Festa
di Tutti i Santi - Domenica XXXI del Tempo Ordinario – Anno B – 1
novembre 2015
Rito
Romano
Ap
7,2-4.9-14; Sal 23; 1 Gv 3,1-3; Mt 5,1-12a
Rito
Ambrosiano
Is
56,3-7; Sal 23; Ef 2,11-22; Lc 14,1a.15-24
II
Domenica dopo Dedicazione del Duomo di Milano.
1)
Concittadini e famigliari del cielo.
La
liturgia, che il 1° novembre celebra la Solennità di Tutti i Santi1
e che il 2 novembre ricorda tutti morti, ci fa venerare la memoria2
dei santi non solamente averli modelli esemplari o protettori
soccorrevoli, ma per farci vivere in loro compagnia, mediante una
famigliarità che si fa preghiera e che consolida l’unione di tutta
la Chiesa nello Spirito Santo, mediante l’esercizio della carità
fraterna. Per aiutare a capire e vivere sempre di più la preghiera
di lode a Dio per i Santi e la carità per i defunti propongo quindi
alcune riflessioni sulla comunione dei santi e sulla vita
eterna.
a-
Credere e vivere la comunione
dei santi3,
vuol dire credere e vivere la misteriosa ma reale vita in comune che
noi condividiamo coi santi: la vita di Cristo in noi è la stessa
vita che è in loro. Come la comunione tra di noi che siamo in
cammino su questa Terra ci porta più vicino a Cristo, così la
comunione con i santi ci unisce a Cristo, dal quale, come dalla fonte
e dal capo, viene tutta la grazia e tutta la vita dello stesso popolo
di Dio. Niente è più bello di questa condivisione operata in noi e
nei santi dallo Spirito Santo. Grazie a questo amore di condivisione
possiamo vivere
nella Comunione dei Santi che s’inizia in casa, in fabbrica, in
ufficio, nei campi, ovunque una persona umana col suo lavoro esegue
il disegno della divina carità condividendo la vita quotidiana.
L'amore
che trafigge le nostre opere di vita provvisoria e le trasforma in
opere di vita eterna.
La
Comunione dei Santi è una comunione di amore, che affratella
soprattutto nella preghiera tutti
i fedeli di Cristo: quelli che sono pellegrini su questa Terra,
quelli che, defunti, compiono la loro purificazione, e quelli che
sono felici in cielo. Tutti insieme formiamo una sola Chiesa: Una
comunità immensa di fratelli e sorelle che nel Fratello dicono Padre
Nostro (Cfr.
Clemente Rebora).
b-
Credere e vivere la vita eterna per noi cristiani non vuol
dire credere solamente in una vita che dura per sempre, ma anche in
una nuova qualità di esistenza, pienamente immersa nell’amore di
Dio, che libera dal male e dalla morte e ci pone in comunione senza
fine con tutti i fratelli e le sorelle che partecipano dello stesso
Amore. L’eternità, pertanto, può essere già presente al centro
della vita terrena e temporale, quando l’anima, mediante la grazia,
è congiunta a Dio, suo ultimo fondamento. “Tutto passa: solo Dio
non muta” (Santa Teresa d’Avila). Dice un Salmo: “Vengono
meno la mia carne e il mio cuore; ma la roccia del mio cuore è Dio,
è Dio la mia sorte per sempre” (Sal 72/73, 26). Tutti i
cristiani, chiamati alla santità, sono uomini e donne che vivono
saldamente ancorati a questa “Roccia”. Hanno i piedi sulla terra,
ma il cuore già nel Cielo, definitiva dimora degli amici di Dio.
2)
Nostalgia del Cielo e Comunione felice.
