V
Domenica di Pasqua – Anno C – 19 maggio 2019
Rito
romano
At
14-21b-27; Sal 144(145); Ap 21,1-5a; Gv
13,31-33a.34-35.
Rito
ambrosiano
At
4,32-37; Sal 132; 1Cor 12,31-13,8a; Gv 13,31b-35
1)Un
comandamento nuovo. Perché?
Come
mai si definisce "nuovo" un comandamento che era noto già
fin dall'Antico Testamento (cfr. Lv 19, 18)? A questo riguardo è
utile la distinzione tra vecchio ed antico. “Nuovo” non si
oppone, in questo caso, ad “antico”, ma a "vecchio". Lo
stesso evangelista Giovanni in un altro passo scrive: “Carissimi,
non vi scrivo un comandamento nuovo, ma un comandamento antico...E
tuttavia è un comandamento nuovo quello di cui vi scrivo” (1 Gv 2,
7-8). Insomma, si tratta di un comandamento nuovo o di un
comandamento antico? L’una e l’altra cosa. E’ antico secondo la
lettera, perché era stato dato da tempo; è nuovo secondo lo
Spirito, perché solo con Cristo è data anche la forza di metterlo
in pratica. Nuovo non si oppone, nel Vangelo di oggi ad antico, ma a
vecchio. Quello di amare il prossimo “come se stessi” era
diventato un comandamento "vecchio", cioè debole e
consunto, a forza di essere trasgredito, perché la Legge imponeva sì
l'obbligo di amare, ma non dava la forza per farlo.
Il
comando di amare come Cristo ci ha dato non è una legge nuova perché
ci è chiesto qualcosa di più difficile di quelle precedenti. La
legge dell’amore che il Redentore ci dona, è nuova perché è
l’indicazione per una vita vissuta come dono, per un’esistenza da
vivere nella condivisione piena di amorosa fiducia, di totale
abbandono al tenera misericordia di Dio.
Il
comandamento, che Cristo ci dona, è nuovo perché mentre la legge
umana obbliga dall’esterno, quella cristiana è un invito che fa
fiorire il cuore umano e lo rende capace di dono a Dio e al
prossimo.
In
effetti il comandamento nuovo chiede l’amore dell’uno per l’altro
e non è semplice filantropia. Il comandamento è nuovo se uno ama
come il Redentore lo ama: “Come io ho amato voi. “Come, Signore?”
È questo “come” che fa la differenza. Come? Amando così come
siamo, senza pretendere, senza reagire, sempre e per sempre, fino a
dare la vita e non solo per gli amici, ma soprattutto per i nemici.
Come ha fatto Cristo, amandoci da morire,
In
effetti, non è quando - durante la sua vita - Gesù formula questo
comandamento dell’amore che esso diventa nuovo. E’ quando,
morendo sulla croce e dandoci lo Spirito Santo, che Cristo
ci rende, di fatto, capaci di amarci gli uni gli altri, infondendo in
noi l'amore che Lui stesso ha per ognuno.
Inoltre
il comandamento di Gesù è un comandamento nuovo in senso attivo e
dinamico: perché “rinnova”, fa nuovi, trasforma tutto. “E’
questo amore che ci rinnova, rendendoci uomini nuovi, eredi del
Testamento nuovo, cantori del cantico nuovo” (Sant’Agostino
d’Ippona).
2)
Il dono di un comando nuovo: la legge della carità.
“Amate”:
questo comando, che Cristo ci ha dato, è la “Magna Carta” del
Popolo che, nato dal Suo costato trafitto è trasformato santamente
per mezzo dell'Amore. La carità di Cristo spinge non solo a gesti
d’amore ma anche ad una vita di carità in Lui.
Purtroppo,
nel parlare o scrivere ordinario il significato della parola “amore”,
che dà la vita, è ridotto a sentimento di bontà dolce oppure a
passione spesso sensuale. Nel Vangelo la parola “amore” è sempre
contrassegnata dalla croce, che indica una bontà appassionata, il
cui fine non è il “possesso” dell’altro ma il dono di sé
all’altro. Quando Cristo dice: “Vi amo”, la croce è inclusa,
egli intende la croce, cioè l’appassionato dono di sé. E in
questo modo ci mostra che l’amore puro, sincero è l’amore che si
dona liberamente.
