Rito Romano
6 agosto 2017- Trasfigurazione
– XVIII Domenica del Tempo Ordinario
Rito Ambrosiano
Domenica IX dopo Pentecoste –
Trasfigurazione
1) Trasfigurazione
di Cristo e nostra.
Oggi il Vangelo ci presenta l’evento
della Trasfigurazione, partendo dal fatto che “Gesù prese con sé Pietro,
Giacomo e Giovanni e li condusse in disparte, su un alto monte” (Mt 17,1) a pregare (Lc
9,28). Mentre pregava, Cristo risplendette e rivelò ai discepoli eletti di essere
luce da luce ineffabile e che i più grandi Profeti erano con lui.
Dio è luce, e Gesù dona ai suoi amici più intimi l’esperienza di
questa luce, che dimora in Lui. Così, dopo questo avvenimento, Egli sarà in
loro luce interiore, capace di proteggerli dagli assalti delle tenebre. Anche
nella notte più oscura, Gesù è la lampada che non si spegne mai. Sant’Agostino
riassume questo mistero con una espressione bellissima, dice: «Ciò che per gli
occhi del corpo è il sole che vediamo, lo è (Cristo) per gli occhi del cuore» (Sermo 78, 2: PL 38, 490).
Sul
Tabor, monte sul quale Cristo sale per pregare, il Figlio di Dio fatto uomo,
mostra che è la preghiera a “provocare” la splendida visione di ciò che Lui è e
di quello a cui siamo destinati ad essere. Mentre
si manifesta la verità divino-umana di Cristo avviene anche una trasfigurazione
dei discepoli: “Si tratta infatti della trasfigurazione di Nostro Signore Gesù
Cristo, ma è quella soprattutto dei discepoli che vi assistevano,
trasfigurazione che era per loro una certa visione della Divinità, un’immagine
del mondo futuro, un preludio della venuta gloriosa del Signore” (Gregorio
Palamas).
A noi in preghiera, come ai tre
Apostoli circa duemila anni fa sul monte Tabor, monte della preghiera, Gesù si mostra trasfigurato, luminoso,
bellissimo. Anche a noi, testimoni scelti dal suo amore,
il Signore manifesta la sua gloria, e quel corpo che gli è comune col resto
degli uomini, lo illumina di tale fulgore, che il suo volto si fa splendente
come il sole e le sue vesti divengono candide come la neve.
L’importante che anche noi saliamo con
il Figlio di Dio, l’Amato, sul monte a pregare.
La montagna nella Bibbia rappresenta
il luogo della vicinanza con Dio e dell’incontro intimo con Lui; il luogo della
preghiera, dove stare alla presenza del Signore.
Saliamo anche noi con Cristo sul “monte” della
preghiera, per contemplare sul suo volto umano la luce gloriosa di Dio.
Saliamo con Cristo sulla montagna
per trovare noi stessi in Cristo e ascoltare
Lui, perché nel luogo della vicinanza con Dio c’è pure dato lo spazio del
silenzio dove percepiamo meglio la Sua voce.
Questo nostro
salire per incontrare Dio non ci stacca dalla terra, anzi ci spinge a “scendere
dalla montagna” e “ritornare” in basso, nella pianura, dove incontriamo sorelle
e fratelli appesantiti da fatiche, malattie, ingiustizie, ignoranze, povertà
materiale e spirituale. A questi nostri fratelli e sorelle che sono in
difficoltà, siamo chiamati a portare i frutti dell’esperienza che abbiamo fatto
con Dio, condividendo la grazia ricevuta la parola ascoltata” (Papa Francesco).
Questa parola
è un suono carico di una presenza da accogliere con devozione e amore. E’ molto
importante l’invito del Padre: “Questo è
il mio Figlio, l’Amato, ascoltatelo” (Mt
17, 6).
Noi, discepoli
di Gesù oggi, siamo chiamati ad essere persone che ascoltano la sua voce e
prendono sul serio le sue parole.
2) Origine
e destino.
