venerdì 27 dicembre 2019

La Santa Famiglia: luogo dove l’amore è sempre dono.

Domenica fra l'ottava di Natale - La Santa Famiglia di Nazareth - anno A - 29 dicembre 2019

Sir 3, 3-7.14-17a; Col 3, 12-21; Sal 127; Mt 2, 13-15. 19-23

1) Lo straordinario diventa quotidiano e ci insegna a rendere il quotidiano straordinario. 

     Poco meno di una settimana fa, abbiamo celebrato la straordinaria eccezionalità della nascita di Gesù Cristo. Oggi, la Liturgia ci fa celebrare la festa della Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe, per aiutarci a vivere il quotidiano in modo straordinario. Il modo di rendere "eroico" (parola che vorrei sia capita e usata come sinonimo di "santo") è di mettersi alla scuola della Famiglia di Nazareth, meditando sui tre componenti di questo "vero" (altro aggettivo che si dovrebbe usare come sinonimo di "santo") nucleo familiare.
      Cominciamo da Giuseppe, discendente di Davide, uomo giusto. Anche grazie a Lui  "il mistero dell'Incarnazione e quello della Santa Famiglia sono inscritti profondamente nell'amore sponsale dell'uomo e della donna e indirettamente nella genealogia di ogni famiglia umana” (San Giovanni Paolo II).
    Nel Vangelo di Matteo è Giuseppe a ricevere attraverso l'angelo la volontà di Dio  e a realizzarla. Giuseppe è  il vero (nel senso di autentico, di legale e di santo) capo della famiglia. Il vangelo ce lo presenta sempre come l’uomo obbediente e silenzioso. “Uno che non predica, non parla, ma cerca di fare la volontà di Dio; e la compie nello stile del Vangelo e delle Beatitudini: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,3)”(Papa Francesco 22 dicembre 2019).. Fa quanto gli viene indicato. La sua non è obbedienza servile, ma scelta libera, coraggiosa e responsabile, non priva di rischi, di pericoli e di dubbi e della paura dell’incognito. San Giuseppe è ben consapevole che le persone  affidate a lui, il Custode della Redenzione, non sono sua proprietà. Gesù e Maria  appartengono a Dio. Ma gli sono affidati perché ne abbia cura, li protegga e li custodisca. E questo uomo giusto adempie  questo compito con amore fedele, confidando totalmente e solamente in Dio, e sacrificando le proprie legittime aspirazioni personali. La sua obbedienza a Dio è pienamente libera e lieta grazie alla  gioia del dono. E’ donando che si riceve. Giuseppe l’ha ben capito e per amore di Maria e Gesù è disposto a pagare qualunque prezzo. Giuseppe è l’uomo che sa tradurre l’obbedienza a Dio in canto d’amore e di libertà.
       Rivolgiamo ora gli occhi del cuore a Maria. Il vangelo di Matteo ci presenta la Madre di Gesù  come mamma  silenziosa e, nel contempo, sempre attenta, vigile, premurosa. Quelle parole ripetute “il bambino e sua madre” ci dicono che Maria era sempre accanto a Gesù.  Maria è il terreno fecondo che ha accolto il Figlio di Dio. Come Vergine Madre, lei ha un rapporto del tutto speciale con quel bambino, che è il suo Dio. Un materno rapporto d'amore che è una spada che trafigge. Che questo amore sia come una spada fu rivelato a lei dal profeta Simeone il giorno della presentazione di Gesù al Tempio: “Una spada ti trafiggerà l'anima”.
    L'amore è una spada e Cristo è stato per sua Madre una spada ancor prima di nascere. Chi non ricorda questo dramma evocato all'inizio del Vangelo di Matteo, questo dramma dell'amore umano, questo grande dramma del silenzio infinito che seguì l'annuncio che dopo avere ricevuto il "sì" di Maria l'Angelo la lasciò sola nella sua modesta casa a Nazareth, nel silenzio. E la Madonna non può che restare racchiusa nel suo silenzio, perché il segreto che lei porta in se, è il segreto di Dio. La Vergine di Nazaret è diventata, infatti, la "Madre di Dio".
     "Pertanto, in Maria, Madre di Dio, ogni donna vede specchiato il proprio volto. In lei vede realizzata la sua perfezione, la perfezione di ciò «che è caratteristico della donna», di 'ciò che è femminile'" (San Giovanni di Dio). Un modo speciale di amare e di essere amata da Dio, una vocazione che la donna realizza sia nella verginità che nella maternità. Maria è Madre di Dio senza cessare di essere serva, è vicina al figlio e con fede e con amore lo ama, non solo come figlio, ma come il suo Dio. Senza esaurirne il mistero, Maria è sempre accanto al figlio. Lo vede bambino con gli occhi, lo contempla Dio nel suo cuore. E tutto questo anche per lei avviene nella sofferenza della paura e nel dolore dell’esilio. Nel calore di questo amore umano e soprannaturale, Maria vive anche la sua relazione di sposa con Giuseppe. Un rapporto speciale, certo, ma sempre profondamente umano, fatto di sguardi, di delicatezze, di silenzi, di tanto amore. Maria fa quello che le dice Giuseppe, senza tergiversare. Nel vangelo di Matteo, la volontà di Dio le si manifesta attraverso il rapporto di comunione con lo sposo. Una espressione di questa relazione profonda tra i due la leggiamo nel Vangelo di Luca, quando Maria dice a Gesù: “Tuo padre ed io addolorati ti cercavamo”. E’ nel dolore che si affinano e si consolidano i sentimenti. 

2) Gesù guardato da Maria, da Giuseppe e da ciascuno di noi.

    Guardiamo, ora, Gesù con gli occhi di Maria e di Giuseppe.
Stretti l’uno all’altra, Maria e Giuseppe guardano sorridenti e pensosi  Gesù: è un bambino fragile, ma stupendo, come è ogni bambino per i suoi genitori. In quella fragilità, che fa tenerezza, intravedono il mistero della tenerezza di Dio. Gesù è nel cuore della storia del suo popolo; è una presenza stupenda, ma inquietante; è “segno di contraddizione” che trafigge il cuore con la spada dell'amore che si dona. Esige una scelta radicale.
    Nella ferialità concreta della vicenda sponsale di Maria e di Giuseppe cresce il mistero. I loro colloqui si fanno  intensi e carichi di stupore. Maria comunica a Giuseppe ciò che il suo cuore di madre le suggerisce; Giuseppe partecipa a Maria ciò che gli sembra di intuire.
   Come nel presepe, lo sguardo di fede ci fa abbracciare insieme il Bimbo divino e le persone che gli sono accanto: la sua Madre Santissima e Giuseppe, il suo padre putativo. Quale luce si sprigiona da questa “icona di gruppo” del Santo Natale! Luce di misericordia e di salvezza per il mondo intero, luce di verità per ogni uomo, per la famiglia umana e per le singole famiglie. Com’è bello per i coniugi rispecchiarsi nella Vergine Maria e nel suo sposo Giuseppe.
    Anche noi ora contempliamo la Santa Famiglia, per gustare il dono dell’intimità familiare, che ci spinge ad offrire calore umano e concreta solidarietà in quelle situazioni, purtroppo numerose, in cui, per vari motivi manca la pace, manca l’armonia, manca, in una parola, la “famiglia”.
     “Con l'Incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d'uomo, ... ha amato con cuore d'uomo. Nascendo da Maria Vergine, Egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato” (Gaudium et spes, 22(.
    San Matteo si sofferma sulle insidie tramate da Erode. Gesù è nato bambino, ha vissuto da bambino. E’ fuggito davanti alla violenza dei potenti. Ha trascorso gran parte della sua vita nel nascondimento di Nazaret, “sottomesso” (Lc 2,51) come « Figlio dell'uomo » a Maria, sua Madre, e a Giuseppe, il falegname. Anche Gesù ha accolto la missione che il Padre celeste gli confidava. Egli si è fatto piccolo ed obbediente. 

