?” (At.
2, 7-9).
Di
fronte all’evento che oggi celebriamo, la
prima reazione spirituale dell’uomo è lo stupore.
A Pentecoste che cosa succede di tanto nuovo, inaspettato,
imprevedibile da suscitare uno stupore tale che, chi ne fu testimone,
fu come fuori di sé? Gli uomini cominciano a comprendersi,
pur continuando a parlare ciascuno la propria lingua. L’avvenimento
che riempie l’uomo di stupore è che lui,
all’improvviso, non si sente più estraneo agli altri: è accaduta
la comunione fra le persone. Ogni causa di estraneità dovuta alla
diversa cultura (“Giudei o Greci”) o alla diversa condizione
sociale (“schiavi o liberi”), è come tolta. Questo
avvenimento, che è l’esatto contrario di quello
che successe durante la costruzione della torre di Babele, riempie
di stupore perché finalmente l’uomo trova risposta al suo
desiderio più profondo di vita in comunione.
Se questo è accaduto, non è stato per caso o per necessità. Il fatto che gli uomini ricomincino ad intendersi fra loro è la conseguenza di un altro avvenimento accaduto dentro la nostra storia. In realtà che cosa è accaduto? Nel giorno di Pentecoste la divina persona dello Spirito Santo è venuta ad abitare nel cuore umano, dentro la storia umana.
Se questo è accaduto, non è stato per caso o per necessità. Il fatto che gli uomini ricomincino ad intendersi fra loro è la conseguenza di un altro avvenimento accaduto dentro la nostra storia. In realtà che cosa è accaduto? Nel giorno di Pentecoste la divina persona dello Spirito Santo è venuta ad abitare nel cuore umano, dentro la storia umana.
Chi
è questa divina persona? Lui è l’Amore
che unisce il Padre ed il Figlio e viene in ciascuno di noi per
compiere l’opera del Cristo.
Inoltre,
venendo ad abitare in ciascuno di noi, lo
Spirito Santo, che è Amore, ci dona
l’esperienza dell’amore stesso con cui
il Padre ci ama e ci perdona (E’ questo il
primo effetto del dono dell’Amore: la remissione dei peccati).
Amati
dal Padre, perdonati nel nostro peccato, possiamo gustare il dono
della pace: “Gesù disse loro di nuovo: Pace a voi”. Ecco il
miracolo che ci colma di stupore: si
ricostruisce la vera comunione fra le persone. “Lo
stupore, scriveva san Gregorio di Nissa, fa conoscere e genera la
vita, i concetti creano gli idoli”. Viviamo questa domenica di
Pentecoste non facendo come chi lascia lo stupore dei bambini, ma ne
mantiene ancora i capricci.
Viviamo
lo stupore di oggi nel solco dello stupore quotidiano della Madonna
davanti al suo figlio che adorava. Facciamo nostro lo stupore dei
pastori, che vegliavano la notte della nascita del Signore, e
contemplarono la gloria di Dio in un
Bambino. Stupiamoci come Pietro, Giacomo e Giovanni durante la
trasfigurazione del Signore sul monte Tabor. Il Suo volto s’illuminò
come il sole e i Suoi vestiti divennero bianchi come la luce… ed
una nube luminosa ricoprì i presenti.
Infine, stupiamoci come le pie donne, che
andarono al Sepolcro di prima mattina e videro un giovane
vestito di una veste bianca e si stupirono, perché il suo aspetto
era come folgore e la sua veste candida come neve.
Sorpresi
dall’Amore che ci ricolma, manteniamo vivo lo stupore che fa
conoscere e genera la vita.
2)
La festa della Chiesa.
La
Pentecoste è mistero di amore donato e di comunione vissuta, di
consolazione duratura e di gioia condivisa.
E’
gioia per la Presenza costante di Cristo tra noi.
E’
gioia per la certezza che il Maestro, il Signore è vivo, è con i
Suoi, di ieri e di oggi, di sempre, e dona loro (a noi) il suo
Spirito, guida nella conoscenza della Verità[1], che rende liberi
davvero e fa vivere nella pace.
Condividiamo
questa gioia e celebriamo oggi la grande festa della Pentecoste, in
cui la liturgia ci fa rivivere la nascita della Chiesa. “Possiamo
dire che la Chiesa ebbe il suo solenne inizio con la discesa dello
Spirito Santo” (Benedetto XVI). Oggi è la festa della Chiesa;
è la nostra festa; è la festa dello Spirito Santo; la festa di
Dio-Amore. “InvochiamoLo. BenediciamoLo. ViviamoLo.
EffondiamoLo” (Paolo VI).
