venerdì 25 agosto 2017

Un dialogo fra amici: “Tu sei il Cristo”, “Tu sei Pietro”

Rito Romano
XXI Domenica del Tempo Ordinario - 27 agosto 2017


Rito Ambrosiano
Domenica che precede il Martirio di san Giovanni il Precursore






1) Tu sei il Cristo.
Nel Vangelo di oggi Gesù fa due domande agli Apostoli.
La prima è: “La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo?” (Mt 16,13). Loro gli risposero che per alcuni Lui era Giovanni Battista, per altri Elia, Geremia o qualcuno dei profeti.
La seconda è: “Ma, Voi chi dite che io sia?” (Mt 16, 15). A nome di tutti i discepoli, Pietro professa la fede che resta quella della Chiesa di tutti i secoli: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16,16). Infatti, da quel giorno la Chiesa continua a ripetere questa solenne professione di fede. Anche noi quest’oggi siamo chiamati a lasciare che Dio parli ai nostri cuori come ha parlato a quelli degli apostoli. Se ascolteremo le parole evangeliche con fede perfetta e con amore perfetto capiremo il significato vero di queste parole: “Gesù, il Cristo, il Verbo, il Figlio dell’uomo e di Dio” e proclameremo con profonda convinzione: “Gesù, tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”(Id.). Lo facciamo con la consapevolezza che è Cristo il vero “tesoro”, la “perla” di valore inestimabile, per cui vale la pena di sacrificare tutto, come è stato ricordato la domenica XVII del Tempo Ordinario - del 30 luglio 2017.
Lui è l’amico che non ci abbandona mai, perché è l’Emmanuele, il Dio sempre con noi che conosce le attese più intime del nostro cuore. Gesù è il “Figlio del Dio vivente”, il Messia promesso, venuto sulla terra per offrire all’umanità la salvezza e per soddisfare la sete di vita e di amore che abita nel cuore di ogni essere umano. Questa sete è soddisfatta dalla Misericordia divina che è sempre pronta a donarsi a chi si converte nel cuore e lo chiede alla Chiesa.
Va dunque tenuto presente che Cristo non rivolge queste due domande ai discepoli per conoscere una o più opinioni su di Lui. Non ha bisogno di sapere quello che gli uomini pensano di Lui. Con questa duplice domanda Gesù chiede un atto di fede in Lui, che ha come conseguenza la sequela. “Gesù non ha detto ‘Conoscimi!’ ha detto ‘Seguimi!’. Seguire Gesù con le nostre virtù e nonostante i nostri peccati. L’importante è seguire sempre Gesù. Non è uno studio di cose che è necessario, ma è una vita di discepolo. Ci vuole un incontro quotidiano con il Signore, tutti i giorni, con le nostre vittorie e le nostre debolezze”(Papa Francesco).
Ovviamente, la domanda di Cristo non nasce da una crisi di identità, ma si offre come strada per portare i discepoli dentro il suo mistero di verità e di amore. La domanda del Messia è una vocazione a seguirlo. E questa sequela non si fonda sull’adesione ad una teoria, ma sulla solidità di una presenza, che è salda come la pietra.
Cristo è la Pietra vivente, e Pietro è scelto come sua pietra. I due non si escludono. Cristo, Pietra angolare, chiama Pietro ad una assimilazione progressiva, a farsi sempre più discepolo e ad essere la Pietra apostolica, perché, nonostante la sua fragilità ed il suo peccato, ama il suo Signore più di tutti gli altri e deve confermarli in quella fede operosa che è l’amore.
Per questo il Papa è colui che preside alla carità e conferma la nostra fede con il ministero della verità e della misericordia, e che usa le chiavi del Regno per riconciliare le persone con Dio e tra di loro. Le Chiavi consegnate a Pietro sono le chiavi della grazia, della misericordia, del perdono, della speranza e della gioia.
Facciamo nostra la risposta di Pietro che non ha risposto alle domande di Cristo con una teoria, ma con una professione di fede. Il problema non è interrogare Dio, ma lasciarci interrogare da Lui. Lui è e resta sempre un mistero; rispondergli, invece, costituisce l’avventura di essere uomini: l’avventura della sequela di Colui , che è Via, Verità e Vita.
La fede è l’accoglienza di Lui, il seguire Lui, la comunione d’amore con Lui. E’ la redenzione nostra e del mondo.


2) Tu sei Pietro.
Alla confessione di Pietro: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16, 16), Gesù replica: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli” (Mt 16, 18).
La professione di fede di Pietro, l’umile pescatore di Galilea, è voce dei suoi condiscepoli e oggi indica a noi la presenza divina e il luogo della salvezza per ogni uomo e donna della terra. Su questa “pietra” della fede si edifica la nuova comunità umana riconciliata e sposata con Dio.
E’ vero che la Chiesa è edificata dal Signore: “Su questa pietra edificherò la mia Chiesa”, perché la Chiesa è puro dono di Dio, per accogliere e salvare tutti con tutti i limiti e gli errori dell’umanità ferita e peccatrice.
E’ vero anche che sulla fede di Pietro Cristo fonda la sua Chiesa, con il potere di legare e di sciogliere, di perdonare e di santificare, con la missione di evangelizzare, di annunciare la buona notizia a tutto il mondo. La Chiesa è stabilita sulla comunione con Pietro e nell’obbedienza a Pietro. Consola e conforta sentire anche oggi la parola del Signore che sigilla questo disegno di Dio: “Le potenze degli inferi non prevarranno su di essa”. Dà forza poter camminare anche nel mondo di oggi, non con presunzione, ma con la certezza che a condurre la Chiesa è lo Spirito di Dio 
La parola Chiesa, in greco ekklésia,  significa “convocazione”, “assemblea” e indica il popolo che si riunisce convocato dalla Parola di Dio, e che cerca di vivere il messaggio del Regno portato da Cristo. La Chiesa ha come missione quella di attuare il disegno grandioso di Dio: riunire in Cristo l’umanità intera in un’unica famiglia.
La missione di Pietro, e dei suoi successori, è proprio quella di servire quest’unità dell’unica Chiesa di Dio formata da tutti i popoli di tutto il mondo. Il suo ministero indispensabile è far in modo che essa non si identifichi mai con una sola nazione, con una sola cultura, ma che sia la Chiesa di tutti i popoli, per rendere presente fra gli uomini, segnati da innumerevoli divisioni e contrasti, la pace di Dio e la forza rinnovatrice del suo amore.
La missione peculiare del Papa, Vescovo di Roma e successore di Pietro, è di servire l’unità interiore che proviene dalla pace di Dio, l’unità di quanti in Gesù Cristo sono diventati fratelli e sorelle.
Uniti al Santo Padre, siamo tutti chiamati ad essere missionari di Cristo e testimoni del suo amore. La chiave che a noi tutti è data è quella della croce, che implica il dono di se stessi. In comunione con il Papa siamo chiamati a offrire - nella nostra vita, salvata e colma dell’amore di Dio - una pietra su cui ogni persona umana possa posare i suoi dolori, le incertezze e i dubbi.
“Beati” noi, scelti per annunciare il Vangelo: per questo, in ogni circostanza, il potere infinito dell'amore di Dio risplendente nella Gloria della sua risurrezione, ci terrà stretti alla sua Croce, chiave del regno di Dio.
Cristo ha consegnato a Pietro le “chiavi” del Regno, chiamandolo ad essere crocifisso con Lui, a portare con Lui il suo giogo leggero e soave sulle spalle, per imparare l'umiltà e la mitezza con le quali “sciogliere” gli uomini dalla schiavitù al mondo, alla carne e al demonio, e “legarli” a Lui, a Cristo in un'alleanza che non avrà mai fine.
Le vergini consacrate ne sono le testimoni speciali, perché, “legandosi” totalmente e solamente a Cristo, stanno abbracciate a Lui in croce. La virginità è la crocefissione di sé per donarsi a Dio, per inchiodarsi al suo amore abbracciando Cristo in Croce. La verginità non è riducibile a una rinuncia, non è una limitazione, ma un potenziamento dell’amore come dono che consacra la persona nell’Amore e trasforma l’amante nell’Amato. L’amore vissuto verginalmente è un amore crocifisso non perché è un amore mortificato, ma perché è un amore “sacrificato”, cioè reso sacro dal totale dono di se stessi a Dio.

