V
Domenica di Quaresima – Anno A – 2 aprile 2017
Rito Romano
Ez 37, 12-14; Sal 129;
Rm 8,8-11; Gv 11,1-45
Rito Ambrosiano
Es 14,15-31; Sal 105;
Ef 2,4-10; Gv 11,1-53
Domenica di Lazzaro
1)
L’Amore eterno dà la vita eterna:
Domenica scorsa,
abbiamo meditato il miracolo del cieco nato ed abbiamo visto che Gesù
ci apre gli occhi sulla realtà totale, per farci vedere l’uomo
nuovo, l’uomo libero a immagine di Dio.
Oggi, Cristo vuole
aprirci gli occhi su quella realtà estrema davanti alla quale tutti
chiudiamo gli occhi: la morte. Il nostro desiderio più profondo è
quello di non morire. Abbiamo il desiderio di vita piena,
d’immortalità, ma sappiamo che non è possibile salvarci da soli
dalle acque della morte. In effetti, è come se per uscire da un
gorgo di acqua che ci trascina in fondo al mare, ognuno con le sue
mani tiri in su, in alto, i propri capelli. Questo nostro gesto, per
altro assurdo, non può salvarci dall’andare a fondo nel mare della
vita. Ci si salva solo tendendo la mano per stringere quella
dell’Amico, che, prendendo la nostra mano tesa, ci tira fuori dal
vortice di morte e ci pone accanto a Lui nell’arca della vita.
Grazie a Cristo la
morte non è più il termine triste della nostra vita. Il nostro
esodo non si conclude in una tomba, che non fa che glorificare la
morte. Cristo, la cui morte e risurrezione è anticipata da quella di
Lazzaro, ci rivela che la morte è il passaggio drammatico per
entrare nella vita definitiva. La morte è la porta che la Croce,
come chiave, apre per farci entrare nella vita vera e per sempre.
Certo, facciamo molta
fatica ad accettare la logica della Croce, che ci mostra che chi è
amato da Dio non è da Lui abbandonato. Cristo ci salva con la Croce
e non nonostante la Croce. E se con occhi di fede guardiamo alla
Croce, capiremo sempre di più la “logica” di questo che da
strumento di morte diventa strumento di vita.
E
questo è davvero per i cristiani un punto fermo: se si vuol trovare
nella storia e nella vita un senso, occorre saper vedere nella Croce
di Cristo la gloria di Dio. Non è possibile diversamente. La Croce
“apre” alla Risurrezione, anticipata -in un certo senso- da
quella di Lazzaro, che manifesta il potente amore di Dio e dimostra
che l’ultima parola non spetta alla morte. L’ultima parola spetta
a Dio che è Amore e che dà la vita per sempre.
Chi accetta questo
Amore e vi corrisponde, vive già ora la vita eterna. Insomma, il
Signore non vuol dare una ricetta a buon mercato per evitare la morte
- siamo limitati, diversamente non esisteremmo. Ci vuole dare invece
un nuovo modo di vivere i nostri limiti, compreso il limite ultimo
della morte. Il limite non è la negazione di me; il limite è il
luogo dove io posso entrare in relazione con gli altri e con l’Altro
con la “A” maiuscola, grazie al quale posso avere un rapporto di
amore e di comunione che non finisce più. Quando un amante dice
all’amata: “Ti amo”, vuol dire “Non morire”, ma sa che è
solo un forte desiderio. Quando è Dio che ci dice “Ti amo”,
questo “Non morire” è una dato di fatto, non un semplice
augurio. Con la risurrezione di Cristo, Dio che è Amore, porta nel
suo Regno di vita l’umanità che era schiava del regno di morte.
2) Il “segno”
della risurrezione di Lazzaro.
Alla luce di questa
premessa capiamo che il racconto evangelico ci parla della
risurrezione di Lazzaro non solo come di un miracolo eccezionale, ma
come “segno” di qualcos’altro, di quella vita eterna, che
viviamo già da ora e che la morte non interrompe.
