Rito
Romano
4ª
Domenica di Avvento - Anno A – 22 dicembre 2019
Is
7,10-14; Sal 23; Rm 1,1-7; Mt 1,18-24
Rito
Ambrosiano
6ª
Domenica di Avvento – Domenica dell’Incarnazione o della Divina
Maternità della Beata Vergine Maria
Is
62,10-63,3b; Sal 71; Fil 4,4-9; Lc 1,26-38a
1)
Accogliere Cristo come ha fatto San Giuseppe.
Solo
due giorni separano questa quarta Domenica di Avvento dal
Natale. Dopodomani notte ci raccoglieremo per celebrare il grande
mistero dell'amore infinito, che non finisce mai di stupirci: Dio si
è fatto Figlio dell'uomo perché noi diventiamo figli di Dio.
Per
aiutarci a ben accogliere il Messia, la Liturgia di oggi ci propone
l'esempio di San Giuseppe. Come lui dobbiamo
accogliere il Dio fatto uomo che giunge a noi come dono fatto in
Maria, la Vergine Madre. Come Giuseppe, noi dobbiamo
"semplicemente" accoglierlo.
Raccontandoci
i fatti che precedettero la nascita di Gesù, il vangelo di oggi
aiuta ad imparare questo "come" messo in atto da Giuseppe
per accogliere il dono di Dio e viverlo come vocazione e non come
problema
Nel
suo racconto l'evangelista Matteo non spiega quali fossero i pensieri
di San Giuseppe, ma ci dice l’essenziale sul Custode del
Redentore. Questo Santo del silenzio (i vangeli non registrano
nessuna sua parola e davanti al fatto stupefacente della maternità
di Maria, non denuncia la sua sposa di infedeltà. Tace perché crede
nella sua innocente purezza) cerca di fare la volontà di Dio ed è
pronto alla rinuncia radicale di non prendere in casa sua la sua
legittima sposa, che aveva affascinato la sua mente ed il suo cuore.
Infatti, invece di far valere i propri diritti di sposo, Giuseppe
sceglie una soluzione che per lui rappresenta un sacrificio enorme .
E il vangelo dice: "Poiché era uomo giusto e non voleva
accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto" (Mt.
1,19).
Questa
breve frase riassume un vero e proprio dramma interiore, se pensiamo
all’amore che Giuseppe aveva per Maria. Ma anche in una tale
circostanza, Giuseppe intende fare la volontà di Dio e decide,
sicuramente con gran dolore, di mandare via Maria di nascosto. Questo
versetto va meditato con profonda attenzione, per capire quale sia
stata la prova che Giuseppe ha dovuto sostenere nei giorni che hanno
preceduto la nascita di Gesù. Una prova simile a quella del
sacrificio di Abramo, quando Dio gli chiese il figlio Isacco (cfr
Gen 22):
rinunciare alla cosa più preziosa, alla persona più amata.
Ma,
come nel caso di Abramo, il Signore interviene: ha trovato la fede
che cercava e apre una via diversa, una via di amore e di felicità:
"Giuseppe – gli dice – non temere di prendere con te Maria,
tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo
Spirito Santo" (Mt 1,20).
Il
brano evangelico di questa Domenica ci mostra tutta la
grandezza d’animo di san Giuseppe. Egli stava seguendo un buon
progetto di vita, ma Dio riservava per lui un altro disegno, una
missione più grande. Giuseppe era un uomo che dava sempre ascolto
alla voce di Dio, profondamente sensibile al suo segreto volere, un
uomo attento ai messaggi che gli giungevano dal profondo del cuore e
dall’Alto. Non si è ostinato a perseguire quel suo progetto di
vita, non ha permesso che il rancore gli avvelenasse l’animo, ma è
stato pronto a mettersi a disposizione della novità che, in modo
sconcertante, gli veniva presentata. E’ così, era un uomo buono.
Non odiava, e non ha permesso che il rancore gli avvelenasse l’animo.
Ma quante volte a noi l’odio, l’antipatia pure, il rancore ci
avvelenano l’anima! E questo fa male.
Non
permetterlo mai: lui è un esempio di questo. E così, Giuseppe è
diventato ancora più libero e grande. Accettandosi secondo il
disegno del Signore, Giuseppe trova pienamente se stesso, al di là
di sé. Questa sua libertà di rinunciare a ciò che è suo, al
possesso sulla propria esistenza, e questa sua piena disponibilità
interiore alla volontà di Dio, ci interpellano e ci mostrano la via.
