Rito
romano
XXV
Domenica del Tempo Ordinario – Anno C – 22 settembre 2019.
Am.
8, 4-7; 1Tim 2, 1-8; Lc. 16, 1-13
Come
essere amministratori integri e saggi
Rito
ambrosiano
IV
Domenica dopo il martirio di San Giovanni il Precursore
Pr
9,1-6; Sal 33; 1Cor 10,14-21; Gv 6,51-59
Pane
vivo disceso dal cielo
-
Da disonesto a misericordioso.
Secondo
alcuni esperti di Sacra Scrittura, il capitolo 16 del Vangelo di
Luca è dedicato al problema dell'uso della ricchezza. Prima Gesù si
rivolge ai discepoli con la parabola dell'amministratore disonesto
(vv. 1-8) e con alcune affermazioni riguardo la ricchezza (vv. 9-13).
Questi due brani sono quelli di questa XXV domenica del Tempo
Ordinario. Poi vi è un'altra serie di parole di Gesù dedicate
questa volta ai farisei troppo amanti del denaro (vv. 16-18) e la
parabola del ricco epulone (vv. 19-31), che leggeremo domenica
prossima. Il tema della ricchezza è ricorrente nell’evangelista
Luca, il quale verso chi è ricco non risparmia parole molto forti.
Ma,
poiché, questo evangelista è chiamato “lo scrittore
della mansuetudine di Gesù Cristo” (Dante Alighieri
definì San Luca “scriba mansuetudinis Christi”) e
Papa Francesco ha ancor meglio esplicitata la frase medievale
chiamando San Luca scrittore della misericordia e il cantore della
tenerezza, dell’amore materno di Dio, penso sia corretto affermare
che la misericordia del Padre entra anche nell’uso dei beni. Il
figlio non farà come il padrone stolto che accumula ricchezze,
dividendosi dal Padre e dai fratelli. Farà come questo
amministratore: prima era disonesto, perché si appropriava di ciò
che non è suo. Ora diventa saggio e sa che fare. Se il suo Signore
dona e perdona tutto a tutti, anche lui comincia un po’ a donare e
perdonare. Questa è la volontà di Dio nell’uso dei beni, per
essere accolti nella dimora del Padre celeste, eternamente.
Inoltre
va tenuto presente che il vangelo non si riferisce solo ai beni
materiali, ma soprattutto ai beni spirituali, quelli che hanno valore
per l’eternità. Alla fine il Vangelo loda quasi l'amministratore
disonesto, non per le cose che ha fatto che sono deplorevoli, ma per
la scaltrezza con la quale ha agito ai soli fini egoistici,
personalistici ed affaristici. E conclude: “I figli di questo
mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della
luce. Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza
disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano
nelle dimore eterne” (Lc 16, 9).
Il
senso generale della parabola di oggi appare chiaro: al centro è
messa la misericordia. E’ la misericordia che sperimentiamo del
Padre. Se Lui ci ama così, allora, quale rapporto dobbiamo avere
con le cose? La vita spirituale è molto materiale. E’ incarnata.
Noi viviamo lo spirito nel corpo, nella nostra relazione innanzitutto
con le cose e difatti noi, nelle cose, mediamo il nostro rapporto con
gli altri in fondo, ci ammazziamo per possederle o diventiamo
fratelli se le condividiamo. Quindi oggi rifletteremo in modo
particolare su questo, su come si vive la misericordia nel rapporto
con le cose, poi vedremo come si vive nel rapporto con le persone,
poi con il povero e poi con il fratello che pecca. Insomma, lo scopo
di queste riflessioni è di aiutare a capire come la misericordia si
articola in tutta la vita.
Ma
se il senso generale del brano evangelico di oggi è chiaro, la
formulazione nondimeno rimane curiosa e ha dato luogo a varie
interpretazione. Propongo, per meglio capire, una curiosa, per non
dire sconcertante, frase del Redentore. Eccola:
2)
Un’affermazione sconcertante, ma non troppo.
