Domenica
XXIV del Tempo Ordinario – Anno B – 13 settembre 2015
Rito
Romano
Is
50,5-9a; Sal 114; Giac 2,14-18; Mc 8,27-35
Rito
Ambrosiano
Is
32,15-20; Sal 50; Rm 5,5b-11; Gv 3,1-13
III
Domenica dopo il Martirio di San Giovanni il Precursore.
1)
Riconoscere Cristo.
Tutto
il Vangelo di San Marco intende rispondere alla domanda: “Chi è
Gesù?”. Ma nel brano che leggiamo oggi è Gesù stesso che fa
esplicitamente questa domanda: “Voi chi dite che io sia?” e
quindi anche noi siamo obbligati a rispondere..
Nei
capitoli precedenti che ci sono stati proposti nelle domeniche
scorse, Gesù non rispondeva a questa domanda con una definizione di
se stesso, ma con delle azioni che manifestano quello che Lui è
attraverso quello che Lui fa:
- fa camminare il paralitico, cioè è Colui che dà all’uomo la capacità di camminare nella vita;
- fa udire il sordo e fa parlare il muto, cioè è Colui che ha parole di vita, che spiegano la vita;
- fa risuscitare il morto, cioè è il Datore della vita;
- fa vedere il cieco, cioè è la Luce che dà la luce, che fa venire alla luce;
- fa calmare le acque del mare, cioè Lui è il Signore della natura;
- fa (dà) il pane nel deserto, cioè è Colui che nutre corpo e anima.
La
conclusione a cui si dovrebbe arrivare assistendo a questo “fare”,
dovrebbe essere quella di affermare: “Costui è il Messia (in
greco: il Cristo)”. Purtroppo la gente di allora, ma molti anche
oggi, non coglie la novità e la grandezza di Gesù, perciò alla
domanda “Chi dicono che io sia”, la riposta della maggioranza è
che questo “facitore” non è altro che uno dei profeti
come quelli che lo avevano preceduto. Allora Gesù fa questa domanda
ai suoi apostoli: “E voi, chi dite che io sia?”. Pietro, anche a
nome degli altri, risponde con prontezza: “Tu sei il Cristo!”.
Pietro riconosce con chiarezza che Gesù è il Messia. E dà una
risposta precisa. Non c’è altra risposta. Cristo morto e risorto è
Colui nel quale si è compiuto l’impossibile, l’inimmaginabile,
l’unico fatto capace di cambiare il corso della storia dell’uomo.
Senza di Lui l’uomo è “un essere per la morte” (Martin
Heiddeger), mentre se è “legato” alla Croce, è “sciolto”
dalla morte.
Va
poi tenuto presente che la risposta di San Pietro implica un
ulteriore riconoscimento: quello dell’amore crocifisso. È la via
della Croce che completa il discorso, chiarificandolo. Quando il Capo
degli Apostoli Gli dice: “Tu sei il Cristo”, Gesù sente il
bisogno di precisare che Lui è il Figlio di Dio, che deve molto
soffrire. Dunque alla domanda che oggi Gesù fa a noi: “Voi chi
dite che io sia?”, la risposta completa è “Sei il Cristo,
l’Amore crocifisso e risorto”. Infatti, San Paolo scrive: “Se
Cristo non fosse risorto, vana sarebbe la nostra fede”, ma sapeva
che la croce non è un ostacolo alla salvezza. Ne è la condizione.
“La Croce non è un palo dei romani, ma il legno su cui Dio ha
scritto il Vangelo” (Alda Merini, 1931 – 2009, poetessa
milanese). Con Cristo in Croce il mondo riceve una dimensione nuova,
quella di Gesù e di tutti quelli che danno la vita per gli altri,
seguendoLo.
Il
Messia invita a seguirlo sempre fino al Calvario, perché camminando
dietro la Sua Croce modelliamo la nostra vita su quella dell’
“Agnello che c’insegna la fortezza, dell’Umiliato che dà
lezione di dignità, del Condannato che esalta la giustizia, del
Morente che conferma la vita, del Crocifisso che prepara la gloria.”