3) Famiglia e verginità

     La Famiglia di Nazareth è Santa perché tutti i suoi componenti sono accomunati dal desiderio di essere fedeli a Dio, di vivere la sua parola, di cercare la sua volontà e di metterla in pratica. «Per misterioso disegno di Dio, in essa è vissuto nascosto per lunghi anni il Figlio di Dio: essa è dunque prototipo ed esempio di tutte le famiglie cristiane. E’ quella Famiglia, unica al mondo, che ha trascorso un'esistenza anonima e silenziosa in un piccolo paese della Terra Santa; che è stata provata dalla povertà, dalla persecuzione, dall'esilio; che ha glorificato Dio in modo incomparabilmente alto e puro. Essa non mancherà di assistere le famiglie cristiane, anzi tutte le famiglie del mondo, nella fedeltà ai loro doveri quotidiani, nel sopportare le ansie e le tribolazioni della vita, nella generosa apertura verso le necessità degli altri, nell'adempimento gioioso del piano di Dio nei loro riguardi» (Familiaris Consortio, 86).
     Maria, vera sposa di Giuseppe, visse il suo amore sponsale in modo sempre vergine e casto quindi è, secondo me, giusto affermare che come a guidare Maria verso l’ideale della verginità è stata un’ispirazione eccezionale di quello stesso Spirito Santo così, nel corso della storia della Chiesa, spingerà tante donne sulla via della consacrazione verginale. 
     La presenza singolare della grazia nella vita di Maria, porta a concludere per un impegno della giovane nella verginità. Colma di doni eccezionali del Signore dall’inizio della sua esistenza, ella è orientata ad una dedizione di tutta se stessa - anima e corpo - a Dio nell’offerta verginale.  
Inoltre, l’aspirazione alla vita verginale era in armonia con quella “povertà” dinanzi a Dio, a cui l’Antico Testamento attribuisce un grande valore. Impegnandosi pienamente in questa via, Maria rinuncia anche alla maternità, ricchezza personale della donna, tanto apprezzata in Israele. In tal modo "Ella primeggia tra gli uomini e i poveri del Signore, i quali con fiducia attendono e ricevono da lui la salvezza" (LG 55). Presentandosi a Dio come povera, e mirando ad una fecondità solo spirituale, frutto dell’amore divino, al momento dell’Annunciazione Maria scopre che la sua povertà è trasformata dal Signore in ricchezza: Ella sarà la Madre Vergine del Figlio dell’Altissimo. Più tardi scoprirà anche che la sua maternità è destinata ad estendersi a tutti gli uomini che il Figlio è venuto a salvare (cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, 501).


Lettura Patristica
San Giovanni  Crisostomo
In Matth. 8, 2 s.; 9, 2; 5, 1


 L’insegnamento della fuga in Egitto.

       Noi dobbiamo aspettarci sin dai primi giorni della nostra vita tentazioni e pericoli. Considerate, infatti, che subito, sin dalla culla, è accaduto ciò a Gesù. Era appena nato, che già il furore del tiranno si scatenò contro di lui e lo costrinse a trasferirsi per cercare scampo in un luogo d’esilio, e sua madre, così pura e innocente, fu costretta con lui a fuggire in un paese di stranieri. Questo comportamento di Dio vi mostra che, quando avete l’onore di essere impegnati in qualche ministero o servizio spirituale e vi vedete circondati da infiniti pericoli e costretti a sopportare crudeli sventure, non dovete turbarvi, né dovete dire a voi stessi: Per quale ragione sono così maltrattato, io che mi aspettavo una corona, elogi, la gloria, brillanti ricompense, avendo compiuto la volontà di Dio? Questo esempio vi spinga, dunque, a sopportare fermamente le disgrazie e vi faccia conoscere che, di solito, è questa la sorte degli uomini spirituali: avere, cioè, come inseparabili compagne, le prove e le tribolazioni. Osservate appunto quanto capitò non soltanto alla madre di Gesù, ma anche ai Magi. Costoro si ritirano segretamente come dei fuggiaschi, e la Vergine, che non era solita uscire dalla sua casa, è costretta a fare un cammino quanto mai lungo e faticoso, a causa di quella straordinaria e sorprendente nascita spirituale.

       Ammirate ancora il meraviglioso avvenimento! La Palestina perseguita Gesù Cristo e l’Egitto lo accoglie e lo salva dai suoi persecutori. Questo mostra all’evidenza che Dio non ha soltanto tracciato i tipi e le figure dell’avvenire nei figli del patriarca, ma anche in Gesù stesso…

       L’angelo, dunque, apparve non a Maria, ma a Giuseppe e gli disse: «Levati, prendi il bambino e sua madre». Non disse più, come aveva detto prima, «prendi la tua sposa», ma «prendi sua madre», perché ormai, dopo la nascita, Giuseppe non nutriva più alcun dubbio, e credeva fermamente alla verità del mistero. L’angelo gli parla, dunque, con maggiore libertà, senza chiamare Gesù «suo figlio» e Maria «sua sposa», ma dicendo: «Prendi il bambino e sua madre, e fuggì in Egitto». E gli spiega anche la ragione della fuga, aggiungendo: "Perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo" (
Mt 2,13).

       Giuseppe, ascoltando queste parole, non rimase negativamente impressionato. Non disse all’angelo che quella fuga gli sembrava enigmatica, dato che poco tempo prima lo stesso angelo gli aveva detto che il bambino avrebbe dovuto salvare il suo popolo, mentre ora sembrava non essere neppure capace di salvare se stesso. Quella fuga, quel viaggio e quella lunga emigrazione non erano forse in contraddizione con la promessa che l’angelo medesimo gli aveva fatto? Ma Giuseppe non disse niente di tutto questo, perché‚ era un uomo di fede. Non si dimostrò neppure curioso di conoscere il tempo del ritorno, poiché l’angelo non gliel’aveva affatto precisato, avendogli detto genericamente: «Resta colà, fino a che io non te lo dica». Al contrario, Giuseppe dimostra vivo zelo: ascolta, obbedisce (
Mt 2,14) e sopporta con gioia tutte le prove.

       Dio, nella sua bontà, mescola, in queste circostanze, la gioia e il dolore. Così egli è solito agire con tutti i santi. Non li lascia sempre nel pericolo o sempre nella sicurezza, ma ordina la vita degli uomini giusti a mo’ di una trama, in cui si intrecciano gioie e dolori. E proprio così si comportava con Giuseppe. Vi prego di osservare e di riflettere. Giuseppe si accorge che Maria è incinta e subito è colto da turbamento e da una grande angoscia, sospettando che la Vergine abbia commesso adulterio: ma l’angelo interviene immediatamente, sciogliendo ogni sospetto e liberandolo da ogni timore. Poi il bambino nasce e Giuseppe ne è estremamente felice: ma alla sua gioia fa seguito subito un nuovo dolore, perché‚ sente che tutta la città turbata e il re, in preda a un vivo furore, ricercano con ogni mezzo il bambino. Questa pena è temperata dalla gioia ch’egli prova alla vista della stella e dell’adorazione dei Magi: ma, ancora una volta, la gioia si muta in ansia e paura, quando l’angelo gli dice che «Erode sta cercando il bambino per ucciderlo» e gli ingiunge di fuggire e di emigrare.

       Sta di fatto che Gesù doveva allora comportarsi in modo del tutto umano. Il tempo di compiere miracoli non era ancora venuto. Se avesse così presto cominciato a far prodigi, nessuno avrebbe creduto che era un uomo. Per questo motivo, egli non viene al mondo d’improvviso: come un uomo è dapprima concepito, poi resta nove mesi nel seno di Maria, nasce, si nutre con il latte materno, vive per molto tempo una vita ritirata, aspettando di divenire uomo adulto con il passar degli anni, in modo che questo suo comportamento convinca tutti a credere alla verità della sua incarnazione…

       Dunque l’angelo ordina loro, al ritorno dall’Egitto, di andare a stabilirsi nel loro paese. Anche questo accade con un preciso disegno, cioè "affinché si adempisse" - dice il Vangelo - "ciò che era stato detto dai profeti: Egli sarà chiamato Nazareno" (
Mt 2,23)

       Del resto, proprio perché lo predissero i profeti, gli apostoli spesso chiamarono Cristo «Nazareno» (
Is 11,1).

