Rito
romano
XXIV
Domenica del Tempo Ordinario – Anno C – 15 settembre 2019.
Es.
32, 7-11, 13-14; 1Tim 12-17; Lc. 15, 1-32
Cercati
da Dio per donarci il perdono
Rito
ambrosiano
III
Domenica dopo il martirio di San Giovanni il Precursore
Is
43,24c-44,3; Sal 32; Eb 11,39-12,4; Gv 5,25-36
Le
opere di Cristo testimoniano che il Padre lo ha mandato
1)
Cercati dal Figlio come peccatori e accolti dal Padre come figli
nello Spirito
Come
premessa alle riflessioni sulle tre parabole della misericordia del
Vangelo di oggi (quella della pecorella smarrita, della moneta
perduta e del figlio prodigo) propongo questa chiave di lettura:
ognuno di noi è l’amata pecorella smarrita, l’utile moneta
perduta, il figlio che oltre a buttare via l’eredita del Padre ha
buttato via se stesso. L’importante è capire che Dio cerca
ciascuno di noi. Se capiamo che ciascuno di noi è amato e libero in
Dio, invece di fuggire correremo verso di lui.
Tutte
e tre le parabole terminano parlando della contentezza, della gioia
perché ” ci sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si
converte, più che per novantanove giusti” Da che cosa nasce questa
felicità di Dio? Dall’amore condiviso in una comunione profonda,
divina nella Trinità e in amore di misericordia con noi, fragili
creature di creta, che le “mani” creative di Dio ricreano
abbracciandoci paternamente e accogliendo come figli (adottivi, ma
veri figli) amati dall’amore di Dio il cui “nome è misericordia”
(Papa Francesco, il cui magistero sulla misericordia è copioso. Mi
permetto di consigliare la rilettura della sua Lettera Apostolica
Misericordia et Misera, del 20 novembre 2016).
Ascoltando
il Vangelo di oggi sembra quasi di sentire la voce di Gesù, che ci
rivela il volto del Padre suo e Padre nostro. In fondo, per questo
Lui è venuto nel mondo: per parlarci del Padre di infinita
misericordia; per farlo conoscere a noi, figli smarriti, e far
rinascere nei nostri cuori la gioia di appartenergli, la speranza di
essere perdonati e restituiti alla nostra piena dignità, il
desiderio di abitare per sempre nella sua casa, che è anche la
nostra casa e luogo di gioia.
In
effetti, grazie alla sua misericordia possiamo entrare nella gioia
del Regno di Dio. Condividiamo questa misericordia. Facciamoci
artigiani di consolazione e di Pace. crescendo nella consapevolezza
che Gesù veglia su di noi con infinita compassione.
Questa
compassione fa agire con passione del buon Pastore, che insegue la
sua pecora per steppe e pietraie. Se noi lo perdiamo, lui non ci
perde mai. Non è la pecora smarrita a trovare il pastore, è
trovata; non sta tornando all'ovile, se ne sta allontanando; il
pastore non la punisce, è viva e tanto basta. E se la carica sulle
spalle perché sia meno faticoso il ritorno. Immagine bellissima: Dio
non guarda alla nostra colpa, ma alla nostra debolezza. Non traccia
consuntivi, ma preventivi. Dio è amico della vita: Gesù guarisce
ciechi zoppi lebbrosi non perché diventino bravi osservanti, tanto
meglio se accadrà, ma perché tornino persone piene, felici,
realizzate, uomini finalmente promossi a uomini. La misericordia è
dono e perdono che trasforma la nostra vita portandola a pienezza.
2)
La misericordia del buon Pastore.
Le
parabole di Gesù oltre a darci il suo insegnamento profondo e bello
ci mostrano il punto di vista di Dio. E così succede nelle tre
parabole di oggi, in cui Cristo parla della pecorella smarrita, della
moneta perduta e del figlio prodigo, mettendo in evidenza il “cuore
del Vangelo” cioè l’amore misericordioso.
Già
nella prima parabola si vede un modo di agire non umano o, per lo
meno, insensato dal punto di vista umano. In effetti, alla domanda
del “Quale uomo tra voi, avendo cento pecore e perduta una di esse,
non abbandona le novantanove nel deserto e (non) va verso quella
perduta, finché non l'abbia trovata?” (Lc 15,4), verrebbe da
rispondere: “Nessuno”, perché chi è l’uomo di buon senso che
lascia le 99 pecore nel deserto e non nell’ovile, e che di notte va
alla ricerca della smarrita, sfidando i pericoli del deserto?
