venerdì 11 novembre 2016

Attesa di un Avvento

XXXIII Domenica del Tempo Ordinario – Anno C – 13 novembre 2016
Rito Romano
Ml 3,19-20; Sal 97; 2Ts 3,7-12; Lc 21,5-19


Rito Ambrosiano
Is 51, 4-8; Sal 49; 2Ts 2,1-14; Mt 24,1-31
I Domenica di Avvento (Anno A)
La venuta del Signore
 

1) Riflettere sulla fine del mondo per conoscere il fine (scopo) del mondo.
In quest’ultima domenica dell’anno liturgico, che scandisce la nostra vita, la Chiesa ci fa meditare sulla fine di tutto, per dare inizio al Tutto, che è la Vita eterna.
La Parola di Dio ci invita oggi a meditare sulle realtà ultime, per poter conoscere e comprendere segni dei tempi con uno sguardo di fede sul mondo e sulla nostra vita e prepararci con fiducia all’incontro finale con l’amore di Dio. In effetti, chi ha una confidenza amorosa in Dio è capace di perseverare e merita la vita per sempre.

Nel brano del Vangelo di oggi il Messia ci insegna a vivere con fiducia e con testimonianza perseveranti, maturando nella consapevolezza che “ciò che non abbiamo potuto ricevere a causa della nostra debolezza, possiamo riceverlo con la nostra perseveranza” (cfr S. Efrem il Siro (306 – 373), dal Diatessaron, IV sec.).
Parlando di guerre, rivoluzioni, carestie, persecuzioni e altri avvenimenti tristi, Cristo non intende spaventare i discepoli di allora e di oggi, ma insegnare che le difficoltà della vita, piccole o grandi che siano, sono occasioni per diventare più forti nella fede e più saldi nella speranza.
Da una parte, il perseverare saldi nell’attesa di Cristo, che è il nostro Fine, è la modalità grazie alla quale l’Atteso è accolto e pone la sua dimora in mezzo a noi: Lui è l’Emmanuele, il Dio con noi – sempre. Dall’altra parte, il tempo che ci separa dalla fine per stare sempre con il Fine è il tempo della testimonianza, in cui sperimentiamo la vicinanza di Dio e il suo amore, che non abbandona i suoi discepoli, ma è loro accanto anche suggerire loro le parole di fronte ai persecutori (cfr. Lc 21,15).
Gesù ci incoraggia a rimanere fedeli a lui fino alla fine. Perseveriamo saldamente nell’attesa e l’incontro con Lui trasformerà le nostre difficoltà, le nostre paure e angosce, persino quelle della morte, in una risurrezione gloriosa.