Cristo
rivela il suo amore in modo appassionato: con la sua Passione e Morte
in Croce. L'amore, che Cristo rivela e propone con un “comando”,
è detto con parole delicate e con il gesto dell’andare in Croce,
dopo avercene dato prova con la lavanda dei piedi, con l’istituzione
dell’Eucaristia, che fortifica e rende stabili l’amore, e con
molti fraterni insegnamenti.
Molte
volte abbiamo letto o ascoltato la frase di Gesù che il Vangelo
romano di oggi ci propone: “Vi do un comandamento nuovo: amatevi
gli uni gli altri come io ho amato voi” (Gv 13, 33). Per
aiutare la nostra meditazione propongo –come premessa- la
spiegazione sintetica di termini.
Prima
di tutto bisogna ricordare che per l’Evangelista e Apostolo
Giovanni il termine “comandamento” significa la parola che rivela
l'amore di Dio Padre. In effetti, nel testo greco egli usa il termine
“entolè”, che ha il significato di precetto,
consiglio, istruzione, prescrizione. E' un po’ come la ricetta
di un dottore che prescrive una determinata cura per il nostro bene.
Sta poi al paziente seguire o no ciò che è stato prescritto.
Comandamento in questo caso quindi non è un ordine perentorio,
qualcosa di obbligatorio così come lo intendiamo noi nel significato
corrente. La controprova che questo è il significato che Giovanni
voleva dare al termine comandamento lo ritroviamo nel suo Vangelo
dove il medesimo Apostolo per definire il comandamento di Mosè non
usa più entolè ma “nomos”.
Nel servire e
seguire Cristo dunque, non abbiamo bisogno tanto di nomos. Il
nostro rapporto con Dio è molto più che un seguire delle regole per
eccellenti che siano. Dio ci dà dei comandi (entolè) che ci
guidano, ci formano, ci conducono sul Suo sentiero. In breve,
indicazioni che ci manifestano la sua volontà di salvezza.
In
effetti, il termine greco usato da Giovanni è in relazione non solo
all’ambito della legalità ma anche a quello della responsabilità.
Gesù quindi non comunica tanto una regola, ma rivela una missione di
salvezza e chiama ad una responsabilità. La traduzione latina è
corretta e mette “mandatum novum” che viene da mittere=inviare.
Quindi Gesù invita i suoi discepoli di allora e di oggi a mettere in
essere questo mandato, a “creare” questa carità reciproca ed
Egli aggiunge: «Il mondo vedrà che siete miei discepoli». Il mondo
capirà che il Vangelo è vivo e in “vigore” (si dice anche della
legge che è in vigore), se noi saremo amici, fratelli e sorelle tra
noi. Si rinnoverà così il miracolo dei primi secoli dell’era
cristiana, come lo attesta Tertulliano (n.155 – m. 230) che parla
di come la gente pagana fosse stupita e dicesse: “Ma guarda,
come si vogliono bene; ma guarda come c'è amore tra di loro”
(Apol. 19).
Questo
amore “comandato” da Cristo ha poi due caratteristiche indicate
da “nuovo” e “come”.
Il
comando dell'amore reciproco, fraterno è da Gesù definito «nuovo».
Non si tratta di una novità puramente cronologica, ma di una novità
qualitativa. Il comando dell'amore è nuovo come è nuovo Gesù, il
nuovo Mosè che scrive la legge dell’amore non su tavole di pietra
ma sul nostro cuore. L'amore reciproco, fraterno e gratuito è la
novità della vita di Dio che irrompe nel nostro vecchio mondo,
rigenerandolo. Ed è l'anticipo della vita eterna, definitiva e
stabile cui aspiriamo.
3)
Il dono di un comando che invita ad amare senza misura.