Nel brano evangelico di oggi c’è un’affermazione di Gesù che, a
un primo impatto, è per lo meno sconcertante. Come conclusione della
parabola del fattore sleale che è stato licenziato in tronco da un
proprietario terriero, Gesù afferma: “Il
padrone lodò quell'amministratore disonesto, perché aveva agito con
scaltrezza1
(con saggezza). Infatti i figli di questo mondo verso i loro pari
sono più scaltri (saggi) dei figli della luce”
(Lc
16. 8).
Con
saggia anche se disonesta determinazione quel fattore, che doveva
lasciare il posto perché era stata scoperta la sua disonestà,
chiamò a uno a uno i debitori della fattoria e a tutti cancellò una
parte del debito. In questo modo, quando fu licenziato,
quell’imbroglione si era fatto qua e là tanti amici che non lo
lasciarono morir di fame.
Aveva
fatto un bene a sé e agli altri ingannando e derubando il padrone.
Era un ladro ma un giudizioso ladro. Se gli uomini usassero per la
salvezza dell’anima l'astuzia, che costui usò per il mantenimento
del suo corpo, quanti più sarebbero i convertiti alla fede del
Regno.
Dunque
questo racconto di Cristo non si conclude con un’approvazione e un
incoraggiamento alla corruzione. Ciò che il Messia loda è la
saggezza, la decisione e la lungimiranza dell’amministratore
disonesto: non ne approva la disonestà.
Davanti
ad una situazione d'emergenza, in cui era in gioco tutto il suo
avvenire, quell'uomo ha dato prova di tre cose: di rapida decisione,
di grande astuzia e di acuta capacità di programma circa il futuro
divenuto insicuro. Ha agito prontamente e intelligentemente (anche se
non onestamente), perché voleva mettersi al sicuro per il futuro.
Questo
- viene a dire Gesù ai suoi discepoli- è ciò che dovete fare anche
voi, per mettere al sicuro, non l'avvenire terreno che dura qualche
anno, ma l'avvenire eterno. Come dire: fate come
quell'amministratore; fatevi amici coloro che un giorno, quando vi
troverete nella necessità, possono accogliervi. Questi amici
potenti, si sa, sono i poveri, dal momento che Cristo considera dato
a lui in persona quello che si dà al povero. Diceva sant'Agostino:
“I poveri sono, se lo vogliamo, i nostri corrieri e i nostri
facchini: ci permettono di trasferire, fin da ora, i nostri beni
nella casa che si sta costruendo per noi nell'aldilà”. Un
insegnamento che la Chiesa ricorda a tutti gli sposi quando, nella
benedizione durante il rito del Matrimonio, fa dire al prete:
“Sappiate riconoscere Dio nei poveri e nei sofferenti, perché
essi vi accolgano un giorno nella casa del Padre”. Gli amici di
cui tener conto sono i poveri perché saranno essi, nel giudizio
finale, a suggerire gli invitati da ammettere al banchetto celeste.
3)
Anche noi siamo chiamati ad essere amministratori.
Attraverso
la parabola dell’amministratore “saggio”, il Signore non solo
ci invita ad essere previdenti, ma ci ricorda anche che noi siamo
“amministratori” ai quali Lui, il Signore, ha affidato i beni di
quel grande campo che è la Terra.
Dei
beni che ci sono stati affidati da Dio non siamo proprietari, ne
siamo “amministratori”. La “disonestà” consiste
nell'appropriarcene indebitamente, usandoli senza tener conto della
volontà del “Padrone”, che li ha posti nelle nostre mani perché
li condividessimo.
La
bramosia smodata, l'utilizzo egoistico finiscono con l'inquinare lo
stesso dono, rendendolo a sua volta “disonesto”. Proprio così.
Ciò che siamo e ciò che abbiamo viene da Dio e non può essere che
un bene. È il nostro modo di rapportarci con esso che lo contamina
fino a sconfinare nel “peccato”. E di questa adulterazione, prima
o poi, saremo chiamati a renderne conto: “amministratori infedeli”
dinanzi al giudizio inappellabile del “Padrone”.