(Don Primo Mazzolari, 1809 – 1959, Prete e scrittore cremonese)
Seguendo
Cristo e credendo alla Carità teniamo le braccia spalancate e il
cuore aperto come il Crocifisso. Certo per fare questo, come San
Pietro dobbiamo riconoscere Gesù come il Messia, il Salvatore. Come
San Pietro dobbiamo accettare la Croce come “chiave” con la quale
il Signore ha aperto il Cielo e chiuso l’inferno per tutti quelli
che lo accolgono. Questa pesante “Chiave” il Redentore l’ha
portata sulle sue spalle, ne ha sentito tutto il peso e la
responsabilità mentre i chiodi ne trapassavano le carni e lo univano
ad essa. Questa “chiave” del Regno Cristo l’ha consegnata a San
Pietro, chiamandolo ad essere crocifisso con Lui, a portare con Lui
il giogo leggero e soave sulle spalle, per imparare l'umiltà e la
mitezza con le quali “sciogliere” gli uomini dalla schiavitù del
mondo, della carne e del demonio, e “legarli” così a Cristo in
un’alleanza eterna che li faccia per sempre figli del Padre
celeste. In un’omelia poetica attribuita a Sant’Efrem il Siro,
questo Santo immagina che il buon ladrone dopo la sua morte arriva
alla porta del paradiso. Sulle sue spalle porta la sua croce. Accorre
il cherubino con la spada guizzante come una fiamma (Gen 3,24)
per bloccare l’accesso al paradiso ai delinquenti, che non sono
degni della gioia eterna. Non ci sono eccezioni. Sant’Efrem
descrive una discussione accesa tra il cherubino e il buon ladrone.
Si conclude quando il buon ladrone mostra la chiave della porta del
Paradiso. E qual è la chiave del paradiso? La croce, la sua croce
trasfigurata dalla Croce vivificante del nostro Signore Gesù Cristo.
La Croce apre la porta della vita a noi tutti che crediamo in Cristo
Gesù, come il buon ladrone: “Gesù, ricordati di me quando
entrerai nel tuo regno”. La vita di Cristo trionfa in tutti i
peccatori pentiti, anche quelli dell’ultimo momento, come il buon
ladrone.
2) Amore vero, perché crocefisso.
Certo,
come San Pietro anche noi tentiamo di allontanare Cristo dalla Via
della Croce. La tentazione, che viene dal diavolo, è il tentativo di
distogliere dalla via tracciata da Dio (la via della Croce) per
sostituirla con una via elaborata dalla saggezza degli uomini, da ciò
che spesso viene indicato come buon senso.
Cristo
ha smascherato e vinto questa tentazione e la sua vita è stata un
continuo sì a Dio e un no al tentatore. Gesù ha vinto diavolo. Però
il diavolo cerca di ottenere dal discepolo ciò che non è riuscito
ad ottenere dal Maestro: separare il Messia dal Crocifisso, la fede
in Gesù Re dal suo trono che è la Croce.
Dopo
aver precisato la sua identità e dopo aver smascherato la presenza
della tentazione, Gesù si rivolge ai discepoli e all’altra gente e
con molta chiarezza propone loro il suo stesso cammino. Non ci sono
due vie, una per Gesù e una per i discepoli, ma una sola: “Chi
vuole venire dietro me rinneghi se stesso e prenda la sua croce”.
La
croce è simbolo e icona dell’amore verginale. E’ la sintesi più
vera dell’amore ricevuto e donato, dell’amore crocifisso. In
effetti niente come la croce dà la certezza di essere amati, da
sempre, per sempre, totalmente e senza riserve. Il vero volto di Dio
è quello del Crocifisso (Jurgen Moltaman). Se dunque presentiamo al
mondo Cristo con il suo vero volto, la gente può sentirlo come una
risposta convincente ed è capace di seguire Lui e il suo messaggio,
anche se è esigente e segnato dalla croce.
E’
vero che la croce è “scandalo per i Giudei e stoltezza per i
pagani” (1Cor 1,18-24) e che è difficile per ciascuno di noi
capirla e accettarla. Ma se guardiamo, per esempio, all’esempio
delle vergini consacrate nel mondo siamo aiutati a capirla,
accettarla e vivere la croce.