Il Signore ci insegna
che la vita eterna è l’amicizia con Dio, che ci fa vivere una vita
libera dall’ipoteca della morte, perché viviamo già da ora questo
rapporto con Lui e con i fratelli, una vita che va già oltre la
morte: è un rapporto eterno con un Amore senza fine.
La
risurrezione di Lazzaro è l’ultimo “segno” compiuto da Gesù
prima di affrontare la passione e vincere la morte in Croce grazie
alla sua Risurrezione. Anzi possiamo dire che sia il segno per
eccellenza: Gesù non è un semplice guaritore, ma è “la
risurrezione e la vita” per tutti. Dunque è giusto affermare che
la Risurrezione di Cristo è il centro del Vangelo. La morte e
risurrezione di Lazzaro ne è la conseguenza anticipata, che ci aiuta
a capire la morte e risurrezione di Gesù. Parlando della morte di
Lazzaro, Gesù dice: “E un sonno”. La differenza tra il sonno e
la morte è che la morte è la fine, il sonno invece prelude l’inizio
del nuovo giorno. Potremmo dire che la morte di Cristo non è morte,
è preludio per tornare al Padre e donare vita ai fratelli, come
tutta la vita.
L’accostamento tra
Lazzaro (cioè noi) e Gesù è evidente nel brano evangelico di oggi.
La vicenda di Lazzaro (dunque noi) si intreccia con quella di Cristo,
sia perché Lazzaro è abbandonato alla morte e Gesù è abbandonato
alla Croce, sia perché la risurrezione di Lazzaro Gli costa la vita.
I capi del popolo decidono di ucciderlo proprio perché ha
risuscitato Lazzaro. Quindi vita per vita, è risurrezione a caro
prezzo per lui.
Il Redentore, che ha
detto che non c’è più grande amore di quello di donare la vita
per gli amici (cfr Gv 15,13), decide di andare dall’amico.
Gesù ama1
davvero Lazzaro e tuttavia lo lascia morire. Perché? Ognuno di noi
comprende che si tratta del mistero dell’esistenza di noi, creature
umane: una promessa di vita che sembra smentita, una promessa di Dio
che sembra contraddirsi. Un mistero inquietante, anche se il Vangelo
ci racconta che Gesù ha pianto di fronte alla morte dell'amico, come
ha provato smarrimento di fronte all’imminenza della Sua morte in
Croce. La morte, come la Croce, continua a rimanere qualcosa di
incomprensibile: siamo di fronte a un Dio che ci dice di amarci e
tuttavia sembra abbandonarci.
Il mistero
dell’esistenza dell’uomo, amato da Dio e tuttavia abbandonato
alla morte, si rispecchia e si ingigantisce nel mistero della Croce
di Gesù. Ma anche si risolve se guardiamo alla Croce con occhi veri
e di fede, perché c’è vedere e vedere, e possiamo guardare a
Cristo in Croce in due modi:
- lo sguardo privo di fede di chi si arresta allo scandalo, e vede nella morte dell’uomo come nella Croce di Cristo il segno del fallimento.E c’è
- lo sguardo di fede, che supera lo scandalo, e vede che la risurrezione splende nella Croce di Gesù e nella morte di ogni uomo.
E questo è davvero
per i cristiani un punto fermo: se si vuol trovare nella storia e
nella vita un senso, occorre saper vedere nella Croce di Cristo la
gloria di Dio. Non è possibile diversamente. Con questo preciso
richiamo al mistero dell'esistenza dell’uomo - che nel mistero
della Croce di Cristo si rispecchia, si ingigantisce e si risolve -
possiamo concludere anche la nostra riflessione. Giovanni ha saputo
trasformare l’episodio di Lazzaro in un discorso altamente
teologico, e proprio per questo anche esistenziale, rivolto a ogni
uomo che ha il coraggio di porsi l'interrogativo sull'esistenza.