Prima
di salire al Cielo, Gesù aveva ordinato ai discepoli innanzitutto di
non fare nulla ognuno per proprio conto, ma di restare insieme, in
comunità, e di aspettare il dono dello Spirito Santo. E così si
riunì la Chiesa nascente, il piccolo gruppo di credenti insieme con
Maria e con gli Apostoli che nel frattempo, con la scelta di Mattia,
erano tornati ad essere dodici. E così cinquanta giorni dopo la
Pasqua, lo Spirito Santo scese sulla comunità dei discepoli –
“assidui e concordi nella preghiera” – radunati “con
Maria, la madre di Gesù” e con i dodici Apostoli (cfr At 1,14;
2,1).
La
concordia è condizione del dono dello Spirito Santo e la preghiera è
condizione della concordia. Ma c’è anche un’altra condizione,
perché questo dono possa essere da noi ricevuto, è quella di essere
vigili in attesa del Signore.
Spesso
diamo la priorità all’attività, ad una operosità che ci
coinvolge fino al limite delle nostre forze e, spesso, anche oltre.
Però saremmo più liberi, lieti e fecondi, se dessimo più tempo
alla Parola di Dio, in cui il nostro volere e il nostro agire si
distendono.
Certo,
il Signore ha bisogno della nostra opera e della nostra dedizione, ma
noi abbiamo bisogno della sua presenza. Dobbiamo imparare il coraggio
dell’“inazione” e l’umiltà dell’attesa della Parola e
delle Sue parole. Ascoltare in silenzio e nella comunione la parola
di Dio fa meglio di tante parole umane; e i tempi di preghiera
saranno più fruttuosi di molte azioni.
3)
Il dono dello Spirito e la certezza del cuore.
Durante
la passione di Cristo, gli Apostoli scapparono. Alle prime notizie
della Risurrezione i discepoli non vollero credere e ci sono voluti
quaranta giorni, perché Gesù risorto potesse ripotarli alla
superficie della vita, infondendo nel loro spirito fiducia e
certezza. La Pentecoste ha segnato la loro rinascita: le lingue di
fuoco li scossero e in quel mattino di Paradiso tutto divenne loro
chiaro. Veramente tutto: la natura e la missione di Cristo, le
persecuzioni e il martirio, che li attendevano nel compiere la loro
missione per la fondazione della Chiesa. Il loro cuore si incendiò
di una certezza, di una dolcezza e di una gioia irrefrenabile. Lo
Spirito opera sempre così anche nei nostri cuori, con dolce forza e
con forte dolcezza. Lui è innanzitutto Spirito di Verità e verità
è il vedere chiaro nelle cose e in noi stessi, avere la certezza che
Dio ci ama, che noi possiamo amarLo e rifugiarci in Lui.
Lo
Spirito Santo, che in un istante ha trasformato gli Apostoli,
continua nella Chiesa a trasformare noi, duri di testa e ottusi di
cuore: basta che Gli apriamo la porta del cuore. Allora Lui entra con
il Figlio e con il Padre e fa di noi la dimora di Dio, il Quale è
dimora dell’uomo, di tutta l’umanità.
Lontana
da Dio l’umanità cerca solamente se stessa, cerca di ottenere la
sua salvezza nella soddisfazione dell’insorgente egoismo di ognuno,
cade in una radicale contrapposizione, dove nessuno più capisce il
vicino. E, con la fine della comprensione, rimane insoddisfatto anche
l’egoismo.
Lo
“Spirito Santo” crea comprensione, perché è l’amore che
proviene dalla croce, dal dono totale di Gesù Cristo. Non è
necessario tentare qui di parlare dettagliatamente degli insegnamenti
dottrinali e pratici della Pentecoste. Penso che possa essere
sufficiente ricordare l’espressione con cui Agostino provò a
riassumere il nucleo del racconto di Pentecoste: La storia del mondo
– afferma Sant’Agostino – è una lotta tra due diversi amori:
l’amore di sé fino all’odio di Dio e l’amore di Dio fino
all’abbandono dell’io. Ma questo amore di Dio è la redenzione
del mondo e dell’io.
Nel
primo chiarore del giorno di Risurrezione, Gesù diede un nome a
questo io: “Maria”. E la salvezza dell’“uomo”: ogni essere
umano è chiamato per nome da Dio. Da tutta l’eternità Dio ci
conosce. Non siamo figli del caso e del caos, siamo figli dell’Amore.
E’ nello Spirito Santo che Dio ci ama ed è nello Spirito che noi
lo amiamo. Perciò la nostra vita è questo rapporto di amore, nel
quale siamo chiamati e rispondiamo, nel quale chiamiamo e Lui
risponde a ciascuno di noi, e diventiamo nella Chiesa e con la Chiesa
luogo di incontro col Verbo e tempio dello Spirito.