Come San Giuseppe, accogliamo Cristo, vangelo vivente, facciamo
esperienza del fatto che il Vangelo non distrugge niente. Il Vangelo
non lascia fuori nessuna realtà, consacra tutto, rivela tutto,
compie tutto, dà alla vita una dimensione infinita, meravigliosa e
lieta.
In
questa domenica prepariamoci ad accogliere Gesù bambino come ha
fatto San Giuseppe. Il premio che lui ricevette fu l'amore di Maria e
di Gesù, divenendo il suo padre putativo (sarebbe meglio dire:
legale) e il vicario in terra del Padre celeste.
Però,
teniamo uniti Maria e Giuseppe. Dunque con un unico sguardo
contempliamo la Vergine Madre, la donna piena di grazia che ha avuto
il coraggio di affidarsi totalmente alla Parola di Dio, e Giuseppe,
l’uomo fedele e giusto che ha preferito credere al Signore invece
di ascoltare le voci del dubbio e dell’orgoglio umano. Con loro,
camminiamo insieme verso il presepe, con loro costruiamo il presepe
per deporvi Cristo, Dono di Dio, Verità che salva la nostra vita.
2)
L’Angelo portò l’annuncio a Giuseppe.
Il
Vangelo di questa domenica ci parla dell’annuncio a Giuseppe, padre
legale di Gesù, che nasce perché anche questo artigiano di Nazareth
ha detto di sì e ha dato una dimora sicura dove il Verbo di Amore
incarnato potesse essere l’Emmanuele. C’è una stretta relazione
tra l’Annuncio a Maria e quello a Giuseppe. Apparendo in sogno a
questo uomo giusto, l’Angelo lo introduce nel mistero della
maternità verginale di Maria: questa giovane donna, che secondo la
legge è sua “sposa”, è diventata madre in virtù dello Spirito
Santo rimanendo vergine.
L’Angelo
si
rivolge a Giuseppe come allo «sposo di Maria», a colui che a suo
tempo dovrà imporre il nome di “Gesù” al Figlio che nascerà
dalla Vergine di Nazareth a lui sposata. Si rivolge, dunque, a
Giuseppe affidandogli i compiti di un padre terreno nei riguardi del
Figlio di Maria:
“Giuseppe figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria,
tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito
Santo. Ella partorirà un figlio, e tu lo chiamerai Gesù1;
egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati”
(Mt
1,20-21).
La
risposta del santo Falegname di Nazareth all’Angelo non fu data con
delle parole, ma con l’obbedienza fattiva: “Giuseppe fece come
gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sè la sua sposa”
(Mt 1,24), e dunque ebbe amorevole cura di Maria e si dedicò
con gioioso impegno all'educazione di Gesù Cristo (cfr. S. Ireneo,
Adversus haereses, IV, 23, 1: S. Ch. 100/2, 692-694). Non
risulta che Gesù abbia seguito scuole particolari, ma ha avuto,
oltre Maria, tre maestri, più grandi di quelli diplomati: Giuseppe
lavoratore, la Natura e la Sacra Scrittura.
Non
va dimenticato che Gesù fu un lavoratore e figlio legale di un
lavoratore. Non va dimenticato che Gesù nacque povero e visse tra
gente che lavorava con le proprie mani, che guadagnava il suo pane
con l’opera delle mani. Mani che benedissero i bambini, i poveri,
assolsero i peccatori, guarirono i malati. Mani che prima di essere
bagnate dal sangue suo versato per noi, furono bagnate di sudore e
che sentirono l’indolenzimento della fatica. Mani che sapevano
quanta forza ci vuole per conficcare i chiodi. Mani che “sono il
paesaggio del Cuore” (B. Giovanni Paolo II).
