Domenica
XXII del Tempo Ordinario – Anno B – 30 agosto 2015
Rito
Romano
Dt
4,1-2.6-8; Sal 14; Gc 1,17-18.21-22.27; Mc 7,1-8.14-15.21-23
Rito
Ambrosiano
Is
29,13-21; Sal 84; Eb 12,18-25; Gv 3,25-36
I
Domenica dopo il Martirio di San Giovanni il Precursore.
1) Religione
pura.
Dopo averci proposto
-suddiviso in cinque domeniche- il capitolo sesto di Giovanni, la
liturgia riprende la lettura di San Marco, il cui Vangelo ci
accompagna nelle Domeniche del Tempo Ordinario di questo Anno B. Nel
brano evangelico di oggi - capitolo 7º di Marco, Gesù aiuta la
gente ed i discepoli ad approfondire il concetto di purezza e le
leggi della purezza. A questo riguardo, siamo aiutati anche dalla
Lettera di San Giacomo che scrive: “Religione pura e senza macchia
davanti a Dio nostro Padre è questa: soccorrere gli orfani e le
vedove nelle loro afflizioni e conservarsi puri da questo mondo”
(Gc 1,27 – II lettura della Messa di oggi).
Da secoli agli ebrei
era proibito di entrare in contatto con i pagani e di mangiare con
loro, per non contrarre impurità legale.
Convinti
che la religione consistesse nel rituale esteriore della religione
venuta da Dio, i farisei si scandalizzano che i discepoli di Cristo
“prendevano cibo con mani impure” (Mc
7,2). Credendo di obbedire alle leggi di Dio, questi obiettori
del Maestro non mangiavano se non si lavavano le mani (Mc
7,3). Identificavano la fedeltà al “Dio vicino” (Dt 4,7)
di cui parlava Mosè con quelle “altre cose” che loro facevano
“per tradizione” (Mc 7,4).
La prima cosa da
notare è che Gesù non insegna affatto a disobbedire alla legge.
Insegna a combattere l’ipocrisia e il formalismo, a dare più
importanza alle disposizioni del cuore, piuttosto che ai gesti e ai
riti esteriori. Quindi, da una parte, Cristo condanna la lontananza
da Dio del cuore degli uomini, che pensano di onorarlo con
l’osservanza scrupolosa di regole prescritte dalla legge,
dall’altra, insegna che la “purezza” non è questione di mani
lavate o di labbra purificate con dei riti, ma di cuore.
Nessun cibo che da
fuori entra nell’essere umano potrà renderlo impuro, perché non
va fino al cuore, bensì allo stomaco e finisce nella fogna. Ciò che
rende impuri, dice Gesù, è ciò che dal di dentro, dal cuore esce
per avvelenare il rapporto umano.
Ciò che è sporco,
immondo o impuro non sono le cose esterne, ma le cattive azioni e
intenzioni, che vengono da un cuore cattivo e lontano da Dio. Dio non
è presente dove è assente il cuore, perché distratto, chiuso nella
paura.
Come far tornare il
cuore a Dio? Come avvicinarci a Lui?
A
Dio ci avviciniamo “con il frequente lavacro delle elemosine, delle
lacrime e degli altri frutti della giustizia che rendono il cuore e
il corpo puri per poter partecipare ai misteri celesti.” (San
Beda il Venerabile).
Insomma, la religione
proposta da Gesù non è riducibile a riti esterni, ad una morale o a
una dottrina: è la rivelazione del volto di Dio nell’umanità di
Gesù che viene a dirci che nessuna legge, grande o piccola che sia
ha senso e valore se non nasce dall’amore, se non è accompagnata
dall’amore e se non si consuma nell’amore. Cristo, e il suo
Vangelo, porta l’amore e la sua legge al cuore dell’uomo e lo
ricrea.
Il culto cristiano non
è riducibile all’esecuzione di alcuni riti per una commemorazione
di eventi passati, e nemmeno una particolare esperienza interiore, ma
essenzialmente è un incontro con il Signore risorto nel profondo del
cuore purificato e attirato da una presenza che gratuitamente si fa
incontro e gratuitamente si fa riconoscere.
Dobbiamo
comprendere che la nostra salvezza (possiamo anche dire la nostra
felicità, perché il riverbero umano della salvezza è la felicità,
il riverbero umano della grazia di Cristo è il piacere della Sua
grazia) non dipende dalle opere buone compiute secondo la legge.
