Rito
Romano
Is
35,1-6.8.10; Gc 5,7-10; Mt 11,2-11
La
domenica della Gioia
Rito
Ambrosiano
5ª
Domenica di Avvento
MI
5,1. Ml 3,1-5a.6-7b; Gal 3,23-28; Gv 1,6-8.15-18
Giovanni
Battista, il Testimone della Verità e dell’Amore.
1)
La gioia di un incontro vicino.
In
questa terza domenica, detta anche domenica della Gioia e della
speranza per l'imminente venuta del Redentore, la liturgia ci invita
a rallegrarci, perché le profezie si stanno avverando: il Messia che
sta per nascere è veramente il Figlio di Dio annunciato. Il
Natale è vicino e Cristo, sorgente di amore e di gioia, nasce per
salvarci e farci vivere nella verità, nell'amore e nella pace.
Il
"vangelo", cioè "buona e lieta notizia", è un
annuncio di gioia per tutto il popolo; la Chiesa non è un rifugio
per gente triste, la Chiesa è la casa della gioia perché è la casa
della carità. E anche coloro che sono tristi trovano in essa la
gioia, la vera gioia, la gioia di essere amati.
Scrive
papa Francesco nell'Evangelii Gaudium: "La gioia del Vangelo
riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con
Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal
peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall'isolamento. Con
Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia.
Il
grande rischio del mondo attuale, con la sua molteplice ed opprimente
offerta di consumo, è una tristezza individualista che scaturisce
dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri
superficiali, dalla coscienza isolata. Quando la vita interiore si
chiude nei propri interessi non vi è più spazio per gli altri, non
entrano più i poveri, non si ascolta più la voce di Dio, non si
gode più della dolce gioia del suo amore, non palpita l'entusiasmo
di fare il bene. Anche i credenti corrono questo rischio. Molti vi
cadono e si trasformano in persone risentite, scontente, senza vita".
Certo,
quella del Vangelo non è una gioia qualsiasi. La gioia del vangelo
trova la sua ragione nel sapersi accolti e amati da Dio. Come ci
ricorda oggi il profeta Isaia, Dio è colui che viene a salvarci, e
presta soccorso specialmente agli smarriti di cuore. La sua venuta in
mezzo a noi irrobustisce, rende saldi, dona coraggio, fa esultare e
fiorire il deserto e la steppa, cioè la nostra vita quando diventa
arida. E questa gioia vera rimane anche nella prova, perché non è
una gioia superficiale, ma scende nel profondo della persona che si
affida a Dio e confida in Lui. La vera gioia non viene dalle cose,
dall’avere, no! Nasce dall’incontro, dalla relazione con gli
altri, nasce dal sentirsi accettati, compresi, amati e
dall’accettare, dal comprendere e dall’amare; e questo non per
l’interesse di un momento, ma perché l’altro, l’altra è una
persona. "La gioia nasce dalla gratuità di un incontro” (Papa
Francesco)
2) La
gioia del dono di carità.
Lo
scopo dell’Avvento è di preparare noi cristiani al Natale, perché
Cristo viene dove è atteso, desiderato e amato.
Questa
attesa, che va vissuta con “vigilanza” e “discernimento”
(cfr le precedenti domeniche di Avvento), deve essere nella
“gioia”, perché la venuta del Dio della Gioia che non finisce
mai è imminente.
Quando
la festa del Natale si fa più vicina, la Liturgia della Messa di
questa domenica ci offre un invito alla gioia: nella prima lettura,
le immagini e le descrizioni coinvolgono tutto e tutti -noi compresi-
nell’attesa di qualcosa di bello da parte del Signore, che ne è
protagonista e che interviene nella storia per farsi Strada, che il
Suo popolo può e deve percorrere per tornare a casa.
Dio
non ci lascia mai soli, ci libera da paure, ansie, dubbi, entra nella
nostra storia, viene in casa nostra, portando pace e divenendo
cammino sicuro ai nostri passi. La vita degli uomini è da lui
guarita: i ciechi vedono, i sordi odono, i muti parlano, il deserto
fiorisce e la
strada si chiamerà via santa (cfr
prima lettura: Is. 35,
8).