Ma
ecco un'insospettata via d'uscita: quelle stesse ricchezze, da noi
rese “disoneste”, possono essere riscattate e restituite alla
loro primitiva e connaturale bontà se condivise nel segno della
gratuità e dell'amore. È la santa “scaltrezza” che Gesù
suggerisce a quanti, riconoscendosi umilmente “amministratori
disonesti”, intendono spalancarsi all'azione risanante e redentrice
di Dio, divenendone la mano provvida e benefica.
Chiediamo
a Dio, Padre buono, che ci dia la grazie di usare santamente dei beni
della Terra, perché possiamo sperimentare la gioia della
condivisione. Ci liberi da ogni forma di egoistico possesso e renda
strumenti del suo amore. Insomma si tratta di essere sapienti perché
avendo ben chiaro il senso cristiano della vita, riusciamo con la
luce del suo Spirito a “valutare con saggezza i beni della terra
nella continua ricerca dei beni del cielo” (Preghiera dopo la
comunione della Messa del martedì della prima settimana di Avvento).
4)
Amministratori dei beni del Cielo.
Non
dimentichiamo che il tesoro che Gesù ha affidato ai suoi discepoli e
amici è il Regno di Dio, che è Lui stesso, vivo e presente in mezzo
a noi. E donandoci se stesso ci ha dato, oltre alle qualità
naturali, queste ricchezze da far fruttificare: la sua Parola,
depositata nel santo Vangelo; il Battesimo, che ci rinnova nello
Spirito Santo; la preghiera – il “Padre nostro” – che
eleviamo a Dio come figli uniti nel Figlio; il suo perdono, che ha
comandato di portare a tutti; il sacramento del suo Corpo immolato e
del suo Sangue versato.
Le
Vergini consacrate ci danno un esempio di come essere prudenti
(φρόνιμοι
cfr nota 1) puntando
tutto, assolutamente tutto, sull’intelligenza, e a misurare su di
essa le nostre parole e le nostre scelte. L’intelligenza che egli
esige non è quella di una migliore conoscenza delle cose, del
sapere, del “know-how”. Consiste piuttosto nel prendere le
proprie decisioni alla luce della meta prefissata; è “la
prua della conoscenza”
(Paul Claudel2)
della nave della nostra vita che si dirige verso l’eternità.
L’intelligenza ci insegna a non fermarci all’immediato e a
guardare, invece, alla meta ultima. Infatti “lo
Spirito Santo, suscita in mezzo al suo Popolo uomini e donne
coscienti della grandezza e della santità del matrimonio e tuttavia
capaci si rinunciare a questo stato per attaccarsi fin da ora alla
realtà che esso prefigura: l’unione di cristo e della Chiesa.
Felici quelli e quelle che consacrano la loro vita a Cristo e lo
riconoscono come sorgente e ragione di essere della verginità. Hanno
scelto di amare colui che è lo sposo della Chiesa e il Figlio della
Vergine Madre”
(Rituale della Consacrazione delle Vergini, le ultime due frasi del
n. 24).
1
La traduzione liturgica italiana usa “con scaltrezza” o
“scaltramente”, nel testo greco di Luca c’è “φρoνίμως”
che letteralmente vuol dire “saggiamente”. La Vulgata latina
traduce con “prudenter” possiamo tradurre “prudentemente, con
prudenza”. Nella traduzione liturgica francese usa “habile” e
la Bible de Jérusalem mette come titolo della parabola
“L’administrateur avisé” ed usa “avisé” anche nel testo,
perché φρoνιμώτεροι (fronimòteroi) è l’aggettivo
comparativo di φρόνιμος (frònimos) che vuol dire
“ragionevole, sensato, saggio”. La traduzione inglese usa
l’avverbio wisely =saggiamente e/o shrewdly= astutamente.
La traduzione liturgica aiuta a non cadere nell’equivoco di
pensare che Gesù loda la disonestà, il testo letterale aiuta a
capire il perché dell’elogio e l’invito ad essere saggi,
intelligenti e prudenti.
2
Paul
Claudel
(Villeneuve-sur-Fère,
6
agosto
1868
– Parigi,
23
febbraio
1955)
è stato un poeta,
drammaturgo
e diplomatico
francese.