Benedetto XVI ha sottolineato che la salvezza non dipende dalle opere
buone, compiute secondo la legge, opere buone, come buona e santa è
la legge (cfr. Rm 7, 12)], ma dal fatto che Gesù era morto
anche per ciascuno di noi peccatori: “Ha amato me e ha dato sé
stesso per me” (Gal 2, 20)], ed era, ed è, risorto.
L’importante che come San Paolo il nostro cuore riconosca che siamo
“un nulla amato da Gesù Cristo”. “Io sono un nulla”, dice
San Paolo di sè stesso al termine della seconda Lettera ai Corinzi
(2Cor 12, 11) e nella Lettera ai Galati: “Ha amato me e ha
dato sé stesso per me” (Gal 2, 20). Un cuore così umile e
contrito è un cuore puro e pratica una religione pura, vera.
2) Cuore1
vergine.
La vera religione
inizia con il ritorno al cuore, al quale Dio parla nella solitudine,
si veda Osea 2, 16: “Ti porterò nel deserto e parlerò al
tuo cuore”.
Se
il deserto è il luogo “preferito” da Dio per parlarci, tuttavia
è importante ricordare che i modi di parlare di Dio sono molti (cfr.
Lettera agli Ebrei, 1,1). In questa meditazione ne sottolineo tre.
Il
primo di essi è la natura. Il cielo e terra cantano la gloria di Dio
e l’essere umano può coglierla, capirla, ammirarla. Il primo modo
di parlare di Dio, quindi è la realtà. Il creato donatoci da Dio è
il dono che ci parla del Donatore.
Il
secondo modo è la Parola, la storia, la Bibbia, la Rivelazione, dove
Dio comunica direttamente se stesso.
Il
terzo modo è il parlare di Cristo al nostro cuore, dentro il cuore
di ciascuno di noi. È il cuore che gioisce, sono gli occhi che
diventano luminosi, è la dolcezza che si sente dentro. Cioè Dio
parla soprattutto al cuore, dando quei sentimenti che fanno vivere:
sentimenti di gioia, di luce e di dolcezza che danno significato,
direzione e senso alla vita.
E’
quindi fondamentale capire quale è la Parola che diventa Pane che
diventa vita e quale è la parola che diventa morte. Per fare questo
è necessario un cuore vergine. Perché non è solo con
l’intelligenza che comprendiamo la parola, ma anche con il cuore,
che ce la fa sentire e amare. E quando uno ha la Parola nel cuore e
la ama, liberamente la realizza2.
Per le Vergini
consacrate nel mondo questa realizzazione è apostolica. E’
autenticamente apostolica non in quanto comporti una specifica “opera
di apostolato”, ma perché si riconduce all’insegnamento e
all’azione degli apostoli, per servire la Chiesa nel mondo. Le
Premesse al Rito di consacrazione delle Vergini affermano: “Così
il dono della verginità profetica ed escatologica acquista il valore
di un ministero al servizio del popolo di Dio e inserisce
le persone consacrate nel cuore della Chiesa e del mondo”
(Premesse, 2). Nella Chiesa ogni dono o carisma assume il
volto di ministero. Nel caso della verginità consacrata questo
ministero, consegnato e vissuto mediante una pubblica consacrazione,
è un “lavoro” di servizio, quindi ministeriale, e una
testimonianza “nel cuore della Chiesa e del mondo”. Nella
Chiesa locale le Vergini consacrate rappresentano “l’esistenza
cristiana come unione sponsale fra il Cristo e la Chiesa, che è
fondamento sia della verginità consacrata che del sacramento del
matrimonio” (Premesse, 1) cioè delle due
vocazioni, nelle quali è raffigurato l’amore di Cristo. L’amore
verginale è “richiamo alla transitorietà delle realtà
terrestri e anticipazione dei beni futuri” (Premesse, 1)
dentro le vicende del mondo. Così la vergine consacrata è
icona della Chiesa locale “presente nel mondo e tuttavia
pellegrina” (Premesse, 1). Le Vergini consacrate sono icone
di come sia possibile seguire Cristo-Sposo, di cui ascoltano la
parola con costanza e di cui si nutrono nell’Eucaristia. Con la
mente ed il cuore nutrito di Cristo, queste donne vivono e lavorano
nel mondo portandovi con cuore vergine il Vangelo della verginità,
“crescendo nell’amore a Gesù e nel servizio ai fratelli,
ministero fatto con dedizione libera, cordiale e umile” (cfr.