3) Gesù
risurrezione per la nostra vita, ora e per l’eternità.
I temi delle precedenti
domeniche convergono in felice sintesi nella Liturgia di oggi: Gesù,
sorgente dell’acqua viva (III domenica di Quaresima con il Vangelo
della Samaritana) e della luce (IV domenica di Quaresima con il
Vangelo del cieco nato), è colui che conferisce la vita a chi crede
in lui (Vangelo di oggi).
Il tema centrale del
Vangelo di Lazzaro è quello della vita. Il “segno della vita” è
l’approdo finale del cammino battesimale. Il cristiano, consacrato
nel Battesimo, vive la stessa vita di Gesù; ne segue il destino di
morte e risurrezione; ne condivide il significato e custodisce nel
cuore la speranza di poter stare con il suo Signore per sempre.
Questa vita, iniziata con la consacrazione battesimale, è eterna e
più non muore.
Come fare oggi
l’esperienza di Lazzaro?
Prima di tutto
lasciandoci avvicinare da Cristo che dice ancora oggi: “Lazzaro, il
nostro amico, si è addormentato; ma io vado a svegliarlo”. Gesù
fa una rivelazione sorprendente e usa l’immagine del sonno per
parlare della morte; i discepoli, invece, pensano al sonno come
l’inizio di una guarigione che allontana la morte. Per Gesù questo
“ritorno alla vita” è solo un “segno” dell’altra vita,
quella divina, che è donata ai credenti. I discepoli non sospettano
nulla e pensano ancora al “ritorno” in una vita la cui fine è
solo rimandata.
In secondo luogo,
accogliamo con rinnovata fede la rivelazione della risurrezione:
“Gesù disse a Maria: Tuo fratello risorgerà. [...] Io sono la
risurrezione e la vita; chi crede in me anche se muore vivrà”.
Gesù prima di compiere “il segno” lo spiega e pone il suo
messaggio su un piano diverso; Gesù sta rivelando il senso stesso
della sua missione. La vita che Gesù dona non è un ritorno alla
vita di prima, ma è il dono della vita eterna: quella che non muore
perché è lui la vita.
Infine, preghiamo con
Cristo che alzò gli occhi e disse: “Padre ti rendo grazie perché
mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho
detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai
mandato”. Gesù ringrazia il Padre non tanto per la risurrezione di
Lazzaro quanto per la sua. Con gli stessi sentimenti di Cristo
camminiamo con Lui che ci prende per mano per condurci, in questi
giorni santi, sulla croce e regalarci la risurrezione.
Gesù si offre a Dio al
posto nostro. La morte azzanna il Figlio illudendosi di aver vinto
Dio. Ma “Dio ha preparato per lei un boccone avvelenato: la morte
se ne nutre ma mangia la sua fine” (Anonimo Cristiano)
4) Verginità e
risurrezione.
Termino queste
riflessioni sulla risurrezione, con alcuni pensieri relativi alla
testimonianza delle vergini consacrate. “La vita di queste persone
è un trasferimento in terra della vita degli angeli, ed è un
preannunzio della vita dopo la resurrezione … A tutta ragione la
verginità è detta virtù angelica; san Cipriano scrivendo alle
vergini afferma giustamente: “Quello che noi saremo un giorno, voi
già cominciate ad esserlo. Voi fin da questo secolo godete la gloria
della risurrezione, passate attraverso il mondo senza contagiarvene.
Finché perseverate caste e vergini, siete eguali agli angeli di Dio”
(De habitu virginum, 22: PL 4, 462). All'anima assetata di
purezza e arsa dal desiderio del regno dei cieli, la verginità viene
presentata ‘come una gemma preziosa’, per la quale un tale
‘vendette tutto ciò che aveva e la comprò’ (Mt 13, 46). Coloro
che sono sposati e perfino quelli che stanno immersi nel fango dei
vizi, quando vedono le vergini, ammirano spesso lo splendore della
loro bianca purezza” (Pio XII, Sacra Virginitas – La Virginità
Consacrata).