2) Due testimoni di perseveranza e di testimonianza.
Tra i numerosissimi santi, che sono esempio di perseveranza e di testimonianza di vera attesa, ne scelgo due: San Giovanni, il precursore, e la Madonna, perché sono come i due pilastri che stanno accanto al portale che Cristo ha attraversato per entrare nella nostra storia.
Tutti e due non aspettavano qualcosa, ma Qualcuno. Non cercavano di discernere dei fatti più o meno apocalittici per decidere cosa fare nel futuro più o meno immediato: loro aspettavano nientemeno che Dio. Non attendevano tempi migliori, né una vaga utopia, né un eroe, ma aspettavano davvero Dio.
San Giovanni Battista attendeva semplicemente Dio, il Dio che veniva a mettere ordine, a giudicare e a salvare. Il Precursore era uno deciso a tutto fino all’ultimo. Non ebbe scrupoli a chiamare i capi del popolo “razza di vipere” e a rinfacciare al re Erode tutti i misfatti da lui compiuti. Non ebbe nessuna paura della prigione e della decapitazione. Perseverò nell’essere “semplicemente” voce che risuona nel deserto e attraverso ogni cosa, anche attraverso le orecchie tappate. Lui fu un vero, perseverante testimone che indicò la presenza dell’Agnello di Dio e suggellò questa indicazione con il dono della vita. Lui mostra come si debba essere testimoni, cioè martiri. Lui è modello per tutti i cristiani (laici, religiosi/e, preti e vescovi) di come si debba essere missionari di Cristo: nessuno deve annunciare se stesso, né sostituire la Parola con delle chiacchiere, tutti dobbiamo essere solamente voce di Colui che sta crescendo in mezzo a noi, che è sempre più grande di noi.
Anche la Madonna attendeva Dio. Lei sapeva che l’angelo le aveva detto: “Il Santo che porti in grembo sarà chiamato Figlio di Dio, figlio dell’altissimo e il suo regno non avrà fine” (Lc 1, 31 ss). Però, Lei non attendeva come invece il Battista attendeva un Inimmaginabile, che veniva avanti con il fuoco, la scure e il ventilabro. Lei aspettava un piccolo bambino. Ma per una mamma un bambino che è Dio non è forse ancora più inimmaginabile? Quel bambino non verrà forse a “gettare fuoco sulla terra”? E una spada non dovrà trapassare il cuore della madre? Ma la Vergine Maria perseverò nell’attesa, accolse in sé e donò all’umanità (a ciascuno di noi) Uno che è “mite e umile di cuore” e che non “strepita nelle piazze e non spegne il lucignolo fumigante” (Mt 11, 29, 12, 19 s). La Madonna perseverò anche nel cammino con Cristo, da Nazareth dove lo concepì per opera dello Spirito Santo a Gerusalemme dove Cristo emise lo Spirito e ricreò il mondo.
La nostra Madre celeste ci è dunque eminente modello di come possiamo e dobbiamo essere testimoni.
I tempi ultimi e i segni tremendi che li indicano ci atterriscono, e ciò non solo perché sono terrificanti ma perché ci indicano il definitivo che inesorabilmente viene.
Che fare? “Convertirsi e fare penitenza” ci dice Giovanni il Battista. “Portare Cristo in noi per gli altri” ci dice la Madre di Dio. Dobbiamo passare dall’io al tu, a Dio. Dallo sterile ed egoistico essere per se stessi al fecondo e amoroso essere per gli altri, seguendo Cristo, l’Emmanuele con noi e per voi.
3) L’esempio delle vergini consacrate nel mondo.
Ed ora una breve riflessione sul come le vergini consacrate nel mondo ci possono essere di esempio per seguire San Giovanni il Battista e la Madonna.
Alla scuola del Battista queste donne consacrate imparano non a parlare di Cristo ma a indicarlo mettendo il pratica quotidianamente la frase: “Occorre che io diminuisca perché Lui cresca”. Le vergini consacrate mostrano che il Precursore non invita solo ad una sobrietà dello stile di vita, ma anche ad un cambiamento interiore, grazie al quale si accoglie la luce di Colui che è “il più Grande” e si è fatto piccolo, “il più Forte” e si è fatto debole.
Alla scuola di Maria questa consacrate imparano a vivere la verginità come intensità di desiderio e di vita fecondo. Grazie alla loro consacrazione riaccade il miracolo della maternità verginale della Madre di Dio.
Dall’incarnazione di Dio e dalla grazia del Battesimo fiorisce quella progenie santa di cui nella consacrazione delle vergini del Pontificale Romano la Chiesa dice: “Pur nella salvaguardia della benedizione nuziale che scende sullo stato matrimoniale, ci devono essere anime più nobili che sacrificano la comunità fisica dell’uomo e della donna e che tendono al mistero che il matrimonio contiene. Donando tutto il loro amore al mistero indicato dal matrimonio, si consacrano a Colui che è sposo e figlio della verginità eterna”.
Ma questo è il grande mistero della Chiesa: l’unione tra divinità e umanità nel seno della Vergine. Per questo la Chiesa benedice le vergini nelle preghiera di consacrazione con queste parole: “Vi benedica il Creatore del cielo e della terra, che si è degnato di scegliervi per la comunione con la beata Maria, Madre del nostro Signore Gesù Cristo”. La sua vita è semplicemente un prototipo. “Immagine della verginità sia per voi la vita di Maria, da cui come da uno specchio si riflette la bellezza della castità e la norma di ogni virtù” (Sant’Ambrogio, De Virginibus, II, 2, 6, PL 16, 108). Se la Chiesa vuole restare quella che è, “Vergine è e vergine sia” (Sant’Agostino, Discorso 1,8). Ci devono essere queste “anime nobili, che imitano nel loro corpo quello che avvenne in Maria e anticipano ciò che la Chiesa salvata riceverà nella gloria.

Lettura Patristica
San Gregorio Magno
Sermo 1, 1-3


La fine del mondo segna il trionfo di Gesù Cristo e il premio degli eletti.

