XXXIV
Domenica del Tempo Ordinario – Anno C – 20 novembre 2016
Rito
Romano
2Sam
5,1-3; Sal 121; Col 1,12-20; Lc 23,35-43
Nostro
Signore Gesù Cristo Re dell'Universo
Rito
Ambrosiano
Bar
4,36-5.9; Sal 99; Rm 15,1-13; Lc 3,1-18
II
Domenica di Avvento (Anno A)
I
figli del Regno
1)
Regalità della Verità.
L’anno
liturgico si chiude con la celebrazione di Cristo, Re dell’universo.
Quest’anno 2016 la Solennità di
Cristo Re cade la domenica 20 novembre, giorno conclusivo dell’Anno
giubilare della misericordia amorosa, che
ci dà la luce e la vita, ora e per l’eternità.
Grazie
alla liturgia, abbiamo iniziato il nostro cammino del cuore a
Nazareth con la Madonna che attendeva il Messia da lei atteso e a lei
annunciato dall’Angelo, poi spiritualmente abbiamo percorso con il
Salvatore le strade della Terra Santa. Alla fine dell’annuale
cammino liturgico oggi arriviamo a Gerusalemme e siamo messi davanti
alla Croce, sulla quale Cristo muore.
Qualcuno
può stupirsi che per
festeggiare Cristo, re dell'universo, la Chiesa non ci proponga oggi
il racconto di una teofania splendente: quella della Trasfigurazione,
per esempio. La liturgia ci invita a contemplare Gesù in Croce. Su
questo paradossale “trono”, il Re dei re esercita il potere
salvando un ladro pentito.
Siamo
invitati a capire che la regalità
di Gesù Cristo ha come centro il mistero della sua morte e
risurrezione. Quando Gesù è messo in croce, i capi dei Giudei lo
deridono dicendo: “Se
tu sei il re dei Giudei, salva te stesso” (Lc
23, 37).
In realtà, Gesù, il Figlio di Dio, si è consegnato liberamente
alla sua passione, e la croce è il segno paradossale della sua
regalità, che consiste nella vittoria della volontà d’amore di
Dio Padre sulla disobbedienza del peccato. Da
questo “trono” di semplice legno secco Cristo regna esercitando
il suo potere di amore misericordioso. Dalla croce che regge il
mondo, Lui regna e governa con l’amore misericordioso.
E’
proprio offrendo se stesso nel sacrificio di espiazione che Gesù
diventa il Re universale, come, apparendo agli Apostoli dopo la
risurrezione, Lui stesso dichiarerà: “A me è stato dato ogni
potere in cielo e sulla terra” (Mt
28,18).
Ma in
che cosa consiste la regalità di Gesù? Il
suo regno è un
“regno eterno e universale, regno di verità e di vita, di santità
e di grazia, di amore e di pace” (Prefazio
della Messa di Cristo Re).
A questo regno noi avremo accesso, guardando
Gesù in croce come ha fatto il ladrone pentito. Quest’uomo seppe
riconoscere la verità di Dio in un uomo crocifisso e fu salvato per
sempre: Cristo è Dio, è grazia, è misericordia, ed è morto perchè
ciascuno di noi possa vivere.
E'
importante capire che la regalità di Cristo risplende nella sua
“ostinazione” ad amarci, nel suo rifiuto di usare la sua potenza
per salvare se stesso, donando la vita e donandoci la vita vera. E’
ancora più importante capire che Gesù è re della verità. Lui è
re
dell’universo, perché è la Verità, fa entrare nella verità e le
rende testimonianza (Gv
8,44-45).
Per
Gesù,
che si definì: Verità, Via e Vita (Gv
14, 16),
la verità è la
sola cosa conta, come rispose a Pilato: “Tu
lo dici; io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto
nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla
verità, ascolta la mia voce”
(Gv
18,37). E questa affermazione non contraddice l’importanza
dell’amore. Verità
e amore non sono in contraddizione; piuttosto si esigono e alimentano
vicendevolmente, poiché la verità senza l’amore può diventare
brutale e l’amore senza verità può diventare banale.