Non
va dimenticata la Natura, che ci insegna Dio mostrando il suo
splendore. Se studiamo il libro della Natura, percepiamo in essa
l’impronta di Dio e la nostra preghiera si fa contemplazione del
Creatore e diciamo: “Benedetto sei tu, Signore, nel firmamento,
degno di lode e di gloria nei secoli” (Dn 3,56). Con
questa preghiera il cristiano esprime la sua gratitudine non solo per
il dono della creazione, ma anche perché si percepisce come
destinatario della paterna premura di Dio, che in Cristo lo ha
elevato alla dignità di figlio. Un premura paterna che fa guardare
con occhi nuovi allo stesso creato e ne fa gustare la bellezza, nella
quale intravede, come in filigrana, l’amore di Dio.
Non
va dimenticata la Sacra Scrittura, che per Gesù fu evidente alimento
per cui rispose al diavolo che lo tentava: “Non di solo pane vive
l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”. La Parola
di Dio si intreccia con l’Eucaristia, come scrive Origene: “Noi
leggiamo le Sante Scritture. Io penso che il Vangelo è il Corpo di
Cristo; io penso che le sante Scritture sono il suo insegnamento. E
quando egli dice: “Chi non mangia la mia carne e non beve il mio
sangue” (Gv 6,53) benché queste parole si debbano intendere anche
del Mistero eucaristico, tuttavia il corpo di Cristo e il sangue di
Cristo è veramente la parola della Scrittura, è l’insegnamento di
Dio. Quando ci rechiamo al Mistero eucaristico, se ne cade una
briciola, ci sentiamo perduti,. E quando stiamo ascoltando la Parola
di Dio, e ci viene versata nelle orecchie la Parola di Dio e la carne
di Cristo e il suo sangue e noi pensiamo ad altro, in quale grande
pericolo incappiamo”2.
3)
L’Emmanuele è un miracolo di obbedienza.
Di
fronte al prodigio della concezione verginale, San Matteo mette in
rilievo le parole della profezia di Isaia e l'obbedienza di Giuseppe,
uomo giusto.
Il testo di Isaia 7,14 nel suo contesto originale si
riferiva alla nascita del figlio del re Acaz, un segno che la sua
casata avrebbe avuto un futuro.
L'evangelista
lo utilizza per indicare in primo luogo la verginità3
di Maria.
In secondo luogo il testo gli fornisce il nome
Emmanuele, Dio con noi,
che riafferma l'identità di Figlio di Dio e introduce l'idea della
presenza costante di Gesù presso i suoi che verrà esplicitata dal
Risorto al momento dell'ascesa al cielo (vedi Mt 28,20). L’apostolo
Paolo dirà più tardi: “Se
Dio è con noi, chi sarà contro di noi?”(Rm
8,32s).
Grazie
all’obbedienza di fede di Giuseppe e di Maria, grazie alla loro
accoglienza della parola che Dio ha rivolto loro attraverso il Suo
Angelo, essi accolsero in casa l’Emmanuele, il Dio con noi.
Giuseppe come Maria si aprì al dono di Dio perché Dio potesse fare
nascere nella storia la salvezza promessa. Giuseppe prese con sé
Maria, la sua sposa, e insieme a lei la missione di dare carne
alla Parola di Dio.
Il brano evangelico si conclude in realtà con
il v. 25 dove San Matteo afferma: “Senza che egli la conoscesse,
ella diede alla luce un figlio ed egli lo chiamò Gesù”.
In
Giuseppe abbiamo l'esempio dell'uomo di fede che ascolta e mette in
pratica la Parola di Dio (cfr. Mt 7,24) e che accogliendola entra a
far parte della famiglia di divina, come ci assicura Giovanni: “A
quanti l'hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio”
(Gv 1,12).
Le
Vergini consacrate sull’esempio di Maria, accolgono la Parola di
Dio, obbedendo con amore verginale. In un mondo, almeno quello
cristiano in cui la castità viene ammirata anche se non sempre
capita, in un mondo dove l’obbedienza viene disprezzata, queste
donne sono chiamate a mostrare che l’obbedienza è dire di sì a
Dio come ha fatto Giuseppe, come ha fatto Maria. La loro è
un’obbedienza sponsale e un gesto di libertà. L’obbedienza è
adeguata all’amore di Cristo, che non ci dona qualcosa, ma se
stesso, come Sposo della Chiesa.
L’obbedienza
conviene all’Amore, perché è condivisione dell’indivisibile,
partecipazione creata alla perfezione di Dio, dismisura di Dio nelle
misure dell’uomo. La vocazione obbediente delle Vergini Consacrate
è la prontezza ad accogliere l’agire di Dio, che è amato sopra
ogni cosa e persona.