I
pericoli del deserto sono fame, sete, caldo, predoni, belve, perdita
dell’orientamento soprattutto con il buio, che rende pressoché
impossibile continuare la ricerca nell’oscurità della notte. Ma
Cristo, buon Pastore divino è mosso da un amore umanamente
insensato, ma divinamente logico e va alla ricerca.
Si
può dire che continua la ricerca che Lui fa dell’uomo da quando
questo si era nascosto nel paradiso terrestre fino agli inferi, ci
rivela che per lui noi valiamo più di Lui, tant’è vero che poi è
morto al nostro posto dando la vita per noi.
Si
può dire che la nostra ricerca di Dio inizia quando Dio ha terminato
la sua, trovandoci e perdonandoci e facendo festa con noi.
Nella
parabola della pecora perduta e ritrovata, si annota che il pastore
non interrompe la sua ricerca finché non la trova: dunque una
ricerca ostinata, perseverante, per nessun motivo disposto ad
abbandonare la pecora al suo destino. Allora comprendiamo che la
decisione del Pastore non fu poi così insensata, fu coraggiosa e
frutto di intelligenza ardita e di un cuore che ama perdutamente.
Questo
mi permette di fare notare che questa parabola, come pure le due che
seguono, termina parlando della gioia di Dio per il ritrovamento qui
della pecora, poi della moneta e del figlio: «Così, vi dico, c'è
gioia davanti agli occhi di Dio per un solo peccatore che si
converte» (Lc 15,10).
Si
possono ricavare due insegnamenti. Uno esplicito: agli occhi di Dio
l’uomo anche e, forse, proprio perché peccatore ha un valore
immenso. L’altro implicito: con la gloria recuperata di un unico
peccatore “aumenta” la Gioia divina.
3)
La misericordia materna
Analoga
nella sostanza è la seconda parabola: quella della dracma1
perduta.
Anche
qui la ricerca per trovare ciò che si è smarrito è fatta in modo
accurato, oggi diremmo scientifico. La padrona di casa accende
la lampada, che mette in un punto strategico, poi scopa lentamente,
attentamente l’intera casa, cerca con cura2,
finché trova la moneta perduta. Trovatala, chiama le amiche e le
vicine e le interpella per gioire insieme sulla “dracma perduta e
ritrovata” (v.9). Se la prima parabola parla del Pastore, che nel
mondo ebraico di allora indicava pure il Re, vediamo l’amore
“pastorale” di chi guida, nella seconda vediamo l’amore
“sollecito” della madre di famiglia che mette a soqquadro il
“mondo”3
per cercare il “tesoro” che è la ragione della sua vita: il
figlio.
Una
donna, una madre sa molto bene il valore di un figlio e in questa
parabola vediamo che essa rappresenta Dio che, con amore infinito di
padre e di madre, “si affanna” nel ricercare la preziosa moneta
smarrita.
In
ciò ci sono di esempio le Vergini consacrate che sono chiamate ad
“affannarsi” maternamente mendicando nella preghiera il perdono
per i peccatori, offrendo la loro preghiera di intercessione (RCV
28) per gli smarriti soprattutto per coloro che hanno perso la
fiducia nella misericordia divina, e trasferendo nei luoghi dove
vivono e lavorano l’amore di Dio che sempre perdona.
4)
La misericordia paterna.
E
qui subentra la terza parabola. Se per una moneta e per una pecora
prima si fa festa in cielo, immaginate che festa fa Dio quando
“realtà ritrovata” è un uomo: un figlio perdutosi e ritrovato.
Questo
figlio, che è chiamato prodigo perché ha sperperato l’eredità
paterna nei vizi, e si è ridotto all’estrema miseria e alla fame,
si è “perduto”: ha smarrito la consapevolezza della bellezza
della propria identità. Ha smarrito la gioiosa memoria del volto del
Padre e della sua misericordia.
Questa pagina del Vangelo quindi è
un annuncio apportatore di gioia per noi: quando sperimentiamo di
esserci "persi", affidiamoci a colui che è venuto a
cercarci e confidiamo nel suo grande amore. E' questa la volontà del
Padre. Noi siamo preziosi ai suoi occhi.
In
questo contesto comprendiamo il senso del testo dell'Esodo (prima
lettura “romana”), dove il popolo d'Israele, liberato dalla
schiavitù, si dimentica spesso di Dio, tanto che costruisce l'idolo
del vitello d'oro. Meriterebbe per questo il castigo, ma il Signore
lo perdona per la commossa e profonda preghiera di intercessione di
Mosè.
Così pure l'apostolo Paolo (seconda lettura) afferma che
Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, e lui si sente
tanto peccatore... ma ha ottenuto misericordia.
La
misericordia esprime l'onnipotenza di Dio, l'amore infinito, tenero
ed adulto, carezzevole ed esigente: è il volto di Dio.