Ma già i Padri della
Chiesa insistevano nell’affermare che nella verginità consacrata
c’è in modo particolare l’immagine di Dio incorruttibile e il
volto di Cristo, Verbo incarnato. Per esempio Sant’Ambrogio di
Milano afferma che la verginità consacrata è il sacerdozio della
castità, “in cui non è difficile percepirvi una particolare
sensibilità dello spirito umano, che già nelle condizioni della
temporalità sembra anticipare ciò di cui l'uomo diverrà partecipe
nella futura risurrezione” (San Giovanni Paolo II, Udienza
Generale del 10 marzo 1982).
1 Questo amore è ripetutamente sottolineato e l’Evangelista per designarlo usa il verbo greco “agapo”, che indica l’amore di donazione, incondizionato, disinteressato, senza la ricerca di un tornaconto personale.
Lettura
Patristica
Cromazio
di Aquileia
Sermo
27, 1-4
1. La risurrezione di
Lazzaro
Il
Signore e Salvatore nostro Cristo Gesù ha certo manifestato la
potenza della sua divinità con numerosi segni e con miracoli di ogni
specie, ma particolarmente alla morte di Lazzaro, come avete appena
udito, carissimi, nella presente lettura, mostrando di essere colui
del quale era stato scritto: "Il
Signore della potenza è con noi, nostra rocca è il Dio di Giacobbe"
(Ps
45,8).
Questi miracoli, il Signore e Salvatore nostro li ha operati sotto
due aspetti: materiale e spirituale, cioè producendo un effetto
visibile e un altro invisibile, manifestando per mezzo dell’effetto
visibile la sua invisibile potenza. Prima, con un’opera visibile,
rese al cieco nato la vista della luce (Jn
9,1-38)
per illuminare con la luce della sua conoscenza, per mezzo della sua
invisibile potenza, la cecità dei Giudei. Nella presente lettura,
egli rese la vita a Lazzaro che era morto (Jn
11,1-44),
al fine di risuscitare dalla morte del peccato alla vita i cuori
increduli dei Giudei. Di fatto molti Giudei credettero a Cristo
Signore a causa di Lazzaro: riconobbero nella sua risurrezione una
manifestazione della potenza del Figlio di Dio, poiché comandare
alla morte in forza della propria potenza non rientra fra le capacità
della condizione umana, ma è proprio della natura divina. Leggiamo
invero che anche gli apostoli hanno risuscitato dei morti, ma essi
hanno implorato il Signore perché li risuscitasse (Ac
9,40
Ac
20,9-12);
essi li hanno sì risuscitati, non però con le loro forze, o per
virtù propria, ma dopo aver invocato il nome di Cristo che comanda
alla morte e alla vita: il Figlio di Dio invece ha risuscitato
Lazzaro per virtù propria. Infatti appena il Signore disse:
"Lazzaro,
vieni fuori"
(Jn
11,43),
quegli uscì subito dal sepolcro: ;la morte non poteva trattenere
colui che veniva chiamato dalla Vita. Il fetore della tomba era
ancora nelle narici dei presenti allorché Lazzaro era già in piedi
e vivo. La morte non attese di sentirsi ripetere il comando dalla
voce del Salvatore, perché essa non era in grado di resistere alla
potenza della Vita; e pertanto a una sola parola del Signore la morte
fece uscire dal sepolcro il corpo di Lazzaro e la sua anima dagli
inferi, così tutto Lazzaro uscì vivo dal sepolcro, dove non era
completo ma solo col suo corpo. Ci si risveglia più lentamente dal
sonno che non Lazzaro dalla morte. Il fetore del cadavere era ancora
nelle narici dei Giudei che già Lazzaro stava in piedi e vivo. Ma
consideriamo ora l’inizio della stessa lettura.