Lettura patristica
Cipriano di Cartagine (ca 210 – 258)
De Eccl. unitate, 4-5


       Il Signore dice a Pietro: "
Io ti dico: tu sei Pietro, e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa. Io ti darò le chiavi del regno dei cieli: ciò che tu legherai sulla terra, sarà legato anche in cielo, e cio che tu scioglierai sulla terra, sarà sciolto anche in cielo (Mt 16,18s). Su uno solo egli edifica la Chiesa, quantunque a tutti gli apostoli, dopo la sua risurrezione, abbia donato uguali poteri dicendo: "Come il Padre ha mandato me, così io mando voi. Ricevete lo Spirito Santo! A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi, e a chi li riterrete, saranno ritenuti" (Jn 20,21-23). Tuttavia, per manifestare l’unità, costituì una cattedra sola, e dispose con la sua parola autoritativa che il principio di questa unità derivasse da uno solo. Quello che era Pietro, certo, lo erano anche gli altri apostoli: egualmente partecipi all’onore e al potere; ma l’esordio procede dall’unità, affinché la fede di Cristo si dimostri unica. E a quest’unica Chiesa di Cristo allude lo Spirito Santo nel Cantico dei Cantici quando, nella persona del Signore, dice: "Unica è la colomba mia, la perfetta mia, unica di sua madre, la prediletta della sua genitrice" (Ct 6,9). Chi non conserva quest’unità della Chiesa, crede forse di conservare la fede? Chi si oppone e resiste alla Chiesa, confida forse di essere nella Chiesa? Eppure è anche il beato apostolo Paolo che lo insegna, e svela il sacro mistero dell’unità dicendo: "Un solo corpo e un solo spirito, una sola speranza della vostra vocazione un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, un solo Dio (Ep 4,4-6).


Innocenzo III (1161 – 1216)
Sermo 21

       "
Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli" (Mt 16,17)... che inabita le celesti menti e le illumina con la luce di verità. "Ha nascosto", infatti, "queste cose ai sapienti e le ha rivelate ai piccoli" (Mt 11,25), quale è Pietro, non superbo, bensì umile. Perciò Simone viene benedetto, come dire dichiarato obbediente; figlio di Giona, ovvero di Giovanni, che si interpreta grazia di Dio; infatti la virtù dell’obbedienza procede dalla grazia divina.

       Tale beatitudine si sostanzia soprattutto di conoscenza e di amore, come dire di fede e di carità. Delle quali virtù, l’una è prima, l’altra è precipua... Entrambe, il Signore le richiese da Pietro: la fede, quando gli dette le chiavi; la carità, quando gli affidò il gregge (
Jn 21). Nella concessione delle chiavi, interrogando sulla fede, chiese: "Ma voi chi dite che io sia? E Pietro rispose: Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio vivo" (Mt 16,15-16). Nell’affidamento del gregge, esigendo la carità, chiese: "Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro? Ed egli rispose: Signore, tu sai che io ti amo" (Jn 21,15)...

       Quale e quanta fosse la fede di Pietro, lo indicò senza dubbio la sua risposta: "
Tu sei" - egli disse - "il Cristo, il Figlio del Dio vivo. Infatti, con il cuore si crede per ottenere la giustizia e con la bocca si fa la professione della fede per avere la salvezza" (Rm 10,10). Egli confessa difatti in Cristo due nature e una persona. La natura umana, quando dice: "Tu sei il Cristo", che significa "unto", secondo l’umanità, come afferma di lui il Profeta: "Il tuo Dio ti ha unto con olio di letizia, a preferenza dei tuoi eguali" (Ps 44,8). La natura divina, quando aggiunge: "Figlio del Dio vivo"...

       Quindi non "
sei" soltanto Figlio dell’uomo, ma anche "Figlio di Dio": non morto, in ogni caso come gli dèi dei gentili... bensì "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivo", che vive in sé e vivifica l’universo, "nel quale viviamo, ci muoviamo e siamo" (Ac 17,28). Una cotal fede il Signore non permise che subisse l’erosione di alcuna tentazione. Per cui, quando disse al beato Pietro, all’approssimarsi della Passione: "Simone, ecco Satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano", aggiunse subito: "Ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli" (Lc 22,31-32). Si può infatti ritenere che talvolta abbia dubitato, ragion per cui il Signore lo rimproverò: "Uomo di poca fede, perché hai dubitato?" (Mt 14,31); tuttavia, poiché convalidò la solidità della sua fede, lo liberò all’istante dal pericolo pelagiano.

       Questa fede vera e santa, non procedette da formulazione umana, ma da rivelazione divina. Motivo per cui Cristo concluse: "
Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre che sta nei cieli". Su questa fede quasi su pietra, è fondata la Chiesa; ecco perché il Signore aggiunse: "Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa" (Mt 16,17-18). Questa dignità si esplicita in due modi, in quanto il beatissimo Pietro è nientemeno fondamento e insieme capo della Chiesa. In effetti, va detto che primo ed essenziale fondamento è Cristo, così come afferma l’Apostolo: "Nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo" (1Co 3,11), esistono tuttavia fondamenta di second’ordine e secondari, ovvero gli apostoli e i profeti e, in merito a ciò, dice l’Apostolo: "Edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti" (Ep 2,20), dei quali altrove è detto per bocca del Profeta: "Le sue fondamenta sono sui monti santi" (Ps 86,1). Tra questi, il beatissimo Pietro è primo e precipuo.


venerdì 18 agosto 2017

Un grido che ottiene la salvezza.