4) Testimonianza
di unità e di perdono.
Nella
prima lettura della Messa di oggi San Luca descrive la venuta dello
Spirito (At 2,1-11), utilizzando i simboli classici che
accompagnano l’azione di Dio: il vento, il terremoto e il fuoco. Ma
nel suo racconto c’è un simbolo in più: le lingue si dividono e
si posano su ciascuno dei presenti, cosicché “incominciarono a
parlare in altre lingue”. Con questo diventa chiaro il compito
di unità e di universalità a cui lo Spirito chiama la sua Chiesa.
L’autore sacro si dilunga anche nel dire che la folla accorsa era
composta di uomini di varie nazionalità (2,19-11). E aggiunge:
“Ciascuno li sentiva parlare nella sua propria lingua”
(2,8). È come dire che lo Spirito non ha una sua lingua, né si lega
a una lingua o a una cultura particolare, ma si esprime attraverso
tutte. Con la venuta dello Spirito a Pentecoste e la nascita della
comunità cristiana inizia in seno all’umanità una storia nuova,
rovesciata rispetto alla storia di Babele. Nel racconto
del Genesi (11,1-9) si legge che gli uomini hanno voluto raggiungere
Dio, come conquista propria e non come dono. È l’eterna tentazione
dell’uomo di voler costruire una città senza Dio e cercare
salvezza in se stessi. Ma al di fuori di Dio l’uomo non trova che
confusione e dispersione. A Babele uomini della stessa lingua non si
intendono più. A Pentecoste invece uomini di lingue diverse si
incontrano e si intendono. Il compito che lo Spirito affida alla sua
Chiesa è di imprimere alla storia umana un movimento di
riunificazione nello Spirito, nella libertà e attorno a Dio.
Lo
Spirito trasforma un gruppo di persone racchiuse nel rifugio del
Cenacolo in testimoni consapevoli e coraggiosi. Apre i discepoli sul
mondo e dà loro il coraggio di proporsi in pubblico, raccontando
davanti a tutti “le grandi opere di Dio”. Non va però
dimenticato che Gesù risorto non soltanto dona lo Spirito in vista
della missione, ma anche in vista del perdono dei peccati. In effetti
l’evangelista Giovanni pone una stretta relazione fra lo Spirito,
la comunità dei discepoli e il perdono.
Nella
Chiesa, luogo della festa e del perdono (Jean
Vanier), hanno un posto particolare le Vergini consacrate che, pur
vivendo nel mondo, vivono di preghiera per lodare Dio e intercedere
il suo perdono sul mondo. Esse testimoniano che la donazione completa
a Dio non è un affidarsi a qualcosa, ma a Qualcuno, e che nella fede
che trasforma il cuore è possibile accogliere quotidianamente Dio
stesso presente in loro (e in noi) con il suo Spirito: “L’amore
di Dio è diffuso nel nostro cuore per mezzo dello Spirito che Dio ci
ha dato” (Rm 5,5). La loro esistenza vissuta
in modo sponsale con Cristo testimonia tenerezza, fedeltà e
misericordia. La loro vita e la loro missione è di accogliere Dio
per donarlo al mondo.
La
qualità di sposa di Cristo dà alla personalità della donna un
notevole sviluppo affettivo. Ella mostra l’aspetto positivo della
verginità, perché vi è una rinuncia solamente in vista di una
pienezza d’ordine superiore. D’altra parte, l’impegno verginale
è destinato, secondo il disegno divino, a suscitare una fecondità
spirituale. La chiamata è un dono di Dio alla persona: “Non voi
avete scelto me, ma io ho scelto voi” (Gv 15,1) che
diviene un dono della persona umana mediante la consacrazione nella
verginità. “Il dono della Verginità profetica ed escatologica,
acquista il valore di un ministero al servizio del popolo di Dio e
inserisce le persone consacrate nel cuore della Chiesa e del mondo”
(Premesse al Rito della Consacrazione delle Vergini, n. 2).
Nelle
vergini, che seguono la via aperta dalla Madonna, l’amore verginale
consacrato a Cristo è fonte di maternità spirituale. E’
sorprendente constatare che per esprimere la sua paternità
spirituale, San Paolo si sia servito di un’immagine propriamente
femminile: quella del parto doloroso “Figlioli –lui
scrive ai Galati (4,19)- che io di nuovo partorisco nel
dolore”[2].