       Questo fatto, allora, rendeva oscura e non facilmente comprensibile la profezia relativa a Betlemme? Niente affatto. Ché, proprio questo doveva, al contrario, stimolare la loro curiosità e spingerli a indagare su quanto era stato detto di lui nelle profezie. Come si sa, fu il nome di Nazaret che spinse Natanaele a informarsi su Gesù Cristo, da cui si recò dopo aver detto: "E può venire qualcosa di buono da Nazaret?" (
Jn 1,46). Nazaret era, infatti, un villaggio di nessun conto, come del resto pochissima importanza aveva tutta la regione della Galilea. Per ciò i farisei dissero a Nicodemo: Ricerca bene e vedrai che non sorge profeta dalla Galilea (Jn 7,52). Tuttavia, Cristo non si vergognò di prender nome da questa patria, per mostrarci che non aveva affatto bisogno di ciò che gli uomini ritengono importante. Egli scelse i suoi apostoli proprio in Galilea, paese disprezzato dai Giudei, per togliere ogni scusa ai pigri e far loro vedere che non occorre niente di tutto quanto è esteriore, se essi si applicano con zelo alla virtù. Sempre per questo motivo il Figlio di Dio non volle affatto una casa sua: "Il Figliolo dell’uomo non ha dove posare il capo", egli dice (Lc 9,58). Per questa ragione fugge quando Erode vuole ucciderlo; appena nato viene deposto in una mangiatoia e rimane in una stalla; si sceglie anche una madre povera: ed ha fatto tutto ciò per abituarci a non arrossire di queste cose, per insegnarci, insomma, fin dal suo ingresso in questo mondo, a calpestare sotto i piedi il lusso e l’orgoglio del mondo e a non ricercare altro che la virtù…

       Non restiamo, dunque, ad aspettare oziosamente l’aiuto degli altri. È certo che le preghiere dei santi hanno molta efficacia, ma solo quando noi mutiamo condotta e diventiamo migliori…

       Insomma, se noi siamo pigri e negligenti, neppure gli altri ci potranno soccorrere: ma se vegliamo su noi stessi, da noi medesimi ci soccorreremo e lo faremo molto meglio di quanto potrebbero farlo gli altri. Dio preferisce accordare la sua grazia direttamente a noi, piuttosto che ad altri per noi, perché lo zelo che poniamo nel cercare di allontanare la sua collera ci spinge ad agire con fiducia e a diventare migliori di quel che siamo. Per questo il Signore fu misericordioso con la cananea e così egli salvò la Maddalena e il ladrone, senza che alcun mediatore fosse intervenuto a favore.


venerdì 20 dicembre 2019

Accogliere il Figlio di Dio come ha fatto San Giuseppe, il Custode del Redentore e “vicario” del Padre celeste.

Rito Romano
4ª Domenica di Avvento -  Anno A – 22 dicembre 2019
Is 7,10-14; Sal 23; Rm 1,1-7; Mt 1,18-24

Rito Ambrosiano
6ª Domenica di Avvento – Domenica dell’Incarnazione o della Divina Maternità della Beata Vergine Maria
Is 62,10-63,3b; Sal 71; Fil 4,4-9; Lc 1,26-38a


1) Accogliere Cristo come ha fatto San Giuseppe.
Solo due giorni separano questa quarta Domenica di Avvento dal Natale. Dopodomani notte ci raccoglieremo per celebrare il grande mistero dell'amore infinito, che non finisce mai di stupirci: Dio si è fatto Figlio dell'uomo perché noi diventiamo figli di Dio.
Per aiutarci a ben accogliere il Messia, la Liturgia di oggi ci propone l'esempio di San Giuseppe. Come lui  dobbiamo accogliere il Dio fatto uomo che giunge a noi come dono fatto in Maria, la Vergine Madre. Come Giuseppe, noi dobbiamo "semplicemente" accoglierlo. 
Raccontandoci i fatti che precedettero la nascita di Gesù, il vangelo di oggi aiuta ad imparare questo "come" messo in atto da Giuseppe per accogliere il dono di Dio e viverlo come vocazione e non come problema
Nel suo racconto l'evangelista Matteo non spiega quali fossero i pensieri di San Giuseppe, ma ci dice l’essenziale sul  Custode del Redentore. Questo Santo del silenzio (i vangeli non registrano nessuna sua parola e davanti al fatto stupefacente della maternità di Maria, non denuncia la sua sposa di infedeltà. Tace perché crede nella sua innocente purezza) cerca di fare la volontà di Dio ed è pronto alla rinuncia radicale di non prendere in casa sua la sua legittima sposa, che aveva affascinato la sua mente ed il suo cuore. Infatti, invece di far valere i propri diritti di sposo, Giuseppe sceglie una soluzione che per lui rappresenta un sacrificio enorme . E il vangelo dice: "Poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto" (Mt. 1,19). 
 Questa breve frase riassume un vero e proprio dramma interiore, se pensiamo all’amore che Giuseppe aveva per Maria. Ma anche in una tale circostanza, Giuseppe intende fare la volontà di Dio e decide, sicuramente con gran dolore, di mandare via Maria di nascosto. Questo versetto va meditato con profonda attenzione, per capire quale sia stata la prova che Giuseppe ha dovuto sostenere nei giorni che hanno preceduto la nascita di Gesù. Una prova simile a quella del sacrificio di Abramo, quando Dio gli chiese il figlio Isacco (cfr  Gen 22): rinunciare alla cosa più preziosa, alla persona più amata.
Ma, come nel caso di Abramo, il Signore interviene: ha trovato la fede che cercava e apre una via diversa, una via di amore e di felicità: "Giuseppe – gli dice – non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo" (Mt 1,20).
Il brano evangelico di questa Domenica  ci mostra tutta la grandezza d’animo di san Giuseppe. Egli stava seguendo un buon progetto di vita, ma Dio riservava per lui un altro disegno, una missione più grande. Giuseppe era un uomo che dava sempre ascolto alla voce di Dio, profondamente sensibile al suo segreto volere, un uomo attento ai messaggi che gli giungevano dal profondo del cuore e dall’Alto. Non si è ostinato a perseguire quel suo progetto di vita, non ha permesso che il rancore gli avvelenasse l’animo, ma è stato pronto a mettersi a disposizione della novità che, in modo sconcertante, gli veniva presentata. E’ così, era un uomo buono. Non odiava, e non ha permesso che il rancore gli avvelenasse l’animo. Ma quante volte a noi l’odio, l’antipatia pure, il rancore ci avvelenano l’anima! E questo fa male.
Non permetterlo mai: lui è un esempio di questo. E così, Giuseppe è diventato ancora più libero e grande. Accettandosi secondo il disegno del Signore, Giuseppe trova pienamente se stesso, al di là di sé. Questa sua libertà di rinunciare a ciò che è suo, al possesso sulla propria esistenza, e questa sua piena disponibilità interiore alla volontà di Dio, ci interpellano e ci mostrano la via. Come San Giuseppe, accogliamo Cristo, vangelo vivente, facciamo esperienza del fatto che il Vangelo non distrugge niente. Il Vangelo non lascia fuori nessuna realtà, consacra tutto, rivela tutto, compie tutto, dà alla vita una dimensione infinita, meravigliosa e lieta.
In questa domenica prepariamoci ad accogliere Gesù bambino come ha fatto San Giuseppe. Il premio che lui ricevette fu l'amore di Maria e di Gesù, divenendo il suo padre putativo (sarebbe meglio dire: legale) e il vicario in terra del Padre celeste.
Però, teniamo uniti  Maria e Giuseppe. Dunque con un unico sguardo contempliamo la Vergine Madre, la donna piena di grazia che ha avuto il coraggio di affidarsi totalmente alla Parola di Dio, e Giuseppe, l’uomo fedele e giusto che ha preferito credere al Signore invece di ascoltare le voci del dubbio e dell’orgoglio umano. Con loro, camminiamo insieme verso il presepe, con loro costruiamo il presepe per deporvi Cristo, Dono di Dio, Verità che salva la nostra vita.
 


