XIII Domenica Tempo
Ordinario - Anno B – 1 luglio 2018
Rito Romano
Sap 1,13-15; 2,23-24;
Sal 29; 2Cor 8,7.9.13-15; Mc 5,21-43
Rito Ambrosiano
VI Domenica dopo
Pentecoste
Es 3,1-15; Sal 67; 1Cor
2,1-7; Mt 11,27-30
1) Chi tocca la
Vita guarisce, chi è toccato dalla Vita risorge.
Il Vangelo di questa
XIII Domenica del Tempo Ordinario ci presenta Gesù Cristo che
guarisce una donna, la cui malattia peggiorava nonostante le lunghe e
costose cure, e risuscita una ragazzina, risvegliandola dal sonno
della morte.
E’ dunque il Messia
un guaritore e un taumaturgo che offre all’umanità, sempre alla
ricerca di cure efficaci, la risposta alle sue sofferenze,
sconfiggendo la malattia e la morte?
Gesù è stato mandato
dal Padre non per arrivare là dove la scienza e la medicina hanno
fallito, o per realizzare l’utopia di un mondo senza dolore e senza
morte.
I miracoli che Cristo
compie sono, insieme con la predicazione, la buona notizia che
annuncia che è giunta nel mondo la liberazione di Dio, che ridà
all’uomo la sua dignità di figlio di Dio, che ricongiunge l’uomo
al suo Dio, che gli ridà la vita.
Per accogliere davvero
questo Vangelo (=buona notizia) occorre la fede. In effetti il
racconto di due miracoli non attira l’attenzione su questi due
fatti prodigiosi, ma sulla fede di chi li domanda. La
fede è indispensabile al miracolo. Gesù non compie miracoli per
forzare, ad ogni costo, il cuore dell'uomo. I miracoli sono segni a
favore della fede, ma non sminuiscono il coraggio di credere. I
miracoli sono un dono, una risposta alla sincerità dell'uomo che
cerca il Signore: non servono là dove c'è chiusura e ostinazione.
Per questo il Messia non compie miracoli dove gli uomini pretendono
di essere loro a stabilire le modalità dell'agire di Dio.
Quindi,
anche in questi due i casi il miracolo è un dono della libera
iniziativa di Dio, che risponde con amore a chi con fede umile
domanda.
Esaminiamo
più da vicino i due fatti:
Il
miracolo della guarigione della donna che soffriva perdite di sangue
si sarebbe prestato molto bene a sottolineare la potenza di Gesù. A
questa donna è bastato toccare la veste di Gesù per guarire. Ma San
Marco nel suo racconto non sottolinea questo aspetto, ma dà rilievo
al gesto nascosto, ma pieno di fede, della malata.
Perché
la donna desidera non farsi notare e Gesù, invece, sembra far di
tutto per dar risalto al suo gesto?
La
legge dichiarava impura la donna che aveva perdite di sangue, e
impuro toccarla. Ecco perché la donna tocca la veste di Gesù di
nascosto, approfittando della calca, ed ecco perché si sente tanto
colpevole, paurosa e tremante, quando si vede scoperta. Ed è per lo
stesso motivo che Gesù dà pubblicità all'accaduto: per dichiarare
pubblicamente, di fronte a tutti, che non si sente impuro per essere
stato toccato dalla donna. Lui va al di là della purità e impurità
legale e guarda alla fede della donna alla quale dice: “Figlia,
la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male”
( Mc 5, 34). Diventa figlia,
rigenerata nel potere di Gesù, attraverso la
porta della fede che l'ha
“salvata” prima di “guarirla”. Ora
può andare in pace, sanata alla
radice dal male, perché
prima è stata “salvata”.
L'audacia della
sua fede ha aperto il cuore di Dio: toccare Gesù significa la fede
pura e adulta nella quale abbandonarsi a Lui anche dal fondo del
peccato più grave. La
fede, infatti, è toccare Gesù, trascinarlo dentro la nostra vita
mezza morta e impura. E’
fare in modo che si accorga che ci ha salvati, “obbligare”
il potere che
il Signore Gesù sembra sia incapace di controllare.
E’
ancora la fede al centro della guarigione della figlia di Giairo:
“Non temere, soltanto abbi fede” (Id. 5, 36).
Fede
nella potenza di Gesù, una potenza capace di raggiungere la persona
nella sua particolare situazione, e in questo caso vittoriosa persino
sulla morte.
La fede è un atto
umanissimo, vitale, che tende alla vita e si oppone alla morte. La
fede è un atto dell’intelligenza e un abbandono della volontà,
che ci fa aderire a Dio come un bambino aderisce al petto della
madre, poi come i bambini dal cuore semplice restiamo confidenti
nella braccia di Dio.
Commentando
questi due miracoli, papa Francesco ha detto: “Il
messaggio è chiaro, e si può riassumere in una domanda: crediamo
che Gesù ci può guarire e ci può risvegliare dalla morte? Tutto il
Vangelo è scritto nella luce di questa fede: Gesù è risorto, ha
vinto la morte, e per questa sua vittoria anche noi risorgeremo”
(Parole all’Angelus del
29 giugno 2015).