Rito Romano
XX Domenica del Tempo Ordinario - 20 agosto 2017



Rito Ambrosiano
Domenica XI dopo Pentecoste




1) Il grido della fede per invocare un dono non per pretenderlo.
Domenica scorsa, abbiamo meditato sulla preghiera filiale di Cristo, che esprime la sua esigenza di stare con il Padre, e sulla preghiera di Pietro che per stare con Cristo gli grida: “Signore, salvami”. Il Vangelo di oggi ci fa ascoltare il grido di una donna pagana che - in modo supplice e fiducioso - si rivolge al Messia dicendo: “Pietà di me, Signore, figlio di Davide!”. Questa donna implora Cristo di liberare sua figlia dal demonio. Chiede umilmente al Signore di compiere un miracolo, ma non esige l’intervento divino come un diritto, lo aspetta come un dono. Lo domanda a Colui che è dono, riconoscendo in lui il Signore e Messia. La sua fede è tutta racchiusa nell’espressione: “Pietà di me, Signore, Figlio di Davide”.
Ancora una volta la Liturgia ci fa contemplare il “Vangelo della Grazia” che risponde al desiderio di salvezza e per questo ci fa pregare: “Infondi in noi la dolcezza del tuo amore, perché amandoti in ogni cosa e sopra ogni cosa, otteniamo i beni da te promessi, che superano ogni desiderio” (Colletta).
Pregando in questo modo ci mettiamo nell’orizzonte sconfinato dell’amore di Dio per noi, amore che ci attira a Lui per colmarci di gioia.
L’episodio raccontato dal Vangelo di oggi s’inserisce e si comprende in questa logica dell’amore tenero ed infinito di Dio. In esso San Matteo ci racconta di un incontro che si svolge “in terra straniera” con una donna pagana, che è una madre oppressa da un dolore angosciante (“Mia figlia è molto tormentata da un demonio”). Questa madre ottenne quello che domandava. Il racconto evangelico di oggi ci racconta la storia di un dolore aperto alla fede e di una fede diventata miracolo e liberazione.
La donna Cananea si rivolge a Gesù, sicura di essere esaudita. La sua fede è insistente, coraggiosa, umile, più forte dell’apparente rifiuto. La fede deve essere nel contempo sicura e paziente. Non deve lasciarsi scoraggiare nemmeno dal silenzio di Dio: “Non le rivolse neppure la parola”. Può sembrare sconcertante il silenzio di Gesù, tanto che suscita l’intervento dei discepoli, ma non si tratta di insensibilità al dolore di quella donna.
Sant’Agostino commenta giustamente: “Cristo si mostrava indifferente verso di lei, non per rifiutarle la misericordia, ma per infiammarne il desiderio” (Sermo 77, 1: PL 38, 483). L’apparente presa di distanza di Gesù, che dice: “Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa di Israele” (Mt 15, 24), non scoraggia la cananea, che insiste: “Signore, aiutami!” (Mt 15, 25). E anche quando riceve una risposta che sembra chiudere ogni speranza - “Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini” (Mt 15, 26) -, non desiste. Non vuole togliere nulla a nessuno: nella sua semplicità e umiltà le basta poco, le bastano le briciole, le basta solo uno sguardo, una buona parola del Figlio di Dio. E Gesù rimane ammirato per una risposta di fede così grande di questa madre e le dice: “Avvenga per te come desideri” (Mt 15, 28) e a partire da quell’istante sua figlia fu guarita.

2) Domanda perseverante a chi ci ama.
La guarigione di una giovane donna non è il solo miracolo di cui parla il Vangelo oggi. Durante il dialogo tra Cristo e la donna Cananea, che mendica una grazia, è avvenuto un altro miracolo più grande della guarigione di sua figlia. Questa madre è diventata una “credente”, una delle prime credenti provenienti dal paganesimo.
Se il Messia l’avesse ascoltata alla prima richiesta, tutto quello che questa donna avrebbe conseguito sarebbe stata la liberazione della figlia. La vita sarebbe trascorsa con qualche fastidio in meno. Ma tutto sarebbe finito lì e, alla fine, madre e figlia sarebbero morte nell’anonimato. Invece così si parlerà di questa anonima donna pagana fino alla fine del mondo. E, forse, Gesù ha preso lo spunto proprio da questo incontro per proporre la parabola della vedova importuna sulla “necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai”.
Nell'insistenza della donna cananea traspare la fiducia nel potere di Gesù. Lui cercava di starsene nascosto, ma la fama che lo accompagnava gli impediva un solo istante di tregua. Lui era lì per lei (e oggi Lui è qui per noi). E lei lo aveva capito. La sua presenza in quel territorio non ebreo, “nella zona di Tiro e di Sidone”, non poteva essere il frutto di un caso. Aveva intuito il tempo favorevole per la salvezza della figlia. Questa certezza la muove, la spinge sino a Gesù. La certezza della fede piena di speranza la getta ai piedi di Cristo che dice:  “Donna, davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri” (Mt 15,28). Sì, questa donna ha una fede grandissima. “Pur non conoscendo né gli antichi profeti, né i recenti miracoli del Signore, né i suoi comandamenti né le sue promesse, anzi, respinta da lui, persevera nella sua domanda e non si stanca di bussare alla porta di colui che per fama gli era stato indicato come salvatore. Perciò la sua preghiera viene esaudita in modo visibile e immediato” (San Beda il Venerabile, Omelie sui Vangeli I, 22 : PL 94, 102-105).
La preghiera insistente di questa donna non nasce solamente dalla necessità di ottenere la guarigione della figlia, nasce dalla fede che non è il risultato di una teoria o di un bisogno ma di un incontro con Cristo il Figlio del “Dio vivente che chiama e svela il suo amore” (Papa Francesco, Lumen Fidei, 4), con un gesto di misericordia.
Inoltre, l’episodio, sul quale stiamo meditando, ci fa capire che nella preghiera di domanda al Signore non dobbiamo attenderci un compimento immediato di ciò che noi chiediamo, ma affidarci piuttosto a cuore di Cristo, cercando di interpretare le vicende della nostra vita nella prospettiva del suo disegno di amore, spesso misterioso ai nostri occhi. Per questo, nella nostra preghiera, domanda, lode e ringraziamento dovrebbero fondersi assieme, anche quando ci sembra che Dio non risponda alle nostre concrete attese. L’abbandonarsi all’amore di Dio, che ci precede e ci accompagna sempre, è uno degli atteggiamenti di fondo del nostro dialogo con Lui.
Un esempio chiaro di questo atteggiamento è offerto dalla vergini consacrate, che sono chiamate a vivere in modo particolare il “servizio della preghiera”, come è detto durante il Rito di Consacrazione, quando viene consegnato loro il Libro delle Ore.
Inoltre con la piena donazione di sè stesse a Cristo, queste donne testimoniano come chiedere e come pregare: prima che il dono (=grazia) sia concesso, esse aderiscono a Gesù, che nei suoi doni dona se stesso. Il Donatore è più prezioso del dono accordato; è il “Tesoro inestimabile”, la “Perla preziosa”; il dono del miracolo è concesso “in aggiunta” (cfr Mt 6,21 e 6,33).
Queste consacrate testimoniano una cosa molto importante: prima che il dono venga concesso, è necessario aderire a Colui che dona: il donatore è più prezioso del dono. Anche per noi, quindi, al di là di ciò che Dio ci da quando lo invochiamo, il dono più grande che può darci è la sua amicizia, la sua presenza, il suo amore. Lui è il tesoro prezioso da chiedere e custodire sempre.
Non dimentichiamo infine il profondo legame tra l’amore a Dio e l’amore al prossimo che deve entrare anche nella nostra preghiera. La nostra preghiera apre la porta a Dio, che ci insegna ad uscire costantemente da noi stessi per essere capaci di farci vicini agli altri, specialmente nei momenti di prova, per portare loro consolazione, speranza e luce. Il Signore Gesù ci conceda di essere capaci di una preghiera perseverante e intensa, per rafforzare il nostro rapporto personale con Dio Padre, allargare il nostro cuore alle necessità di chi ci sta accanto e sentire la bellezza di essere “figli nel Figlio” insieme con tante sorelle e fratelli.