In
questo troviamo la chiave di lettura del Natale: il Natale è
speranza e gioia. Prendiamo esempio dai nostri bambini che attendono
i doni con gioiosa speranza: sono il simbolo dell’attesa, che viene
soddisfatta, che riempie di gioia: la gioia che viene dall’esperienza
di essere amati, perché ci è donato Gesù.
Questo
dono dell’altro mondo, ci fa capire che la gioia cristiana non è
solo umana, terrestre: è spirituale, come ci ricorda già l’inizio
della antifona dell’Introito di questa Domenica: Gaudete
in Domino (=Gioite
nel Signore). Se ci rallegriamo nel Signore, troveremo la vera
gioia. Esiste una gioia spirituale, dunque, che ha come oggetto
l’amore non di cose create, ma di Dio. Questa gioia
spirituale viene non da noi stessi, ma dallo Spirito Santo. La
gioia a questo livello è soprannaturale, profonda, duratura. La
gioia spirituale dipende dall’amore di Dio, dalla carità divina.
Questo tipo di gioia non è fragile come la gioia umana, ma forte,
sicura, sempre affidabile, incrollabile.
Oggi,
terza Domenica di Avvento “romano”, la liturgia ci offre la
possibilità di sperimentare la gioia soprannaturale. In che
senso? San Paolo dice: “Gioite
nel Signore, perché il Signore è vicino”.
Come sperimentiamo la gioia quando ci troviamo alla presenza della
persona amata, così abbiamo di che gioire, proprio perché fra due
settimane verrà “l’amato
del mio cuore”,
come dice la sposa nel Cantico dei Cantici. Lui uscirà come sposo
dal talamo, dalla stanza nuziale e verrà per abitare in mezzo a noi.
C’è
un altro motivo per la gioia spirituale: la nostra partecipazione
alla bontà divina. Ma nessuna partecipazione in Dio sarebbe mai
possibile, se Dio stesso non avesse preso l’iniziativa, costruendo
un ponte per colmare l’abisso che separa l’uomo da Dio.
Nell’Incarnazione, il Figlio di Dio ha preso su di sé la nostra
natura umana, proprio per darci la possibilità di partecipare alla
sua vita di carità divina, ora e per sempre. Ecco il motivo per la
più grande gioia possibile: l’Amato del nostro cuore è vicino:
viene per stare con noi sempre e ci permette di stare con lui, ora e
sempre.
Quando
c’è la gioia umana è davvero molto bella, ma molto spesso è
mescolata con la tristezza. La gioia nel Signore, invece, non
viene mai meno.
3)Il Precursore e martire della Gioia.
La
gioia vera, quella del cuore, quella che dura sempre è l’incontro
con il Signore. Giovanni Battista è arrivato all’incontro pieno e
definitivo con il Signore, attraverso l’amore grande del martirio.
Per questo la III domenica di Avvento ci propone la figura e
l’esempio del Precursore dell’Amore.
Quando
Gesù andò sulle rive del Giordano per farsi battezzare, quest’uomo
che si era ritirato volontariamente nel deserto, da dove era la Voce
della Parola, riconobbe Cristo e di Lui disse: “Ecco l’Agnello di
Dio, che toglie i peccati del mondo”. E, certamente fu pieno di
gioia, perché l’Amico era arrivato. Ora, in prigione, involontario
deserto dove era stato messo, Giovanni vuole sapere se Gesù è
l’Amico tanto atteso e chiede ai suoi discepoli di domandare a
Cristo: «Sei
tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». E Gesù
rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete:
I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono
purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è
annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di
scandalo!».