“Proprio
nel colloquio di Gesù con Pilato si rende evidente che non esiste
alcuna rottura tra l’annuncio di Gesù in Galilea - il regno di Dio
- e i suoi discorsi in Gerusalemme. Il centro del messaggio fino alla
croce - fino all’iscrizione sulla croce - è il regno di Dio, la
nuova regalità che Gesù rappresenta. Il centro di ciò è, però,
la verità. La regalità annunciata da Gesù nelle parabole e,
infine, in modo del tutto aperto davanti al giudice terreno è,
appunto, la regalità della verità. L’erezione di questa regalità
quale vera liberazione dell’uomo è ciò che interessa” (Joseph
Ratzinger-Benedetto XVI, Gesù
di Nazareth,
Città del Vaticano 2011, p. 219).
2)
Re vero di un mondo nuovo.
Il
potere regale di Cristo non è come quello dei re e dei potenti di
questo mondo. E’ il potere divino di dare la vita eterna, di
liberare dal male, di sconfiggere il dominio della morte. E’ il
potere dell’Amore, che per imporsi non ha bisogno della forza bruta
ma di quella della tenerezza, che sa ricavare il bene dal male,
intenerire un cuore indurito, portare pace nel conflitto più aspro,
accendere la speranza nel buio più fitto. Questo Regno della Grazia
non si impone mai, si propone e rispetta sempre la nostra libertà.
Cristo è venuto a “rendere testimonianza alla verità” (Gv
18,37).
Davvero
la regalità di Gesù ha nulla da condividere con il concetto di
regalità che abbiamo noi uomini. Noi siamo abituati a chiamare
‘grandi’ quanti nella politica, nell'economia, nella vita
sociale, sanno imporsi con ‘visibilità', che spesso sa di voglia
di affermarsi, di stupire e di dominare.
Il
Regno di Gesù non è di questo mondo. Perché? Perché la verità è
che “Dio
ha tanto amato il mondo da sacrificare il suo unico Figlio perché
chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna”
(Gv
3, 16).
Dunque
l’importante è accettare la croce e riconoscerla come trono di
verità e di compassione. Cristo patì con noi (ci compatì, nel
senso letterale del termine: com-patire cioè patire, soffrire con)
e la sua compassione non fu un’emozione che si espresse solo con le
lacrime. Gesù non solo pianse sul nostro dolore e sul nostro peccato
ma in maniera definitiva sulla croce, quando prese su di sé la colpa
del mondo e come agnello, come capro espiatorio, la portò via, fece
sua la nostra passione. Gesù è “Re
ma la sua è la potenza di Dio, che affronta il male del mondo, il
peccato che sfigura il volto dell'uomo. Gesù prende su di sé il
male, la sporcizia, il peccato del mondo, anche il nostro peccato, e
lo lava, lo lava con il suo sangue, con la misericordia, con l'amore
di Dio” (Papa Francesco, Angelus del 14 novembre 2015)
L’immacolato
Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo da perenne
testimonianza alla verità. Alla verità dell’Amore divino.
Con
la Croce il mondo che prende in giro Cristo: “Se sei re scendi
dalla Croce, salvati”, è vinto. “Abbiate fiducia, io ho vinto il
mondo” e perciò: “Sì, io sono re”. Ma non all’interno del
mondo che è stato sconfitto, bensì dall’alto di un trono che sta
innalzato al di sopra del mondo. Gesù introduce la Signoria di Dio
nel mondo, al suo interno: nel cuore degli uomini: in particolare dei
poveri, dei bambini, dei misericordiosi dei miti, dei perseguitati:
nei cuori puri. Per mezzo suo l’amore di Dio è ora e stabilmente
divenuto di casa sulla terra.
3)
Un messaggio troppo alto e lontano?
Questo
messaggio di Cristo re che serve la verità e l’amore mediante il
dono totale di sé, può essere avvertito come qualcosa di così
lontano e di così alto che noi poveri esseri umani non possiamo
afferrarlo. Il Cristianesimo sembra essere una dottrina non
realistica, non adatta a questo mondo. Ma il Redentore ha detto:
“Sono venuto nel mondo per rendere testimonianza alla verità e
ognuno che è dalla verità ascolta la mia voce”. Ognuno. Non
solamente chi ha studiato teologia o il catechismo. Cristo Re ha un
modo di rendersi comprensibile a chiunque: facendosi incontro a
ciascun essere umano, purché il suo cuore –anche se in modo
inconsapevole - aneli a Lui. Ognuno può incontrarlo ed ascoltare la
sua voce. I cristiani non ne hanno il monopolio, hanno il compito di
continuare a portare avanti nel mondo -in modo esplicito e
consapevole- la testimonianza della verità e dell’amore che hanno
sperimentato in sé.