2) L’Angelo portò l’annuncio a Giuseppe.
Il Vangelo di questa domenica ci parla dell’annuncio a Giuseppe, padre legale di Gesù, che nasce perché anche questo artigiano di Nazareth ha detto di sì e ha dato una dimora sicura dove il Verbo di Amore incarnato potesse essere l’Emmanuele. C’è una stretta relazione tra l’Annuncio a Maria e quello a Giuseppe. Apparendo in sogno a questo uomo giusto, l’Angelo lo introduce nel mistero della maternità verginale di Maria: questa giovane donna, che secondo la legge è sua “sposa”, è diventata madre in virtù dello Spirito Santo rimanendo vergine.
L’Angelo si rivolge a Giuseppe come allo «sposo di Maria», a colui che a suo tempo dovrà imporre il nome di “Gesù” al Figlio che nascerà dalla Vergine di Nazareth a lui sposata. Si rivolge, dunque, a Giuseppe affidandogli i compiti di un padre terreno nei riguardi del Figlio di Maria: “Giuseppe figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Ella partorirà un figlio, e tu lo chiamerai Gesù1; egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Mt 1,20-21).
La risposta del santo Falegname di Nazareth all’Angelo non fu data con delle parole, ma con l’obbedienza fattiva: “Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sè la sua sposa” (Mt 1,24), e dunque ebbe amorevole cura di Maria e si dedicò con gioioso impegno all'educazione di Gesù Cristo (cfr. S. Ireneo, Adversus haereses, IV, 23, 1: S. Ch. 100/2, 692-694). Non risulta che Gesù abbia seguito scuole particolari, ma ha avuto, oltre Maria, tre maestri, più grandi di quelli diplomati: Giuseppe lavoratore, la Natura e la Sacra Scrittura.
Non va dimenticato che Gesù fu un lavoratore e figlio legale di un lavoratore. Non va dimenticato che Gesù nacque povero e visse tra gente che lavorava con le proprie mani, che guadagnava il suo pane con l’opera delle mani. Mani che benedissero i bambini, i poveri, assolsero i peccatori, guarirono i malati. Mani che prima di essere bagnate dal sangue suo versato per noi, furono bagnate di sudore e che sentirono l’indolenzimento della fatica. Mani che sapevano quanta forza ci vuole per conficcare i chiodi. Mani che “sono il paesaggio del Cuore” (B. Giovanni Paolo II).
Non va dimenticata la Natura, che ci insegna Dio mostrando il suo splendore. Se studiamo il libro della Natura, percepiamo in essa l’impronta di Dio e la nostra preghiera si fa contemplazione del Creatore e diciamo: “Benedetto sei tu, Signore, nel firmamento, degno di lode e di gloria nei secoli” (Dn 3,56). Con questa preghiera il cristiano esprime la sua gratitudine non solo per il dono della creazione, ma anche perché si percepisce come destinatario della paterna premura di Dio, che in Cristo lo ha elevato alla dignità di figlio. Un premura paterna che fa guardare con occhi nuovi allo stesso creato e ne fa gustare la bellezza, nella quale intravede, come in filigrana, l’amore di Dio.
Non va dimenticata la Sacra Scrittura, che per Gesù fu evidente alimento per cui rispose al diavolo che lo tentava: “Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”. La Parola di Dio si intreccia con l’Eucaristia, come scrive Origene: “Noi leggiamo le Sante Scritture. Io penso che il Vangelo è il Corpo di Cristo; io penso che le sante Scritture sono il suo insegnamento. E quando egli dice: “Chi non mangia la mia carne e non beve il mio sangue” (Gv 6,53) benché queste parole si debbano intendere anche del Mistero eucaristico, tuttavia il corpo di Cristo e il sangue di Cristo è veramente la parola della Scrittura, è l’insegnamento di Dio. Quando ci rechiamo al Mistero eucaristico, se ne cade una briciola, ci sentiamo perduti,. E quando stiamo ascoltando la Parola di Dio, e ci viene versata nelle orecchie la Parola di Dio e la carne di Cristo e il suo sangue e noi pensiamo ad altro, in quale grande pericolo incappiamo2.

3) L’Emmanuele è un miracolo di obbedienza.
Di fronte al prodigio della concezione verginale, San Matteo mette in rilievo le parole della profezia di Isaia e l'obbedienza di Giuseppe, uomo giusto. 
Il testo di Isaia 7,14 nel suo contesto originale si riferiva alla nascita del figlio del re Acaz, un segno che la sua casata avrebbe avuto un futuro.
L'evangelista lo utilizza per indicare in primo luogo la verginità3 di Maria. 
In secondo luogo il testo gli fornisce il nome Emmanuele, Dio con noi, che riafferma l'identità di Figlio di Dio e introduce l'idea della presenza costante di Gesù presso i suoi che verrà esplicitata dal Risorto al momento dell'ascesa al cielo (vedi Mt 28,20). L’apostolo Paolo dirà più tardi: “Se Dio è con noi, chi sarà contro di noi?”(Rm 8,32s). 

Grazie all’obbedienza di fede di Giuseppe e di Maria, grazie alla loro accoglienza della parola che Dio ha rivolto loro attraverso il Suo Angelo, essi accolsero in casa l’Emmanuele, il Dio con noi. Giuseppe come Maria si aprì al dono di Dio perché Dio potesse fare nascere nella storia la salvezza promessa. Giuseppe prese con sé Maria, la sua sposa, e insieme a lei la missione di dare carne alla Parola di Dio. 
Il brano evangelico si conclude in realtà con il v. 25 dove San Matteo afferma: “Senza che egli la conoscesse, ella diede alla luce un figlio ed egli lo chiamò Gesù”. 
In Giuseppe abbiamo l'esempio dell'uomo di fede che ascolta e mette in pratica la Parola di Dio (cfr. Mt 7,24) e che accogliendola entra a far parte della famiglia di divina, come ci assicura Giovanni: “A quanti l'hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio” (Gv 1,12).
Le Vergini consacrate sull’esempio di Maria, accolgono la Parola di Dio, obbedendo con amore verginale. In un mondo, almeno quello cristiano in cui la castità viene ammirata anche se non sempre capita, in un mondo dove l’obbedienza viene disprezzata, queste donne sono chiamate a mostrare che l’obbedienza è dire di sì a Dio come ha fatto Giuseppe, come ha fatto Maria. La loro è un’obbedienza sponsale e un gesto di libertà. L’obbedienza è adeguata all’amore di Cristo, che non ci dona qualcosa, ma se stesso, come Sposo della Chiesa.
L’obbedienza conviene all’Amore, perché è condivisione dell’indivisibile, partecipazione creata alla perfezione di Dio, dismisura di Dio nelle misure dell’uomo. La vocazione obbediente delle Vergini Consacrate è la prontezza ad accogliere l’agire di Dio, che è amato sopra ogni cosa e persona.
L’obbedienza è la risposta della persona consacrata che, in contatto orante con la Parola incarnata, scopre la volontà particolare di Dio sulla sua vita, la ratifica e fa esperienza che “in sua volontà è nostra pace” (Dante Alighieri).

1 “Gesù” era un nome conosciuto tra gli Israeliti ed a volte veniva dato ai figli. In questo caso, però, si tratta del Figlio che - secondo la promessa divina - adempirà in pieno il significato di questo nome: Gesù - Yehossua', che significa: Dio salva.

2 Origene, Omelie sul libro dei Salmi, 74.

3 San Matteo si serve della traduzione dei LXX che utilizzano parthénos (vergine) per indicare il termine ebraico ‘alma che significa giovane donna.


Lettura Patristica

Propongo una parte di un Sermone di Sant’Agostino dove si spiega bene come Maria, così Giuseppe è chiamato ad accogliere un sorprendente piano divino. Egli si fa obbediente a ciò che è frutto dello Spirito e, proprio in forza di questa sua obbedienza, diviene collaboratore di Dio nella storia della salvezza. Egli sarà il padre legale di Gesù; ma il fatto di non aver partecipato al suo concepimento, non gli attribuirà tuttavia una paternità “di minor grado”. Agostino insiste a chiare lettere: Giuseppe è padre non per virtù della carne, ma della carità.