L'avverbio
greco cathos usato nel vangelo romano odierno viene tradotto
con il termine come: "Come io ho amato voi, così amatevi
anche voi gli uni gli altri". Come intendere questo “come”?
Forse i discepoli dovranno imitare il comportamento del proprio
Maestro? Questo risulta riduttivo, si finirebbe per fare di Gesù un
personaggio del passato, dal quale si ereditano delle consegne da
applicare, di modo che l'azione dei discepoli perpetui nel tempo
quella di Gesù.
Al contrario è possibile un'interpretazione più
profonda. Kathos qui, come in altri testi, non ha il senso di
una similitudine, ma quello di un'origine. Si può tradurre: Con
l'amore con cui vi ho amato, amatevi gli uni gli altri, versione
più vicina al significato del testo. L'amore del Figlio per i suoi
discepoli genera il loro movimento di carità: è il suo amore,
l'amore di Gesù, che passa in loro quando amano i fratelli e ne sono
riamati.
E'
l'amore con il quale Gesù ama ogni uomo che rende possibile la
fraternità e impegna in questo senso ogni comunità cristiana. Un
amore sempre nuovo, sempre gratuito e profondo, come l'alleanza che
Dio rivela amando l'umanità e il mondo (cfr. Gv 3,6; Ez
34-37; Ger 31,31).
Amarci
gli uni gli altri con il cuore di Cristo ecco il comando nuovo. Ma se
la misura della carità del nostro Redentore è “amare senza
misura” (cfr. S. Bernardo di Chiaravalle (De diligendo Deo,
16), come possiamo essere all’altezza dell’amore di Cristo. E’
un compito impari. Gesù ha amato perdutamente, fino a perdere la sua
stessa vita. Come possiamo fare altrettanto? Lui ha dato la propria
vita per il suo prossimo, tutti noi, ed ha avuto come primo compagno
in paradiso un condannato a morte: il buon ladrone. L’amore di
Cristo è un amore dove prima dell’io c’è l’altro.
Come
è possibile avere e vivere questo amore? Arrendendosi a questo
amore. Se accetteremo di essere sua proprietà, come già aveva
intuito il profeta Geremia: “Signore tu mi ha sedotto ed io mi
sono lasciato sedurre”, saremo suoi figli per sempre. L’Amore
che ci ha scelto fin dal momento in cui le sue mani plasmarono il
nostro corpo, ci chiama ad essere come tralci che aderiscono alla
vite e che producono frutti di vita vera per gli altri.
In
questo ci sono di esempio le Vergini consacrate che, con la loro
piena risposta all’offerta di se stesse a Dio nella castità,
mostrano che la legge del cielo è scesa sulla terra, perché l’amore
di Dio rende possibile il santo amore per il prossimo, nella
condivisione della fede e della reciproca e servizievole carità.
La
credibilità, l'affidabilità della vita consacrata, al contrario,
emerge quando i consacrati e le consacrate fanno ciò che dicono,
quando ciò che trasmettono come parola annunciata è da loro
vissuto: evangelizzano perché sono evangelizzati, trasmettono la
fede perché sono credenti, diffondono la carità perché vivono il
comandamento nuovo.
In
questo senso, a queste consacrate è richiesta la capacità di
costante riferimento a Gesù Cristo, alla sua vita quale esegesi
(interpretazione) del Dio che è Carità. Infatti, solo se la vita
consacrata è memoria viva dell’esistenza, dell’azione e dello
stile di Gesù, essa svolge il suo compito: le vergini consacrate
sono presenti nella Chiesa per incarnare, vivere e ricordare a tutti
i gesti e i comportamenti vissuti da Gesù nella sua vita umana e
nella sua missione. In sintesi, nell’assumere la “forma della
vita di Gesù” le consacrate sono segno, sono memoria vivente del
Vangelo dell’Amore.
Lettura
Patristica
SANT’AGOSTINO
D’IPPONA
DISCORSO
332
Perché
i martiri sono amici di Cristo. L'amore reciproco in vista del regno
dei cieli.
1.
