VIII
Domenica del Tempo Ordinario – Anno A – 26 febbraio 2017
Rito
Romano
Rito
Ambrosiano
Os
1,9a;2,7a.b-10; Sal 102; Rm 8,1-4; Lc 15,11-32
Ultima
Domenica dopo l’Epifania
detta
“del perdono”
1)
Provvidenza non destino.
Nella
prima Lettura della Messa di questa domenica risuona una frase che è
– secondo me – è una delle più toccanti della Bibbia: “Si
dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi
per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro se ne
dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai” (Is
49,15). A questa rassicurazione che ci dice che Dio è buono, che il
suo amore misericordioso è eterno e che la sua fedeltà non ha fine,
la Liturgia di oggi accosta una pagina, anche lei incantevole, del
Vangelo, in cui Gesù esorta i suoi discepoli a confidare nella
provvidenza del Padre. Il Figlio di Dio ci assicura che il Padre suo
e nostro nutre gli uccelli del cielo e veste i gigli del campo, e
conosce ogni nostra necessità (cfr Mt 6,24-34). Quindi
fraternamente ci dice: “Non preoccupatevi dunque dicendo: Che cosa
mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Di tutte queste
cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa
che ne avete bisogno” (Id. 6, 31-32).
Se
utilizziamo un modo di guardare semplicemente umano, vediamo la
miseria di tanti, provocata da disastri naturali o da conflitti
umani, da malattie o da ingiustizie, e queste parole di Cristo ci
sembrano se non assurde almeno poco realistiche. Invece, il Vangelo
ci offre le parole del Messia, che invita non al fatalismo ma a
credere nella Provvidenza. Certo va capito che la fede nella
Provvidenza non evita il faticoso lavoro per una vita dignitosa, ma
libera dall’affanno per le cose e dalla paura del domani.
Il
Redentore svela che la nostra vita, le nostre persone non sono
sottoposte alla fortuna bendata, al destino o fato cieco e
capriccioso, che – come gli antichi greci e romani pensavano -
avanza come un imponente carro con sopra di esso gli dei, mentre
trascina dietro di sé gli uomini a lui legati con catene.
All’umanità non resta che camminare alla velocità imposta dal
destino, se rallenta o si ribella il carro la trascina
ineluttabilmente. Questo è il destino come l’uomo senza la fede
cristiana lo immagina: un forza arbitraria alla quale non si può
fare altro che adattarsi. Incarnandosi e svolgendo la sua missione
redentiva, Cristo si manifesta come il volto buono del destino.
Già
l’Antico Testamento rivelava che il Signore ha creato tutte le cose
e che tutto ciò che succede accade nell’ordine della sapienza
amorosa di Dio. All’uomo Dio hai dato la libertà, affinché agisca
di sua propria volontà. Dio ha tessuto così l’esistenza nel
disegno liberante del suo amore, perché in tutto splenda la sua
giustizia e la sua bontà. tuttavia l’uomo si è sviato da te e ha
mutato l’ordine del tuo amore nell’oscura immagine del destino.
Il
Nuovo Testamento ci insegna che in Cristo, Figlio di Dio, il Padre
svela il suo volto e comincia un’opera nuova. Egli ha vinto il
destino e ci ha mostrato negli avvenimenti la sua provvidenza. Ora,
per noi tutto deve essere una disposizione del suo amore. Questo ci è
dato come consolazione, ma anche come compito. Il messaggio non è un
permesso di lasciar scorrere le cose con indolenza o di chiudere gli
occhi davanti alla loro gravità, ma è ammonimento a un santo agire.
Il Regno di Dio deve essere per noi l’unica cosa necessaria, per
questo il Vangelo di oggi ci chiede di non avere due padroni e di
cercare il Regno dei Cieli prima e sopra ogni cosa.