Premesse). Questa umiltà attecchisce sulla verginità
del cuore, della persona che fa sì che in lei tutto “è” donato,
tutto “è” disponibilità del proprio essere a Gesù.
1
La
parola “Cuore”
nella Bibbia è usata quasi mille volte. Raramente (circa il 20% dei
casi) è usata per indicare l’organo fisico che batte nel petto
dell’uomo.
Alla
domanda: “Perché Dio ci ha dato un cuore?”,
la risposta più comune è: “Per
amare”. Nella Bibbia la risposta
è che Dio ci ha dato un cuore per
pensare e per conoscere:
“Il Signore non vi ha dato un
cuore per comprendere...Occhi per vedere...Orecchi per
udire?”
(Dt
9,3).
Il
primo significato della parola “Cuore”
nella Bibbia è, quindi, quello di comprendere,
conoscere e sapere: “Insegnaci
a contare i nostri giorni, e giungeremo alla sapienza del cuore”
(Sal
90,12); “Alcuni
scribi pensarono in cuor loro...Gesù disse loro: perché pensate
così nei vostri cuori?” (Mc.
2,6); “Sciocchi
e tardi di cuore nel credere alle parole dei profeti”
(Lc
24,25)
Il
secondo significato che la Bibbia dà alla parola cuore
è memoria.
Anche nella nostra lingua la parola ricordare viene da cuore. Nella
bibbia il cuore e la memoria sono legati ed hanno un forte
riferimento alla vita di fede: ricordare significa essere fedeli.
“Sappi
dunque e conserva nel cuore che il Signore è Dio...E non ve n’è
un altro”
(Dt
4,39); “Questi
precetti che oggi ti do ti stiano fissi nel cuore”
(Dt
6,6); “Maria
serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore”
(Lc
1,66-2,19-2,51).
La
parola Cuore,
infine, è usata nella Bibbia anche per indicare i sentimenti, ma
tutti i sentimenti e non solo l’amore. Gioia, desiderio,
gratitudine: “Il
mio cuore e la mia carne esultano nel Dio vivente”
(Sal
84,3); amarezza: “Mi
si spezza il cuore nel petto...Il mio cuore geme”
(Ger
23,9-48,36); fiducia: “Si
rinfranchi il tuo cuore e spera nel Signore”
(Sal 27); l’amore di Dio per noi
ed il nostro amore per Lui: “Ascolta
Israele: il Signore è il nostro Dio...Tu amerai il Signore tuo Dio
con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze.
Questi precetti che oggi ti do ti stiano fissi nel cuore...”
(Dt.
6,4 ss.)
Per
questa ricchezza di significato spesso nella Bibbia la parola cuore
rappresenta la persona nella sua totalità: “Il
mio cuore esulta nel Signore...”
= “Io esulto nel
Signore...”
(1Sam
2,1)
Il
significato è lo stesso, ma quando si evidenzia il cuore la persona
è vista nella sua interiorità:
pensieri, sentimenti intimi, progetti segreti e la stessa
razionalità, cioè la ragione con cui l’uomo sceglie di vivere la
propria vita, per la Bibbia risiedono nel cuore umano. Il cuore
dell’uomo è il luogo dove l’essere umano è veramente e
totalmente se stesso, senza maschere né ipocrisie: “Porrò
la mia legge nel profondo del loro essere, la scriverò sul loro
cuore...Allora tutti mi conosceranno”
(Ger.
31,33 ss.). In maniera antropomorfa questa visione del cuore viene
poi applicata a Dio stesso: “Il
mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di
compassione” (Os
11,8).
2
Per la
Sacra Scrittura il
cuore non è solo un’immagine letteraria che simboleggia
sentimenti o emozioni, al contrario è il luogo dove si concentra
tutto il nostro essere, la parte interiore di noi stessi, da dove
hanno origine le nostre decisioni ultime e dove si vivono le nostre
esperienze decisive.
