Rito
Romano
4ª
Domenica di
Avvento -
Anno C
– 20
dicembre
2015
Mi
5,1-4; Sal 79; Eb 10,5-10; Lc 1,39-45
Rito
Ambrosiano
6ª
Domenica di
Avvento
Is
62,10-63,3b; Sal 71; Fil 4,4-9; Lc 1,26-38a
Domenica
dell’Incarnazione
o della
Divina
Maternità
della Beata
Vergine
Maria
1)
Un
sì
di
fede
che
si
fa
cammino
di
carità.
Dopo
aver
risposto
“sì”
all’annuncio
portatole
dall’angelo
Gabriele,
la
Vergine
Madre
di
colui
che
sarà
chiamato
“Figlio
dell’Altissimo”
va
dalla
cugina
Elisabetta,
che
-
anche
se
molto
avanti
con
gli
anni
-
attendeva
un
figlio.
L’anziana
parente
non
appena
vede
arrivare
Maria,
grazie
al
sussulto
di
gioia
del
bambino
che
porta
in
grembo,
riconosce
che
davanti
a
lei
vi
è
qualcuno
di
grande.
Elisabetta
è
colmata
di
Spirito
Santo
e
dà
il
suo
benvenuto
a
Maria
esclamando
a
gran
voce:
“Benedetta
tu
fra
le
donne
e
benedetto
il
frutto
del
tuo
grembo”
(cfr
Lc
1,
41-42).
Benedetta1
e
beata
perché
ha
creduto
nell’adempimento
delle
parole
del
Signore.
Il brano del Vangelo
di oggi è centrato sulla scena dell’incontro tra la Vergine Maria
e la cugina Elisabetta. Per fare questo incontro di carità la
Madonna si è messa in cammino di carità mossa da uno stupore
pieno di gratitudine per quanto le è accaduto e che porta
nel suo grembo. È grazie ai passi della Madonna che, ancor prima di
nascere, Gesù è in cammino sulle strade del mondo andando verso gli
uomini. Questo cammino è esempio per il nostro “dovere” di
metterci in cammino sulle strade degli uomini per portare la luce del
Vangelo a quanti non lo conoscono.
L’evangelista Luca
non riporta le parole di saluto, che Maria rivolge ad Elisabetta
quando arriva in casa sua. Questo silenzio è denso di significato.
Proprio perché senza parole, il saluto di Maria mette in primo piano
la sua persona, non ciò che eventualmente ha da dire. In primo piano
è la voce (cfr. Lc 1,44): non le parole di Maria hanno fatto
sussultare il bambino, ma la sua voce. E’ nella voce di Maria che
il bambino Giovanni percepisce la presenza del Messia atteso.
Il saluto di Maria,
dunque, non è una semplice forma di cortesia, ma un’espressione di
amore. Il saluto di Maria tocca tutto l’essere di Elisabetta,
causando in lei il trasalimento di gioia, il sussulto di Giovanni nel
grembo della madre una volta sterile. E’ un saluto che allude a
quella vita nuova che è germogliata nel grembo di entrambe, e che è
segno della salvezza inaugurata da Dio. Anche Elisabetta è piena
di stupore per quanto le sta
accadendo e per la visita del Signore portato dalla cugina Maria. Il
suo è uno stupore che si fa domanda: “A che devo che la Madre del
mio Signore venga a me?” A questo interrogativo la Madonna risponde
intonando il suo inno di fede e di ringraziamento a Dio, il
Magnificat, che si trova subito dopo il brano del Vangelo di oggi.
Forse questo Cantico è nato in Maria durante il viaggio a piedi -
lungo circa 150 chilometri – per arrivare fino ad Ain Karim,
villaggio a 7-8 chilometri da Gerusalemme, dove abitavano Zaccaria ed
Elisabetta.
Quando recitiamo il
Magnificat, soprattutto la sera alla fine dei Vespri, cerchiamo di
immedesimarci in Maria e di guardare alla nostra vita come lei
guardava alla sua: con occhi di fede. Cerchiamo di imitare Maria, che
ebbe una fede salda, una carità delicata, un’umiltà sincera e la
gioia di portare Cristo al mondo.
2)
Un sì umile
e verginale,
quindi materno.
Nel Magnificat la
Madonna manifesta le due fondamentali direttrici, lungo le quali Dio
agisce nella storia. Innanzitutto, la consapevolezza che la salvezza
deriva unicamente dalla gratuita iniziativa di Dio e dalla sua
fedeltà misericordiosa. In secondo luogo – contrariamente alla
logica umana – questa salvezza si attua nella storia degli
“anawim” biblici, cioè di quei fedeli che si riconoscono
“poveri” non solo nel distacco da ogni idolatria della ricchezza
e del potete, ma anche nell’umiltà profonda del cuore. E’
tramite i “poveri”, i puri e semplici di cuore, gli umili che Dio
porta avanti il suo disegno di salvezza per l’umanità.