Dai "Discorsi" di Sant’Agostino d’Ippona
Serm. 51, 16.26; 20.30 – PL 38, 338
La vera paternità di Giuseppe
La dignità verginale ebbe origine dalla Madre del Signore, quando cioè nacque il re di tutti i popoli; fu lei a meritare non solo d’avere il figlio ma anche di non soggiacere alla corruzione. Come dunque quello era vero matrimonio e matrimonio senza corruzione, così quel che la moglie partorì castamente, perché il marito non avrebbe dovuto accoglierlo castamente? Come infatti era casta la moglie, così era casto il marito; e come era casta la madre, così era casto il padre. Colui dunque che dice: "Giuseppe non doveva essere chiamato padre, perché non aveva generato il figlio", nel procreare i figli cerca la libidine, non l’affetto ispirato dalla carità. Giuseppe con l’animo compiva meglio ciò che altri desidera compiere con la carne. Così, per esempio, anche coloro che adottano dei figli, non li generano forse col cuore più castamente, non potendoli generare carnalmente? Vedete, fratelli, i diritti dell’adozione, per cui un uomo diventa figlio di uno dal quale non è nato, in modo che ha maggior diritto nei suoi riguardi la volontà dell’adottante che non la natura del generante.
Allo stesso modo che è casto marito, così [Giuseppe] è pure casto padre. Ciò che lo Spirito Santo effettuò, lo effettuò per ambedue. È detto: Essendo un uomo giusto (Mt 1, 19). Giusto dunque l’uomo, giusta la donna. Lo Spirito Santo, che riposava nella giustizia di ambedue, diede un figlio ad entrambi. (…) L’Evangelista dice anche: E gli partorì un figlio (Lc 2, 7), parole con cui senza dubbio si afferma che Giuseppe è padre non per virtù della carne, ma della carità. Così dunque egli è padre e lo è realmente. (…) E perché è padre? Perché tanto più sicuramente padre, quanto più castamente padre. In realtà si credeva ch’egli fosse padre di nostro Signore Gesù Cristo in modo diverso; lo fosse cioè come tutti gli altri padri che generano carnalmente, non come quelli che accolgono i figli con il solo affetto spirituale. Difatti anche Luca dice: Era opinione comune che Giuseppe fosse il padre di Gesù (Lc 3, 23). Perché era opinione comune? Perché l’opinione e il giudizio della gente era portato verso ciò che di solito fanno gli uomini. Il Signore dunque non è discendente di Giuseppe per via carnale, sebbene fosse ritenuto tale. Tuttavia alla pietà e alla carità di Giuseppe nacque dalla vergine Maria un figlio, e proprio il Figlio di Dio.

venerdì 13 dicembre 2019

La vera gioia non nasce dall'avere delle cose ma dall'incontro con Cristo che viene con amore.

Rito Romano
3ª Domenica di Avvento  –  Anno A –  Domenica “Gaudete”, 15 dicembre 2019
Is 35,1-6.8.10; Gc 5,7-10; Mt 11,2-11
La domenica della Gioia
Rito Ambrosiano
5ª Domenica di Avvento
MI 5,1. Ml 3,1-5a.6-7b; Gal 3,23-28; Gv 1,6-8.15-18
Giovanni Battista, il Testimone della Verità e dell’Amore.
 
1) La gioia di un incontro vicino.
In questa terza domenica, detta anche domenica della Gioia e della speranza per l'imminente venuta del Redentore, la liturgia ci invita a rallegrarci, perché le profezie si stanno avverando: il Messia che sta per nascere è veramente il Figlio di Dio annunciato. Il Natale è vicino e Cristo, sorgente di amore e di gioia, nasce per salvarci e farci vivere nella verità, nell'amore e nella pace.
Il "vangelo", cioè "buona e lieta notizia", è un annuncio di gioia per tutto il popolo; la Chiesa non è un rifugio per gente triste, la Chiesa è la casa della gioia perché è la casa della carità. E anche coloro che sono tristi trovano in essa la gioia, la vera gioia, la gioia di essere amati.
Scrive papa Francesco nell'Evangelii Gaudium: "La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall'isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia.
Il grande rischio del mondo attuale, con la sua molteplice ed opprimente offerta di consumo, è una tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata. Quando la vita interiore si chiude nei propri interessi non vi è più spazio per gli altri, non entrano più i poveri, non si ascolta più la voce di Dio, non si gode più della dolce gioia del suo amore, non palpita l'entusiasmo di fare il bene. Anche i credenti corrono questo rischio. Molti vi cadono e si trasformano in persone risentite, scontente, senza vita".
Certo, quella del Vangelo non è una gioia qualsiasi. La gioia del vangelo trova la sua ragione nel sapersi accolti e amati da Dio. Come ci ricorda oggi il profeta Isaia, Dio è colui che viene a salvarci, e presta soccorso specialmente agli smarriti di cuore. La sua venuta in mezzo a noi irrobustisce, rende saldi, dona coraggio, fa esultare e fiorire il deserto e la steppa, cioè la nostra vita quando diventa arida. E questa gioia vera rimane anche nella prova, perché non è una gioia superficiale, ma scende nel profondo della persona che si affida a Dio e confida in Lui. La vera gioia non viene dalle cose, dall’avere, no! Nasce dall’incontro, dalla relazione con gli altri, nasce dal sentirsi accettati, compresi, amati e dall’accettare, dal comprendere e dall’amare; e questo non per l’interesse di un momento, ma perché l’altro, l’altra è una persona. "La gioia nasce dalla gratuità di un incontro” (Papa Francesco)
 
2)      La gioia del dono di carità.
Lo scopo dell’Avvento è di preparare noi cristiani al Natale, perché Cristo viene dove è atteso, desiderato e amato.
            Questa attesa, che va vissuta con “vigilanza” e  “discernimento” (cfr le precedenti domeniche di Avvento),  deve essere nella “gioia”, perché la venuta del Dio della Gioia che non finisce mai è imminente.
            Quando la festa del Natale si fa più vicina, la Liturgia della Messa di questa domenica ci offre un invito alla gioia: nella prima lettura, le immagini e le descrizioni coinvolgono tutto e tutti -noi compresi- nell’attesa di qualcosa di bello da parte del Signore, che ne è protagonista e che interviene nella storia per farsi Strada, che il Suo popolo può e deve percorrere per tornare a casa.
            Dio non ci lascia mai soli, ci libera da paure, ansie, dubbi, entra nella nostra storia, viene in casa nostra, portando pace e divenendo cammino sicuro ai nostri passi.  La vita degli uomini è da lui guarita: i ciechi vedono, i sordi odono, i muti parlano, il deserto fiorisce e la strada si chiamerà via santa (cfr prima lettura: Is. 35, 8).
            In questo troviamo la chiave di lettura del Natale: il Natale è speranza e gioia. Prendiamo esempio dai nostri bambini che attendono i doni con gioiosa speranza: sono il simbolo dell’attesa, che viene soddisfatta, che riempie di gioia: la gioia che viene dall’esperienza di essere amati, perché ci è donato Gesù.
            Questo dono dell’altro mondo, ci fa capire che la gioia cristiana non è solo umana, terrestre: è spirituale, come ci ricorda già l’inizio della antifona dell’Introito di questa Domenica: Gaudete in Domino (=Gioite nel Signore). Se ci rallegriamo nel Signore, troveremo la vera gioia. Esiste una gioia spirituale, dunque, che ha come oggetto l’amore non di cose create, ma di Dio.  Questa gioia spirituale viene non da noi stessi, ma dallo Spirito Santo.  La gioia a questo livello è soprannaturale, profonda, duratura. La gioia spirituale dipende dall’amore di Dio, dalla carità divina.  Questo tipo di gioia non è fragile come la gioia umana, ma forte, sicura, sempre affidabile, incrollabile.
            Oggi, terza Domenica di Avvento “romano”, la liturgia ci offre la possibilità di sperimentare la gioia soprannaturale. In che senso? San Paolo dice: “Gioite nel Signore, perché il Signore è vicino”.  Come sperimentiamo la gioia quando ci troviamo alla presenza della persona amata, così abbiamo di che gioire, proprio perché fra due settimane verrà “l’amato del mio cuore”, come dice la sposa nel Cantico dei Cantici. Lui uscirà come sposo dal talamo, dalla stanza nuziale e verrà per abitare in mezzo a noi.
            C’è un altro motivo per la gioia spirituale: la nostra partecipazione alla bontà divina. Ma nessuna partecipazione in Dio sarebbe mai possibile, se Dio stesso non avesse preso l’iniziativa, costruendo un ponte per colmare l’abisso che separa l’uomo da Dio.  Nell’Incarnazione, il Figlio di Dio ha preso su di sé la nostra natura umana, proprio per darci la possibilità di partecipare alla sua vita di carità divina, ora e per sempre. Ecco il motivo per la più grande gioia possibile: l’Amato del nostro cuore è vicino: viene per stare con noi sempre e ci permette di stare con lui, ora e sempre.
            Quando c’è la gioia umana è davvero molto bella, ma molto spesso è mescolata con la tristezza.  La gioia nel Signore, invece, non viene mai meno.
           
