Domenica
XIII del Tempo Ordinario – Anno B – 28 giugno 2015
Rito
Romano
Sap
1,13-15; 2,23-24; Sal 29; 2Cor 8,7.9.13-15; Mc 5,21-43
Rito
Ambrosiano
Gen
17,1b-16; Sal 104; Rm 4,3-12; Gv 12,35-50
V
Domenica dopo Pentecoste.
1)
Fede che guarisce e salva.
Nel lungo brano del
Vangelo di questa Domenica sono presentati due miracoli, che si
incastrano l’uno nell’altro. Il filo rosso che unisce il miracolo
della guarigione della donna, che soffriva perdite di sangue, e
quello della risurrezione della figlia del capo-sinagoga Giairo è la
fede. Questa fede non solo guarisce e ridà la vita, ma salva la vita
dandole pienezza.
Come dice Papa
Francesco: “All’uomo che soffre Dio non dona un ragionamento che
spieghi tutto, ma offre la sua risposta nella forma di una presenza
che accompagna, di una storia di bene che si unisce a ogni storia di
sofferenza per aprire in essa un varco di luce” (Lumen Fidei,
57).
In effetti, nella
scena evangelica di oggi vediamo Gesù che condivide il dolore di
Giairo, uno dei capi della sinagoga, il quale ha la figlia dodicenne
gravemente ammalata, e la sofferenza della donna malata.
Soffermiamoci un po’
su questa scena. Avendo saputo delle guarigioni di Gesù, Giario,
incurante della sua posizione sociale e e del suo ruolo autorevole,
si getta ai piedi del Nazareno e lo supplica insistentemente di
andare a imporre le mani alla sua figlioletta, perché sia salvata e
viva. Gesù accoglie la richiesta e si dirige con lui verso la sua
casa. Ma ecco che, nella ressa della folla che stringe da ogni parte,
avanza una donna, affetta da 12 anni di eccessive perdite
emorragiche; la poveretta aveva speso tutti i suoi averi dai medici
senza nulla ottenere, anzi peggiorando.
Il miracolo della
guarigione della donna che soffriva perdite di sangue si sarebbe
prestato molto bene a sottolineare la potenza di Gesù. È bastato
toccare la veste di Gesù per guarire. Però non è solo su ciò che
San Marco ferma l’attenzione. L’Evangelista parla anche della
meraviglia dei discepoli: “Vedi la folla che ti preme e domandi:
chi mi ha toccato?”.
Perché Gesù dà
rilievo al gesto di questa donna la quale non vuole farsi notare
toccandogli quasi un lembo del mantello che Gesù ha sulle spalle?
Occorre sapere che la legge mosaica dichiarava impura la donna che
aveva perdite di sangue, e chi la toccava diventava impuro. Ecco
perché la donna tocca la veste di Gesù di nascosto, approfittando
della calca, ed ecco perché si sente tanto colpevole, paurosa e
tremante, quando si vede scoperta. Ed è per lo stesso motivo che
Gesù dà pubblicità all’accaduto: per dichiarare pubblicamente,
di fronte a tutti, che non si sente impuro per essere stato toccato
dalla donna, e che il puro e l’impuro legali sono superati dalla
fede. Per questo, pubblicamente il Salvatore dice alla donna che gli
ha “rubato” il miracolo: “Va’ in pace, la tua fede ti ha
salvato”.
Ancora la fede è al
centro della guarigione della figlia di Giairo: “Non temere, solo
abbi fede”. Fede nella potenza di Gesù, una potenza capace di
raggiungerti qui, nella tua propria situazione, vittoriosa persino
sulla morte. Ma in questo racconto Marco accenna anche a un altro
tema: “La bambina non è morta, ma dorme”. Il grande miracolo è
la vittoria sulla morte, come ci ricorda il Salmo: “Dio guarisce
tutte le tue infermità, salva dalla fossa la tua vita, ti circonda
di bontà e misericordia » (103,3-4). In effetti, non sarebbe
salvezza piena se non fosse per sempre.
Gesù, dopo aver
smentito le parole degli uomini, che dicevano che la bambina era
morta, e dopo averli mandati tutti fuori, dà un nome nuovo anche
alla morte. La sua Parola è più importante di quella degli uomini.
La Parola di Dio ridà vita, la dà per sempre.