Il
cuore è la fonte di tutto ciò che l’uomo è o decide di essere o
di fare:
- "Di te ha detto il mio cuore: cercate il suo volto...” (Sal 27,8);
- “Laceratevi il cuore e non le vesti, e ritornate al vostro Dio” (Gl 2,13);
- “Questo popolo mi onora con le labbra ma il suo cuore è lontano da me...” (Is 29,13);
- “L’uomo guarda le apparenze, il Signore guarda al cuore” (1Sam 16,7);
- “Dal cuore degli uomini escono le intenzioni cattive: furti, omicidi, adulteri...” (Mc 7,21);
- “Là dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore” (Lc 12,34);
- “Con il cuore infatti si crede per ottenere giustizia” (Rm 10,10).
Lettura Patristica
Beda il Venerabile,
Evang. Marc., 2,
7, 1-4
E
si radunarono presso di lui i farisei e alcuni scribi venuti da
Gerusalemme. I quali avendo visto alcuni dei discepoli di lui che
mangiavano il pane con mani impure, cioè non lavate, li
rimproverarono
(Mc
7,1-2).
Quanto
è giusta quella lode che rivolge al Padre il Signore dicendo: "Hai
nascosto queste cose ai sapienti e ai saggi e le hai rivelate ai
piccoli!"
(Mt
11,25).
Gli uomini della terra di Gennesaret, che erano considerati uomini
ignoranti, non soltanto personalmente accorrono dal Signore, ma
portano con sé i loro infermi, anzi li trasportano sulle lettighe,
affinché possa capitare loro almeno di toccare la frangia del suo
vestito ed essere salvati: per questo ottengono subito la meritata
ricompensa della salvezza che avevano desiderata. Al contrario, i
farisei e gli scribi, che dovevano essere maestri del popolo,
accorrono dal Signore non per ascoltare la sua parola, non per
ottenere la guarigione, ma soltanto per sollevare questioni e
contrasti. Rimproverano i discepoli di non aver lavate le mani del
corpo, benché non riuscissero a trovare nelle loro opere, compiute
con le mani o con le altre membra del corpo, alcuna impurità;
avrebbero fatto meglio a incolpare sé stessi, che pur avendo le mani
ben lavate con l’acqua, recavano la coscienza insozzata
dall’invidia.
I
farisei infatti e tutti i giudei, attaccati alla tradizione degli
antichi, non mangiano se non si sono accuratamente lavate le mani, e
non prendono cibo, di ritorno dal mercato, se non si sono prima
purificati (Mc
7,3-4).
E
una superstiziosa tradizione quella di lavarsi ripetutamente, dopo
essersi già lavati, per mangiare il pane, e non prendere cibo di
ritorno dal mercato senza essersi prima purificati. Ma è necessario
l’insegnamento della verità, secondo il quale coloro che
desiderano aver parte al pane della vita che discende dal cielo,
debbono purificare le loro opere con il frequente lavacro delle
elemosine, delle lacrime e degli altri frutti della giustizia, per
poter partecipare ai misteri celesti in purezza di cuore e di corpo.
È necessario che le impurità di cui ciascuno si macchia
nell’occuparsi degli affari terreni, siano purificate dalla
successiva presenza dei buoni pensieri e delle buone azioni, se egli
desidera godere dell’intimo ristoro di quel pane. Ma i farisei che
accoglievano carnalmente le parole spirituali dei profeti - i quali
ordinavano la purificazione del cuore e delle opere dicendo:
"Lavatevi,
siate puri, e purificatevi (Is
1,16)
voi che portate i vasi del Signore"
(Is
52,11)
- osservavano tali precetti soltanto purificando il corpo. Ma invano
i farisei, invano i giudei tutti si lavano le mani e si purificano
tornando dal mercato, se rifiutano di lavarsi alla fonte del
Salvatore. Invano osservano la purificazione dei vasi coloro che
trascurano di lavare la sporcizia dei loro cuori e dei loro corpi,
quando è fuor di dubbio che Mosè e i profeti - i quali ordinarono
sia di lavare con l’acqua i vasi del popolo di Dio, sia di
purificarli col fuoco, sia di santificarli con l’olio - non
stabilirono tali prescrizioni per un motivo generico o per ottenere
la purificazione di questi oggetti materiali, ma piuttosto per
comandarci la purificazione e la santificazione degli spiriti e delle
opere e la salvezza delle anime.