3)Il Precursore e martire della Gioia.
La gioia vera, quella del cuore, quella che dura sempre è l’incontro con il Signore. Giovanni Battista è arrivato all’incontro pieno e definitivo con il Signore, attraverso l’amore grande del martirio. Per questo la III domenica di Avvento ci propone la figura e l’esempio del Precursore dell’Amore.
            Quando Gesù andò sulle rive del Giordano per farsi battezzare, quest’uomo che si era ritirato volontariamente nel deserto, da dove era la Voce della Parola, riconobbe Cristo e di Lui disse: “Ecco l’Agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo”. E, certamente fu pieno di gioia, perché l’Amico era arrivato. Ora, in prigione, involontario deserto dove era stato messo, Giovanni vuole sapere se Gesù è l’Amico tanto atteso e chiede ai suoi discepoli di domandare a Cristo: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». E Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!». E il Battista,  colui che nell’oscurità del grembo di sua madre Elisabetta aveva sussultato di gioia alla presenza di Gesù nel grembo di Maria, colui che correva davanti (Precursore = colui che corre davanti) a Cristo per preparare la strada alla Via, non si scandalizzò, anzi accettò il martirio e divenne il protomartire (= il primo testimone) della carità del Salvatore. Come già Isaia nella prima lettura Gesù dice che qualcosa sta già capitando oppure è già successo: i ciechi che riacquistano la vista, i muti che parlano, i malati che sono risanati sono il segno che il regno di Dio è già presente in mezzo a noi, non è qualcosa che deve ancora venire. E’ un fatto presente. Nell’oscurità di un carcere il Battista intravide la Luce e la morte fu la drammatica fessura per entrare nella Luce.
            A questo fatto noi sia chiamati a parteciparvi con la costanza che conforta il cuore. Nella II lettura presa dalla lettera di san Giacomo c’è l’invito a mettersi nello stato d’animo dell’agricoltore, che non guarda a quello che sta facendo, ma al fine per cui sta lavorando. Questo contadino ha fiducia che il seme, che è stato messo sottoterra ed è curato con costanza, darà il suo frutto a tempo debito. Anche noi dobbiamo saper aspettare il tempo giusto, dobbiamo saper attendere e curare con la prospettiva di un bene più grande ma non immediato e prepararci per quello.
            Giovanni il Battista nel carcere ebbe una prova di fede che lo purificò e lo avvicinò ancora di più al cuore di Dio. Infatti, ispirato da Dio, Giovanni aveva annunciato la venuta del Messia. Il Messia davvero era venuto nel mondo. Però Dio, come sempre, si era riservato uno spazio di novità e di libertà che Giovanni non conosceva: il Messia, infatti, non era esattamente come Giovanni l’attendeva. Per questo Giovanni gli chiede: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?” La risposta di Gesù crea un nuovo spazio per la fede di Giovanni: “… ai poveri è annunziata la buona novella e beato colui che non si scandalizza di me”. Giovanni non si scandalizzò, ma piegò la testa, rinunciò alla sua testa perché i pensieri di Dio non sono i pensieri dell’uomo (cfr “I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vieIs 55,8), e credette.
            Chi si mette in cammino alla ricerca di Dio, si aspetti sempre qualche sorpresa: Dio non sarà mai come noi l’aspettiamo; per questo motivo Dio si incontra solo nell’umiltà della fede, lasciandosi condurre da Lui per strade che noi non possiamo immaginare. Così fu per Giovanni, così è per tutti noi. Egli fu un martire che visse nella gioia, perché certo della presenza del Salvatore nella vita sua e del suo popolo.
            Le vergini consacrate sono chiamate – mediante la vocazione alla verginità – ad un martirio (= testimonianza) analogo a quello del Precursore, che seppe diminuire per far crescere Cristo (cfr Gv 3, 30). La loro appartenenza totale a Cristo mediante un amore indiviso testimonia che la vita è gioiosa e feconda (cfr Rito della consacrazione della Vergini, n. 36: Invio), quando tutto il nostro essere, anima e corpo, è a servizio dell’amore che nulla vuole per sé e che tutto dona nella gioia. Esse con atteggiamento sponsale stanno castamente accanto a Cristo con lui vivono la passione di attirare alla verità i fratelli e sorelle in umanità.
 


LETTURA SPIRITUALE
San Tommaso d’Aquino
SOMMA TEOLOGICA PARTE II-II   
Questione 28
LA GIOIA 
Passiamo a considerare gli effetti che accompagnano l’atto principale della carità, che è l’amore. In primo luogo gli effetti interiori; in secondo luogo quelli esteriori [q. 31]. Sul primo tema dobbiamo considerare tre argomenti: primo, la gioia; secondo, la pace [q. 29]; terzo, la misericordia [q. 30]. Sul primo argomento si pongono quattro quesiti: 1. Se la gioia sia un effetto della carità; 2. Se questa gioia sia compatibile con la tristezza; 3. Se questa gioia sia piena; 4. Se sia una virtù. 
Articolo 1:Se la gioia sia in noi un effetto della carità. Sembra che la gioia non sia in noi un effetto della carità. Infatti: 1. Dall’assenza dell’oggetto amato segue più la tristezza che la gioia. Ora, finché siamo in questa vita Dio, che è l’oggetto della nostra carità, è assente, secondo le parole di S. Paolo [2 Cor 5, 6]: “Finché abitiamo nel corpo siamo in esilio lontano dal Signore”.Quindi in noi la carità produce più tristezza che gioia.2. La carità è la causa principale per cui meritiamo la beatitudine. Ma tra le cose con cui meritiamo la beatitudine troviamo il pianto, che accompagna la tristezza [Mt 5, 4]: “Beati quelli che piangono, perché saranno consolati”.Quindi è più effetto della carità la tristezza che la gioia.3. La carità, come si è visto [q. 17, a. 6], è una virtù distinta dalla speranza. Ma la gioia è causata dalla speranza, secondo l’espressione di S. Paolo [Rm 12, 12]: “Lieti nella speranza”.Perciò essa non è causata dalla carità. 
In contrario: Come dice S. Paolo [Rm 5, 5], “l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato”.Ma la gioia è causata in noi dallo Spirito Santo, come dice lo stesso Apostolo [Rm 14, 17]: “Il regno di Dio non è questione di cibo o di bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo”.Quindi anche la carità è causa di gioia. 
Rispondo: Come si è visto nel trattato sulle passioni [I-II, q. 25, a. 3; q. 26, a. 1, ad 2; q. 28, a. 5, ad ob.], dall’amore nascono sia la gioia che il dolore o tristezza, ma in maniera diversa. Infatti dall’amore viene causata la gioia o per la presenza del bene amato, o anche perché la stessa persona amata possiede e conserva il proprio bene. E questo secondo aspetto appartiene specialmente all’amore di benevolenza, che ci fa godere della prosperità dell’amico, anche se assente. Al contrario invece dall’amore segue la tristezza o per l’assenza di ciò che si ama, o perché la persona di cui vogliamo il bene viene privata dei suoi beni, o è oppressa da un male. Ora, la carità è l’amore di Dio, il cui bene è immutabile, essendo egli la stessa bontà. E inoltre, per il fatto stesso che è amato, Dio si trova in chi lo ama col più nobile dei suoi effetti, secondo le parole di S. Giovanni [1 Gv 4, 16]: “Chi sta nell’amore dimora in Dio, e Dio dimora in lui”. Quindi la gioia spirituale, che ha Dio per oggetto, è causata dalla carità. 
Soluzione delle difficoltà: 1. Si dice che siamo in esilio lontano dal Signore mentre siamo nel corpo in rapporto alla presenza con la quale Dio si mostra ad alcuni nella visione immediata. Infatti l’Apostolo [v. 7] aggiunge: “Noi camminiamo nella fede e non ancora in visione”. Ma egli è presente anche in questa vita a coloro che lo amano mediante l’inabitazione della grazia. 2. Il pianto che merita la beatitudine ha per oggetto ciò che contrasta con essa. Per cui si deve a uno stesso motivo che dalla carità nasca tale pianto e insieme la gioia spirituale di Dio: poiché il godere di un dato bene e il rattristarsi dei mali contrari procedono da uno stesso motivo.3. Di Dio si può godere spiritualmente in due modi: primo, in quanto godiamo del bene divino considerato in se stesso; secondo, in quanto godiamo del bene divino in quanto è partecipato da noi. Ora, il primo tipo di gioia è più perfetto, e deriva principalmente dalla carità. Il secondo invece deriva dalla speranza, con la quale aspettiamo la fruizione del bene divino. Tuttavia anche la stessa fruizione, sia perfetta che imperfetta, viene conseguita in base alla grandezza della carità. 