E il Battista, colui che nell’oscurità del grembo di sua
madre Elisabetta aveva sussultato di gioia alla presenza di Gesù nel
grembo di Maria, colui che correva davanti (Precursore = colui che
corre davanti) a Cristo per preparare la strada alla Via, non si
scandalizzò, anzi accettò il martirio e divenne il protomartire (=
il primo testimone) della carità del Salvatore. Come già Isaia
nella prima lettura Gesù dice che qualcosa sta già capitando oppure
è già successo: i ciechi che riacquistano la vista, i muti che
parlano, i malati che sono risanati sono il segno che il regno di Dio
è già presente in mezzo a noi, non è qualcosa che deve ancora
venire. E’ un fatto presente. Nell’oscurità di un carcere il
Battista intravide la Luce e la morte fu la drammatica fessura per
entrare nella Luce.
A
questo fatto noi sia chiamati a parteciparvi con la costanza che
conforta il cuore. Nella II lettura presa dalla lettera di san
Giacomo c’è l’invito a mettersi nello stato d’animo
dell’agricoltore, che non guarda a quello che sta facendo, ma al
fine per cui sta lavorando. Questo contadino ha fiducia che il seme,
che è stato messo sottoterra ed è curato con costanza, darà il suo
frutto a tempo debito. Anche noi dobbiamo saper aspettare il tempo
giusto, dobbiamo saper attendere e curare con la prospettiva di un
bene più grande ma non immediato e prepararci per quello.
Giovanni
il Battista nel carcere ebbe una prova di fede che lo purificò e lo
avvicinò ancora di più al cuore di Dio. Infatti, ispirato da Dio,
Giovanni aveva annunciato la venuta del Messia. Il Messia davvero era
venuto nel mondo. Però Dio, come sempre, si era riservato uno spazio
di novità e di libertà che Giovanni non conosceva: il Messia,
infatti, non era esattamente come Giovanni l’attendeva. Per questo
Giovanni gli chiede: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo
attenderne un altro?” La risposta di Gesù crea un nuovo spazio per
la fede di Giovanni: “… ai poveri è annunziata la buona novella
e beato colui che non si scandalizza di me”. Giovanni non si
scandalizzò, ma piegò la testa, rinunciò alla sua testa perché i
pensieri di Dio non sono i pensieri dell’uomo (cfr “I
miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le
mie vie”
Is 55,8),
e credette.
Chi
si mette in cammino alla ricerca di Dio, si aspetti sempre qualche
sorpresa: Dio non sarà mai come noi l’aspettiamo; per questo
motivo Dio si incontra solo nell’umiltà della fede, lasciandosi
condurre da Lui per strade che noi non possiamo immaginare. Così fu
per Giovanni, così è per tutti noi. Egli fu un martire che visse
nella gioia, perché certo della presenza del Salvatore nella vita
sua e del suo popolo.
Le
vergini consacrate sono chiamate – mediante la vocazione alla
verginità – ad un martirio (= testimonianza) analogo a quello del
Precursore, che seppe diminuire per far crescere Cristo (cfr Gv 3,
30). La loro appartenenza totale a Cristo mediante un amore indiviso
testimonia che la vita è gioiosa e feconda (cfr Rito
della consacrazione della Vergini,
n. 36: Invio), quando tutto il nostro essere, anima e corpo, è a
servizio dell’amore che nulla vuole per sé e che tutto dona nella
gioia. Esse con atteggiamento sponsale stanno castamente accanto a
Cristo con lui vivono la passione di attirare alla verità i fratelli
e sorelle in umanità.
LETTURA SPIRITUALE
San
Tommaso d’Aquino
SOMMA
TEOLOGICA PARTE
II-II
Questione
28
LA
GIOIA
“Passiamo
a considerare gli effetti che accompagnano l’atto principale della
carità, che è l’amore. In primo luogo gli effetti interiori; in
secondo luogo quelli esteriori [q. 31]. Sul primo tema dobbiamo
considerare tre argomenti: primo, la gioia; secondo, la pace [q. 29];
terzo, la misericordia [q. 30]. Sul primo argomento si pongono
quattro quesiti: 1. Se la gioia sia un effetto della carità; 2. Se
questa gioia sia compatibile con la tristezza; 3. Se questa gioia sia
piena; 4. Se sia una virtù.