In
effetti, la liturgia della Parola di questa domenica ci invita a
vivere nella certezza della risurrezione: “Gesù è il Signore,
Gesù ha potere sul male e sulla morte, e vuole portarci nella casa
del Padre, dove regna la vita. E lì ci incontreremo tutti, tutti noi
che siamo qui in piazza oggi, ci incontreremo nella casa del Padre,
nella vita che Gesù ci darà” (Id). Dunque, la Risurrezione di
Cristo agisce nella storia come principio di rinnovamento e di
speranza. Chiunque è disperato e stanco fino alla morte, se si
affida a Gesù e al suo amore può ricominciare a vivere. E che vuol
dire vivere se non condividere l’amore vitale che il Signore dona.
In effetti, nel Vangelo di oggi vediamo Gesù che condivide il
dolore di Giairo, uno dei capi della sinagoga, il quale ha la figlia
dodicenne gravemente ammalata, e la sofferenza della donna malata. A
questa ridà la capacità di dare la vita, all’altra dà la vita
perché possa incontrare la Vita: Lui.
All’uomo che ha sete
di vita e di vita che abbia un senso (inteso come significato,
direzione e gusto della vita) Dio non dona un ragionamento che
spieghi tutto, ma offre la sua risposta nella forma di una presenza
che accompagna, di una storia di bene che si unisce a ogni storia di
sofferenza per aprire in essa un varco di luce” (Lumen
Fidei, 57).
Come è entrato nella
casa di Giairo e si è fatto presenza alla di lui piccola figlia,
prendendola per mano, Cristo ci prende per mano e intreccia la sua
vita con la nostra, che così riceve la Vita per sempre.
Come a quella bambina,
Cristo ci rialza, ci fa risorgere. Da Lui riceviamo amore a Lui
restituiamo amore.
Quando questo amore è
donato completamente a Dio si chiama verginità.
Le Vergini consacrate
nel mondo testimoniano che la verginità è la maniera più alta di
amare Dio e di vivere Dio. La loro vita di vergini è testimonianza
dell’amore di Dio e manifestazione della sapienza del cuore
ricevuta da Cristo. Con la vita totalmente donata a Dio queste donne
“predicano il vangelo della Verginità”, secondo il quale “la
fede non è una cosa decorativa, ornamentale; vivere la fede non è
decorare la vita con un po’ di religione” (Papa Francesco), ma è
criterio di base per vivere veramente.
Con umiltà e con fede
amorosa le Vergini consacrate nel mondo si sono donate a Cristo, di
cui ascoltano la Parola con costanza mediante la lettura assidua
della Bibbia e si protendono nel mondo quale vangelo di Verginità “al
fine di amare più ardentemente il Cristo e servire con più libera
dedizione i fratelli” (Premesse del Rito di Consacrazione della
Vergini). Per questo l’esortazione apostolica Vita consecrata
attribuisce loro una sorta di “magistero spirituale”
che le colloca come «guide esperte di vita spirituale» (Vita
consecrata, n. 55). Esse ci insegnano a vivere la fede con il
cuore, ad ascoltare la sua Parola, perché si faccia carne in loro
come accadde a Maria, ed essere così vere evangelizzatrici che
portano al mondo la Parola di Dio che è luce ai passi nostri.
Lettura Patristica
Sant’Efrem,
il Siro (306
– 373)
Diatessaron,
VII, 6, 19-23
La sua fede
arrestò in un istante, come in un batter d’occhio, il flusso di
sangue che era sgorgato per dodici anni. Numerosi medici l’avevano
visitata moltissime volte, ma l’umile medico, il figlio unico la
guardò soltanto un momento. Spesso, quella donna aveva profuso forti
somme per i medici; ma all’improvviso, accanto al nostro medico, i
suoi pensieri sparsi si raccolsero in un’unica fede. Quando i
medici terreni la curavano, ella pagava loro un prezzo terreno (Mc
5,26);
ma quando il medico celeste le apparve, ella le presentò una fede
celeste. I doni terrestri furono lasciati agli abitanti della terra,
i doni spirituali furono elevati al Dio spirituale nei cieli.
I medici stimolavano coi loro rimedi i dolori causati dal male, come una belva abbandonata alla sua ferocia. Così, per reazione, come una belva inferocita, i dolori li diffondevano dappertutto, essi e i loro rimedi. Quando tutti si affrettavano di sottrarsi alla cura di quel dolore, una potenza uscì, rapida, dalla frangia del mantello di Nostro Signore; colpì violentemente il male, lo bloccò e s’attirò l’elogio per il male domato. Uno solo si prese gioco di quelli che s’erano presi gioco per molto. Un solo medico divenne celebre per un male che parecchi medici avevano reso celebre. Proprio quando la mano di quella donna aveva distribuito grandi cifre, la sua piaga non ricevette alcuna guarigione; ma quando la sua mano si tese vuota, la cavità si riempi di salute. Finché la sua mano era ripiena di ricompense tangibili, essa era vuota di fede nascosta, ma quando si spogliò delle ricompense tangibili, fu ripiena di fede invisibile. Diede ricompense manifeste e non ricevette guarigione manifesta; diede una fede manifesta e ricevette una guarigione nascosta. Sebbene avesse dato ai medici il loro onorario con fiducia, non trovò per il suo onorario una ricompensa proporzionata alla sua fiducia; ma quando diede un prezzo preso con furto, allora ne ricevette il premio, quello della guarigione nascosta...