sabato 7 dicembre 2019

Contemplare la bellezza di Maria che da carne alla Bellezza.

Rito Romano
2ª Domenica di Avvento -  Anno A – 8 dicembre 2019
Gn 3,9-15.20; Sal 97; Ef 1,3-6.11-12; Lc 1,26-38 (Per la Messa dell’Immacolata) e Mt 3,1-12 (Per la Messa della II domenica di Avvento.

Rito Ambrosiano
4ª Domenica di Avvento
Is 40,1-11; Sal 71; Eb 10,5-9a; Mt 21, 1-9
L’Ingresso del Messia
 
1) La bellezza di Maria che dà carne alla Bellezza.
 
Oggi la liturgia ci fa celebrare in particolare la Solennità dell’Immacolata Concezione e ci spinge a contemplare la bellezza di Maria Vergine, Tota Pulchra, la tutta bella fisicamente e spiritualmente perché la tutta pura, fin dal suo concepimento. L’Immacolata Concezione di Maria è l’aspetto interiore della concezione verginale di Cristo. La concezione verginale di Gesù trova il suo senso e la sua origine nell’Immacolata Concezione,
  • che è la consacrazione totale dell’essere di Maria a Gesù;
  • che è il regno di Gesù in Maria fin dal primo istante della di lei esistenza;
  • che è purezza della sua anima e della sua carne verginale la quale è diventata la culla del Verbo Incarnato.
Questa purezza, che è trasparenza di tutto il suo essere, che è libertà infinita, che è offerta, fa di Maria la culla non solo del Figlio di Dio, ma di tutta l’umanità. La maternità di Maria fiorisce dal suo “sì” verginale, immacolato all’angelo che le recava l’annuncio, fiorirà dal suo “sì” a Cristo in Croce che le annuncia che noi siamo suoi figli.
La Madonna è il primo frutto della Redenzione, la prima cristiana, la più perfetta, la Madre della Chiesa, la madre dell’umanità. La sua purezza non è solo fisica, è spogliamento di sé, liberazione dell’io possessivo, egoistico. Attraverso lo sguardo di Maria noi guardiamo le persone con occhio puro, l’amore assume un’altra dimensione e irraggia la tenerezza divina.


2) Incontro con Giovanni per incontrare Gesù. 
 
Grazie alla liturgia romana della seconda domenica di Avvento e della Solennità dell’Immacolata1 siamo chiamati incontrare due persone, che hanno avuto un ruolo speciale nella preparazione dell’incontro del Signore Gesù con l’umanità: la Vergine Maria e san Giovanni Battista.
Questo ultimo Profeta dell’Antico Testamento andò a predicare nel deserto, da dove la sua voce chiamava gli Ebrei a penitenza. Andiamo ad incontrarlo nel silenzio del nostro cuore per ricevere da lui l’annuncio dell’avvicinarsi del Regno dei Cieli. Anche a noi “predice” la prossima venuta del Messia, rimproverandoci quali peccatori che però a lui vanno e riconosciamo che quel lavaggio esteriore praticato dal Battista è quasi principio della purificazione interiore.
La predicazione di questo magnetico e rude personaggio affascinò molti, anche se sembrava fatto apposta per non attirare alcuno: vestiva poverissimamente e parlava aspramente. Non ostante ciò a suoi contemporanei apparì come l’ultima speranza di un popolo disperato. Non pochi intuirono la verità del suo compito che era di «preparare la via al Signore», annunciandone la venuta imminente. Si presentava come la Voce del deserto, con indosso ruvide vesti e una cintura di pelle attorno ai fianchi. Ma non invitava gli uomini a divenire asceti come lui. Preparare la strada al Signore è altra cosa. Ecco come Giovanni il Battista si esprimeva: «Convertitevi, perché il Regno di Dio è vicino... Non credete di poter dire fra voi: abbiamo Abramo per padre. Vi dico che Dio può far sorgere figli di Abramo anche da queste pietre. La scure è posta alla radice degli alberi: ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato». Incontrarlo e imitarlo vuol dire avere occhi puri come i suoi per poter dire con e come lui: “Ecco l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo”.
Dunque, due sono soprattutto le cose che Giovanni proclama urgenti: convertirsi e non cullarsi in una illusoria sicurezza di appartenenza. Convertirsi è una parola che dice il cambiamento del comportamento e della mente.
Quindi non si tratta soltanto di un cambiamento morale, nei comportamenti, ma di un cambiamento intellettuale, direi teologico, perché implica un modo nuovo di pensare Dio.
La conversione non è un cambiamento esteriore o parziale, ma un ri-orientamento di tutto l'essere dell'uomo. Si tratta di un vero e proprio passaggio dall'egoismo all'amore, dalla difesa di sé al dono di sé; un passaggio talmente rinnovatore da essere incompatibile con le vecchie strutture (mentali, religiose e sociali), come il vino nuovo che non può essere messo nelle vecchie botti.
La conversione evangelica è anche religiosità: non è confrontandosi con se stesso che l'uomo scopre la misura e la direzione del proprio mutamento, ma riferendosi al progetto di Dio. E il primo movimento non è quello dell'uomo verso Dio, ma quello di Dio verso l'uomo: è un movimento di grazia che rende possibile il cambiamento dell'uomo e ne offre il modello.
Infine, dobbiamo capire la profonda umanità della conversione evangelica: convertirsi significa tornare a casa, è un ricupero di umanità, un ritrovare la propria identità. Convertendosi l'uomo non si perde, ma si ritrova, liberandosi dalle alienazioni che lo distruggono.
Anche le due prime letture proposte dalla liturgia romana della II domenica di avvento ci offrono altre due indicazioni concrete riguardo alla conversione, che è necessaria per prepararsi alla venuta del Signore: 1- essere poveri e 2- essere ospitali: infatti Isaia (prima lettura) profetizza un germoglio nuovo di umanità, che «non giudicherà secondo le apparenze e non prenderà decisioni per sentito dire, ma giudicherà con giustizia i poveri e prenderà decisioni eque per gli oppressi del paese» (Is 1,3-4), e San Paolo invita: «Accoglietevi gli uni gli altri come Cristo vi ha accolti” (Rm 15, 7 – seconda lettura).