NOTE
[1] Il
senso della parola “verità” in Giovanni significa sia la realtà
divina che la conoscenza della realtà divina. L’interpretazione
tradizionale, specialmente quella cattolica, ha inteso la “verità”
soprattutto nel secondo senso, nel senso dogmatico. Lo Spirito guida
la chiesa attraverso i Concili, il Magistero, la Tradizione. Questo è
un aspetto importante dell’azione dello Spirito di Verità – il
più importante se vogliamo – ma non l’unico. C’è un aspetto
più personale che dobbiamo tenere presente: lo Spirito Santo ci
introduce alla vera vita di Cristo. Sant’Ireneo definisce lo
Spirito Santo la nostra “comunione con Dio”, e San Basilio
dice che “grazie allo Spirito diventiamo amici intimi di Dio”.
[2] Si
può ricordare che per mostrare la fecondità della sofferenza, Gesù
stesso ha usato il paragone della donna che partorisce: con ciò
faceva comprendere ai suoi discepoli i frutti che la loro
partecipazione alla sua passione può produrre (cfr Gv16,
21). Questo significa che la fecondità d’ordine spirituale si
esprime più adeguatamente in termini femminili, anche se è comune
agli uomini e alle donne.
Lettura
patristica
Sant
Ireneo
Dal
trattato «Contro le eresie»
Lib. 3, 17, 1-3
Lib. 3, 17, 1-3
SC
34, 302-306)
La
missione dello Spirito Santo
Il Signore concedendo ai discepoli il potere di far nascere gli uomini in Dio, diceva loro: «Andate, ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Mt 28, 19).
E' questo lo Spirito che, per mezzo dei profeti, il Signore promise di effondere negli ultimi tempi sui suoi servi e sulle sue serve, perché ricevessero il dono della profezia. Perciò esso discese anche sul Figlio di Dio, divenuto figlio dell'uomo, abituandosi con lui a dimorare nel genere umano, a riposare tra gli uomini e ad abitare nelle creature di Dio, operando in essi la volontà del Padre e rinnovandoli dall'uomo vecchio alla novità di Cristo.
Luca
narra che questo Spirito, dopo l'ascensione del Signore, venne sui
discepoli nella Pentecoste con la volontà e il potere di introdurre
tutte le nazioni alla vita e alla rivelazione del Nuovo Testamento.
Sarebbero così diventate un mirabile coro per intonare l'inno di
lode a Dio in perfetto accordo, perché lo Spirito Santo avrebbe
annullato le distanze, eliminato le stonature e trasformato il
consesso dei popoli in una primizia da offrire a Dio.
Perciò
il Signore promise di mandare lui stesso il Paraclito per renderci
graditi a Dio. Infatti come la farina non si amalgama in un'unica
massa pastosa, né diventa un unico pane senza l'acqua, così neppure
noi, moltitudine disunita, potevamo diventare un'unica Chiesa in
Cristo Gesù senza l'«Acqua» che scende dal cielo. E come la terra
arida se non riceve l'acqua non può dare frutti, così anche noi,
semplice e nudo legno secco, non avremmo mai portato frutto di vita
senza la «Pioggia» mandata liberamente dall'alto.
Il
lavacro battesimale con l'azione dello Spirito Santo ci ha unificati
tutti nell'anima e nel corpo in quell'unità che preserva dalla
morte.
Lo Spirito di Dio discese sopra il Signore come Spirito di sapienza e di intelligenza, Spirito di consiglio e di fortezza, Spirito di scienza e di pietà, Spirito del timore di Dio (cfr. Is 11, 2).
Lo Spirito di Dio discese sopra il Signore come Spirito di sapienza e di intelligenza, Spirito di consiglio e di fortezza, Spirito di scienza e di pietà, Spirito del timore di Dio (cfr. Is 11, 2).
Il
Signore poi a sua volta diede questo Spirito alla Chiesa, mandando
dal cielo il Paraclito su tutta la terra, da dove, come disse egli
stesso, il diavolo fu cacciato come folgore cadente (cfr. Lc 10, 18).
Perciò è necessaria a noi la rugiada di Dio, perché non abbiamo a
bruciare e a diventare infruttuosi e, là dove troviamo l'accusatore,
possiamo avere anche l'avvocato.
Il
Signore affida allo Spirito Santo quell'uomo incappato nei ladri,
cioè noi. Sente pietà di noi e ci fascia le ferite, e dà i due
denari con l'immagine del re. Così imprimendo nel nostro spirito,
per opera dello Spirito Santo, l'immagine e l'iscrizione del Padre e
del Figlio, fa fruttificare in noi i talenti affidatici perché li
restituiamo poi moltiplicati al Signore.