Secondo il racconto dello stesso Claudel, la sua conversione al
cattolicesimo avvenne nella Cattedrale di Notre Dame di Parigi,
ascoltando il Magnificat
durante la Messa di Natale
del 1886: “Allora
accadde in me l'avvenimento straordinario e misterioso che avrebbe
dominato tutta la mia vita. A un tratto, mi sentii toccare il cuore,
ed io credei. Credei con una tal forza di adesione, con tale un
sollevamento di tutto il mio essere, con si profonda convinzione,
con una certezza così esente da ogni dubbio possibile^ che, dopo,
tutti i libri, tutti i ragionamenti, tutte le peripezie di una vita
agitatissima, non furono capaci di scuotere la mia fede e nemmeno
d'intaccarla. Fu: una rivelazione improvvisa e ineffabile; fu la
sensazione netta e tagliente dell'innocenza purissima e dell'eterna
infanzia di Dio. ...Felici quelli che credono! Se fosse vero! —
Si, è vero! — Dio esiste, è là, è qualcuno, un essere
personale come me! — Egli mi ama e mi chiama”
(La mia conversione, Torino 1958, p. 56).
Il
motivo ispiratore della poetica di questo grande scrittore cattolico
credo che sia la “vocazione” di verità, di bontà, di gioia in
mezzo agli uomini. Per questo il poeta è chiamato a scoprire e
mostrare ai fratelli e “tutta la
santa realtà che ci è stata data e in mezzo alla quale siamo
posti”.
Lettura
patristica
Sant’Agostino
di Ippona
Discorso
359/A
SULLA
PARABOLA EVANGELICA DELL'AMMINISTRATORE INFEDELE
(Il
discorso è ampio quindi cito solo una parte. Il testo integrale è
reperibile su:
http://www.augustinus.it/italiano/discorsi/discorso_524_testo.htm)
“Se
sei straniero sei in terra altrui. E se sei in terra altrui quando il
Signore lo comanda devi partire. Ed è inevitabile che il Signore a
un certo punto ti comandi di partire. E non ti fissa il tempo della
permanenza. Non ha preso infatti un impegno scritto con te. Dal
momento che la tua permanenza è gratuita, essa scade al suo comando.
Anche queste sono cose che si devono sopportare e per cui è
necessaria la pazienza.
Il
fattore scaltro e il tempo futuro.
9.
Capiva ciò il servo [della parabola] a cui il padrone stava per
comandare di uscire dall'amministrazione. Egli pensò al futuro e
disse fra sé: Il mio padrone mi toglie l'amministrazione. Che
cosa farò? A zappare non sono valido, mendicare mi vergogno. Di
là lo respinge la fatica, di qua la vergogna, ma a lui che era
perplesso non mancò una decisione: Ho trovato - disse fra sé
- quello che devo fare. Chiamò i debitori del suo padrone,
presentò [loro] le ricevute: Tu, dimmi, qual è il tuo debito?
E quello: Cento barili d'olio. Siedi, presto, scrivi: cinquanta,
prendi la tua ricevuta. Poi disse ad un altro: Tu quanto devi?
Rispose: Cento misure di grano. Siedi, presto, scrivi ottanta. Prendi
la tua ricevuta. Diceva tra sé: " Quando il padrone mi
avrà allontanato dall'amministrazione, essi mi accoglieranno presso
di loro e il bisogno non mi costringerà né a zappare né a
mendicare ".
10.
Perché mai il Signore Gesù Cristo raccontò questa parabola? Non
certo perché gli piacesse il servo ingannatore: egli frodava il suo
padrone e disponeva di beni non suoi. Per di più fece un furto
sottile: portò danno al suo padrone, per assicurarsi, dopo
l'amministrazione, un rifugio di tranquillità e di sicurezza. Perché
il Signore ci pose davanti agli occhi questo esempio? Non perché il
servo frodò, ma perché pensò al futuro; perché il cristiano che
non ha accortezza si vergogni, dal momento che il progetto ingegnoso
è lodato anche nell'ingannatore. Infatti il brano così si conclude:
I figli di questo mondo sono più scaltri dei figli della luce.