Mentre
auguro che queste due feste liturgiche risveglino in noi una
nostalgia del Cielo, vorrei invitare a coltivare non solo il
desiderio della compagnia dei Santi, ma anche la preghiera perché
Cristo, nostra vita, si mostri anche a noi come si è mostrato ai
Santi e ci faccia essere sempre più radicati in Lui. In questa
comunione
felice dei santi
è quanto mai utile e necessaria la preghiera che raccomanda alla
misericordia di Dio i defunti che in
Lui sono vivi, che ci hanno preceduto e che ci attendono. Essa è
garanzia di consolazione, come ci ricorda Sant’Agostino, che
scrive: “Una
lacrima per i defunti evapora, un fiore sulla tomba appassisce, una
preghiera, invece, arriva fino al cuore dell’Altissimo”, che
redime con il dono del Figlio in Croce. Per
questo abbiamo la certezza che “nessuno andrà perduto”: l’amore
di Cristo per noi Gli ha trafitto le mani e ci ha “inchiodati”
eternamente a Cristo. Quelle piaghe sono ora gloriose, e riempiono di
speranza ogni frammento della nostra vita che, in Lui, è ancorata
per l’eternità. A
questo riguardo Papa
Francesco
ha ricordato che i primi
cristiani rappresentavano la speranza con un’ancora,come
se la vita fosse l’ancora gettata nella riva del Cielo e tutti noi
incamminati verso quella riva, siamo aggrappati alla corda
dell’ancora
… è una bella immagine, questa speranza. Avere il cuore ancorato
là dove sono i nostri cari, parenti e amici: dove sono i nostri
antenati, dove sono i santi, dove è Gesù. Dove è Dio. Questa è la
speranza: questa è la speranza che non delude. E’ una speranza
sicura che viene dalla fede la quale ci assicura che niente va
perduto in Cielo, dove ci sarà il ricongiungimento con nostro padre,
nostra madre, i nostri fratelli e sorelle e tutti gli amici.
In
effetti, l’amore più forte della morte è la garanzia che ci sarà
il ricongiungimento tanto desiderato. Il cuore appassionato di Cristo
è la nostra “dimora stabile e definitiva”, dove ci ritroveremo
per sempre uniti nell’Amore, per l’Amore e dall’Amore. Per
questo il 2 novembre “commemoriamo” i nostri fratelli defunti:
facciamo memoria “con loro” dello stesso amore che ci ha
raggiunti e uniti nella grande famiglia di Dio. La liturgia non fa
tanto memoria della morte, quanto della risurrezione. La liturgia
parla di lacrime asciugate dalla mano di Dio. La preghiera liturgica
per i defunti ci fa chiedere: “ammettili a godere la luce del tuo
volto”. Ecco un verbo umile e forte, disarmato ed umano: godere.
L’Eternità fiorisce nella gioia di un amore goduto per sempre
perché niente ci può separare da esso, come ci insegna l’Apostolo
Paolo: “Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Né angeli né
demoni, né vita né morte, nulla ci potrà mai separare dall’amore”
(Rm 8,3537). Preghiamo allora con tutta la Chiesa, che
nella Colletta della Messa ci fa chiedere: “Ascolta, o Dio, la
preghiera che la comunità dei credenti innalza a te nella fede del
Signore risorto, e conferma in noi la beata speranza che insieme ai
nostri fratelli defunti risorgeremo in Cristo a vita nuova. Amen”.
Questo
propongo per invitare a vivere la festa dei santi e la commemorazione
dei defunti secondo l’autentico spirito cristiano, cioè nella luce
che proviene dal Mistero pasquale. Cristo è morto e risorto e ci ha
aperto il passaggio alla casa del Padre, il Regno della vita e della
pace. Chi segue Gesù in questa vita è accolto là, dove Lui ci ha
preceduto e ci attende.
3)
Via di santità.
Concludo
queste riflessioni con alcuni pensieri sulla santità, perché questo
è il tema unificante dei due giorni che siamo chiamati a vivere come
membri della Comunione dei Santi.
La
santità, lo sappiamo bene, è per tutti, come ci insegna la Bibbia
già nell’Antico Testamento: “Siate santi, perché io, il
Signore, Dio vostro, sono santo” (Lv 19,2). E nel Nuovo
Testamento San Paolo scriverà: “Questa è la volontà di Dio che
siate santi” (1 Ts. 4,3) seguendo in ciò Cristo che nel discorso
della Montagna aveva detto: “Siate perfetti come è perfetto il
Padre vostro celeste” (Mt 5, 48).
In
che cosa consiste questa perfezione, questa santità di Dio?
Consiste nella pienezza dell’Amore che è Dio. Santo è chi
crede all’amore e ha fiducia in Gesù, che ha rivelato
la misericordia di Dio. Misericordia gratuitamente offerta e
continuamente offerta e offerta a tutti.
La
santità non è qualcosa cosa che interessa solo alcuni che hanno
doti particolare “La santità non è qualcosa di straordinario, non
è per pochi eletti. La santità è per ciascuno di noi un dovere
semplice”(Madre Teresa di Calcutta). I santi sono i salvati, sono
coloro che hanno risposto con amore all’Amore, fino a dare la vita
per il Signore.