2) Fede: è
questione di intelligenza e di cuore, è maniera di vivere non solo
di pensare.
Come
stiamo vedendo, l’attenzione è attirata non tanto sui due
miracoli, quanto sulla fede di chi li domanda. La fede è
indispensabile al miracolo. Gesù non compie miracoli per forzare, ad
ogni costo, il cuore dell’uomo. I miracoli sono segni a favore
della fede, ma non sminuiscono il coraggio di credere. I miracoli
sono un dono, una risposta alla sincerità e purezza del cuore
dell’uomo che cerca il Signore e che mendica la guarigione del
corpo e dell’anima.
Gesù
non compie miracoli, dove gli uomini pretendono di essere loro a
stabilire le modalità dell'agire di Dio. Il miracolo è la libera
risposta di Dio alla mendicanza della creatura umana.
Purtroppo
siamo spesso ciechi di fronte ai molti segni che Dio compie, non
abbiamo il cuore aperto per decifrarli e il coraggio per deciderci, e
allora ci si scusa pretendendone altri. Chiediamo nuovi segni, sempre
nuovi segni, e intanto non ci accorgiamo dei molti segni che Dio ha
già - di sua iniziativa - seminato lungo la strada della storia e
della nostra vita.
Dobbiamo chiedere ma
con purezza di cuore e compunzione. La parola compunzione diventa
molto espressiva se pensiamo alla sua etimologia: significa infatti
il bruciore provocato da una puntura. Quel bruciore che provoca in
noi l’amore di Dio manifestato in Cristo quanto tocca il nostro
cuore peccatore. La compunzione non equivale al senso di colpa né
agli scrupoli, ma fa riferimento all'amore, perché deriva dalla
considerazione che Dio ci ama e che “Cristo è morto per noi,
quando eravamo ancora peccatori” (Rm, 5, 8).
Il contrario della
paura non è il coraggio, è la fede. L’importante è perseverare
in essa e farla crescere in noi. Anche quando il dubbio assale, anche
se la nostra fede non ha nulla di eroico, lasciamo che la Parola di
Dio abiti nel nostro cuore, che il Nome di Cristo salga alle labbra
con un’ostinazione da innamorati.
La fede è un atto
umanissimo, vitale, che tende alla vita e si oppone alla morte. La
fede è un atto dell’intelligenza e un abbandono della volontà,
che ci fa aderire a Dio come un bambino aderisce al petto della
madre, poi come i bambini dal cuore svezzato della mamma restiamo
confidenti nella braccia di Dio.
“La fede è
propriamente una risposta al dialogo di Dio e alla sua Parola, alla
Sua Rivelazione.
La fede è il “sì”
che consente al pensiero divino di entrare nel nostro.
La fede è un atto che
si fonda sul credito che noi diamo al Dio vivente: è l’atto di
Abramo che credette a Dio e che da ciò trasse salvezza.
La fede è un insieme
di convinzione e fiducia, che pervade tutta la personalità del
credente e impegna la sua maniera di vivere.” (Paolo VI, novembre
1966).
E' dunque giusto
chiederci, oggi, quale dimensione ha la nostra fede: se è un
atteggiamento superficiale che non dà credito alla Sua onnipotenza o
“una maniera di vivere Dio”.
Le Vergini consacrate
nel mondo testimoniano che la fede è una maniera di vivere Dio. La
loro vita di vergini è testimonianza dell’amore di Dio e
manifestazione della sapienza del cuore ricevuta da Cristo. Con la
vita totalmente donata a Dio queste donne “predicano il vangelo
della Verginità”, secondo il quale “la fede non è una cosa
decorativa, ornamentale; vivere la fede non è decorare la vita con
un po’ di religione” (Papa Francesco), ma è criterio di base per
vivere veramente. Con umiltà e con fede amorosa le Vergini
consacrate nel mondo si sono donate a Cristo, di cui ascoltano la
Parola con costanza mediante la lettura assidua della Bibbia e si
protendono nel mondo quale vangelo di Verginità
“al fine di amare più ardentemente il Cristo e servire con più
libera dedizione i fratelli” (Premesse
del Rito di Consacrazione della Vergini).