Lettura Patristica
Erma (II secolo)
Il Pastore, Precetto IX

 Allontana da te ogni dubbio e non esitare, neppure un istante, a chiedere qualche grazia al Signore, dicendo fra te e te: Come è possibile che io possa chiedere e ottenere dal Signore, che ho tanto peccato contro di lui? Non pensare a ciò, ma rivolgiti a lui di tutto cuore e pregalo senza titubare; sperimenterai la sua grande misericordia. Dio non è come gli uomini che serbano rancore; egli dimentica le offese e ha compassione per la sua creatura .

       Tu dunque purifica prima il tuo cuore da tutte le vanità di questo mondo e da tutti i peccati che abbiamo menzionati, poi prega il Signore e tutto otterrai. Sarai esaudito in ogni tua preghiera, se chiederai senza titubare. Se invece esiterai in cuor tuo, non potrai conseguire nulla di ciò che chiedi. Chi, pregando Dio, dubita, è uno di quegli indecisi che nulla assolutamente ottengono; invece chi è perfetto nella fede, chiede tutto confidando nel Signore e tutto riceve, perché prega senza dubbio o titubanza. Ogni uomo indeciso e tiepido, se non farà penitenza, difficilmente avrà la vita.

       Purifica il tuo cuore da ogni traccia di dubbio, rivestiti di fede robusta, abbi la certezza che otterrai da Dio tutto ciò che domandi. Se poi avviene che, chiesta al Signore qualche grazia, egli tarda a esaudirti, non lasciarti prendere dallo scoraggiamento per il fatto di non aver ottenuto subito ciò che domandasti: certamente questo ritardo nell’ottenere la grazia chiesta o è una prova o è dovuto a qualche tuo fallo che ignori. Perciò non cessare di rivolgere a Dio la tua intima richiesta, e sarai esaudito, se invece ti scoraggi e cominci a diffidare, incolpa te stesso, e non colui che è disposto a concederti tutto.

       Guardati dal dubbio! È sciocco e nocivo e sradica molti dalla fede, anche se sono assai convinti e forti. Tale dubbio è fratello del demonio e produce tanto male tra i servi di Dio. Disprezzalo dunque e dominalo in tutto il tuo agire, corazzandoti con una fede santa e robusta, perché la fede tutto promette e tutto compie; il dubbio invece, poiché diffida di sé, fallisce in tutte le opere che intraprende.


       Vedi, dunque, che la fede viene dall’alto, dal Signore, e ha una grande potenza, mentre il dubbio è uno spirito terreno che viene dal diavolo, e non ha vera energia. Tu dunque servi alla fede, che ha vera efficacia, e tienti lontano dal dubbio che ne è privo. E così vivrai in Dio; e tutti coloro che ragionano così vivranno in Dio.