Quando veneriamo i martiri, rendiamo onore ad amici di Dio. Volete
sapere che cosa ha fatto di loro degli amici di Dio? Lo indica Cristo
stesso; afferma infatti: Questo
è il mio comandamento, che vi amiate a vicenda 1.
Si
amano a vicenda quelli che intervengono insieme agli spettacoli degli
istrioni; si amano a vicenda quelli che si trovano insieme a
ubriacarsi nelle bettole; si amano a vicenda quelli che accomuna una
cattiva coscienza. Cristo dovette fare perciò una distinzione
nell'amore quando ebbe a dire: Questo
è il mio comandamento, che vi amiate a vicenda. In
realtà, la fece; ascoltate. Dopo aver detto: Questo
è il mio comandamento, che vi amiate a vicenda, subito
aggiunse: come
io vi ho amato 2.
Amatevi
a vicenda così, per il regno di Dio, per la vita eterna. Siate
insieme ad amare, amate me, però. Vi amerete reciprocamente se vi
unisce l'amore per un istrione; sarà maggiore il vostro amore
reciproco se vi unisce l'amore per colui che non può farvi
scontenti, il Salvatore.
Fino
a che punto ci dobbiamo amore reciproco.
2.
Il Signore proseguì ancora e continuò a istruire, quasi gli
avessimo chiesto: E in che modo ci hai amati, per sapere come
dobbiamo amarci tra noi? Ascoltate: Nessuno
ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici 3.
Amatevi
a vicenda in modo da offrire ciascuno la vita per gli altri. I
martiri infatti misero in pratica questo di cui parla anche
l'evangelista Giovanni nella sua lettera: Come
Cristo ha dato la sua vita per noi, così anche noi dobbiamo dare la
vita per i fratelli 4.
Accostatevi
alla mensa del Potente: voi fedeli ben sapete a quale mensa vi
accostate; richiamate alla memoria le parole della Scrittura: Quando
siedi davanti alla mensa di un potente, considera che tu devi
preparare altrettanto 5.
A
quale mensa di potente ti accosti? A quella in cui egli ti porge se
stesso, non a mensa imbandita dalla perizia di cuochi. Cristo ti
porge il suo cibo, vale a dire, se stesso. Accostati a tale mensa e
saziati. Sii povero e ti sazierai. I
poveri
mangeranno e si sazieranno 6.
Considera che tu devi preparare altrettanto. Per
capire, segui il commento di Giovanni. Forse infatti ignoravi che
significa: Quando
siedi alla mensa di un potente, considera che tu devi preparare
altrettanto 7.
Ascolta il commento dell'Evangelista: Come
Cristo ha dato la vita per noi, così anche noi dobbiamo preparare
altrettanto. Che vuol dire 'preparare altrettanto'? Dare
la vita per i fratelli 8.
La
carità è dono di Dio.
3.
Per saziarti, ti sei accostato povero; come ti procurerai
l'altrettanto da preparare? Fanne richiesta proprio a chi ti ha
invitato, per avere di che dargli in cibo. Niente avrai se non te
l'avrà dato egli stesso. Ma possiedi già un po' di carità? Non
attribuirla a te stesso: Che
cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto? 9
Possiedi già un po' di carità? Chiedi che si accresca, chiedi che
giunga a perfezione, fin quando tu non pervenga a quella mensa di cui
non si trova una più lauta in questa vita. Nessuno
ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri
amici 10.
Ti sei accostato povero, torni indietro ricco: anzi, tu non ti
allontani e, restandovi, sarai ricco. Da lui i martiri ricevettero di
che soffrire per lui: siatene certi, lo ebbero da lui. Fu il padre di
famiglia a porgere loro di che offrirgli in cibo. Possediamo lui,
chiediamo a lui. E, se siamo manchevoli quanto all'esserne degni,
presentiamo la nostra domanda per mezzo dei suoi amici, gli amici di
lui, i quali gli avevano offerto a mensa quanto egli aveva loro
donato. Preghino, quelli, per noi, così che il Padre di famiglia lo
accordi anche a noi. E per avere il di più, riceviamo dal cielo.