La Vergine Maria nel
suo inno canta come l’umiltà sia gradita a Dio e come lei sia
stata scelta per essere la Madre di Gesù perché umile. L’umiltà
di Maria fu il terreno adatto per la realizzazione del progetto di
Dio. In una bella omelia, San Bernardo di Chiaravalle mette in luce
la grandezza dell’umiltà in Maria, non esitando ad attribuire ad
essa – l’umiltà – un’importanza prioritaria anche di fronte
alla stessa verginità. “Bella unione – scrive l’abate di
Chiaravalle – della verginità con l’umiltà. Molto piace a Dio
quell’anima in cui l’umiltà da pregio alla verginità, e la
verginità adorna l’umiltà… Senza umiltà oso dire che neppure
la verginità di Maria sarebbe stata gradita a Dio… Se dunque Maria
non fosse stata umile, non sarebbe disceso in lei lo Spirito
Santo… È dunque chiaro che, perché essa concepisse per opera
dello Spirito Santo, ‘Dio, come lei canta, ha riguardato l’umiltà
della sua serva’ (Lc 1,48), piuttosto che la sua verginità. E se
piacque a causa della sua verginità, concepì però per la sua
umiltà. Anzi, è chiaro anche che se la verginità piacque,
certamente fu in vista della sua umiltà”.
Ma l’umiltà non è
fine a se stessa, è finalizzata allo splendore della carità e in
Maria vi era l’unione “di un’altissima carità e di una
profondissima umiltà”(San Bernardo di Chiaravalle).
Nella visitazione ad
Elisabetta, Maria, “Vergine Madre, umile e alta più che creatura”
(Dante), porta in grembo il Verbo fatto carne e si fa, in qualche
modo, “tabernacolo” – il primo “tabernacolo” della storia –
dove il Figlio di Dio, ancora invisibile agli occhi degli uomini, si
concede all’adorazione di Elisabetta, quasi “irradiando” la sua
luce attraverso gli occhi e la voce di Maria” (San Giovanni Paolo
II, Ecclesia de Eucarestia, n. 5).
La Madonna non è
tanto una creatura che sa, quanto una creatura che crede perché
dotata di grazia, di fede e così diventa figura della Chiesa che,
nella fede, accoglie il proprio Salvatore e lo porta nel mondo,
perché l’umanità intera possa gioirne.
In questa pastorale
della Visitazione, ci sono di esempio le Vergini consacrate nel
mondo, che con il loro lavoro “secolare” si fanno missionarie
dell'amore camminando quotidianamente con i fratelli e sorelle in
umanità, che così possono avere la gioia di essere considerati e
amati.
Tale interessamento è
ispirato dall'amore verginale per il Signore Gesù, amato sopra ogni
cosa e fatto amare. Queste donne consacrate testimoniano che il
cristiano autentico trasforma in carità tutte le cose che tocca:
trasforma in carità il lavoro, la vita, la preghiera, il rapporto
con gli altri. Qualunque cosa il cristiano pratichi viene come
rinnovata, santificata, trasformata dalla forza dell’amore
L’importante è che
nella nostra preghiera il grazie umile e amoroso abbia il primato.
Come ha fatto Maria che con il suo Magnificat ha detto “grazie”,
annunciando il Vangelo della Gioia: la lieta notizia
dell'innamoramento di Dio, che si fa carne per noi.
L’importante è che
ognuno risponda con umiltà e secondo le sue capacità. Se guardiamo
alla scena della Visitazione vediamo Zaccaria che risponde con la sua
fatica a credere, Elisabetta che benedice, Maria che loda, Giovanni
che “danza”. In vari modi ognuno di loro riconosce e porta il
Signore nel mondo. Viviamo questo avvento in modo che sia pronunciata
per ciascuno di noi la parola: Benedetto - Benedetta sei tu perché
porti il Signore, come Maria. Allora capiremo meglio quanto dice
Santo Ambrogio: “Se, secondo la carne, una sola è la madre di
Cristo, secondo la fede tutte le anime generano Cristo: ognuna
infatti accogli in sé il Verbo di Dio” (Esposizione del
Vangelo secondo Luca, 2,
26-27).