Compiono frodi per provvedere al loro futuro. A quale vita pensò di
provvedere quel fattore? A quella a cui sarebbe giunto, dopo aver
lasciato la condizione precedente per ordine del suo padrone. Egli
provvedeva a una vita che deve finire e tu non vuoi provvedere a
quella eterna? Dunque non amate la frode, ma, dice: Procuratevi
amici con la iniqua mammona, procuratevi amici.
Le
elemosine. La verifica del proprio compito.
11.
" Mammona " è il termine ebraico per indicare
" ricchezza ", e anche qui, in punico, il lucro è
detto mamon. Che cosa dobbiamo fare allora? Che cosa ha
comandato il Signore? Procuratevi amici con l'iniqua mammona,
perché, quando verrete a mancare vi accolgano nelle dimore eterne.
E` facile dedurne che bisogna fare elemosine, elargire ai bisognosi,
perché in essi è Cristo che riceve. L'ha detto lui: Ogni volta
che avete fatto [queste cose] a uno solo dei miei fratelli più
piccoli, le avete fatte a me. E dice anche, altrove: Chiunque
avrà dato anche un solo bicchiere d'acqua fresca a uno dei miei
discepoli, in quanto mio discepolo, in verità vi dico, non perderà
la sua ricompensa. Abbiamo capito che bisogna fare elemosina
senza stare lì molto a scegliere a chi farla, perché non si può
arrivare a un giudizio delle coscienze. Se la fai a tutti giungerai
anche a quei pochi che la meritano. Tu, pensiamo, vuoi praticare
l'ospitalità e prepari la casa per i forestieri. Ebbene, sia ammesso
anche chi non ne è degno perché non sia escluso chi ne è degno. Tu
non puoi essere giudice ed esaminatore delle coscienze. D'altra
parte, anche se tu potessi discriminare: " Costui è
cattivo, costui non è buono ", io aggiungerei: " Potrebbe
perfino essere un tuo nemico ". Se il tuo nemico ha fame
dagli da mangiare. Se bisogna fare del bene anche al nemico,
quanto più a uno sconosciuto che, anche se cattivo, non arriva
tuttavia ad essere nemico. Noi comprendiamo queste cose, cioè
sappiamo che chi agisce così si procura gli amici che accoglieranno
nelle dimore eterne, quando si sarà esonerati da questa
" amministrazione ". Siamo tutti come dei fattori
infatti e ci è stato affidato qualcosa da fare in questa vita: di
questo dobbiamo rendere conto al grande padre di famiglia. E colui a
cui è stato affidato di più dovrà rendere un conto maggiore. La
prima lettura che è stata fatta è di spavento a tutti, e specie a
coloro che hanno preminenza sui popoli, siano i ricchi o siano i re,
siano principi, siano giudici, siano anche vescovi o prelati nelle
chiese. Ciascuno renderà conto della sua amministrazione al Padre di
famiglia. L'amministrazione che si compie qui è temporanea, la
ricompensa che ti dà l'economo è eterna. Se noi condurremo questa
amministrazione così da renderne conto in modo soddisfacente,
possiamo essere sicuri che a incarichi minori faranno seguito
incarichi maggiori. Al servo che gli diede un buon resoconto della
ricchezza che aveva ricevuto da distribuire, il padrone disse: Ora
presiederai a cinque fondi. Se ci saremo comportati bene saremo
chiamati a incarichi maggiori. Ma poiché è difficile, in una vasta
amministrazione, essere esenti da svariate mancanze, così non
bisogna cessare di fare elemosine, in modo che al momento del
rendiconto, non ci troviamo davanti a un giudice severo ma a un padre
misericordioso. Se infatti comincerà a esaminare una per una le
cose, molte ne troverebbe da condannare. Bisogna su questa terra
essere di aiuto ai miseri perché avvenga in noi quello che è stato
scritto: Beati i misericordiosi, poiché di essi Dio avrà
misericordia. E in un altro luogo: Ci sarà un giudizio senza
misericordia per chi non ha avuto misericordia.
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