L’obbedienza
è la risposta della persona consacrata che, in contatto orante con
la Parola incarnata, scopre la volontà particolare di Dio sulla sua
vita, la ratifica e fa esperienza che “in sua volontà è nostra
pace” (Dante Alighieri).
1
“Gesù” era un
nome conosciuto tra gli Israeliti ed a volte veniva dato ai figli.
In questo caso, però, si tratta del Figlio che - secondo la
promessa divina - adempirà in pieno il significato di questo nome:
Gesù - Yehossua', che significa: Dio salva.
2
Origene, Omelie
sul libro dei Salmi,
74.
3
San
Matteo si serve
della traduzione dei LXX che utilizzano parthénos
(vergine)
per indicare il termine ebraico ‘alma
che significa giovane
donna.
Lettura
Patristica
Propongo
una parte di un Sermone di Sant’Agostino dove si spiega bene come
Maria, così Giuseppe è chiamato ad accogliere un sorprendente piano
divino. Egli si fa obbediente a ciò che è frutto dello Spirito e,
proprio in forza di questa sua obbedienza, diviene collaboratore di
Dio nella storia della salvezza. Egli sarà il padre legale di Gesù;
ma il fatto di non aver partecipato al suo concepimento, non gli
attribuirà tuttavia una paternità “di minor grado”. Agostino
insiste a chiare lettere: Giuseppe è
padre non per virtù della carne, ma della carità.
Dai
"Discorsi" di Sant’Agostino d’Ippona
Serm.
51, 16.26; 20.30 – PL 38, 338
La
vera paternità di Giuseppe
“La
dignità verginale ebbe origine dalla Madre del Signore, quando cioè
nacque il re di tutti i popoli; fu lei a meritare non solo d’avere
il figlio ma anche di non soggiacere alla corruzione. Come dunque
quello era vero matrimonio e matrimonio senza corruzione, così quel
che la moglie partorì castamente, perché il marito non avrebbe
dovuto accoglierlo castamente? Come infatti era casta la moglie, così
era casto il marito; e come era casta la madre, così era casto il
padre. Colui dunque che dice: "Giuseppe non doveva essere
chiamato padre, perché non aveva generato il figlio", nel
procreare i figli cerca la libidine, non l’affetto ispirato dalla
carità. Giuseppe con l’animo compiva meglio ciò che altri
desidera compiere con la carne. Così, per esempio, anche coloro che
adottano dei figli, non li generano forse col cuore più castamente,
non potendoli generare carnalmente? Vedete, fratelli, i diritti
dell’adozione, per cui un uomo diventa figlio di uno dal quale non
è nato, in modo che ha maggior diritto nei suoi riguardi la volontà
dell’adottante che non la natura del generante.
Allo
stesso modo che è casto marito, così [Giuseppe] è pure casto
padre. Ciò che lo Spirito Santo effettuò, lo effettuò per ambedue.
È detto: Essendo un uomo giusto
(Mt 1, 19). Giusto dunque l’uomo, giusta la donna. Lo Spirito
Santo, che riposava nella giustizia di ambedue, diede un figlio ad
entrambi. (…) L’Evangelista dice anche: E
gli partorì
un figlio (Lc 2, 7), parole con cui
senza dubbio si afferma che Giuseppe è padre non per virtù della
carne, ma della carità. Così dunque egli è padre e lo è
realmente. (…) E perché è padre? Perché tanto più sicuramente
padre, quanto più castamente padre. In realtà si credeva ch’egli
fosse padre di nostro Signore Gesù Cristo in modo diverso; lo fosse
cioè come tutti gli altri padri che generano carnalmente, non come
quelli che accolgono i figli con il solo affetto spirituale. Difatti
anche Luca dice: Era opinione comune
che Giuseppe fosse il padre di Gesù
(Lc 3, 23). Perché era opinione comune? Perché l’opinione e il
giudizio della gente era portato verso ciò che di solito fanno gli
uomini. Il Signore dunque non è discendente di Giuseppe per via
carnale, sebbene fosse ritenuto tale. Tuttavia alla pietà e alla
carità di Giuseppe nacque dalla vergine Maria un figlio, e proprio
il Figlio di Dio.
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