Rito
romano
XXI
Domenica del Tempo Ordinario – Anno C – 25 agosto 2019.
Is
66, 18-21; Sal 116; Eb 12, 5-7.11-13; Lc 13, 22-30
Gesù
= Dio salva e ci viene incontro.
Rito
ambrosiano
Domenica
che precede il martirio di San Giovanni il Precursore
2Mac
6,1-2.18-28; Sal 140; 2Cor 4,17-5,10; Mt 18,1-10
I
bambini capiscono ed accolgono la Verità
1)
Come salvarsi.
Se
leggiamo con attenzione il brano del Vangelo di questa Domenica, ci
accorgiamo che a chi gli chiede: “Quanti si salvano?”, Gesù non
risponde se saranno pochi o tanti quelli che si salvano, ma dice cosa
si deve fare per non essere esclusi dalla salvezza. E infatti il
Salvatore risponde così: “Sforzatevi di entrare per la porta
stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci
riusciranno” (Lc 13, 24). La domanda che gli fanno attira
l’attenzione astratta sugli altri, la risposta del Salvatore fissa
l’attenzione concreta su chi lo interroga, perché il problema vero
non è se gli altri si salvano ma come noi possiamo salvarci. Poi, il
Salvatore conclude la sua risposta con delle affermazioni
sorprendenti: “Quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i
profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori. Verranno da
oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno
a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi,
e vi sono primi che saranno ultimi” (Lc 13, 28 - 30).
Quest’ultima
frase afferma con forza e chiarezza che l'annuncio del Vangelo porta
con sé il capovolgimento dei “normali” criteri di valutazione.
Molti di quelli che pensavano di essere sicuramente ammessi al
banchetto di salvezza, si vedranno esclusi. Altri (come ad esempio i
pagani, i peccatori, i lontani) verranno da ogni parte del mondo e
saranno ammessi nella casa in festa del Padre celeste. I criteri di
Dio sono diversi da come noi pensiamo – ricorda Gesù rivolgendosi
agli uomini del suo tempo e a noi – e dunque è come se ci dicesse:
“Non perdetevi in questioni secondarie, non giudicate la situazione
degli altri (Saranno ammessi? Saranno esclusi?): datevi da fare per
voi stessi, perché tutti siete peccatori”.
Dunque,
noi peccatori, sforziamoci di entrare per la porta stretta, che è
stretta “non perché sia oppressiva, ma perché ci chiede di
restringere e contenere il nostro orgoglio e la nostra paura, per
aprirci con cuore umile e fiducioso a Lui, riconoscendoci peccatori,
bisognosi del suo perdono” (Papa Francesco).
Si
arriva a questa porta da oriente, da occidente, dal nord, dal sud, da
tutto il mondo, da tutte le direzioni: sono le quattro direzioni, che
indicano poi la croce, entrano tutti da qui, perché la salvezza è
esattamente la croce, l'amore, la misericordia di Dio.
Ecco
perché gli ultimi sono primi e i primi sono ultimi. Una volta che i
primi sanno di essere ultimi, anche loro sono primi, ma se credono di
essere primi sono ultimi, ma se sono ultimi allora va bene. Quindi in
sintesi, Cristo ci dice che il problema della salvezza è l'unico
problema reale e che la salvezza è l'amore e la grazia che Lui ha
per ciascuno di noi e che noi dobbiamo cominciare ad esercitare tra
di noi.
Infine
la salvezza non è un problema di numero, perché essa è opera di
Dio che vuole che tutti si siano salvati1
e giungano alla conoscenza della verità, per questo alla domanda
sugli altri: “Signore, sono pochi quelli che si salvano?” (Lc
13, 23), il Messia risponde a noi: “Sforzatevi!”
(meglio: “Lottate”2).
La
lotta di cui parla Gesù, alla luce della buona notizia (il Vangelo),
è la lotta contro l'autosufficienza, contro la ricchezza del cuore
che è concupiscenza della carne, concupiscenza degli occhi e
superbia della vita.
Gesù
invita ad accogliere la potenza salvatrice di Dio, impegnandosi con
tutte le forze nel buon combattimento della fede, passando attraverso
di Lui, che è la Porta, per cui si riesce a entrare nel cuore del
Padre.
Ad
entrare per questa porta sono i poveri in spirito, sono quelli che
hanno piena e dolorosa coscienza della loro povertà spirituale,
della imperfezione della loro anima, della scarsità di bene che c’è
in noi. Solamente i poveri, che conoscono di essere davvero poveri,
soffrono di questa indigenza e si sforzano e lottano per uscirne,
mendicando la misericordia.