venerdì 11 agosto 2017

Cristo, una Presenza che salva

Rito Romano
XIX Domenica del Tempo Ordinario - 13 agosto 2017

1Re 19,9.11-13; Sal 84; Rm 9,1-5; Mt 14,22-33

Rito Ambrosiano

1Re 8,15-30; Sal 47; 1Cor 3,10-17; Mc 12,41-44

Domenica X dopo Pentecoste
  1. La preghiera di Gesù
Leggendo il brano del Vangelo proposto oggi dalla Liturgia della Messa, l’attenzione è attirata da Cristo che manifesta la sua potenza camminando sulle acque e calmando la tempesta del mare. Tuttavia, prima di parlare della forza con cui Cristo manifesta la sua divinità, vorrei attirare l’attenzione su due fatti che inquadrano il Vangelo di oggi: la preghiera solitaria di Gesù (“salì sul monte, solo, a pregare” Mt 14,23) e la poca fede di Pietro (“uomo di poca fede, perché hai dubitato?” Mt 14, 31).
Nel ritmo intenso della sua giornata, Gesù trova sempre il tempo per la preghiera. Il Figlio di Dio fatto uomo prega nella solitudine e nella notte (Mt 14,23; Mc 1,35; Lc 5,16), all'ora dei pasti (Mt 14,19; 15,36; 26,26-27). In occasione di eventi importanti: per il suo battesimo nel Giordano (Lc 3,21), prima di scegliere i dodici Apostoli, (Lc 6,12), nella trasfigurazione sul Monte Tabor (Lc 9,28-29), prima di insegnare a pregare (Lc 11,1; Mt 6,5), nel Getsemani (Mt 26,36-44), sulla croce (Mt 27,46; Lc 23,46). Prega per i suoi carnefici (Lc 23,34), per Pietro (Lc 22,32), per i suoi discepoli e per coloro che li seguiranno (Gv 17,9-24). Prega anche per se stesso (Mt 26,39; Gv 17,1-5; Eb 5,7). Insegna a pregare (Mt 6,5), manifesta un rapporto permanente con il Padre (Mt 11,25-27), sicuro che non lo lascia mai solo (Gv 8,29) e lo esaudisce sempre (Gv 11,22.42; Mt 26,53). Infine promette (Gv 14,16) di continuare a intercedere per noi nella gloria (Rm 8,34; Eb 7,25; 1 Gv 2,1).
Confesso che mi piacerebbe conoscere il segreto della preghiera di Cristo, anche se so che impossibile entrare in esso completamente. Tuttavia, è possibile entrarvi almeno un poco, tenendo presente - in primo luogo - che Gesù si è sempre rivolto a Dio invocandolo con il nome di Padre. La preghiera di Gesù è anzitutto filiale. Rivolgendosi a Dio come Padre, Gesù svela la relazione davvero unica che lo lega a Lui. A questo riguardo, è importante tenere presente che Gesù era anche consapevole di essere uomo, e come uomo – nella solitudine – si confrontava col Padre e con la sua Parola per ritrovare costantemente la lucentezza del suo cammino evangelico e il coraggio di percorrerlo.
In secondo luogo, va notato che la preghiera di Gesù è obbediente. E’ la preghiera del Figlio e, al tempo stesso, è la preghiera del Servo del Signore, perché la relazione con il Padre implica familiarità e obbedienza. La coscienza della propria filiazione e la totale dipendenza sono i due pilastri della preghiera di Gesù. Sono le strutture essenziali della sua persona e dovrebbero esserlo per ogni cristiano. Se preghiamo in autentica, totale e filiale dipendenza, la nostra preghiera sarà esaudita già nell’istante in cui la rivolgiamo. Forse sarà compiuta in un modo diverso da come ce lo aspettavamo, ma tuttavia lo sarà realmente. E ogni volta ci stupiremo dell’infinita possibilità di compimento che Dio ha, dando la Vita alla nostra vita nella verità e nell’amore.
Preghiamo dunque, fratelli amatissimi - scrive San Cipriano, Vescovo di Cartagine - come Dio, il Maestro, ci ha insegnato. E’ preghiera confidenziale e intima pregare Dio con ciò che è suo, far salire alle sue orecchie la preghiera di Cristo. Riconosca il Padre le parole del suo Figlio, quando diciamo una preghiera: Colui che abita interiormente nell’animo sia presente anche nella voce ... Quando si prega, inoltre, si abbia un modo di parlare e di pregare che, con disciplina, mantenga calma e riservatezza. Pensiamo che siamo davanti allo sguardo di Dio. Bisogna essere graditi agli occhi divini sia con l’atteggiamento del corpo che col tono della voce ... E quando ci riuniamo insieme con i fratelli e celebriamo i sacrifici divini con il sacerdote di Dio, dobbiamo ricordarci del timore reverenziale e della disciplina, non dare al vento qua e là le nostre preghiere con voci scomposte, né scagliare con tumultuosa verbosità una richiesta che va raccomandata a Dio con moderazione, perché Dio è ascoltatore non della voce, ma del cuore (non vocis sed cordis auditor est)” (San Cipriano, Il Padre nostro: la preghiera del Signore 3-4). Si tratta di parole che sono valide anche oggi e che ci aiutano a celebrare bene la Santa Liturgia in Chiesa e a pregare bene da soli, in casa.


  1. La preghiera di Pietro e nostra.
Oltre alla preghiera di Cristo, il Vangelo di oggi ci mostra la preghiera di San Pietro che per fede è uscito dalla barca e cammina sulle acque verso Gesù. Non ostante abbia lasciato la barca perché credeva in Cristo, l’Apostolo Pietro ha un mancamento di fede e, mentre sta affondando, prega gridando: “Signore, salvami!”.
La poca fede del Capo degli Apostoli è rinsaldata dalla preghiera. Dunque la cosa importante è aver fede, anche se non è grande, e pregare come Pietro: “Signore, salvami!”.
Per spiegare meglio l’affermazione precedente, propongo di riandare al dialogo tra Pietro, pescatore di pesci, e Gesù, pescatore di uomini, come è raccontato dal Vangelo di oggi.
Il Primo degli Apostoli cammina sulle acque come Gesù, ma non per potenza propria. La sua possibilità di camminare sulle acque dipende unicamente dalla parola del Signore (“vieni!”) e la forza sta tutta nella fede. È questa una grande lezione per ciascuno di noi. Se con fede stiamo aggrappati a Cristo, possiamo compiere gli stessi miracoli del Signore. Ma se questa fede si incrina (“uomo di poca fede, perché hai dubitato?”), allora torniamo ad essere facile preda delle forze del male. Il dubbio, di cui qui si parla, non è il dubbio intellettuale intorno alle verità della fede, ma è dovuto alla mancanza di abbandono totale e di amore fiducioso in Cristo di fronte alle difficoltà della vita.
L’importante è che afferriamo la mano tesa di Cristo. Sant’Agostino d’Ippona, immaginando di rivolgersi a San Pietro, scrive: il Signore “sì è abbassato e t’ha preso per mano. Con le tue sole forze non puoi alzarti. Stringi la mano di Colui che scende fino a te” (Enarr. in Ps. 95,7: PL 36, 1233) e dice questo non solo al Capo degli Apostoli, ma lo dice anche a noi. San Pietro cammina sulle acque non per la propria forza, ma per la grazia divina, in cui crede, e quando viene sopraffatto dal dubbio, quando non fissa più lo sguardo su Gesù, ma ha paura del vento, quando non si fida pienamente della parola del Maestro, vuol dire che si sta interiormente allontanando da Lui ed è allora che rischia di affondare nel mare della vita, e così anche per noi: se guardiamo solo a noi stessi, diventiamo dipendenti dai venti e non possiamo più passare sulle tempeste, sulle acque della vita. La fatica impaurita del Pescatore di Galilea ci fa capire che, prima ancora che lo cerchiamo o lo invochiamo, il Redentore in persona ci viene incontro, “abbassa il cielo” per tenderci la mano e portarci alla sua altezza. La sola cosa che Cristo domanda è che ci fidiamo totalmente di Lui, afferrando con forza la sua mano tesa.
In questo modo, comprenderemo più profondamente la verità di Dio, e sperimenteremo il suo amore, che ci trascina fuori dallo “spazio” delle acque tempestose della vita e ci introduce nello spazio di pace vera che Dio dona, come oggi vediamo che accade a San Pietro.
Preghiamo la Madonna, che fra pochissimi giorni sarà celebrata quale Assunta in cielo. L’Assunzione al cielo di Maria nel suo corpo è la sorgente di luce per capire il senso del nostro pellegrinaggio terreno ed esempio luminoso di fiducia amorosa e di abbandono totale. In questo modo, anche tra le preoccupazioni, i problemi, le difficoltà che agitano il mare della nostra vita, risuonerà nel nostro cuore la parola rassicurante di Gesù, che dice anche a noi: “Coraggio, sono io, non abbiate paura”, e crescerà la nostra fede in Lui.
La solennità dell’Assunzione ci impedisce di trasformare la nostra vita in un pellegrinaggio senza meta, in una navigazione senza un porto su una barca con il mare in burrasca.
Infine, la consueta riflessione che si rivolge in particolare alle vergini consacrate, ma penso che sia utile a tutti. Nel giorno dell’Assunzione, la Chiesa (quindi noi) celebriamo il corpo assunto in cielo di Maria, o meglio: la persona di Maria assunta in cielo nella sua integralità, corpo e anima.  Noi oggi comprendiamo facilmente che la salvezza scaturita dalla risurrezione di Gesù, non riguarda solo la nostra anima, la nostra persona nella sua dimensione spirituale. Essa non si riduce alla sua dimensione spirituale. E’ anche corpo. La persona umana è una persona-corporale, ed il nostro corpo è un corpo-personale. La salvezza cristiana non sarebbe vera, se non fosse anche salvezza del corpo. Come si comprende bene l’esortazione di S. Paolo: “Vi esorto, dunque, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente” (Rm 12, 1). Ed ancora: “…non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio….? Glorificate dunque Dio nel vostro corpo” (1 Cor 6, 19.20]. L’offerta del loro corpo nella verginità consacrata è l’esempio più alto di come si possa prendere sul serio l’esortazione di San Paolo che ho appena citato e invita a non lasciarsi ingannare dalle seduzioni del mondo. Molte esibizioni e celebrazioni del corpo che caratterizzano il nostro tempo, sono in realtà disprezzo del corpo. Un disprezzo che negli spot pubblicitari giunge ad usare il corpo della donna per vendere un prodotto.
Glorificate dunque il vostro corpo!”. Il corpo umano è dunque per la gloria quando la persona umana vive la propria sessualità e la sua intera corporeità in obbedienza amorosa alla volontà di Dio, che è come dire in obbedienza al senso stesso della sessualità, alla sua natura più intima e originaria che non è quella di vendersi o di buttarsi via, ma quella di donarsi.
La parola castità dice subito e bene l’austerità e il dominio di sé. Ma non consiste solo nel governare le proprie passioni con la forza. Il dominio di sé evangelico sta nel consegnarsi con fiducia a chi mi ha creato, mi ama e mi conosce meglio di me stesso. È fare spazio dentro se stessi alla signoria di Cristo, cioè sentirsi amati da Lui e desiderare di crederGli e di ricambiarLo osservando quanto ci chiede. La conversione, cioè il governo ordinato della mia persona, è l’atteggiamento che assumo quando mi sento amato da Dio. Le vergini consacrate hanno la vocazione di vivere, testimoniare e riflettere questo amore di Dio.