L’amore
vissuto virginalmente è un amore crocifisso non perché è un amore
mortificato, ma perché è un amore “sacrificato”, cioè reso
sacro dal totale dono di se stessi a Dio. L’amore vergine è quello
di Cristo, che “praticò” un amore crocifisso. Gesù per amare è
andato in un’esperienza progressiva di svuotamento di sé fino alla
croce. Se vogliamo amare da cristiani dobbiamo saperlo e fare come
lui. Questo modo di amare mette l’altro prima di me e
l’Altro (Dio) più di me. La croce è il segno più
grande dell’amore più grande, e la virginità è la crocefissione
di sé per donarsi a Dio, per inchiodarsi al suo amore abbracciando
Cristo in Croce.
Le
Vergini consacrate sono esempio significativo ed alto del fatto che
l’amore di Dio è totalitario, infatti bisogna amare il Signore
“con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze”
(cfr Mc 12,30). Queste donne mostrano che il corpo e il cuore
castamente offerto non allontana da Dio, avvicina l’essere umano a
Dio più degli stessi angeli (cfr Ef 1,14) e che la vita
cristiana è un progressivo configurarci a Cristo crocifisso e
risorto. In effetti, come l’amore di Cristo per noi Lo ha condotto
alla croce, l’amore nostro per Lui imprime in noi le sue ferite
d’amore (Ct 2,5). L’amore purifica e configura,
trasfigurando. Ma va tenuto presente che la conformità dolorosa
con il Cristo crocifisso ha come scopo ultimo quello di portare il
cristiano alla conformità gioiosa con Lui risorto. La
verginità non è semplicemente una rinuncia, ma è la manifestazione
dell’amore cocente per Dio e per il prossimo. Amore che trasforma
l’amante nell’Amato. La verginità vissuta come crocifissione è
per testimoniare che l’Amore ha vinto attraverso il dono di sé. La
verginità vissuta come risurrezione è per testimoniare che lo Sposo
è davvero presente nella vita di ogni giorno e la sua condiscendente
presenza dà gioia, gioia piena e compiuta (cfr Gv 3,29). La
verginità è libertà, è segno di amore perfetto, che non ha
impazienza, né invidia, né gelosia, e assicura la pace irraggiando
la gioia.
Lettura
Patristica
Filosseno
di Mabbug,
Hom.,
4, 75 s.
La
sequela di Cristo esige fede e semplicità
È
così che Abramo fu chiamato e uscì alla sequela di Dio: egli non si
fece giudice della parola rivoltagli e non si sentì impedito
dall’attaccamento alla razza e ai parenti, al paese e agli amici,
né da altri vincoli umani; ma appena intese la parola e seppe che
era di Dio, l’ascoltò semplicemente e, in spirito di fedeltà, la
ritenne veritiera; disprezzò tutto e uscì con la semplicità della
natura che non agisce con astuzia e per il male...
Dio
non gli rivelò qual fosse questo paese per far trionfare la sua fede
e mettere in risalto la sua semplicità; e quantunque sembri che lo
conducesse al paese di Canaan, gli prometteva di mostrargli un altro
paese, quello della vita che è nei cieli, secondo la testimonianza
di Paolo: "Egli
aspettava la città dalle solide fondamenta, il cui architetto e
costruttore è Dio"
(He
11,10).
E ha detto ancora: "È
certo che ne desideravano una migliore del paese di Canaan, cioè
quella celeste"
(He
11,16).
E per insegnarci chiaramente che quello che egli prometteva di
mostrare ad Abramo non era il paese della promessa corporale, Dio lo
fece dimorare ad Haran dopo averlo fatto uscire da Ur dei Caldei, e
non lo introdusse nel paese di Canaan subito dopo la sua uscita; e
affinché Abramo non pensasse aver inteso l’annuncio di una
ricompensa e non uscisse per questa ragione secondo la parola di Dio,
non gli fece conoscere fin dall’inizio il nome del paese dove lo
conduceva.
Considera
perciò quella uscita, o discepolo, e sia la tua come quella; non
tardare a rispondere alla viva voce di Cristo che ti ha chiamato. Là,
egli non chiamava che Abramo: qui, nel suo Vangelo, egli chiama e
invita a uscire alla sua sequela tutti quelli che lo vogliono,
invero, è a tutti gli uomini che egli ha rivolto la sua chiamata
quando ha detto: "Chi
vuol venire dietro a me, rinunci a se stesso, prenda la sua croce e
mi segua"
(Mt
16,24
Mc
8,34
Lc
9,23);
e mentre là non ha scelto che Abramo, qui, invita tutti a divenire
simili ad Abramo.
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