I
nostri pensieri e le nostre azioni devono tendere a che il Regno di
Dio venga e la sua giustizia si compia. Allora noi possiamo essere
certi che tutto, anche le cose più oscure, ci è stato dato perché
ci salviamo. Qualsiasi esperienza ci rechi il destino, dobbiamo con
fede elevarla nel quadro della provvidenza divina, con fiducia
superare la nostra ignoranza e con amore collaborare all' opera del
Padre. Per questo preghiamo: “Aiutami, o Signore, a illuminare la
confusione delle cose con la chiarezza della fede e a trasformare
nella forza della fiducia la difficoltà di tutto ciò che pesa su di
me. E il tuo Santo Spirito possa testimoniare nel mio cuore che io
sono veramente tuo figlio, e ho ragione quando accetto tutti gli
avvenimenti della tua mano. Fa’ che nella certezza del tuo amore
trovino risposta quelle domande a cui nessuna sapienza umana può
rispondere. Che tu mi ami è risposta a ogni domanda — fa’ che io
lo senta quando giunge l’ora della prova. Amen” (Romano
Guardini).
2)
Dio Creatore, Padre Provvidente.
Lungo
tutta la storia umana, nel pensiero dei filosofi, nelle dottrine
delle grandi religioni ed anche nella semplice riflessione dell’uomo
della strada, l’umanità è sempre stata alla ricerca delle ragioni
per comprendere, anzi per giustificare l’agire di Dio nel mondo.
Come
risposta a questa ricerca la Chiesa offre la dottrina della divina
Provvidenza. E’, quello della Chiesa, un insegnamento che non nasce
da una sua invenzione, anche se ispirata da pensieri di umanità, ma
dal fatto che Dio si è rivelato così: nella storia del suo popolo
Dio ha manifestato che la sua azione creativa e il suo intervento di
salvezza erano indissolubilmente uniti, facevano parte di un unico
disegno progettato da sempre. Dunque, il primo – non solo in
ordine cronologico – il più alto e profondo documento della
Provvidenza di Dio è la Bibbia, nella sua globalità. Nella Sacra
Scrittura ci è rivelato l’intervento di Dio sulla natura con la
creazione e il suo ancor più stupendo intervento con la redenzione,
che ci fa creature nuove in un mondo rinnovato dall’amore di Dio in
Cristo.
Già
l’Antico Testamento parla di Provvidenza divina nei capitoli sulla
creazione e in quelli più specificamente attenti all’opera della
salvezza: nella Genesi e nei Profeti, specialmente in Isaia, nei
Salmi cosiddetti del creato, nei Libri Sapienzali, così attenti a
ritrovare il segno di Dio nel mondo.
Poi
il Nuovo Testamento ci rivela che il nostro Padre che è nei cieli è
onnipotente ma, al tempo stesso, è infinitamente provvidente e
misericordioso: il suo cuore è vicino alla nostra
miseria. Quando Gesù ci parla della Divina provvidenza nel
Vangelo, ci parla di un Padre amorevole, che con dedizione vede
ogni dettaglio della nostra vita, anche il più piccolo: “Due
passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure neanche uno di essi
cadrà a terra senza che il Padre vostro lo voglia. Quanto a voi,
perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati; non abbiate
dunque timore: voi valete più di molti passeri!” (Mt
10,29-31).
A
questo riguardo, pur dentro un annuncio di tenerezza e di
sollecitudine, si potrebbe pensare che c’è un’antitesi tra
Provvidenza divina e libertà dell’uomo. Al contrario, c’è un
rapporto di comunione nell’amore ed anche la tradizione della
Chiesa e la vita dei santi ce ne sono testimoni.
A
conferma di ciò ritrascrivo la risposta che Santa Teresa di Calcutta
diede a un giornalista che le chiedeva: “Madre, Lei pone sempre
l’accento sulla Provvidenza divina. Viviamo in un mondo dove tutto
è organizzato. Che cosa fare perché la fede nella Provvidenza trovi
in noi maggiore spazio?”