Per questo l’esortazione apostolica Vita consecrata
attribuisce loro una sorta di “magistero spirituale”
che le colloca come «guide esperte di vita spirituale» (Vita
consecrata, n. 55). Esse ci insegnano a vivere la fede con il
cuore, ad ascoltare la sua Parola
Lettura
Patristica
Sant’Efrem,
Diatessaron,
VII, 6, 19-23
1. I medici e il
medico
La
sua fede arrestò in un istante, come in un batter d’occhio, il
flusso di sangue che era sgorgato per dodici anni. Numerosi medici
l’avevano visitata moltissime volte, ma l’umile medico, il figlio
unico la guardò soltanto un momento. Spesso, quella donna aveva
profuso forti somme per i medici; ma all’improvviso, accanto al
nostro medico, i suoi pensieri sparsi si raccolsero in un’unica
fede. Quando i medici terreni la curavano, ella pagava loro un prezzo
terreno (Mc
5,26);
ma quando il medico celeste le apparve, ella le presentò una fede
celeste. I doni terrestri furono lasciati agli abitanti della terra,
i doni spirituali furono elevati al Dio spirituale nei cieli.
I
medici stimolavano coi loro rimedi i dolori causati dal male, come
una belva abbandonata alla sua ferocia. Così, per reazione, come una
belva inferocita, i dolori li diffondevano dappertutto, essi e i loro
rimedi. Quando tutti si affrettavano di sottrarsi alla cura di quel
dolore, una potenza uscì, rapida, dalla frangia del mantello di
Nostro Signore; colpì violentemente il male, lo bloccò e s’attirò
l’elogio per il male domato. Uno solo si prese gioco di quelli che
s’erano presi gioco per molto. Un solo medico divenne celebre per
un male che parecchi medici avevano reso celebre. Proprio quando la
mano di quella donna aveva distribuito grandi cifre, la sua piaga non
ricevette alcuna guarigione; ma quando la sua mano si tese vuota, la
cavità si riempi di salute. Finché la sua mano era ripiena di
ricompense tangibili, essa era vuota di fede nascosta, ma quando si
spogliò delle ricompense tangibili, fu ripiena di fede invisibile.
Diede ricompense manifeste e non ricevette guarigione manifesta;
diede una fede manifesta e ricevette una guarigione nascosta. Sebbene
avesse dato ai medici il loro onorario con fiducia, non trovò per il
suo onorario una ricompensa proporzionata alla sua fiducia; ma quando
diede un prezzo preso con furto, allora ne ricevette il premio,
quello della guarigione nascosta...
E
coloro che non erano stati capaci di guarire quest’unica donna coi
loro rimedi, guarivano frattanto molti pensieri con le loro risposte.
Nostro Signore, invece, capace di guarire ogni malato, non voleva
mostrarsi capace di rispondere anche ad un solo interrogativo;
conosceva quella risposta, ma descriveva in anticipo coloro che
avrebbero detto: "Tu,
con la tua venuta, dai testimonianza di te stesso; la tua
testimonianza non è vera"
(Jn
8,13).
La sua potenza aveva guarito la donna, ma il suo parlare non aveva
persuaso quella gente. Eppure, per quanto la sua lingua restasse
muta, la sua opera risuonava come una tromba. Col suo silenzio
soffocava l’orgoglio arrogante; con la sua domanda: "Chi
mi ha toccato?"
(Lc
8,45)
e con la sua opera, la sua verità era proclamata.
Se
non ci fosse che un senso da dare alle parole della Scrittura, il
primo interprete lo troverebbe, e gli altri uditori non avrebbero più
il lavoro pesante della ricerca, né il piacere della scoperta. Ma
ogni parola di Nostro Signore ha la sua forma, e ogni forma ha molti
membri, e ogni membro ha la sua fisionomia propria. Ciascuno
comprende secondo la sua capacità, e interpreta come gli è dato.
È
così che una donna si presentò a lui e che la guarì. Si era
presentata davanti a parecchi uomini che non l’avevano guarita;
avevano perduto il loro tempo con lei. Ma un uomo la guarì, quando
il suo volto era girato da un’altra parte; egli biasimava così
coloro che, con grande cura, si volgevano verso di lei, ma non la
guarivano: "La
debolezza di Dio è più forte degli uomini"
(1Co
1,25).
Sebbene il volto umano di Nostro Signore non poté guardare che da
una sola parte, la sua divinità interiore aveva occhio dappertutto
poiché vedeva da ogni lato.