E coloro che non erano stati capaci di guarire quest’unica donna coi loro rimedi, guarivano frattanto molti pensieri con le loro risposte. Nostro Signore, invece, capace di guarire ogni malato, non voleva mostrarsi capace di rispondere anche ad un solo interrogativo; conosceva quella risposta, ma descriveva in anticipo coloro che avrebbero detto: "Tu, con la tua venuta, dai testimonianza di te stesso; la tua testimonianza non è vera" (Jn 8,13). La sua potenza aveva guarito la donna, ma il suo parlare non aveva persuaso quella gente. Eppure, per quanto la sua lingua restasse muta, la sua opera risuonava come una tromba. Col suo silenzio soffocava l’orgoglio arrogante; con la sua domanda: "Chi mi ha toccato?" (Lc 8,45) e con la sua opera, la sua verità era proclamata.
Se non ci fosse che un senso da dare alle parole della Scrittura, il primo interprete lo troverebbe, e gli altri uditori non avrebbero più il lavoro pesante della ricerca, né il piacere della scoperta. Ma ogni parola di Nostro Signore ha la sua forma, e ogni forma ha molti membri, e ogni membro ha la sua fisionomia propria. Ciascuno comprende secondo la sua capacità, e interpreta come gli è dato.
I medici stimolavano coi loro rimedi i dolori causati dal male, come una belva abbandonata alla sua ferocia. Così, per reazione, come una belva inferocita, i dolori li diffondevano dappertutto, essi e i loro rimedi. Quando tutti si affrettavano di sottrarsi alla cura di quel dolore, una potenza uscì, rapida, dalla frangia del mantello di Nostro Signore; colpì violentemente il male, lo bloccò e s’attirò l’elogio per il male domato. Uno solo si prese gioco di quelli che s’erano presi gioco per molto. Un solo medico divenne celebre per un male che parecchi medici avevano reso celebre. Proprio quando la mano di quella donna aveva distribuito grandi cifre, la sua piaga non ricevette alcuna guarigione; ma quando la sua mano si tese vuota, la cavità si riempi di salute. Finché la sua mano era ripiena di ricompense tangibili, essa era vuota di fede nascosta, ma quando si spogliò delle ricompense tangibili, fu ripiena di fede invisibile. Diede ricompense manifeste e non ricevette guarigione manifesta; diede una fede manifesta e ricevette una guarigione nascosta. Sebbene avesse dato ai medici il loro onorario con fiducia, non trovò per il suo onorario una ricompensa proporzionata alla sua fiducia; ma quando diede un prezzo preso con furto, allora ne ricevette il premio, quello della guarigione nascosta...
E coloro che non erano stati capaci di guarire quest’unica donna coi loro rimedi, guarivano frattanto molti pensieri con le loro risposte. Nostro Signore, invece, capace di guarire ogni malato, non voleva mostrarsi capace di rispondere anche ad un solo interrogativo; conosceva quella risposta, ma descriveva in anticipo coloro che avrebbero detto: "Tu, con la tua venuta, dai testimonianza di te stesso; la tua testimonianza non è vera" (Jn 8,13). La sua potenza aveva guarito la donna, ma il suo parlare non aveva persuaso quella gente. Eppure, per quanto la sua lingua restasse muta, la sua opera risuonava come una tromba. Col suo silenzio soffocava l’orgoglio arrogante; con la sua domanda: "Chi mi ha toccato?" (Lc 8,45) e con la sua opera, la sua verità era proclamata.
Se non ci fosse che un senso da dare alle parole della Scrittura, il primo interprete lo troverebbe, e gli altri uditori non avrebbero più il lavoro pesante della ricerca, né il piacere della scoperta. Ma ogni parola di Nostro Signore ha la sua forma, e ogni forma ha molti membri, e ogni membro ha la sua fisionomia propria. Ciascuno comprende secondo la sua capacità, e interpreta come gli è dato.
È così che una donna si presentò a lui e che la guarì. Si era presentata davanti a parecchi uomini che non l’avevano guarita; avevano perduto il loro tempo con lei. Ma un uomo la guarì, quando il suo volto era girato da un’altra parte; egli biasimava così coloro che, con grande cura, si volgevano verso di lei, ma non la guarivano: "La debolezza di Dio è più forte degli uomini" (1Co 1,25). Sebbene il volto umano di Nostro Signore non poté guardare che da una sola parte, la sua divinità interiore aveva occhio dappertutto poiché vedeva da ogni lato.