A questo punto, credo sia utile ricordare che lo scopo principale
della Trasfigurazione, fu ed è di permettere al cuore dei discepoli (e al
nostro cuore) di non scandalizzarsi quando la Croce sfigura l’umanità di
Cristo. Questa manifestazione di luce e di verità è voluta perché l’umiliazione
della imminente passione volontaria di Cristo non turbasse la fede di coloro ai
quali era stata rivelata la grandezza della sua dignità nascosta. Non è un
caso che il racconto della Trasfigurazione sia collocato dal Vangelo durante l’ascesa
di Gesù a Gerusalemme, in un contesto di passione annunciata ai discepoli. Lo
ha ben compreso la liturgia della Chiesa d’Oriente, che nel Kondakion (testo poetico-musicale liturgico) della
festa canta: “I discepoli, per quanto ne erano capaci, contemplavano la tua
gloria, Signore, affinché nell’ora della croce comprendessero che la tua
passione era volontaria”. San Gregorio di Nazianzo vide giustamente
nella Trasfigurazione la sintesi del Vangelo, l’annuncio del mistero pasquale:
annunciato davanti alla Chiesa, raffigurata da Pietro, Giacomo e Giovanni, e
davanti all’Antico Testamento: la Legge (rappresentata da Mosé) e i profeti
(rappresentati da Elia), apparsi a condividere la gloria del Figlio di Dio.
Va
pure ricordato che il fatto della Trasfigurazione è fondamento della speranza
della Chiesa: infatti “l’intero Corpo mistico di Cristo diventava consapevole
della trasformazione che gli era riservata e le membra potevano
ripromettersi la partecipazione a quella gloria, che avevano vista risplendere
nel capo (San Leone Magno, Sermo LI, 2-3, 5-8: PL 54, 310-313). Dunque, la trasfigurazione è un mistero centrale nella
fede cristiana, caparra della resurrezione e profezia della trasfigurazione di
ogni carne, di ciascuno di noi in Dio. Gesù sul Tabor, monte della preghiera, mostra chi è e che “traeva quello
splendore dalla propria natura; perciò non aveva bisogno di pregare per far
risplendere di luce divina il suo corpo ma, pregando, non fece altro che
indicare l’origine sua e il destino nostro: lo splendore di Dio che rischiara e
sostiene con la luce del suo volto, come è detto nel Vangelo: “I giusti
splenderanno come il sole nel regno del Padre loro” (Mt 13, 43)
(Sant’Ambrogio da Milano).
Sorpresi dalla gioia della
trasfigurazione del Figlio di Dio e di noi
discepoli ci viene spontaneo fare nostra l’esclamazione di San Pietro: “Signore è bello per noi stare qui; se
vuoi farò qui tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia”(Mt 17, 4). Ma dando ascolto a Cristo che
manifesta l’amore di Dio capiremmo che non ha senso preparare una tenda terrena
a colui che abita nei cieli. Il Redentore non è venuto per avere una casa sulla
terra, Lui che non volle possedere neanche una pietra su cui posare il capo.
Non è venuto per abitare sulla terra in una casa costruita da noi ma per
sollevarci nella dimora che Lui ci ha preparato lassù.
“E’ bello per noi stare qui”. Certo, è
bello restare con Cristo sul monte, ma è di gran lunga più bello andare là dove
saremo veramente felici, nella patria eterna. Se è bella questa gioia
momentanea, pensiamo quanto più bella sarà la felicità eterna. Se ci fa gioire
la vista dell’umanità di Cristo anche se per breve tempo rivestita di gloria,
proviamo a immaginare quale e quanta sarà la gioia che colmerà la nostra anima
nella contemplazione eterna dell’Amore eterna che per sempre ci tiene nelle sue
braccia.
Ma prima, come Cristo ha patito per noi,
così anche noi dobbiamo soffrire per Lui. E’ davvero necessario che, scendendo
a valle, noi gli siamo compagni nella passione affinché, dopo, possiamo essere
partecipi della sua gloria. Là egli stesso accoglierà ciascuno di noi e quanti
amiamo nelle tende eterne. Là, veramente, sono preparate non tre tende, una per
Cristo, una per Mosè e una per Elia, ma una sola tenda, per il Padre, per il
Figlio e per lo Spinto Santo: e questa tenda sarai tu stesso. Allora “Dio sarà
tutto in tutti” (1 Cor 15,28),
quando, come leggiamo nell’Apocalisse: “La dimora di Dio sarà con gli uomini ed
essi saranno suo popolo ed egli sarà Dio-con- loro” (Ap 21,3). In quanto battezzati siamo già questa dimora, questo
Tempio dello Spirito Santo. E per vivere questo essere dimora divina guardiamo
alla testimonianza profetica delle vergini consacrate. Queste donne con il loro
“proposita” hanno accolto completamente Cristo
abbandonandosi totalmente a Lui e affidandosi
alla potenza del suo amore. Continuano ad accoglierlo collaborando attivamente
con lui portando il suo amore incarnato e redentivo nel mondo dove lavorano.
dell'Incarnazione redentrice. Non cessano mai di accoglierlo nella loro vita, ascoltando
nella preghiera e servendolo tra i loro fratelli e sorelle in umanità. Queste
consacrate testimoniano che La trasfigurazione non è un avvenimento
che arriva a un certo momento dell’esistenza, dopo la morte, ma dal momento che
si aderisce a Gesù. Dal momento di questa adesione a Cristo c’è una
trasformazione costante. Più si accoglie il suo amore e più ci si trasforma, di
gloria in gloria, cioè si rende visibile l’amore ricevuto, comunicandolo agli
altri.