Madre Teresa rispose: “Se si
guarda la natura, vi si vedono milioni di uccelli, milioni di fiori
meravigliosi, milioni di splendidi alberi, e Dio si cura di loro con
il sole, con la pioggia, con la primavera, con l'inverno ... Se
promettiamo a Dio di dare tutto il nostro cuore ai più poveri tra i
poveri, le cose cambieranno. Io e le mie suore non riceviamo
stipendio dallo Stato, né aiuto dalla Chiesa, non riceviamo nulla
dalla gente per il nostro lavoro. Eppure abbiamo migliaia e migliaia
di ammalati, molti bambini adottati. Ancora, mai abbiamo dovuto dire
‘Non abbiamo o non possiamo di più’. L’amore di Dio ha messo
in movimento una moltitudine che fa parte a noi di quello che ha.
Ogni giorno diamo da mangiare a circa 300.000 persone in tutto il
mondo. Mai abbiamo dovuto respingere qualcuno dicendo: ‘Non
abbiamo!’ Questa è la Provvidenza di Dio, questo è il delicato
amore di Dio”.
3)
Provvidenza e le Vergini consacrate nel mondo
E’
chiaro che l’insegnamento cristiano sulla Provvidenza, pur
rimanendo sempre vero e valido per tutti, è praticato in modi
diversi a seconda delle diverse vocazioni. Le Missionarie della
Carità (le Suore di Madre Teresa di Calcutta), per esempio –ma non
è l’unico esempio perché molte altre persone religiose lo fanno –
potranno seguirlo in maniera più radicale, mentre una madre di
famiglia dovrà tener conto dei propri doveri verso il marito ed i
figli. In ogni caso, però, il cristiano si distingue per l’assoluta
fiducia nel Padre celeste, come è stato per Gesù. E’ proprio la
relazione con Dio Padre che dà senso a tutta la vita di Cristo, alle
sue parole, ai suoi gesti di salvezza, fino alla sua passione, morte
e risurrezione. Gesù ci ha dimostrato che cosa significa vivere con
i piedi ben piantati per terra, attenti alle concrete situazioni del
prossimo, e al tempo stesso tenendo sempre il cuore in Cielo, immerso
nella misericordia di Dio.
Vale
anche per queste consacrate quello che già nel 1600 San Vincenzo de
Paoli scriveva nelle regole per le “sue” Figlie della Carità: Il
fine principale per il quale Dio ha chiamato e riunito le Figlie
della Carità è per onorare Nostro Signore Gesù Cristo come la
sorgente e il modello di ogni Carità ... Considereranno che non sono
monache, non avendo per monastero se non le case dei malati e quella
dove risiede la superiora, per cella una camera d’affitto, per
cappella la chiesa parrocchiale, per chiostro le vie della città,
per clausura l’obbedienza, non dovendo andare se non dai malati e
nei luoghi necessari per il loro servizio, per grata il timor di Dio,
per velo la santa modestia, e non facendo altra professione per
assicurare la loro vocazione all’infuori di quella continua fiducia
che hanno nella divina Provvidenza e dell’offerta di tutto quello
che sono e di tutto quello che fanno per il servizio dei poveri...”
. (Da Regole Comuni delle Compagnia delle Figlie della Carità
I,1-2). Le vergini consacrate nel mondo con la loro vita personale e
non in comunità sono chiamate a fa risplendere in loro stesse il
volto di Cristo, rendendo visibile nel mondo la Sua presenza. Con il
cuore donato a Cristo e libero da legami umani, le vergini consacrate
prendono su di sé le ansie dei fratelli e servono il Cristo, loro
Sposo soprattutto e nelle sue membra sofferenti. Che il Signore aiuti
loro e noi a sapere vedere –nelle vicende umane di ogni giorno - la
divina Provvidenza che è la ragione dell’ordine (Cfr. Summa
Theologica, I, 22, 3 ss.; 103, 1 ss.; Sap. 14, 3; Prov. 8; etc.).
La Provvidenza è il riflesso del pensiero di Dio nelle cose e nella
storia; “è la razionalità, sapiente e buona, palese o recondita,
di cui tutto è impregnato” (Paolo VI).