Ascolta Giovanni che egli ebbe precursore: Nessuno
può prendersi qualcosa se non gli è stato dato dal cielo 11.
Ne
segue che riceviamo dal cielo anche quanto abbiamo; quindi riceviamo
dal cielo di avere il di più.
I
fornicatori non entreranno nella Città di Dio.
4.
È proprio la città quella che discende dal cielo: vediamo di essere
tali da meritare di entrarvi. Avete infatti ascoltato quali vi
entrano e quali ne sono esclusi. Non siate di quelli che, come avete
ascoltato, sono gli esclusi, specialmente i fornicatori. Alla lettura
del passo in cui la Scrittura ha indicato quelli che non entreranno,
dove sono citati anche gli omicidi, voi non vi siete sgomentati. Ha
citato i fornicatori 12,
e l'effetto è giunto al mio orecchio, perché vi siete battuti il
petto. Io l'ho udito, personalmente l'ho udito, l'ho visto io; e di
quel che non ho veduto nei vostri letti mi sono accorto al rimbombo,
l'ho visto sui vostri petti, mentre siete stati a batterli. Cacciate
via di là il peccato: battersi il petto, infatti, e continuare a
fare queste medesime cose, nient'altro è che indurire i peccati
quasi pavimento. Fratelli miei, figli miei, siate casti, amate la
castità, tenetevi stretti alla castità, amate la pudicizia: Dio è
l'autore della pudicizia nel suo tempio, che siete voi, la cerca;
caccia via dal tempio gli impudichi. Contentatevi delle vostre mogli,
dal momento che volete che le vostre mogli si contentino di voi. Come
tu non vuoi che tua moglie abbia occasioni in cui vieni soppiantato,
non averne da parte tua nei suoi confronti. Tu sei il signore, quella
la serva: Dio ha creato entrambi. Sara
- dice
la Scrittura - aveva
rispetto
per Abramo, che chiamava signore 13.
È vero; questi contratti sono a firma del vescovo: le vostre mogli
sono vostre serve, voi, i padroni delle vostre mogli. Ma in
riferimento al rapporto dove i sessi, che sono distinti, si uniscono,
la
moglie non è arbitra del proprio corpo, ma lo è il marito 14.
Ecco, te ne stavi rallegrando, te ne sentivi orgoglioso, ti vantavi:
"Ha detto bene l'Apostolo, il Vaso di elezione ha avuto
un'affermazione della massima chiarezza: La
moglie non è arbitra del proprio corpo, ma lo è il marito. Dunque,
il padrone sono io". L'elogio l'hai fatto: ascolta quel che vien
dopo, sta' a sentire quel che non vuoi: io prego perché diventi tuo
volere. Di che si tratta? Ascolta: Allo
stesso modo anche il marito - quello
che è il padrone - allo
stesso modo anche il marito non è arbitro del proprio corpo, ma la
moglie. Ascolta
questo con buone disposizioni. Ti si toglie di mezzo il vizio, non
l'autorità, ti vengono proibiti gli adulteri, non si riconosce
superiorità alla donna. Tu sei uomo, rivelati tale: "virilità",
infatti, deriva da "virtù", o invertendo, "virtù"
da "virilità". Perciò, possiedi la virtù? Vinci la
libidine. Capo
della moglie - dice
l'Apostolo - è
l'uomo 15.
In quanto capo, sii la guida in modo che ti segua: ma fa' attenzione
dove tu conduci. Tu sei il capo, conduci dove ti deve seguire: evita,
però, di andare dove non vuoi che ti segua. Per non correre il
rischio di finire in un precipizio, bada di fare un percorso
rettilineo. Disponetevi in tal modo a recarvi dalla sposa novella, la
cui bellezza, i cui ornamenti - non di gioielli ma di virtù - sono
per suo marito. Se, quindi, lo avrete fatto da uomini casti e
morigerati e giusti, anche voi farete parte delle membra di quella
novella Sposa, che è la beata e gloriosa celeste Gerusalemme.
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