Ce
ne sono testimoni ed esempio gli Apostoli, ai quali molto è stato
perdonato, perché, eccetto in qualche momento, ebbero fede in Lui;
perché si sforzarono di amarlo come voleva esse amato e perché,
dopo avere abbandonato l’Amore nell’Orto del Getsemani, non Lo
dimenticarono più e lasciarono per l’eternità la memoria delle
sue parole e della sua vita.
Ora
siamo nel tempo favorevole in cui è aperta la porta della Salvezza.
E’ infatti il tempo in cui il Padre ci invita alla conversione,
mediante la predicazione apostolica. La sapienza consiste
nell’accogliere prontamente questo invito, che implica
-
una lotta per la perseveranza: “Non avete ancora resistito fino al sangue nella vostra lotta contro il peccato” (Eb 12, 4),
-
uno sforzo di fedeltà nella vita di ogni giorno: “Bene servo buono e fedele. Sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto: prendi parte alla gioia del tuo padrone” (Mt 25,21),
-
una devota accoglienza della Parola: “A quanti l’hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome i quali non da sangue, né da volere id carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati” (Gv 1, 12-13).
3)
L’ascesi di comunione3
La
lotta a cui Cristo ci invita può essere chiamata anche ascesi 4,
per cui si parla anche di palestra ascetica. Tuttavia va tenuto
presente che l’ascesi non è
una
ginnastica e neppure una lotta che calpesta non gli altri ma se
stessi. Secondo me è prima di tutto una modalità di “lotta” (e
molti sono i metodi ascetici), il cui scopo principale è la
comunione con Dio. E’ soprattutto un cammino, un pellegrinaggio che
è detto ascetico perché implica un esercizio,
una tensione
costante, stupita e energica verso l’alto, impegnando
la propria vita nel desiderio della santità attraverso una «regola»
di ascesi personale, di comunione vissuta e di carità.
Per esempio, Giovanni Climaco (vissuto tra il 6° ed il 7° secolo)
nel suo libro La
scala del Paradiso
sostiene che il cristiano in questo mondo è uno straniero di
passaggio, che tende
alla città di Dio, avanzando
nel deserto pieno di pericoli e privo di consolazioni, come gli Ebrei
pellegrini nel deserto per giungere al Monte Sinai dove Dio dà la
Legge per l’alleanza di comunione.
“E
l’ascesi è proprio questo: che diventi in noi familiare,
nonostante tutto, la domanda della presenza di Cristo in ogni
situazione della vita: a Cristo, Presenza che salva. A noi tocca
camminare senza smettere di domandare”5
e di tenere vivo lo stupore di essere amati.
La
persona umana è in viaggio6
perché è fuori di casa sua (come il figlio prodigo) e la sua casa è
in qualche modo impossibile da essere raggiunta con le sole sue
forze. Egli può essere risanato dalla grazia e l’ascesi è
solamente una conseguenza di questa grazia che il Padre dona, con il
suo perdono.
Certo
va tenuto presente che lo sforzo spirituale, la
vita ascetica
sono facilitate e autenticate da una sequela
ad una persona autorevole e ad una immanenza nella comunità della
Chiesa.
Si
pensi, per esempio, alla Vergine consacrate che vivono sulla forma di
vita di Cristo e sono chiamate ad essere l’esegesi vivente della
Parola di Dio, alla quale sono invitate ad accostarsi in modo
costante. Alimentate dalla Parola, che è da loro ascoltata, accolta,
contemplata, celebrata quotidianamente, vissuta come imperativo di
vita, celebrano la Trinità, sono segno di fraternità e servono la
carità. Giovanni Paolo II cita Paolo per affermare che “compito
della vita consacrata è di lavorare in ogni parte della terra per
consolidare e dilatare il regno di Cristo, portando l’annuncio del
Vangelo dappertutto” (Vita Consacrata, 78; cf. Lumen gentium,
44).
Il
Cristianesimo non sono regole da eseguire, ma un Amore da seguire
umilmente, come ci ricorda il Vangelo ambrosiano di oggi: “In
verità vi dico: Se non vi convertirete e non diventerete come
bambini, non entrerete nel Regno dei Cieli” ( Mt 18,3). E che
altro significa divenire bambini se non divenire umili? Si chiedeva
San Bernardo di Chiaravalle.
Ma
per vivere l’amore e salvarsi occorre lo sforzo di imboccarne la
via con umiltà e come insegnava il Card. John H. Newman avere il
“culto degli affetti domestici” cioè l’amore dei
parenti e degli amici è “la fonte di un amore cristiano più
esteso”. Gli affetti domestici vissuti in una comunità
concreta con altri sono una scuola che richiede atti di donazione e
di abnegazione (quindi di ascesi) rendendo l’amore forte e
perseverante.