Articolo
1:Se la gioia sia in noi un effetto della carità. Sembra
che la gioia non sia in noi un effetto della carità. Infatti: 1.
Dall’assenza dell’oggetto amato segue più la tristezza che la
gioia. Ora, finché siamo in questa vita Dio, che è l’oggetto
della nostra carità, è assente, secondo le parole di S. Paolo [2
Cor 5, 6]: “Finché abitiamo nel corpo siamo in esilio lontano dal
Signore”.Quindi in noi la carità produce più tristezza che
gioia.2. La carità è la causa principale per cui meritiamo la
beatitudine. Ma tra le cose con cui meritiamo la beatitudine troviamo
il pianto, che accompagna la tristezza [Mt 5, 4]: “Beati quelli che
piangono, perché saranno consolati”.Quindi è più effetto della
carità la tristezza che la gioia.3. La carità, come si è visto [q.
17, a. 6], è una virtù distinta dalla speranza. Ma la gioia è
causata dalla speranza, secondo l’espressione di S. Paolo [Rm 12,
12]: “Lieti nella speranza”.Perciò essa non è causata dalla
carità.
In
contrario: Come dice S. Paolo [Rm 5, 5], “l’amore
di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito
Santo che ci è stato dato”.Ma la gioia è causata in noi dallo
Spirito Santo, come dice lo stesso Apostolo [Rm 14, 17]: “Il regno
di Dio non è questione di cibo o di bevanda, ma è giustizia, pace e
gioia nello Spirito Santo”.Quindi anche la carità è causa di
gioia.
Rispondo: Come
si è visto nel trattato sulle passioni [I-II, q. 25, a. 3; q. 26, a.
1, ad 2; q. 28, a. 5, ad ob.], dall’amore nascono sia la gioia che
il dolore o tristezza, ma in maniera diversa. Infatti dall’amore
viene causata la gioia o per la presenza del bene amato, o anche
perché la stessa persona amata possiede e conserva il proprio bene.
E questo secondo aspetto appartiene specialmente all’amore di
benevolenza, che ci fa godere della prosperità dell’amico, anche
se assente. Al contrario invece dall’amore segue la tristezza o per
l’assenza di ciò che si ama, o perché la persona di cui vogliamo
il bene viene privata dei suoi beni, o è oppressa da un male. Ora,
la carità è l’amore di Dio, il cui bene è immutabile, essendo
egli la stessa bontà. E inoltre, per il fatto stesso che è amato,
Dio si trova in chi lo ama col più nobile dei suoi effetti, secondo
le parole di S. Giovanni [1 Gv 4, 16]: “Chi sta nell’amore dimora
in Dio, e Dio dimora in lui”. Quindi la gioia spirituale, che ha
Dio per oggetto, è causata dalla carità.
Soluzione
delle difficoltà: 1. Si dice che siamo in esilio
lontano dal Signore mentre siamo nel corpo in rapporto alla presenza
con la quale Dio si mostra ad alcuni nella visione immediata. Infatti
l’Apostolo [v. 7] aggiunge: “Noi camminiamo nella fede e non
ancora in visione”. Ma egli è presente anche in questa vita a
coloro che lo amano mediante l’inabitazione della grazia. 2. Il
pianto che merita la beatitudine ha per oggetto ciò che contrasta
con essa. Per cui si deve a uno stesso motivo che dalla carità nasca
tale pianto e insieme la gioia spirituale di Dio: poiché il godere
di un dato bene e il rattristarsi dei mali contrari procedono da uno
stesso motivo.3. Di Dio si può godere spiritualmente in due modi:
primo, in quanto godiamo del bene divino considerato in se stesso;
secondo, in quanto godiamo del bene divino in quanto è partecipato
da noi. Ora, il primo tipo di gioia è più perfetto, e deriva
principalmente dalla carità. Il secondo invece deriva dalla
speranza, con la quale aspettiamo la fruizione del bene divino.
Tuttavia anche la stessa fruizione, sia perfetta che imperfetta,
viene conseguita in base alla grandezza della carità.
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