3) Incontro con Maria per incontrare suo Figlio.

La persona che fece germogliare l’umanità nuova e ci accoglie come Cristo è la Madonna, che nella Solennità dell’Immacolata Concezione festeggiamo per celebrare la salvezza divina donata a tutti noi.
Cosa vuol dire “Concepita senza macchia di peccato originale”? In poche parole vuol dire che Maria Vergine è colei che ha accolto il Dono del Cielo, il Figlio di Dio, con una prontezza, apertura e disponibilità totali e illimitate, vale a dire senza mettere dei confini e senza porre condizioni. Quello di Maria un Sì libero e pieno detto da una giovane donna senza macchia al Dio senza macchia.
E’ doveroso rispondere anche ad un altro domanda: “Che cos’è il peccato originale”2. E’ l’insufficienza morale di ogni uomo che vien al mondo come membro del genere umano. Ognuno di noi ne sa qualcosa e spesso diciamo: “Sbagliare è umano” e “Non si può pretendere di più, faccio quello che posso”. Ma dicendo così, sentiamo e desideriamo poter fare di più, essere di più. Se guardiamo alla Madonna, vediamo che questo desiderio non è un’utopia.
E’ vero, lei è la “Tutta Santa”, la “Piena di Grazia”. Lei in modo eccezionale non è coinvolta neppure dall’ombra del peccato, perché deve concepire, far nascere ed educare il bambino che ha l’incarico di portar via il peccato del mondo. Lei è la “Porta del Cielo”. Nel cuore dell'Avvento, nella fede, Maria si fa porta per far entrare il Verbo nel mondo e poi si unisce a Cristo Porta che fa entrare noi, peccatori perdonati, nel Cielo.
Amiamo la Madonna, Maria di Nazareth, primizia della verginità cristiana. Umile e povera, Maria divenne, per singolare privilegio e per la sua fedeltà alla chiamata del Signore, la madre vergine del Figlio di Dio. In ciò ci siano di esempio le Vergini Consacrate. Durante il rito di consacrazione il Vescovo dice loro: “Voi che siete vergini per Cristo” diventate “madri nello spirito” (Ordo consecrationis virginum, n. 16) cooperando con amore all’evangelizzazione dell’uomo e alla sua promozione.
Per la vergine consacrata, come afferma san Leandro di Siviglia, Cristo è tutto: “sposo, fratello, amico, parte dell’eredità, premio, Dio e Signore” (Regula sancti Leandri, Introd.). La vergine consacrata questo ci ricorda e ci insegna con la sua vita quotidiana con uno stile di vita fatto di umiltà, di carità, di servizio e di lieta disponibilità, di instancabile amore per la gloria del Padre e per la salvezza di tutta l’umanità.

1 Quest’anno 2019 la solennità dell’Immacolata Concezione è celebrata il lunedì 9 dicembre per dare la precedenza alla Domenica che è sempre la Festa del Signore. In Italia, la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti ha concesso che la solennità dell'Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria, che nel 2019 coincide con la seconda domenica di Avvento, possa essere celebrata in tutte le diocesi d'Italia nel giorno proprio cioè l'8 dicembre.
2 Il Catechismo della Chiesa Cattolica al n 397 parla così del peccato originale: “Il primo peccato dell'uomo. L'uomo, tentato dal diavolo, ha lasciato spegnere nel suo cuore la fiducia nei confronti del suo Creatore e, abusando della propria libertà, ha disobbedito al comandamento di Dio. In ciò è consistito il primo peccato dell'uomo. In seguito, ogni peccato sarà una disobbedienza a Dio e una mancanza di fiducia nella sua bontà”.
Poi ai nn 404-405 insegna: “In che modo il peccato di Adamo è diventato il peccato di tutti i suoi discendenti? Tutto il genere umano è in Adamo « sicurtà usum corpus unirsi hominis – come un unico corpo di un unico uomo ». Per questa « unità del genere umano » tutti gli uomini sono coinvolti nel peccato di Adamo, così come tutti sono coinvolti nella giustizia di Cristo. Tuttavia, la trasmissione del peccato originale è un mistero che non possiamo comprendere appieno. Sappiamo però dalla Rivelazione che Adamo aveva ricevuto la santità e la giustizia originali non soltanto per sé, ma per tutto il genere umano: cedendo al tentatore, Adamo ed Eva commettono un peccato personale, ma questo peccato intacca la natura umana, che essi trasmettono in una condizione decaduta. Si tratta di un peccato che sarà trasmesso per propagazione a tutta l'umanità, cioè con la trasmissione di una natura umana privata della santità e della giustizia originali. Per questo il peccato originale è chiamato « peccato » in modo analogico: è un peccato « contratto » e non « commesso », uno stato e non un atto”.


Lettura Patristica

San Giovanni Crisostomo.
Omelia 37, 1-2 in Mt. PG 57, 419-421


"Da allora Gesù prese a predicare e a dire:«Convertitevi, perché è vicino il regno dei cieli»" (Gv 1,9). Ma quando Gesù comincia a predicare? Da quando Giovanni fu chiuso in prigione. Ma perché non predicò prima? E che bisogno aveva di Giovanni Battista, dato che le sue opere gli rendevano già un’efficace testimonianza? Ecco: perché noi potessimo comprendere maggiormente la sua grandezza: Gesù Cristo ha i suoi profeti, così come il Padre ha avuto i suoi. Proprio questo rileva Zaccaria nel suo cantico: "E tu, bambino, sarai chiamato profeta dell’Altissimo" (Lc 1,76). Era necessario il precursore, inoltre, perché agli insolenti Giudei non restasse alcuna scusa, come testimonia lo stesso Gesù Cristo con le parole: "È venuto Giovanni, che non mangiava né beveva, e hanno detto: Ha il demonio addosso. È venuto il Figlio dell’uomo che mangia e beve ed essi dicono: Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori. Alla sapienza,  però, è resa giustizia dai figli suoi" (Mt 11,18-19). E ancora era necessario che tutto  quanto riguardava il Cristo fosse manifestato in anticipo da un altro, prima di esserlo da lui stesso. Infatti, se dopo tante testimonianze e dopo tali prove, i Giudei dissero:  "Tu rendi testimonianza a te stesso; la tua testimonianza non è valevole" (Gv 8,13), che cosa avrebbero osato dire se, prima che Giovanni avesse parlato, si fosse presentato in pubblico e avesse reso per primo testimonianza in favore di sé?
Ecco ancora perché Gesù non comincia a predicare prima di Giovanni e non compie  alcun miracolo, se non dopo che il suo precursore è stato rinchiuso in prigione: nel timore che nascesse qualche scisma tra il popolo. Per la stessa ragione Giovanni non compie miracoli, allo scopo di lasciar accorrere tutta la folla a Gesù, trascinata dai prodigi che il Signore faceva. Infatti, se anche dopo i miracoli operati da Gesù Cristo, i discepoli di Giovanni, sia prima che dopo il suo incarceramento, erano ancora presi da gelosia verso Gesù e molti pensavano che il Messia non fosse lui, bensì Giovanni, che cosa sarebbe accaduto se Dio non avesse preso queste sagge misure? Ecco le ragioni per cui anche Matteo vuol sottolineare che «da allora» Gesù  incominciò a predicare. E, all’inizio della sua predicazione, Gesù insegna ciò che Giovanni ha detto. Nei suoi primi discorsi non parla ancora di se stesso, ma si contenta di predicare la penitenza. Per quel tempo era già abbastanza desiderabile far accettare la penitenza, dato che allora il popolo non aveva ancora di Cristo un’idea  sufficientemente adeguata. E  all’inizio, non annuncia niente di terribile o di spaventoso, come aveva fatto Giovanni parlando della scure tagliente già posta alle radici dell’albero, del ventilabro che ripulisce l’aia, e di un fuoco inestinguibile. 
Dapprima, parla soltanto dei beni futuri, rivelando a coloro che lo ascoltano il regno che ha loro preparato nei cieli.”