1Cfr,
per es., Gv
3,16-21, 6, 26-70; Mt
19, 14-29; Rm
10, 5-21; Ef
2. 1-10;
Tim
2, 1-8.
2Alla
lettera Gesù dice “lottate per entrare per la porta stretta”,
infatti ‘nel
testo greco c’è: “agonìzate” = lottate, da cui le parole
“agone” e “agonia”. D’altronde Cristo sta andando a
Gerusalemme per affrontare la sua passione, la sua agonia.
3“Ascesi
di comunione” è un’espressione ed il titolo di un libro di Don
Divo Barsotti.
4dal
latino ascesis
che deriva dal greco
ἄσκησις
derivazione di ἀσκέω
cioè “esercitare”.
La definizione che se ne dà è: “esercizio” o “pratica”
spirituale
e fisica,
composta di preghiera,
meditazione
e varie attività anche fisiche per tendere alla perfezione
interiore, per
distacco dal
mondo materiale
per ascendere verso il Cielo. Il giudizio sulla realtà senza
preconcetti alienanti, irragionevoli, richiede un «distacco da sé»
(cfr. Lc
17,33), un lavoro faticoso che, nella tradizione religiosa, si
chiama ascesi,
e che può essere realizzato solo dalla persuasione dell’«amore
a noi stessi come destino,
come affezione
al nostro destino,
che è Dio.
5Luigi
Giussani, Alla
ricerca del volto umano. Contributo ad una antropologia,
Milano 1995, p. 92.
6Ysabel
de Andia, La
Voie et le voyageur, Essai d’anthropologie de la vie spirituelle,
Paris, Editions du Cerf, 2012, pages 1024. E’un
saggio di antropologia che presenta l’uomo nel suo cammino verso
Dio, dalla terra al cielo. “Straniero e viaggiatore sulla terra”
(Eb 11, 13), l’uomo segue la via di Dio che si rivela in Cristo
“Via, Verità e Vita” (Gv 14, 6).
Lettura
Patristica
Dai
«Discorsi sul Cantico dei Cantici»
di
san Bernardo di Chiaravalle, abate
sull’amore
come ascesi
L'amore
é sufficiente per se stesso, piace per se stesso e in ragione di sé.
E' se stesso merito e premio. L'amore non cerca ragioni, non cerca
vantaggi all'infuori di Sé. Il suo vantaggio sta nell'esistere. Amo
perché amo, amo per amare. Grande cosa é l'amore se si rifà al suo
principio, se ricondotto alla sua origine, se riportato alla sua
sorgente. Di là sempre prende alimento per continuare a scorrere.
L'amore é il solo tra tutti i moti dell'anima, tra i sentimenti e
gli affetti, con cui la creatura possa corrispondere al Creatore,
anche se non alla pari; l'unico con il quale possa contraccambiare il
prossimo e, in questo caso, certo alla pari. Quando Dio ama, altro
non desidera che essere amato. Non per altro ama, se non per essere
amato, sapendo che coloro che l'ameranno si beeranno di questo stesso
amore. L'amore dello Sposo, anzi lo Sposo-amore cerca soltanto il
ricambio dell'amore e la fedeltà. Sia perciò lecito all'amata di
riamare. Perché la sposa, e la sposa dell'Amore non dovrebbe amare?
Perché non dovrebbe essere amato l'Amore? Giustamente, rinunziando a
tutti gli altri suoi affetti, attende tutta e solo all'Amore, ella
che nel ricambiare l'amore mira a uguagliarlo. Si obietterà, però,
che, anche se la sposa si sarà tutta trasformata nell'Amore, non
potrà mai raggiungere il livello della fonte perenne dell'amore. E'
certo che non potranno mai essere equiparati l'amante e l'Amore,
l'anima e il Verbo, la sposa e lo Sposo, il Creatore e la creatura.
La sorgente, infatti, dà sempre molto più di quanto basti
all'assetato. Ma che importa tutto questo? Cesserà forse e svanirà
del tutto il desiderio della sposa che attende il momento delle
nozze, cesserà la brama di chi sospira, l'ardore di chi ama, la
fiducia di chi pregusta, perché non é capace di correre alla pari
con un gigante, gareggiare in dolcezza col miele, in mitezza con
l'agnello, in candore con il giglio, in splendore con il sole, in
carità con colui che é l'Amore? No certo. Sebbene infatti la
creatura ami meno, perché é inferiore, se tuttavia ama con tutta se
stessa, non le resta nulla da aggiungere. Nulla manca dove c'é
tutto. Perciò per lei amare così é aver celebrato le nozze, poiché
non può amare così ed essere poco amata. Il matrimonio completo e
perfetto sta nel consenso dei due, a meno che uno dubiti che l'anima
sia amata dal Verbo, e prima e di più.
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