Un
modo particolare di rendere questa testimonianza è quello delle
vergini consacrate nel mondo. Con il dono totale di se stesse vissuto
nel mondo, queste donne testimoniano che
il regno di Cristo comincia nel più profondo della coscienza dei
cristiani, e per essere autentico deve, per mezzo di un movimento
verso l'esterno, investire la vita quotidiana con tutte le sue
attività piccole e grandi che esso implica. La dimensione
spirituale, interiore non si opporne al fare. La prima richiama
necessariamente la seconda.
Queste
consacrate, amanti della vita spirituale, testimoniano l'efficacia
temporale dell'unione con Dio, cioè del regno di Cristo al quale si
aderisce interiormente, ma al quale si deve lavorare nel mondo. La
preghiera non è tempo buttato via e i problemi della vita quotidiana
non si risolvono risparmiando il tempo e lo sforzo consacrati alla
preghiera. La grazia necessaria alla realizzazione di questi
obiettivi sociali, che richiedono tanti sforzi e sacrifici, non
potrebbe essere completamente indipendente dalla fede in Gesù
Cristo, Re dell’universo.
Consacrandosi
hanno scelto definitivamente ed esclusivamente Cristo, Sposo e verità
della loro vita. Questa scelta non garantisce il
successo secondo i criteri del mondo, ma assicura quella pace e
quella gioia che solo Lui può dare. Lo dimostra l’esperienza di
queste donne che, in nome di Cristo, in nome della verità e della
giustizia, hanno saputo opporsi alle lusinghe dei poteri terreni con
le loro diverse maschere, sino a sigillare con il dono totale di se
stesse questa loro fedeltà per collaborare alla costruzione del
regno di verità e di amore del loro Sposo.
Lettura
Patristica
San
Giovanni Crisostomo
Hom.
de cruce et latrone,
2 s.
Il
paradiso aperto a un ladro
Vuoi
vedere un’altra sua opera meravigliosa? Oggi ci ha aperto il
paradiso, ch’era chiuso da più di cinquemila anni. In un giorno e
in un’ora come questa, vi portò un ladro e così fece due cose
insieme: aprì il paradiso e v’introdusse un ladro. In questo
giorno ci ha ridato la nostra vera patria e l’ha fatta casa di
tutto il genere umano, poiché dice: "Oggi
sarai con me in paradiso"
(Lc
23,43).
Che cosa dici? Sei crocifisso, hai le mani inchiodate e prometti il
paradiso? Certo, dice, perché tu possa capire chi sono, anche sulla
croce. Perché tu non ti fermassi a guardare la croce e potessi
capire chi era il Crocifisso, fece queste meraviglie sulla croce. Non
mentre risuscita un morto, o quando comanda ai venti e al mare, o
quando scaccia i demoni, ma mentre è in croce, inchiodato, coperto
di sputi e d’insulti, riesce a cambiar l’animo d’un ladro,
perché tu possa scoprire la sua potenza. Ha spezzato le pietre e ha
attirato l’anima d’un ladro, più dura della pietra e l’ha
onorata, perché dice: "Oggi
sarai con me in paradiso".