Lettura Patristica
Origene (185 – 253)
In Matth. 11, 6-7

Che qualcuno più semplice si contenti del racconto degli avvenimenti! Noi però, se un giorno saremo alle prese con tentazioni inevitabili, ricordiamoci che Gesù ci ha obbligati ad imbarcarci e che vuole che lo precediamo sulla sponda opposta (Mt 14,22). Infatti, è impossibile a chi non ha sopportato la prova delle onde e del vento contrario (Mt 14,24) pervenire sulla riva opposta. Poi, quando verremo avvolti da difficoltà numerose e penose, stanchi di navigare in mezzo ad esse con la povertà dei nostri mezzi, pensiamo che la nostra barca è allora in mezzo al mare (Mc 6,47), scossa dalle onde che vorrebbero vederci "far naufragio nella fede" (1Tm 1,19) o in qualche altra virtù. Se d’altro canto vediamo il soffio del maligno accanirsi contro i nostri sforzi, pensiamo che allora il vento ci è contrario. Quando perciò, in mezzo a tali sofferenze, avremo resistito per tre vigilie della notte oscura che regna nei momenti di tentazione, lottando del nostro meglio e rimanendo vigilanti su di noi per evitare «il naufragio nella fede» o in un’altra virtù - la prima vigilia rappresenta il padre delle tenebre (Rm 13,12) e del peccato, la seconda suo figlio, «l’avversario», in rivolta contro tutto ciò che ha nome Dio o ciò che è oggetto di adorazione (2Th 2,3-4), la terza lo spirito nemico dello Spirito Santo -,siamo certi allora che, venuta la quarta vigilia, "quando la notte sarà avanzata e già il giorno si avvicina" (Rm 13,12), arriverà accanto a noi il Figlio di Dio, per renderci il mare propizio, camminando sui suoi flutti. E quando vedremo apparirci il Logos, saremo assaliti dal dubbio (Mt 14,26) fino al momento in cui capiremo chiaramente che è il Salvatore esiliatosi (Mt 21,33 Mc 12,1 Lc 20,9) tra noi e, credendo ancora di vedere un fantasma, pieni di paura, grideremo; ma lui ci parlerà tosto, dicendoci: "Abbiate fiducia, sono io; non abbiate paura!" (Mt 14,26-27). A queste parole rassicuranti, ci sarà forse tra noi, animato dal più grande ardore, un Pietro in cammino "verso la perfezione" (He 6,1) - senza che vi sia ancora pervenuto -,che scenderà dalla barca, nella coscienza di essere sfuggito alla prova che lo scuoteva; dapprima, nel suo desiderio di andare davanti a Gesù, egli camminerà sulle acque (Mt 14,29), ma, essendo ancora la sua fede insufficiente e permanendo lui stesso nel dubbio, vedrà la "forza del vento" (Mt 14,30), sarà colto dalla paura e comincerà ad affondare; peraltro sfuggirà a tale sciagura, poiché invocherà Gesù a gran voce, dicendo: "Signore, salvami!" (Mt 14,30). E, appena quest’altro Pietro avrà finito di parlare, dicendo: «Signore, salvami!», il Logos stenderà la mano, gli arrecherà soccorso e lo afferrerà nel momento in cui cominciava ad affondare, rimproverandogli la sua poca fede e i suoi dubbi. Stai attento, tuttavia, che egli non ha detto: «Incredulo», bensì: «Uomo di poca fede», e che sta scritto: «Perché hai dubitato, poiché avevi un po’ di fede, ma tu hai piegato nel senso ad essa contrario» (Mt 14,31).
       Dopodiché, Gesù e Pietro risaliranno sulla barca, il vento cesserà e i passeggeri, comprendendo a quali pericoli sono sfuggiti, lo adoreranno dicendo, non semplicemente: "
Tu sei il Figlio di Dio", come hanno detto i due ossessi (Mt 8,28), ma: "Veramente, tu sei il Figlio di Dio" (Mt 14,33); e questa parola sono i discepoli saliti «sulla barca» a dirla, poiché io ritengo che non avrebbero potuto essere altri che i discepoli a dirla.

domenica 6 agosto 2017

Trasfigurati dalla Gioia.