Oltre
al martirio, il modo più alto di donare la vita al Signore è quello
della virginità. Le donne, che consacrano la loro verginità per il
Regno di Dio4
restando nel mondo, mostrano che il dono di se stesse e di tutta la
loro esistenza è possibile ogni giorno, nell’umiltà della vita
quotidiana orientata costantemente a Dio amato sopra ogni cosa, nelle
gioie e nelle sofferenze.
Le
qualità che fanno da ornamento a questa vita sono: la virginità
consacrata e spiritualmente feconda, la carità appassionata,
modestia riservata, dolcezza discreta, l’umiltà mariana: in breve:
la sapienza del cuore. Per questo nel giorno della loro consacrazione
la Chiesa chiede per queste donne che “Contemplino sempre il divino
Maestro e al suo esempio conformino la loro vita. Risplenda in loro
una perfetta castità, un'obbedienza generosa, una povertà vissuta
con letizia evangelica. Ti piacciano per l'umiltà, o Padre, ti
servano docilmente, aderiscano a te con tutto il cuore. Siano
pazienti nelle prove, saldi nella fede, lieti nella speranza, operosi
nell’amore. La loro vita a te consacrata edifichi la Chiesa,
promuova la salvezza del mondo e appaia come segno luminoso dei beni
futuri” (RCV n. 8).
1 Già nel 4° secolo, la Chiesa celebrava la memoria di tutti i cristiani martiri della fede il 13 maggio. Nel 615 Papa Bonifacio IV ufficializzò questa celebrazione istituendo la “Festa di Tutti i Martiri” per commemorare la dedicazione del Pantheon, un antico tempio romano trasformato in Chiesa cristiana dedicata alla Beata Vergine Maria e a tutti i martiri. Questo tempio dedicato a tutti gli dei (Pantheon) fu così convertito per celebrare la memoria dei Martiri, cioè di coloro che “vengono dalla grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello” (Ap 7,14). Successivamente, la celebrazione di tutti i martiri è stata estesa a tutti i santi. Infatti, nel corso dell’8° secolo, per iniziativa dei Vescovi franchi, la festa di Tutti i Martiri prese il nome di Festa di Ognissanti e fu spostata all’1 novembre.
2 Molto più di un semplice ricordo, la memoria è un’intimità che supera tempo e spazio, il “memoriale” che nella Scrittura giunge a diventare “il presente del passato” (S. Agostino).
3 Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma al n. 960 che “l’espressione comunione dei santi indica prima di tutto le “cose sante” [“sancta”], e innanzi tutto l’Eucaristia con la quale viene rappresentata e prodotta l’unità dei fedeli, che costituiscono un solo corpo in Cristo. E al n. 961 ricorda che comunione dei santi designa anche la comunione delle “persone sante” [“sancti”] nel Cristo che è “morto per tutti”, in modo che quanto ognuno fa o soffre in e per Cristo porta frutto per tutti.
4 La consacrazione è il dono totale di se stessi a Dio, non solo al fine di realizzare la propria vocazione ma per il bene di tutti, perché anche gli altri giungano alla vittoria finale, al Regno di Dio.
Lettura
Patristica
San
Bernardo di Chiaravalle
Discorso
2 per la Festa di Tutti i Santi
Opera
omnia,
ed.
Cisterc. 5 [1968] 364-368.
A
che serve dunque la nostra lode ai santi, a che il nostro tributo di
gloria, a che questa stessa nostra solennità? Perché ad essi gli
onori di questa stessa terra quando, secondo la promessa del Figlio,
il Padre celeste li onora? A che dunque i nostri encomi per essi? I
santi non hanno bisogno dei nostri onori e nulla viene a loro dal
nostro culto. E’ chiaro che, quando ne veneriamo la memoria,
facciamo i nostri interessi, non i loro. Per parte mia devo
confessare che, quando penso ai santi, mi sento ardere da grandi
desideri. Il primo desiderio, che la memoria dei santi o suscita o
stimola maggiormente in noi, é quello di godere della loro tanto
dolce compagnia e di meritare di essere concittadini e familiari
degli spiriti beati, di trovarci insieme all’assemblea dei
patriarchi, alle schiere dei profeti, al senato degli apostoli, agli
eserciti numerosi dei martiri, alla comunità dei confessori, ai cori
delle vergini, di essere insomma riuniti e felici nella comunione di
tutti i santi.