Il
Signore disse dunque ai suoi discepoli, come avete udito carissimi,
nella presente lettura: "Lazzaro,
l’amico nostro, dorme ma io vado a risvegliarlo"
(Jn
11,11).
Il Signore disse bene. "Lazzaro,
l’amico nostro, dorme,"
perché in realtà egli stava per risuscitarlo da morte come da un
sonno. Ma i discepoli, ignorando il significato delle parole del
Signore, gli dicono: "Signore,
se dorme, guarirà"
(Jn
11,12).
Allora in risposta "disse
loro chiaro: Lazzaro è morto, ma sono contento per voi di non essere
stato là affinché crediate"
(Jn
11,14-15).
Se il Signore qui afferma di rallegrarsi per la morte di Lazzaro in
vista dei suoi discepoli, come si spiega che in seguito pianse sulla
morte di Lazzaro? (Jn
11,35).
Occorre, al riguardo, badare al motivo della sua contentezza e delle
sue lacrime. Il Signore si rallegrava per i discepoli, piangeva per i
Giudei. Si rallegrava per i discepoli, perché con la risurrezione di
Lazzaro egli sapeva di confermare la loro fede nel Cristo; ma
piangeva per l’incredulità dei Giudei, perché neppure di fronte a
Lazzaro risorto avrebbero creduto a Cristo Signore. O forse il
Signore pianse per cancellare con le sue lacrime i peccati del mondo.
Se le lacrime versate da Pietro poterono lavare i suoi peccati,
perché non credere che i peccati del mondo siano stati cancellati
dalle lacrime del Signore? In effetti, dopo il pianto del Signore,
molti fra il popolo dei Giudei credettero. La tenerezza della bontà
del Signore vinse in parte l’incredulità dei Giudei e le lacrime
da lui teneramente versate addolcirono i loro cuori ostili. E forse
per questo la presente lettura ci riferisce l’uno e l’altro
sentimento del Signore, cioè la sua gioia e il suo pianto, perché
"chi
semina nelle lacrime",
com’è scritto, "mieterà
nella gioia"
(Ps
125,5).
Le lacrime del Signore sono dunque la gioia del mondo: infatti per
questo egli versò lacrime, perché noi meritassimo la gioia. Ma
ritorniamo al tema. Disse dunque ai suoi discepoli: "Lazzaro,
l’amico nostro, è morto; ma io sono contento per voi di non essere
stato là, affinché crediate".
Rileviamo anche qui un mistero: come il Signore può dire di non
essere stato là [dove Lazzaro era morto]? Infatti quando dice
chiaramente: "Lazzaro
è morto"
dimostra all’evidenza di essere stato lì presente. Né il Signore
avrebbe potuto parlare così, dal momento che nessuno l’aveva
informato, se non fosse stato lì presente. Come il Signore poteva
non essere presente nel luogo dove Lazzaro era morto, lui che
abbraccia con la sua divina maestà ogni regione del mondo? Ma anche
qui il Signore e Salvatore nostro manifesta il mistero della sua
umanità e della sua divinità. Egli non si trovava lì con la sua
umanità, ma era lì con la sua divinità, perché Dio è in ogni
luogo.
Quando
il Signore giunse da Maria e da Marta, sorelle di Lazzaro, alla vista
della folla dei Giudei, chiese: "Dove
l’avete messo?"
(Jn
11,34).
Forse che il Signore poteva ignorare dove era stato posto Lazzaro,
lui che, sebbene assente, aveva preannunciato la morte di Lazzaro e
che con la maestà del suo essere divino è presente dappertutto? Ma
il Signore, così facendo, si attenne a un’antica sua consuetudine.
Infatti, allo stesso modo chiese ad Adamo: "Adamo,
dove sei?"
(Gn
3,9).
Egli interrogò Adamo non perché ignorava dove si trovasse, ma
perché Adamo confessasse il suo peccato con le proprie labbra e
potesse così meritarne il perdono. Interrogò anche Caino: "Dov’è
tuo fratello Abele"?
ed egli rispose: "Non
so"
(Gn
4,9).