Rito Romano
6 agosto 2017- Trasfigurazione – XVIII Domenica del Tempo Ordinario


Rito Ambrosiano
Domenica IX dopo Pentecoste – Trasfigurazione


                1) Trasfigurazione di Cristo e nostra.
Oggi il Vangelo ci presenta l’evento della Trasfigurazione, partendo dal fatto che “Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse in disparte, su un alto monte” (Mt 17,1) a pregare (Lc 9,28).  Mentre pregava, Cristo risplendette e rivelò ai discepoli eletti di essere luce da luce ineffabile e che i più grandi Profeti erano con lui.
Dio è luce, e Gesù  dona ai suoi amici più intimi l’esperienza di questa luce, che dimora in Lui. Così, dopo questo avvenimento, Egli sarà in loro luce interiore, capace di proteggerli dagli assalti delle tenebre. Anche nella notte più oscura, Gesù è la lampada che non si spegne mai. Sant’Agostino riassume questo mistero con una espressione bellissimadice: «Ciò che per gli occhi del corpo è il sole che vediamo, lo è (Cristo) per gli occhi del cuore» (Sermo 78, 2: PL 38, 490).
 Sul Tabor, monte sul quale Cristo sale per pregare, il Figlio di Dio fatto uomo, mostra che è la preghiera a “provocare” la splendida visione di ciò che Lui è e di quello a cui siamo destinati ad essere. Mentre si manifesta la verità divino-umana di Cristo avviene anche una trasfigurazione dei discepoli: “Si tratta infatti della trasfigurazione di Nostro Signore Gesù Cristo, ma è quella soprattutto dei discepoli che vi assistevano, trasfigurazione che era per loro una certa visione della Divinità, un’immagine del mondo futuro, un preludio della venuta gloriosa del Signore” (Gregorio Palamas).
A noi in preghiera, come ai tre Apostoli circa duemila anni fa sul monte Tabor, monte della preghiera,  Gesù si mostra trasfigurato, luminoso, bellissimo. Anche a noi, testimoni scelti dal suo amore, il Signore manifesta la sua gloria, e quel corpo che gli è comune col resto degli uomini, lo illumina di tale fulgore, che il suo volto si fa splendente come il sole e le sue vesti divengono candide come la neve.
L’importante che anche noi saliamo con il Figlio di Dio, l’Amato, sul monte a pregare.
La montagna nella Bibbia rappresenta il luogo della vicinanza con Dio e dell’incontro intimo con Lui; il luogo della preghiera, dove stare alla presenza del Signore.
Saliamo anche noi con Cristo sul “monte” della preghiera, per contemplare sul suo volto umano la luce gloriosa di Dio. 
Saliamo con Cristo sulla montagna per trovare noi stessi  in Cristo e ascoltare Lui, perché nel luogo della vicinanza con Dio c’è pure dato lo spazio del silenzio dove percepiamo meglio la Sua voce.
Questo nostro salire per incontrare Dio non ci stacca dalla terra, anzi ci spinge a “scendere dalla montagna” e “ritornare” in basso, nella pianura, dove incontriamo sorelle e fratelli appesantiti da fatiche, malattie, ingiustizie, ignoranze, povertà materiale e spirituale. A questi nostri fratelli e sorelle che sono in difficoltà, siamo chiamati a portare i frutti dell’esperienza che abbiamo fatto con Dio, condividendo la grazia ricevuta la parola ascoltata” (Papa Francesco).
Questa parola è un suono carico di una presenza da accogliere con devozione e amore. E’ molto importante  l’invito del Padre: “Questo è il mio Figlio, l’Amato, ascoltatelo” (Mt 17, 6).
Noi, discepoli di Gesù oggi, siamo chiamati ad essere persone che ascoltano la sua voce e prendono sul serio le sue parole.

2) Origine e destino.
A questo punto, credo sia utile ricordare che lo scopo principale della Trasfigurazione, fu ed è di permettere al cuore dei discepoli (e al nostro cuore) di non scandalizzarsi quando la Croce sfigura l’umanità di Cristo. Questa manifestazione di luce e di verità è voluta perché l’umiliazione della imminente passione volontaria di Cristo non turbasse la fede di coloro ai quali era stata rivelata la grandezza della sua dignità nascosta. Non è un caso che il racconto della Trasfigurazione sia collocato dal Vangelo durante l’ascesa di Gesù a Gerusalemme, in un contesto di passione annunciata ai discepoli. Lo ha ben compreso la liturgia della Chiesa d’Oriente, che nel Kondakion (testo poetico-musicale liturgico) della festa canta: “I discepoli, per quanto ne erano capaci, contemplavano la tua gloria, Signore, affinché nell’ora della croce comprendessero che la tua passione era volontaria”.  San Gregorio di Nazianzo vide giustamente nella Trasfigurazione la sintesi del Vangelo, l’annuncio del mistero pasquale: annunciato davanti alla Chiesa, raffigurata da Pietro, Giacomo e Giovanni, e davanti all’Antico Testamento: la Legge (rappresentata da Mosé) e i profeti (rappresentati da Elia), apparsi a condividere la gloria del Figlio di Dio.
            Va pure ricordato che il fatto della Trasfigurazione è fondamento della speranza della Chiesa: infatti “l’intero Corpo mistico di Cristo diventava consapevole della trasformazione che gli era riservata e le membra potevano ripromettersi la partecipazione a quella gloria, che avevano vista risplendere nel capo (San Leone Magno,  Sermo LI, 2-3, 5-8: PL 54, 310-313). Dunque, la trasfigurazione è un mistero centrale nella fede cristiana, caparra della resurrezione e profezia della trasfigurazione di ogni carne, di ciascuno di noi in Dio. Gesù sul Tabor, monte della preghiera, mostra chi è e che “traeva quello splendore dalla propria natura; perciò non aveva bisogno di pregare per far risplendere di luce divina il suo corpo ma, pregando, non fece altro che indicare l’origine sua e il destino nostro: lo splendore di Dio che rischiara e sostiene con la luce del suo volto, come è detto nel Vangelo: “I giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro” (Mt 13, 43) (Sant’Ambrogio da Milano).
            Sorpresi dalla gioia della trasfigurazione del Figlio di Dio e di noi  discepoli ci viene spontaneo fare nostra l’esclamazione di San Pietro: “Signore è bello per noi stare qui; se vuoi farò qui tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia”(Mt 17, 4). Ma dando ascolto a Cristo che manifesta l’amore di Dio capiremmo che non ha senso preparare una tenda terrena a colui che abita nei cieli. Il Redentore non è venuto per avere una casa sulla terra, Lui che non volle possedere neanche una pietra su cui posare il capo. Non è venuto per abitare sulla terra in una casa costruita da noi ma per sollevarci nella dimora che Lui ci ha preparato lassù.
“E’ bello per noi stare qui”. Certo, è bello restare con Cristo sul monte, ma è di gran lunga più bello andare là dove saremo veramente felici, nella patria eterna. Se è bella questa gioia momentanea, pensiamo quanto più bella sarà la felicità eterna. Se ci fa gioire la vista dell’umanità di Cristo anche se per breve tempo rivestita di gloria, proviamo a immaginare quale e quanta sarà la gioia che colmerà la nostra anima nella contemplazione eterna dell’Amore eterna che per sempre ci tiene nelle sue braccia.
Ma prima, come Cristo ha patito per noi, così anche noi dobbiamo soffrire per Lui. E’ davvero necessario che, scendendo a valle, noi gli siamo compagni nella passione affinché, dopo, possiamo essere partecipi della sua gloria. Là egli stesso accoglierà ciascuno di noi e quanti amiamo nelle tende eterne. Là, veramente, sono preparate non tre tende, una per Cristo, una per Mosè e una per Elia, ma una sola tenda, per il Padre, per il Figlio e per lo Spinto Santo: e questa tenda sarai tu stesso. Allora “Dio sarà tutto in tutti” (1 Cor 15,28), quando, come leggiamo nell’Apocalisse: “La dimora di Dio sarà con gli uomini ed essi saranno suo popolo ed egli sarà Dio-con- loro” (Ap 21,3). In quanto battezzati siamo già questa dimora, questo Tempio dello Spirito Santo. E per vivere questo essere dimora divina guardiamo alla testimonianza profetica delle vergini consacrate. Queste donne con il loro “proposita” hanno accolto completamente Cristo abbandonandosi totalmente a Lui e  affi­dandosi alla potenza del suo amore. Continuano ad accoglierlo collaborando attivamente con lui portando il suo a­more incarnato e redentivo nel mondo dove lavorano. dell'Incarnazione redentrice. Non cessano mai di accoglierlo nella loro vita, ascoltando nella preghiera e servendolo tra i loro fratelli e sorelle in umanità. Queste consacrate testimoniano che La trasfigurazione non è un avvenimento che arriva a un certo momento dell’esistenza, dopo la morte, ma dal momento che si aderisce a Gesù. Dal momento di questa adesione a Cristo c’è una trasformazione costante. Più si accoglie il suo amore e più ci si trasforma, di gloria in gloria, cioè si rende visibile l’amore ricevuto, comunicandolo agli altri.