Ci
attende la primitiva comunità dei cristiani, e noi ce ne
disinteresseremo? I santi desiderano di averci con loro e noi e ce ne
mostreremo indifferenti? I giusti ci aspettano, e noi non ce ne
prenderemo cura? No, fratelli, destiamoci dalla nostra deplorevole
apatia. Risorgiamo con Cristo, ricerchiamo le cose di lassù, quelle
gustiamo. Sentiamo il desiderio di coloro che ci desiderano,
affrettiamoci verso coloro che ci aspettano, anticipano con i voti
dell’anima la condizione di coloro che ci attendono. Non soltanto
dobbiamo desiderare la compagnia dei santi, ma anche di possederne la
felicità. Mentre dunque bramiamo di stare insieme a loro, stimoliamo
nel nostro cuore l’aspirazione più intensa a condividerne la
gloria. Questa bramosia non é certo disdicevole, perché una tale
fame di gloria é tutt’altro che pericolosa. Vi é un secondo
desiderio che viene suscitato in noi dalla commemorazione dei santi,
ed é quello che Cristo, nostra vita, si mostri anche a noi come a
loro, e noi pure facciamo con lui la nostra apparizione nella gloria.
Frattanto il nostro capo si presenta a noi non come é ora in cielo,
ma nella forma che ha voluto assumere per noi qui in terra. Lo
vediamo quindi non coronato di gloria, ma circondato dalle spine dei
nostri peccati. Si vergogni perciò ogni membro di far sfoggio di
ricercatezza sotto un capo coronato di spine. Comprenda che le sue
eleganze non gli fanno onore, ma lo espongono al ridicolo. Giungerà
il momento della venuta di Cristo, quando non si annunzierà più la
sua morte. Allora sapremo che anche noi siamo morti e che la nostra
vita é nascosta con lui in Dio. Allora Cristo apparirà come capo
glorioso e con lui brilleranno le membra glorificate. Allora
trasformerà il nostri corpo umiliato, rendendolo simile alla gloria
del capo, che é lui stesso.
Nutriamo
dunque liberamente la brama della gloria. Ne abbiamo ogni diritto. Ma
perché la speranza di una felicità così incomparabile abbia a
diventare realtà, ci é necessario il soccorso dei santi.
Sollecitiamolo premurosamente. Così, per loro intercessione,
arriveremo là dove da soli non potremmo mai pensare di giungere
Godete
e rallegratevi, perché grande è la vostro ricompensa nei cieli.
La
beatitudine, consiste nel raggiungimento di ciò che colma e fa
felice definitivamente il cuore dell’uomo. È la felicita che hanno
conseguito i santi, che oggi celebriamo riuniti in un’unica festa.
È una schiera che nessuno può numerare e che hanno lavato le loro
vesti nel sangue dell’ Agnello, hanno cioè sperimentato in vita e
in morte l’infinita misericordia di divina e vivono, anche per le
loro virtù, nella beatitudine eterna. Una beatitudine a cui ogni
fedele aspira nella speranza che lo stesso Cristo ci infonde. Il
Cristo annuncia una felicità che non è nell’ordine dei valori
terreni, ma è in vista del Regno, proclamato da lui, e, pur
cominciando già su questa terra per coloro che accolgono Cristo e le
sue esigenze, sarà definitiva solo nell’eternità. La Chiesa,
formata da tutti i santi, ci invita oggi a guardare al futuro e al
premio che Dio ha riservato a coloro che lo seguono nel difficile
cammino della perfezione evangelica. Tutti vorremmo che, dopo la
nostra morte, questo giorno fosse anche la nostra festa. Gesù ci
invita a godere e rallegrarci già durante il percorso in vista
dell’approdo finale. La santità quindi non è la meta di pochi
privilegiati, ma l’aspirazione continua e costante di ogni
credente, nella ferma convinzione che questa è innanzi tutto un
progetto divino che nessuno esclude e che ci è stata confermata a
prezzo del sacrificio di Cristo, che ha dato la vita per la nostra
salvezza, quindi per la nostra santità. Non conseguire la meta
allora significherebbe rendersi responsabile di quel grande peccato,
che nessuno speriamo commetta, di vanificare l’opera redentiva del
salvatore. Sant’Agostino, mosso da santa invidia soleva ripetersi:
“Se tanti e tante perché non io?”