Dio non interrogò Caino quasi che non sapesse dove si trovava Abele,
ma per potergli imputare, sulla base della sua risposta negativa il
delitto commesso contro il fratello. Di fatto Adamo ebbe il perdono
perché confessò il peccato commesso al Signore che lo interrogava;
Caino invece fu condannato alla pena eterna, perché negò il suo
delitto. Così anche nel nostro caso, quando il Signore chiede: "Dove
l’avete messo?"
non pone la domanda quasi che ignori dove sia stato sepolto Lazzaro,
ma perché la folla dei Giudei lo segua fino al suo sepolcro e,
constatando nella risurrezione di Lazzaro la divina potenza di
Cristo, essi divengano testimoni contro sé stessi qualora non
credano a un miracolo così grande. Infatti il Signore aveva loro
detto in precedenza: "Se
non credete a me, credete almeno alle mie opere e sappiate che il
Padre è in me e io sono in lui"
(Jn
10,38).
Quando poi giunse presso il sepolcro, disse ai Giudei che stavano
intorno: "Levate
via la pietra"
(Jn
11,39).
Che dobbiamo dire? Forse che il Signore non poteva rimuovere la
pietra dal sepolcro con un semplice comando, lui che, con la sua
potenza, ha rimosso le sbarre degli inferi? Ma il Signore ha ordinato
agli uomini di fare ciò che era nelle loro possibilità; ciò che
invece appartiene alla virtù divina, lo ha manifestato con la
propria potenza. Infatti rimuovere la pietra dal sepolcro è
possibile alle forze umane, ma richiamare un’anima dagli inferi è
solo in potere di Dio. Ma, se l’avesse voluto, avrebbe potuto
rimuovere facilmente la pietra dal sepolcro con una sola parola chi
con la sua parola creò il mondo.
Quand’ebbero
dunque rimosso la pietra dal sepolcro, il Signore disse a gran voce:
"Lazzaro,
vieni fuori",
dimostrando così di essere colui del quale era stato scritto: "La
voce del Signore è potente, la voce del Signore è maestosa"
(Ps
28,4),
e ancora: "Ecco
che darà una voce forte alla sua potenza"
(Ps
67,34).
Questa voce che ha subito richiamato Lazzaro dalla morte alla vita è
veramente una voce potente e maestosa, e l’anima fu restituita al
corpo di Lazzaro prima che il Signore avesse fatto uscire il suono
della sua voce. Sebbene il corpo fosse in un luogo e l’anima in un
altro, tuttavia questa voce del Signore restituì subito l’anima al
corpo e il corpo obbedì all’anima. La morte infatti fu rimossa
alla voce di una così grande potenza. E nulla di strano, certamente,
che Lazzaro sia potuto risorgere per una sola parola del Signore,
quando ha dichiarato egli stesso nel Vangelo che quanti sono nei
sepolcri risorgeranno alla sola e unica parola, dicendo: "Viene
l’ora in cui i morti ascolteranno la voce del Figlio di Dio e
risorgeranno"
(Jn
5,25).
Senza dubbio, all’udire la parola del Signore, la morte avrebbe
potuto allora lasciar liberi tutti i morti, se non avesse capito che
era stato chiamato soltanto Lazzaro. Dunque, quando il Signore disse:
"Lazzaro,
vieni fuori, subito egli uscì legato piedi e mani e la faccia
ravvolta in un sudario"
(Jn
11,44).
Che diremo qui ancora? Forse che il Signore non poteva spezzare le
bende nelle quali Lazzaro era stato sepolto, lui che aveva spezzato i
legami della morte? Ma qui il Signore e Salvatore nostro manifesta
nella risurrezione di Lazzaro la duplice potenza della sua operazione
per tentare d’infondere almeno così la fede nei Giudei increduli.
Infatti non desta minor meraviglia veder Lazzaro poter camminare a
piedi legati che vederlo risuscitare dai morti.