Accostiamoci
spesso al Sacramento della Riconciliazione o Penitenza, che altro non
è che attuare in noi il ritorno a casa del figlio prodigo.
L'esperienza
del peccato, che è questo “perdersi”, diventa occasione per un
incontro più duraturo e autentico con questo Dio che ci
“perseguita”4
con il suo amore misericordioso e fa festa perché ci ha ritrovati.
PS:
Si veda anche il commento fatto allo stesso vangelo in occasione
della IV domenica di Quaresima 10 marzo 2013.
1
Una
dramma era il salario giornaliero di un contadino od operaio al
tempo di Gesù Cristo.
2
In
greco ἐπιμελῶς che si legge epimelòs e che significa
“diligentemente,
attentamente, accuratamente”.
3
Guardata
con gli occhi di Dio la Terra è una casa neppure tanto grande in
rapporto all’Universo intero.
4
Dal
verbo “perseguire”
dal latino PERSEQUI composto dalla particella intensiva “PER” e
“SEQUI” = seguire,
dunque tener
dietro con costanza e ardore. Significato
derivato “perseguitare”,
“persecuzione”.
|
Lettura
Patristica
San
Leone Magno5,
(ca 390 -461)
Papa
e Dottore della Chiesa
Sulla
misericordia e la verità.
Sermo
45,2, PL 54,289‑290.
“La
regola di vita dei credenti scaturisce dallo stile stesso con cui Dio
opera. L’Altissimo, infatti, esige che quelli ch’egli ha creato a
sua immagine e somiglianza si sforzino di imitarlo.
Non
potremo ottenere le ricchezze della gloria divina se la misericordia
e la verità non avranno in noi dimora. Mediante queste vie, infatti,
il Signore e venuto verso quelli che avrebbe salvato; e per tali
sentieri i salvati devono affrettarsi a incontrare colui che li ha
redenti. Così la misericordia di Dio ci rende misericordiosi e la
verità ci fa essere veritieri.
L’anima
retta cammina per la via della verità come l’anima intrisa di
bontà avanza per la via della misericordia.
Eppure
questi due sentieri non si separano mai; non si tratta infatti di
tendere verso scopi diversi per vie differenti; e crescere nella
misericordia non è diverso dal progredire nella verità. Difatti,
chi manca di verità non e misericordioso, e chi e privo di bontà
non e capace di rettitudine. Non essere ricchi di entrambe queste due
virtù, significa l’impossibilita di praticare sia l’una che
l’altra.
La
carità è la forza della fede e la fede e la fortezza della carità.
Ognuna di esse merita il suo nome e porta frutto soltanto se un
legame inscindibile le unisce.
Dove
non sono presenti insieme, lì anche mancano entrambe, giacché si
Offrono aiuto e luce a vicenda fin quando la ricompensa della visione
colmerà la brama della fede e senza mutazioni vedremo e ameremo
quello che ora non possiamo amare senza la fede né credere senza
l’amore.
Fede
e carità non permettono di soccombere sotto il peso di basse
sollecitazioni, perché come ali possenti sollevano a volo il cuore
puro fino all’amicizia e alla visione di Dio.”
5
Primo
Vescovo di Roma a portare il nome di Leone, adottato in seguito da
altri dodici Sommi Pontefici, è anche il primo Papa di cui ci sia
giunta la predicazione, da lui rivolta al popolo che gli si
stringeva attorno durante le celebrazioni.
Celebre
è rimasto soprattutto un episodio della vita di San Leone Magno.
Esso risale al 452, quando il Papa a Mantova, insieme a una
delegazione romana, incontrò Attila, capo degli Unni, e lo dissuase
dal proseguire la guerra d’invasione con la quale già aveva
devastato le regioni nordorientali dell’Italia. E così salvò il
resto della Penisola. Questo importante avvenimento divenne presto
memorabile, e rimane come un segno emblematico dell’azione di pace
svolta dal Pontefice.
Conosciamo
bene l’azione di Papa Leone, grazie ai suoi bellissimi sermoni e
grazie alle sue lettere, circa centocinquanta. In questi testi il
Pontefice appare in tutta la sua grandezza, rivolto al servizio
della verità nella carità, attraverso un esercizio assiduo della
parola, che lo mostra nello stesso tempo teologo e pastore. Leone
Magno, costantemente sollecito dei suoi fedeli e del popolo di Roma,
ma anche della comunione tra le diverse Chiese e delle loro
necessità, fu sostenitore e promotore instancabile del primato
romano, proponendosi come autentico erede dell’apostolo Pietro: di
questo si mostrarono ben consapevoli i numerosi Vescovi, in gran
parte orientali, riuniti nel Concilio di Calcedonia (451).
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