       Fratelli carissimi, il nostro Signore e Redentore, volendoci trovare preparati e per allontanarci dall’amore del mondo, ci dice quali mali ne accompagnino la fine. Ci scopre quali colpi ne indichino la fine, in modo che se non temiamo Dio nella tranquillità, il terrore di quei colpi ci faccia temere l’imminenza del suo giudizio. Infatti alla pagina del santo Vangelo che avete ora sentito, il Signore poco prima ha premesso: "Si leverà popolo contro popolo e regno contro regno; vi saranno terremoti, pestilenze e carestie dappertutto" (Lc 21,10-11); e poi ancora: "Ci saranno anche cose nuove nel sole, nella luna e nelle stelle; sulla terra le genti saranno prese da angoscia e spavento per il fragore del mare in tempesta" (Lc 21,25); dalle cui parole vediamo che alcune cose già sono avvenute e tremiamo per quelle che devono ancora arrivare. Che le genti si levino contro altre genti e che la loro angoscia si sia diffusa sulla terra l’abbiam visto più ai nostri tempi che non sia avvenuto nel passato. Che il terremoto abbia sconquassato innumerevoli città, sapete quante volte l’abbiam letto. Di pestilenze ne abbiamo senza fine. Di fatti nuovi nel sole, nella luna e nelle stelle, apertamente per ora non ne abbiam visto nulla, ma che non siano lontani ce ne dà un segno il cambiamento dell’aria. Tuttavia prima che l’Italia cadesse sotto la spada dei pagani, vedemmo in cielo eserciti di fuoco, cioè proprio quel sangue rosseggiante del genere umano, che poi fu sparso. Di notevoli confusioni di onde e di mare non ne abbiamo ancora avute, ma poiché molte delle cose predette già si sono avverate, non c’è dubbio che avvengano anche le poche, che ancora non si sono avverate; il passato è garanzia del futuro.

       Queste cose, fratelli carissimi, le andiamo dicendo, perché le vostre menti stiano vigilanti nell’attesa, non s’intorpidiscano nella sicurezza, non s’addormentino nell’ignoranza e vi stimoli alle opere buone il pensiero del Redentore che dice: "Gli abitanti della terra moriranno per la paura e per il presentimento delle cose che devono avvenire. Infatti le forze del cielo saranno sconvolte" (Lc 21,26). Che cosa il Signore intende per forze dei cieli, se non gli angeli, arcangeli, troni, dominazioni, principati e potestà, che appariranno visibilmente all’arrivo del giudice severo, perché severamente esigano da noi ciò che oggi l’invisibile Creatore tollera pazientemente? Ivi stesso si aggiunge: "E allora vedranno venire il Figlio dell’uomo sulle nubi con gran potenza e maestà". Come se volesse dire: Vedranno in maestà e potenza colui che non vollero sentire nell’umiltà, perché ne sentano tanto più severamente la forza, quanto meno oggi piegano l’orgoglio del loro cuore innanzi a lui.

       Ma poiché queste cose sono state dette contro i malvagi, ecco ora la consolazione degli eletti. Difatti viene soggiunto: "All’inizio di questi avvenimenti, guardate e sollevate le vostre teste, perché s’avvicina il vostro riscatto". È la Verità che avverte i suoi eletti dicendo: Mentre s’addensano le piaghe del mondo, quando il terrore del giudizio si fa palese per lo sconvolgimento di tutte le cose, alzate la testa, cioè prendete animo, perché, se finisce il mondo, di cui non siete amici, si compie il riscatto che aspettate. Spesso nella Scrittura il capo sta per la mente, perché come le membra son guidate dal capo, così i pensieri sono ordinati dalla mente. Sollevare la testa, quindi, vuol dire innalzare le menti alla felicità della patria celeste. Coloro, dunque, che amano Dio sono invitati a rallegrarsi per la fine del mondo, perché presto incontreranno colui che amano, mentre se ne va colui ch’essi non amavano. Non sia mai che un fedele che aspetta di vedere Dio, s’abbia a rattristare per la fine del mondo. Sta scritto infatti: "Chi vorrà essere amico di questo mondo, diventerà nemico di Dio" (Jc 4,4). Colui che, allora, avvicinandosi la fine del mondo, non si rallegra, si dimostra amico del mondo e nemico di Dio. Ma non può essere questo per un fedele, che crede che c’è un’altra vita e l’ama nelle sue opere. Si può dispiacere della fine di questo mondo, chi ha posto in esso le radici del suo cuore, chi non tende a una vita futura, chi neanche sospetta che ci sia. Ma noi che sappiamo dell’eterna felicità della patria, dobbiamo affrettarne il conseguimento. Dobbiamo desiderare d’andarvi al più presto possibile per la via più breve. Quali mali non ha il mondo? Quale tristezza e angustia vi manca? Che cosa è la vita mortale, se non una via? E giudicate voi stessi, fratelli, che significherebbe stancarsi nel cammino d’un viaggio e tuttavia non desiderare ch’esso sia finito.


2 commenti:

  1. MA DEVO ESSERE SINCERA...MI PIACE MOLTO LEGGERE SULLA VERGINITÁ CONSACRATA NELLE SUE OMELIE..
    LA vERGINE DELL'AVVENTO SIA CON LEI!

    RispondiElimina
  2. https://abbapaterdemariagladysvc.blogspot.com/2016/11/un-cielo-para-nosotros.html

    RispondiElimina