Lettura Patristica
San Leone Magno (400 – 460)
Sermo 38 [51], 2-3.5
[Il Salvatore] insegnò che coloro che avessero in mente di seguirlo debbono rinunciare a se stessi e tenere in poco conto la perdita dei beni materiali in vista di quelli eterni; infatti, salverà sicuramente la propria anima chi non avrà avuto paura di perderla per Cristo (Mt 16,25).
Era per altro necessario che gli apostoli concepissero davvero nel loro cuore quella forte e beata fermezza, e non tremassero di fronte alla rudezza della croce che dovevano assumersi occorreva che non arrossissero minimamente del supplizio di Cristo, né che stimassero vergogna per lui la pazienza con la quale doveva subire gli strazi della sua Passione senza perdere la gloria della sua potestà. Cosi, Gesù prese con sé Pietro, Jc e Giovanni suo fratello (Mt 17,1), e, dopo aver salito con essi l’erta di un monte appartato, si manifestò loro nello splendore della sua gloria; infatti, benché avessero compreso che la maestà di Dio era in lui, ignoravano ancora la potenza detenuta da quel corpo che celava la Divinità. Ecco perché aveva promesso in termini netti e precisi "che alcuni dei discepoli non avrebbero gustato la morte prima di aver visto il Figlio dell’uomo venire nel suo regno" (Mt 16,28), cioè nello splendore regale che egli voleva rendere visibile a quei tre uomini, in modo conveniente alla natura umana da lui assunta. Infatti, in ciò che attiene la visione ineffabile e inaccessibile della Divinità in sé, visione riservata ai puri di cuore (Mt 5,8) nella vita eterna, esseri ancora rivestiti di carne mortale non avrebbero potuto in alcun modo né contemplarla né vederla.
Il Signore svela
dunque la sua gloria alla presenza di testimoni scelti e illumina questa comune
forma mortale di splendore tale che il suo viso diviene simile al sole e le sue
vesti sono paragonabili al bianco della neve (Mt 17,2). Senza dubbio, la
Trasfigurazione aveva soprattutto lo scopo di rimuovere dal cuore dei discepoli
lo scandalo della croce, affinché l’umiltà della Passione volontariamente
subita non turbasse la fede di coloro ai quali sarebbe stata rivelata
l’eccellenza della dignità nascosta.
Con eguale
previdenza, egli dava però nel contempo un fondamento alla speranza della santa
Chiesa, in modo che il corpo di Cristo conoscesse di quale trasformazione
sarebbe stato gratificato, e i membri si sforzassero da sé di partecipare
all’onore che aveva rifulso nel Capo. A tal proposito, il Signore stesso aveva
detto, parlando della maestà del suo avvento: "Allora i giusti
risplenderanno come il sole nel regno del loro Padre" (Mt 13,43); e il beato apostolo
Paolo afferma la stessa cosa in questi termini: "Stimo, infatti, che le
sofferenze del tempo presente non siano da paragonare con la gloria di cui
saremo rivestiti" (Rm 8,18); e ancora: "Voi
infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio; quando
Cristo sarà manifestato, egli che è la vostra vita, anche voi sarete
manifestati con lui nella gloria" (Col 3,3-4)...
Animato da questa
rivelazione dei misteri, preso da disprezzo per i beni di questo mondo e da
disgusto per le cose terrene lo spirito dell’apostolo Pietro era come rapito in
estasi nel desiderio dei beni eterni; pieno di gioia per quella visione, si augurava
di abitare con Gesù in quel luogo in cui la sua gloria si era così manifestata,
costituendo tutta la sua gioia; così disse: "Signore è bello per noi
restar qui; se vuoi facciamo qui tre tende, una per te, una per Mosè e una per
Elia" (Mt 17,4). Ma il Signore non
rispose a quella proposta, volendo dimostrare non certo che quel desiderio
fosse cattivo, bensì che era fuori posto il mondo, infatti, non poteva essere
salvato se non dalla morte di Cristo e l’esempio del Signore invitava la fede
dei credenti a comprendere che, senza arrivare a dubitare della felicità
promessa, dobbiamo tuttavia, in mezzo alle tentazioni di questa vita, chiedere
la pazienza prima della gloria; la felicità del Regno non può, in effetti,
precedere il tempo della sofferenza.
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