L’importante è
verginalmente custodire e alimentare la memoria di Dio, custodendola
in noi stessi e cercando di risvegliarla negli altri. “E’ bello
questo: fare memoria di Dio, come la Vergine Maria che, davanti
all’azione meravigliosa di Dio nella sua vita, non pensa all’onore,
al prestigio, alle ricchezze, non si chiude in se stessa. Al
contrario, dopo aver accolto l’annuncio dell’Angelo e aver
concepito il Figlio di Dio, che cosa fa? Parte, va dall’anziana
parente Elisabetta, anch’essa incinta, per aiutarla; e
nell’incontro con lei il suo primo atto è la memoria dell’agire
di Dio, della fedeltà di Dio nella sua vita, nella storia del suo
popolo, nella nostra storia: «L’anima mia magnifica il Signore …
perché ha guardato l’umiltà della sua serva … di generazione in
generazione la sua misericordia» (Lc 1,46.48.50). Maria ha memoria
di Dio” (Papa Francesco, 29 settembre 2015).
1 Benedire nella tradizione biblica significa – in primo luogo - dire bene di qualcuno,lodare,complimentarsi e, poi, significa dire bene a qualcuno ovvero augurare. La benedizione come lode fa riferimento ad una realtà attuale, mentre la benedizione come augurio chiama in causa ed impegna il futuro. Il significato augurale della benedizione, il benedire è esercitare sovranità sulla storia di qualcuno, impegnare e decidere il futuro. L'uso ebraico utilizza spesso questo verbo “benedire” nella vita e accompagna le persone amate con il suo augurio, la sua benedizione.
Lettura Patristica
Origene
In Luc., 7, 1-6
La visita di Maria a
Elisabetta
I
più
buoni
vanno
dai
meno
buoni
per
procurare
loro
qualche
vantaggio
con
la
loro
venuta.
Così
anche
il
Salvatore
andò
da
Giovanni,
per
santificare
il
suo
battesimo,
e
Maria,
dopo
aver
udito
il
messaggio
dell’angelo,
cioè
che
stava
per
concepire
il
Salvatore
e
che
la
sua
cugina
Elisabetta
era
incinta,
"si
alzò
e
si
recò
in
fretta
alla
montagna,
ed
entrò
nella
casa
di
Elisabetta"
(Lc
1,39-40).
Gesù,
che
era
nel
seno
di
lei,
aveva
fretta
di
santificare
Giovanni
che
si
trovava
nel
grembo
della
madre.
Prima
che venisse Maria per salutare Elisabetta, il fanciullo non «esultò
nel seno»; ma non appena Maria ebbe pronunziata la parola che il
Figlio di Dio, nel suo seno, le aveva suggerito, "esultò
il fanciullo per la
gioia", e da allora Gesù fece, del suo precursore,
un profeta.
Era
necessario che Maria, che era quanto mai degna di essere madre del
Figlio di Dio, salisse alla montagna dopo il colloquio con l’angelo,
e dimorasse sulle vette. Per questo sta scritto: «In quei giorni
Maria si alzò e si recò alla montagna».
Doveva
del pari, non essendo affatto pigra nel suo zelo, affrettarsi
sollecitamente, e, ricolma di Spirito Santo, essere condotta sulle
vette, essere protetta dalla potenza di Dio la cui ombra l’aveva
già ricoperta.
Venne
dunque
"in
una
città
di
Giuda,
nella
casa
di
Zaccaria
e
salutò
Elisabetta.
E
accadde
che
quando
Elisabetta
udì
il
saluto
di
Maria,
esultò
il
fanciullo
nel
suo
seno
ed
ella
fu
ricolmata
di
Spirito
Santo"
(Lc
1,39-41).
Non
v’è perciò alcun dubbio che colei che fu allora ricolmata di
Spirito Santo, lo fu a causa di suo figlio. Non fu infatti la madre a
meritare per prima lo Spirito Santo; ma quando Giovanni, ancora
chiuso nel seno materno, ebbe ricevuto lo Spirito Santo, Elisabetta,
a sua volta, dopo la santificazione del figlio, «fu ricolmata di
Spirito Santo». Potrai accettare questa verità quando saprai che
qualcosa di simile è accaduto per il Salvatore. Si legge, come
abbiamo trovato in molti esemplari, che la beata Maria ha profetato.
Ma non ignoriamo che, secondo altri codici, fu Elisabetta a
pronunziare anche queste parole profetiche. Maria fu dunque ricolmata
di Spirito Santo dal momento in cui cominciò ad avere nel seno il
Salvatore. Non appena ricevette lo Spirito Santo, creatore del corpo
del Signore e il Figlio di Dio cominciò a vivere in lei, anche Maria
fu ricolmata di Spirito Santo.
Orbene,
esultò
il
fanciullo
nel
seno
di
Elisabetta
ed
ella,
ricolmata
di
Spirito
Santo,
"gridò
a
grande
voce
e
disse:
Tu
sei
benedetta
tra
le
donne"
(Lc
1,42).
A
questo
punto,
per
evitare
che
gli
spiriti
semplici
siano
ingannati,
dobbiamo
confutare
le
abituali
obiezioni
degli
eretici.