Lettura
Patristica
Sant’Agostino
d’Ippona
De
civitate Dei, 10, 14
La
fede nella Provvidenza
Come
la retta educazione dell’individuo così anche quella del genere
umano, per quanto riguarda il popolo di Dio, progredì attraverso
traguardi di tempi, in analogia allo sviluppo delle età, affinché
si formasse dalle cose divenienti all’apprendimento delle cose
eterne e dalle visibili a quello delle invisibili. Quindi anche in
quel tempo in cui da Dio si promettevano ricompense visibili, si
inculcava che si deve adorare un solo Dio. Così l’intelligenza
umana, anche per quanto riguarda gli stessi beni terreni della vita
che fugge, si doveva sottomettere soltanto al vero Creatore e Signore
dell’anima. È irragionevole infatti chi nega che tutte le cose,
che gli angeli e gli uomini possano concedere agli uomini, sono in
potere di un solo Onnipotente. Il platonico Plotino ammette senza
esitazione la provvidenza e dimostra dalla bellezza dei fiori e delle
piante che essa dal sommo Dio, che ha bellezza ineffabilmente
intelligibile, giunge fino alle cose più basse della terra. Dichiara
che tutte queste cose spregevoli ed estremamente precarie possono
avere i gradi convenienti delle proprie forme soltanto se le ricevono
dall’essere in cui permane la forma intelligibile e non diveniente
che ha in atto la totalità dell’essere. Gesù lo dichiara con le
parole: "Osservate
i gigli del campo, non lavorano e non tessono. Ma io vi dico che
neanche Salomone in tutta la sua gloria vestiva come uno di loro. Se
dunque Dio veste così un’erba del campo che oggi è e domani si
getta nel braciere, quanto più voi, uomini di poca fede?"
(Mt
6,28-29).
Giustamente quindi l’anima ancora legata ai terreni desideri si
abitua ad attendere soltanto dall’unico Dio i beni infiniti della
terra che desidera nel tempo, perché‚ indispensabili alla vita che
fugge, ma spregevoli al confronto con i beni della vita eterna. Così,
pur nel desiderio dei beni terreni, non si allontana dal culto a lui
che deve raggiungere disprezzandoli e volgendosi in senso contrario
ad essi.
Sant’Ambrogio
di Milano
Hexamer.
3, 36
3.
Considerate i gigli dei campi...
Ma
quale spettacolo è quello di un campo in pieno rigoglio, quale
profumo, quale attrattiva, quale soddisfazione per i contadini! Come
potremmo spiegarlo degnamente con le nostre parole? Ma abbiamo la
testimonianza della Scrittura dalla quale vediamo paragonata la
bellezza della campagna alla benedizione e alla grazia dei santi,
quando Isacco dice: "L’odore
di mio figlio è l’odore d’un campo rigoglioso"
(Gn
27,27).
Perché descrivere le viole dal cupo colore purpureo, i candidi
gigli, le rose vermiglie, le campagne tinte ora di fiori color d’oro
ora variopinti ora color giallo zafferano, nelle quali non sapresti
se rechi maggior diletto il colore dei fiori o il loro profumo
penetrante? Gli occhi si pascono di questa gradevole visione e
intorno ampiamente si sparge il profumo che ci riempie del suo
piacevole effluvio. Perciò giustamente il Signore dice: "E
la bellezza del campo è con me
(Ps
49,11).
È con lui, perché ne è l’autore: quale altro artefice infatti
avrebbe potuto esprimere una così grande bellezza nelle singole
creature? "Considerate
i gigli del campo"
(Mt
6,28),
quale sia il candore dei loro petali, come questi, l’uno stretto
all’altro, si rizzino dal basso verso l’alto in modo da
riprodurre la forma d’un calice, come nell’interno di questo
risplenda quasi un bagliore d’oro che, difeso tutt’intorno dalla
protezione dei petali, non è esposto ad alcuna offesa. Se si
cogliesse questo fiore e si sfogliassero i suoi petali, quale mano di
artista sarebbe così abile da ridargli la forma del giglio? Nessuno
saprebbe imitare la natura con tanta perfezione da presumere di
ricostituire questo fiore, cui il Signore diede un riconoscimento
così eccezionale da dire: "Nemmeno
Salomone in tutta la sua gloria vestiva come uno di questi"
(Mt
6,29).
Un sovrano ricchissimo e sapientissimo è giudicato da meno della
bellezza di questo fiore.