Sì, c’eran dei Cherubini a custodia del paradiso; ma qui c’è il
Signore dei Cherubini. Sì, c’era una spada fiammeggiante, ma
questi è il padrone della vita e della morte. Sì, nessun re
condurrebbe mai con sé in città un ladro o un servo. L’ha fatto
Cristo, tornando nella sua patria, v’introduce un ladro, ma senza
offesa del paradiso, senza deturparlo con i piedi d’un ladro,
accrescendone anzi l’onore; è onore, infatti, del paradiso avere
un tale padrone, che possa fare anche un ladro degno della gioia del
paradiso. Quando infatti egli introduceva pubblicani e meretrici nel
regno dei cieli, ciò non era a disonore, ma a grande onore, perché
dimostrava che il padrone del paradiso era un così gran Signore, che
poteva far di pubblicani e meretrici persone così rispettabili, da
meritare l’onore del paradiso. Come, infatti, ammiriamo
maggiormente un medico, quando lo vediamo guarire le più gravi e
incurabili malattie, cosi è giusto ammirare Gesù Cristo, quando
guarisce le piaghe e fa degni del cielo pubblicani e meretrici. Che
cosa mai fece questo ladro, dirai, da meritar dopo la croce il
paradiso? Te lo dico subito. Mentre per terra Pietro lo rinnegava,
lui in alto lo proclamava Signore. Non lo dico, per carità, per
accusare Pietro; ma voglio rilevare la magnanimità del ladro. Il
discepolo non seppe sostenere la minaccia d’una servetta; il ladro
tra tutto un popolo che lo circondava e gridava e imprecava, non ne
tenne conto, non si fermò alla vile apparenza d’un crocifisso,
superò tutto con gli occhi della fede, riconobbe il Re del cielo e
con l’animo proteso innanzi a lui disse: "Signore,
ricordati di me, quando sarai nel tuo regno"
(Lc
23,42).
Per favore, non sottovalutiamo questo ladro e non abbiamo vergogna di
prendere per maestro colui che il Signore non ebbe vergogna di
introdurre, prima di tutti, in paradiso; non abbiamo vergogna di
prender per maestro colui che innanzi a tutto il creato fu ritenuto
degno di quella conversazione che è nei cieli; ma riflettiamo
attentamente su tutto, perché possiamo penetrare la potenza della
croce. A lui Cristo non disse, come a Pietro: "Vieni
e ti farò pescatore d’uomini"
(Mt
4,19),
non gli disse, come ai Dodici: "Sederete
sopra dodici troni per giudicare le dodici tribù d’Israele"
(Mt
19,28).
Anzi neanche lo degnò d’una parola, non gli mostrò un miracolo;
lui non vide un morto risuscitato, non demoni espulsi, non il mare
domato; eppure lui innanzi a tutti lo proclamò Signore e proprio
mentre l’altro ladro lo insultava...
Hai
visto la fiducia del ladro? La sua fiducia sulla croce? La sua
filosofia nel supplizio e la pietà nei tormenti? Chi non si
meraviglierebbe che, trafitto dai chiodi, non fosse uscito di mente?
Invece non solo conservò il suo senno, ma abbandonate tutte le cose
sue, pensò agli altri e, fattosi maestro, rimproverò il suo
compagno: "Neanche
tu temi Dio?"
(Lc
23,40).
Non pensare, gli dice, a questo tribunale terreno; c’è un altro
giudice invisibile e un tribunale incorruttibile. Non t’affannare
d’essere stato condannato quaggiù; lassù non è la stessa cosa.
In questo tribunale i giusti a volte son condannati e i malvagi
sfuggono la pena; i rei vengono prosciolti e gl’innocenti vengono
giustiziati. Infatti i giudici, volenti o nolenti, spesso sbagliano;
poiché per ignoranza o inganno o per corruzione possono tradire la
verità. Lassù è un’altra cosa. Dio è giudice giusto e il suo
giudizio verrà fuori come la luce, senza tenebre e senza
ignoranza...
Vedi
che gran cosa è questa proclamazione del ladro? Proclamò Cristo
Signore e aprì il paradiso; e acquistò tanta fiducia, che da un
podio di ladro osò chiedere un regno. Vedi di quali beni la croce è
sorgente? Chiedi un regno? Ma che cosa vedi che te lo faccia pensare?
In faccia hai una croce e dei chiodi, ma la croce, egli dice, è
simbolo di regno. Invoco il Re, perché vedo il Crocifisso; è
proprio del re morire per i suoi sudditi. Questo stesso disse: "Il
buon pastore dà la vita per le sue pecore"
(Jn
10,11).
Dunque, anche un buon re dà la vita per i sudditi. Poiché dunque
diede la sua vita, lo chiamo Re. "Signore,
ricordati di me, quando sarai nel tuo regno".
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