Lettura Patristica
San Leone Magno (400 – 460)
Sermo 38 [51], 2-3.5

       [Il Salvatore] insegnò che coloro che avessero in mente di seguirlo debbono rinunciare a se stessi e tenere in poco conto la perdita dei beni materiali in vista di quelli eterni; infatti, salverà sicuramente la propria anima chi non avrà avuto paura di perderla per Cristo (
Mt 16,25).
       Era per altro necessario che gli apostoli concepissero davvero nel loro cuore quella forte e beata fermezza, e non tremassero di fronte alla rudezza della croce che dovevano assumersi occorreva che non arrossissero minimamente del supplizio di Cristo, né che stimassero vergogna per lui la pazienza con la quale doveva subire gli strazi della sua Passione senza perdere la gloria della sua potestà. Cosi, Gesù prese con sé Pietro, Jc e Giovanni suo fratello (
Mt 17,1), e, dopo aver salito con essi l’erta di un monte appartato, si manifestò loro nello splendore della sua gloria; infatti, benché avessero compreso che la maestà di Dio era in lui, ignoravano ancora la potenza detenuta da quel corpo che celava la Divinità. Ecco perché aveva promesso in termini netti e precisi "che alcuni dei discepoli non avrebbero gustato la morte prima di aver visto il Figlio dell’uomo venire nel suo regno" (Mt 16,28), cioè nello splendore regale che egli voleva rendere visibile a quei tre uomini, in modo conveniente alla natura umana da lui assunta. Infatti, in ciò che attiene la visione ineffabile e inaccessibile della Divinità in sé, visione riservata ai puri di cuore (Mt 5,8) nella vita eterna, esseri ancora rivestiti di carne mortale non avrebbero potuto in alcun modo né contemplarla né vederla.
       Il Signore svela dunque la sua gloria alla presenza di testimoni scelti e illumina questa comune forma mortale di splendore tale che il suo viso diviene simile al sole e le sue vesti sono paragonabili al bianco della neve (Mt 17,2). Senza dubbio, la Trasfigurazione aveva soprattutto lo scopo di rimuovere dal cuore dei discepoli lo scandalo della croce, affinché l’umiltà della Passione volontariamente subita non turbasse la fede di coloro ai quali sarebbe stata rivelata l’eccellenza della dignità nascosta.
       Con eguale previdenza, egli dava però nel contempo un fondamento alla speranza della santa Chiesa, in modo che il corpo di Cristo conoscesse di quale trasformazione sarebbe stato gratificato, e i membri si sforzassero da sé di partecipare all’onore che aveva rifulso nel Capo. A tal proposito, il Signore stesso aveva detto, parlando della maestà del suo avvento: "Allora i giusti risplenderanno come il sole nel regno del loro Padre" (Mt 13,43); e il beato apostolo Paolo afferma la stessa cosa in questi termini: "Stimo, infatti, che le sofferenze del tempo presente non siano da paragonare con la gloria di cui saremo rivestiti" (Rm 8,18); e ancora: "Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio; quando Cristo sarà manifestato, egli che è la vostra vita, anche voi sarete manifestati con lui nella gloria" (Col 3,3-4)...
       Animato da questa rivelazione dei misteri, preso da disprezzo per i beni di questo mondo e da disgusto per le cose terrene lo spirito dell’apostolo Pietro era come rapito in estasi nel desiderio dei beni eterni; pieno di gioia per quella visione, si augurava di abitare con Gesù in quel luogo in cui la sua gloria si era così manifestata, costituendo tutta la sua gioia; così disse: "Signore è bello per noi restar qui; se vuoi facciamo qui tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia" (Mt 17,4). Ma il Signore non rispose a quella proposta, volendo dimostrare non certo che quel desiderio fosse cattivo, bensì che era fuori posto il mondo, infatti, non poteva essere salvato se non dalla morte di Cristo e l’esempio del Signore invitava la fede dei credenti a comprendere che, senza arrivare a dubitare della felicità promessa, dobbiamo tuttavia, in mezzo alle tentazioni di questa vita, chiedere la pazienza prima della gloria; la felicità del Regno non può, in effetti, precedere il tempo della sofferenza.