Di
fatto
io
non
so
chi
si
è
abbandonato
ad
una
tale
follia
da
affermare
che
Maria
fu
rinnegata
dal
Salvatore,
per
essersi
unita,
dopo
la
nascita
di
lui,
a
Giuseppe;
chi
così
ha
parlato,
risponda
delle
sue
parole
e
delle
sue
intenzioni.
Voi,
se
qualche
volta
gli
eretici
vi
fanno
una
tale
obiezione,
dite
loro
per
tutta
risposta:
proprio
in
quanto
era
stata
ricolmata
di
Spirito
Santo,
Elisabetta
disse:
«Tu
sei
benedetta
fra
le
donne».
Se
Maria
è
stata
dunque
dichiarata
benedetta
dallo
Spirito
Santo,
in
qual
modo
il
Signore
ha
potuto
rinnegarla?
Quanto
a
coloro
che
hanno
sostenuto
che
ella
contrasse
il
matrimonio
dopo
il
parto,
non
hanno
prove
per
dimostrare
la
loro
tesi;
infatti
i
figli
che
erano
attribuiti
a
Giuseppe,
non
erano
nati
da
Maria,
e
non
c’è
alcun
testo
della
Scrittura
che
lo
affermi.
"Benedetta
tu
fra
le
donne,
e
benedetto
il
frutto
del
ventre
tuo.
E
donde
a
me
la
grazia
che
venga
a
me
la
madre
del
mio
Signore?"
(Lc
1,42-43).
Dicendo:
«Donde
a
me
la
grazia?»,
non
mostra
affatto
di
ignorare
donde
viene
tale
grazia,
quasi
che
Elisabetta,
ricolma
di
Spirito
Santo,
non
sappia
che
la
madre
del
Signore
è
venuta
da
lei
obbedendo
alla
volontà
di
Dio,
ma
vuol
dire:
Che
cosa
ho
fatto
di
buono?
Quali
grandi
opere
ho
compiuto
per
cui
la
madre
del
Signore
giunga
fino
a
me?
Per
quale
giustizia,
per
quali
buone
azioni,
per
quale
fedeltà
interiore
ho
meritato
che
la
madre
del
mio
Signore
venga
fino
a
me?
"Ecco,
appena
il
tuo
saluto
è
giunto
alle
mie
orecchie,
il
fanciullo
ha
trasalito
di
gioia
nel
mio
seno"
(Lc
1,44).
L’anima
del
beato
Giovanni
era
santa:
ancora
chiuso
nel
seno
di
sua
madre
e
sul
punto
di
venire
al
mondo,
conosceva
colui
che
Israele
ignorava;
per
questo
esultò,
e
non
soltanto
esultò,
ma
esultò
nella
gioia.
Aveva
compreso
che
il
Signore
era
venuto
per
santificare
il
suo
servitore,
ancor
prima
che
nascesse
dal
ventre
materno.
Voglia
il cielo che capiti anche a me, che ho fede in tali misteri, di
essere trattato da pazzo dagli increduli. I fatti stessi e la verità
hanno dimostrato chiaramente che io ho creduto non ad una pazzia ma
alla sapienza, perché ciò che è consideralo follia da costoro è
per me motivo di salvezza.
Se
la
nascita
del
Signore
non
fosse
stata
tutta
celeste
e
beata,
se
essa
non
avesse
avuto
niente
di
divino
e
di
superiore
alla
natura
umana,
la
sua
dottrina
non
si
sarebbe
affatto
diffusa
per
tutta
la
terra.
Se
fosse
stato
soltanto
un
uomo
colui
che
era
nel
seno
di
Maria,
e
non
il
Figlio
di
Dio,
come
poteva
avvenire
che
in
quel
tempo
ed
anche
ora
venissero
guarite
non
solo
le
più
diverse
malattie
dei
corpi,
ma
anche
quelle
delle
anime?
Chi
di
noi
non
è
stato
insensato,
di
noi
che
ora,
per
misericordia
divina,
abbiamo
l’intelligenza
e
la
conoscenza
di
Dio?
Chi
di
noi
non
ha
mancato
di
fede
nella
giustizia,
di
noi
che
ora,
per
mezzo
di
Cristo,
possediamo
e
seguiamo
la
giustizia?
Chi
di
noi
non
è
stato
nell’errore
e
nello
sconforto,
di
noi
che
oggi,
per
l’avvento
del
Signore,
non
conosciamo
più
né
esitazioni
né
turbamenti,
ma
siamo
sulla
via,
cioè
siamo
in
Gesù
che
ha
detto:
"Io
sono
la
via"
(Jn
14,6)?
Grazie Mons, Franco Follo
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